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             MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 17/1


 

     

      

  

Per abbracciare con l’immaginazione la grandiosità dello scontro che segnò dopo la disastrosa Morte Nera un’epoca feconda per l’Europa, se la si guarda da un certo punto di vista dello sviluppo della civiltà e del miglioramento delle regole di convivenza fra gli uomini, bisogna recarsi sul posto dove quella battaglia ebbe luogo e respirare l’aria che ancora aleggia sulla spianata ondulata di campi coltivati fra i moderni villaggi di Grunwald, Łodwigowo e Stębark in Polonia.

Si arriva col treno a Olsztyn dove occorre poi prendere l’autobus che ha una sua fermata proprio davanti alla grande spianata. Scesi dall’autobus, lasciamo la piccola costruzione dove c’è il ristoro e avviamoci verso il grandioso e spoglio monumento di pietra che sovrasta la piccola altura al centro.

Sul terreno per terra c’è disegnato con blocchi di pietra l’ultimo schieramento delle forze polacco-lituano-russe da una parte e quelle dell’Ordine dall’altra…

Il luogo tuttavia ricorda non solo quel lontanissimo luglio del 1410 quando le forze polacco-russo-lituane sconfissero clamorosamente, benché solo per una prima volta e non in modo definitivo, l’esercito dell’Ordine Teutonico, ma anche il grandioso monumento che gli Hohenzollern e il Maresciallo von Hindenburg fecero costruire dal 1914 al 1933 dopo la battaglia del 28 agosto 1914 che vide i Russi di Nicola II in fuga di fronte all’esercito imperiale tedesco vittorioso.

Giustamente, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’annessione sovietica del territorio intorno a Königsberg con la sostituzione della locale popolazione con contadini russi, sin dal 1948 il Governo Polacco decise la completa eliminazione del complesso monumentale tedesco già mezzo rovinato che ricordava le troppe malefatte naziste in terra polacca e concentrò invece lo sforzo nell’esaltare la Battaglia di Grunwald quale momento cruciale di redenzione dal giogo straniero di tutti i domini della Rzeczpospolita Polska (Repubblica Polacca). Questa vittoria del 1410 contro l’Ordine Teutonico era ormai diventata una leggenda nell’epos nazionale e tanti artisti polacchi vi avevano ricamato romanticamente le migliori fantasie e i più grandiosi romanzi.

Grunwald era nella coscienza collettiva polacca come segno di riscossa dalla servitù all’Ordine Teutonico e l’esaltazione dello sforzo che Ladislao Jagellone, alias Jogaila, aveva compiuto per riscattare le “terre polacche del nord” illegittimamente germanizzate e colonizzate dai Cavalieri.

Grunwald non fu che la prima battaglia vinta contro l’Ordine poiché la mèta ultima era in realtà il Castello di Santa Maria (Marienburg in tedesco e Małbork in polacco), sede del Gran Maestro frà Ulrico di Jungingen e del suo capitolo, e questa fortezza fu raggiunta solo il 25 luglio, ben 16 giorni dopo lo scontro a Grunwald.

Il fatto che la battaglia porti poi due nomi non è un caso. In realtà la campagna e la collina dove lo scontro si svolse è chiamata la Collina delle Querce (tedesco Tannenberg), ma intorno ad essa c’era anche un bosco di alberi bassi, un Bosco Verde (dialetto prussiano-tedesco Grunwald) e un villaggio chiamato Grunfelde che fece da retrovia alle truppe di Jogaila.

Si dette il caso che la battaglia del 1914 contro i Russi si fosse svolta più o meno in questo stesso posto e così il Maresciallo von Hindenburg colse i classici due piccioni con una fava e costruì il monumento di pietra più imponente che si fosse mai visto, in modo da evidenziare il trionfo tedesco e mettere in ombra la sconfitta dell’Ordine Teutonico in quei tempi di nazionalismi sfrenati. Quegli anni del secolo scorso avevano appunto visto un revival delle glorie della Prussia Orientale, patria della dinastia al potere in Germania e quindi andavano cancellate tutte le possibili ombre nefaste del passato.

Noi però non c’interesseremo di questo evento, ma di quello di cinque secoli prima e diciamo che, per fortuna, disponiamo di fonti dirette sul suo svolgimento, altrimenti davvero questa battaglia resterebbe dimenticata per sempre.

Essa è descritta principalmente in una Chronica Conflictus contenuta negli Scriptores Rerum Prussicarum e nelle Historiae Poloniae del canonico Giovanni il Lungo (Jan Długosz), la quale ultima noi seguiremo più da vicino.

Questo canonico era nato 5 anni dopo l’evento e sembra che abbia attinto tutti i particolari che riporta nel suo scritto dal padre che vi aveva partecipato. Tuttavia, siccome suo padre morì nel 1425 quando Giovanni aveva solo 8-9 anni, questa versione sulla raccolta delle testimonianze paterne non è accettabile. E’ più credibile e probabile al contrario che molti superstiti fossero ancora vivi quando Giovanni il Lungo pose mano alla sua Cronaca e che li abbia conosciuti e interrogati proprio sfruttando le amicizie di suo padre e frequentando la Corte di Cracovia nel Castello del Wavel.

Neppure le cronache da parte tedesca contemporanea possono venire da notizie raccolte dal Comando Militare dell’Ordine perché i componenti perirono quasi tutti sul campo e quindi pochissimi poterono essere i testimoni oculari superstiti dai quali attingere informazioni affidabili.

Premesso doverosamente tutto questo… prepariamoci alla Battaglia!

Abbiamo in campo tre tipi di organizzazioni armate le quali a loro volta, a parte il nucleo centrale nazionale, sono formate da altre armate di ancora più diverso tipo, sempre a causa della loro provenienza, poiché o erano mercenarie locali oppure provenivano da diverse regioni europee, dalle aree circonvicine o dalla Pianura Russa oppure dalla steppa del Volga.

Sappiamo che il primo principe polacco Mieszko aveva potuto disporre di un’armata “personale” o druzhìna di ca. 3000 uomini la quale in caso di guerra più impegnativa veniva ingrossata dall’esercito popolare formato da giovani abili alla guerra armati con proprie armi e ceduti al principe dalle famiglie contadine. Questo sistema era ancora in vigore nel XV sec. e i contadini in più erano obbligati a costruire e a tenere in efficienza ponti e strade fatte con tronchi di legno per il passaggio dei militari. Col passar del tempo e col pericolo che l’Ordine Teutonico rappresentava per la Polonia, l’esercito polacco era diventata un’organizzazione militare stabile e naturalmente all’altezza dei compiti imposti in quel tempo. La druzhìna originaria invece era ormai la nobiltà che comandava e dalla quale il re stesso dipendeva, visto che coll’evolversi della società polacca essa era ora formata dai magnati o Schlachta.

L’esercito che si formava su chiamata del re, il cosiddetto pospolito ruszenie, era diviso in battaglioni con un proprio gonfalone e queste unità militari erano chiamate chorągiew (i russi li chiamavano horugvy).

I magnati concorrevano direttamente alla formazione dell’esercito nazionale finanziando propri gonfaloni e, oltre a questi armigeri professionali, riuscivano a mobilitare anche i giovani contadini dei villaggi che da loro dipendevano. Nel caso di necessità poi erano disponibili, specialmente in Moravia, bande di mercenari che si battevano per il soldo pattuito dal loro generale che contrattava l’ingaggio.

E qui è doveroso nominare un grande capitano di ventura moravo che in seguito partecipò direttamente alle famose Guerre Hussite (ca. 1420) creando un esercito così ben organizzato per il movimento taborita (riformatore della Chiesa Romana sulle idee di Giovanni Hus) che non troverà mai un vincitore. è il famoso Jan Žižka di Trocnov!

Le armi polacche erano diverse a secondo le tradizioni locali, ma di solito consistevano di spade lunghe, asce di guerra, pugnali, picche, elmo e corazza a placche per quelli che andavano a cavallo, mentre per i fanti invece c’erano a disposizione asce, spade e picche e balestre e talvolta parapetti a placchette di metallo. Infine i semplici contadini naturalmente s’accontentavano di falci e falcetti, forche e asce da taglialegna visto che erano tenuti nelle retrovie principalmente per i servizi logistici.

L’esercito polacco in campo si schierava secondo un ordine tattico ben collaudatoe cioè in hufec o file. La prima era quella chiamata di testa, la seconda quella di battaglia, la terza di riserva. Tuttavia se gran parte dell’esercito rispondeva ai comandi del re, i gonfaloni dei magnati dipendevano dal magnate stesso il quale a volte era capace anche di defezionare prima che i destini della battaglia si compissero.

Per quanto riguarda i Lituani il problema maggiore era invece quello di raccogliere sotto il comando di un solo principe un esercito disomogeneo proveniente dalle diverse regioni che addirittura parlavano anche lingue diversissime. Poi c’era il problema di spostare uomini combattivi (come dicono nelle Cronache) da luoghi chiusi come le foreste a loro ben note ora dovevano battersi in campo aperto e lontanissimi da casa, dove la tattica degli agguati era impensabile!

C’erano inoltre i contingenti russi provenienti da Polozk, da Vitebsk, da Smolensk e persino da Novgorod. Dai Tatari addirittura era giunto un contingente di 5 mila arcieri montati su cavalli arabi…

Anche i russi fondamentalmente partivano dalla druzhìna e con la partecipazione degli armati forniti dalla comunità contadina o dalla comunità cittadina (in russo opolcenie). Quest’ultima armata era in mobilitazione quasi permanente in ogni grossa città sotto un capo chiamato Capo dei Mille o Tysjazkii. L’armamento dei russi era la solita ascia da guerra, la picca, lo scudo a forma di mandorla e l’elmo tipico a punta con la corazza a scaglie. I russi poi erano a cavallo e sdegnavano la fanteria.

Vytautas impersonò allora il giusto Comandante a capo di questo contingente così misto delle Terre Russe giacchè millantava da sempre di essere il Gran Principe di Kiev e il Re della Lituania e dei popoli affini e quindi, siccome gli armigeri russi rappresentavano la parte più consistente dell’armata, il suo comando poteva essere accettato senza obiezioni ed addirittura, quando si presentò a Grunwald, aveva ricevuto persino la benedizione del Metropolita!

Per quanto riguarda poi i Cavalieri, che avrebbero dovuto essere il non-plus-ultra degli eserciti del tempo, dobbiamo dire che in realtà esisteva sicuramente una grande superiorità militare rispetto all’esercito polacco o agli altri eserciti europei del tempo nelle armi e nella tattica, ma l’ostacolo maggiore era riuscire a mettere sul campo un sufficiente numero di combattenti quando una campagna militare diventava così grande!

Anche nell’armata dei Teutonici abbiamo più o meno le stesse suddivisioni dei polacchi: il gonfalone formato da un numero di cosiddette lance. Una lancia era formata da un cavaliere con un certo numero di serventi (sergenti) che gli curavano il cavallo che montava e quello di ricambio insieme con altri servizi, pur rimanendo armati e pronti ad intervenire in caso di bisogno. Di solito i gonfaloni facevano capo alle diverse Komturei (Commende) sparse sul territorio prussiano o anche fuori, in Germania e in altre nazioni europee. Se teniamo ora presente che il numero dei Cavalieri veri e propri era intorno a 250, non possiamo immaginare che a Grunwald si potesse presentare un esercito così esiguo, se non consideriamo quanto premesso.

Inoltre i Cavalieri veri facevano voto di castità, di povertà e di obbedire a Dio e ai suoi vicari per tutta la vita e la selezione era molto rigida perché si preferiva accettare i voti solo di persone di un certo lignaggio e non più quelli di una persona qualunque. I monaci-guerrieri poi abitavano in un convento ed ogni Convento di solito comprendeva al massimo dodici Cavalieri veri, ma poteva vantare un solo proprio gonfalone.

Ai Cavalieri si aggiungevano poi degli uomini che benché conducessero la stessa vita monacale dei Cavalieri, non erano accettati come tali, ma rimanevano membri secolari dell’Ordine e avevano diritto di indossare il mantello dei Cavalieri solo con la modifica che, al posto della croce, sul loro mantello c’era una Tau greca ossia una croce acefala. Quanti erano costoro? Il numero era variabile.

Ma come facevano allora questi pochi a mettersi in campagne militari in cui erano richiesti migliaia di uomini in armi?

In questi casi si ricorreva all’assoldamento di Cavalieri di altri Ordini o di mestiere e conosciuti col nome di Knechten o servi i quali portavano con sé altri uomini armati al seguito. Ed infine c’era il ricorso massiccio ai mercenari che venivano ingaggiati campagna per campagna. Oltre a questi armigeri regolarmente iscritti nel ruolino di paga dell’esercito dell’Ordine, finalmente c’erano anche le piccole armate dei Cavalieri simpatizzanti ed in questa battaglia sappiamo che ce n’erano due, uno di nazionalità ungherese e l’altro valacco.

Abbiamo detto che già da qualche anno avevano fatto la comparsa le prime armi da fuoco ed addirittura si era visto Vytautas usarle in Samogizia. Così anche l’Ordine nella preparazione a quello scontro si dedicò a fondere alcune bombarde che non avendo un affusto proprio dovettero esser trasportate con i carri.

Quali furono i piani di attacco? Quelli di Jogaila e Vytautas si potevano indovinare e dovevano essere abbastanza impegnativi dati i traguardi che ognuno di essi voleva raggiungere.

Per Vytautas il fine ultimo era il mantenimento della Samogizia e della sua fascia di costa baltica fra Prussia e Livonia e quindi l’imposizione, in caso di vittoria, di una pace obbligatoriamente stabile in modo da poter sviluppare le sue velleità di radicarsi quale sovrano unico nelle terre di famiglia, dato che nelle Terre Russe la legittimazione a Gran Principe l’aveva già. Per questo motivo Vytautas prima di mettersi nella campagna contro l’Ordine si era assicurato con un accordo serio che i Cavalieri Livonici, nel caso di una loro campagna nelle terre di competenza lituana, dovessero dare un preavviso di tre mesi e nello stesso modo si sarebbe comportato Vilnius! Naturalmente nel caso specifico della campagna in atto insieme a Jogaila, Vytautas, non fidandosi al cento per cento di tale accordo, era stato ben attento a non sguarnire nessun avamposto nella Samogizia e così, pensate un po’!, l’armata di Vytautas risultò formata quasi esclusivamente… da russi!!

Per Jogaila era fondamentale fermare i Teutonici nella loro politica di allargamento del loro stato, sia che comprassero terre dai margravi tedeschi sia che le conquistassero, ma in fondo le rivendicazioni polacche rimanevano quelle sulle città costiere come Danzica allo scopo di avere una costa polacca con porti efficienti che finora non c’erano!

Colpire quindi i Teutonici al cuore, a Marienburg, era la meta ultima dei due cugini.

Questo non fu subito compreso dai Teutonici, perché stimavano troppo grandioso un piano di guerra del genere da parte dei Polacchi. La loro fortezza era troppo ben difesa e troppo all’interno dello stato teutonico per potere essere raggiunta e conquistata… ed infatti ciò non avvenne, come vedremo!  

I piani di Jogaila prevedevano prima alcune manovre diversive dei suoi Polacchi per disperdere i contingenti dei Cavalieri sul territorio e successivamente il congiungimento con l’esercito lituano in un punto ben definito sulle rive della Vistola per cominciare insieme l’avanzata in territorio teutonico verso Marienburg, sperando di situarsi nel mezzo dividendo i diversi contingenti teutonici!

Eppure a Marienburg erano già arrivate molte informazioni su questi piani e su queste intenzioni. Si era visto bene come si stavano costruendo e manutenzionando ponti vecchi e nuovi lungo la Vistola, e come un grosso contingente di lituani si stava raccogliendo vicino al fiume Narew (affluente della Vistola) dirette ad occidente e altre manovre ancora.

Pure non si pensò che Jogaila e Vytautas potessero osare entrare in territorio teutonico per puntare a Marienburg. Si ritenne che fossero le solite incursioni di rappresaglia…

è il 14 giugno del 1410…

Prima di proseguire preghiamo ora il lettore di seguire attentamente i movimenti su una carta della Polonia per non perdere di vista la rotta fissata.

Se guardate ad ovest troverete la città polacca di Bydgoszcz, Bromberg nella nomenclatura tedesca, dove la manovra diversiva prevista fu solo un attacco da parte dei Polacchi alla guarnigione di confine non lungi da Schwez (Śviecie nad Osą)!

Il 27 giugno da Königsberg venne confermato che c’era stato un attacco lituano al castello di Memel (Klaipeda) sulle coste del Baltico significando con ciò che la tregua firmata con la mediazione di Venceslao era stata violata, dato che scadeva il 24 giugno…

Al Gran Maestro Ulrico di Jüngingen, da poco succeduto al suo defunto fratello Corrado (persona più moderata), a questo punto non restò che stare in allarme attento ai movimenti del nemico per capire dove avrebbe fatto cadere il suo prossimo colpo e, mentre a Schwez fu dato ordine di respingere ogni attacco, a Soldau (Działdowo) fu ordinato di continuare a seguire i movimenti degli armati lituani e riferire ulteriori movimenti e nuove direzioni.

Era strano per combattenti di grande esperienza come i Teutonici non riuscire a capire dove si dirigessero esattamente i due cugini, ma era proprio così. Dove puntavano i maledetti Polacchi e i Lituani? Ancora non era chiaro se le due armate prevedessero azioni congiunte! Il 25 giugno Jogaila doveva trovarsi ancora a Cracovia e ciò era confermato sicuramente dalle spie…

Evidentemente prima di muovere verso nord Jogaila aveva voluto sincerarsi che gli Ungheresi non lo minacciassero da sud e non appena ebbe conferma scritta di ciò si mosse anche lui.

All’alba del 25 giugno invece Jogaila si mette in marcia con una parte dei suoi senza fretta ed addirittura si arresta pressappoco all’altezza del villaggio di Kozłów Biskupi, apparentemente per riposare, ma in realtà per attendere notizie dei movimenti di Vytautas. Qui lo raggiunge infatti un gonez (agente di posta a cavallo russo) che lo avverte che Vytautas sta per guadare il Narew e che perciò lo prega di proteggere il suo passaggio.

Intorno al 2 luglio Polacchi e Lituani si incontrano proprio in questa zona.

Proseguiranno poi uniti fino a Jerzow e vicino a Bondzin il 7 luglio Jogaila passa in rassegna tutta l’armata schierata. Anzi, mette in atto un’esercitazione con falsi allarmi. Convinto finalmente della buona preparazione degli uomini, decide di ordinare il riposo a poche miglia dal confine con l’Ordine.

Si racconta che prima di dare ordine di passare il confine dell’Ordine, Jogaila fece celebrare una messa chiedendo perdono a Dio per quel che stava compiendo contro i suoi figli e servi armati, addirittura piangendo perché tutti sapessero che non era sua colpa se doveva attaccare altri cristiani come lui.

Viene issato il gonfalone di Cracovia e con gli uomini che cantavano il Salve Regina finalmente si oltrepassa il confine e il Comandante Zyndram e Vytautas si preparano allo scontro col nemico che ormai non dovrebbe essere lontano.

Lautenburg (Lidzbark) è la prima postazione teutonica che viene presa con grande entusiasmo di tutti gli armati, polacchi e lituano-russi. Altri battaglioni intanto l’8 luglio catturano Soldau (Działdowo) e Neidenburg, ossia Nidzica, la più antica città prussiana. Giunti così al fiume Drwęnza si decide di fare consiglio di guerra poiché sono stati avvistati i contingenti dei Cavalieri arroccati dietro delle difese di legno proprio lì vicino con pezzi da fuoco pronti ed appoggiati dalla guarnigione di un castello imponente e ben armato.

Anche il Cavalieri hanno avvistato l’esercito polacco-lituano-russo.

I Cavalieri avevano infatti previsto che i Polacchi dovessero guadare proprio qui, a Kauernick (Kurzetnik), dove, sul fiume, si sarebbe potuto colpiti senza che potessero reagire adeguatamente impacciati nell’acqua. Il Gran Maestro dunque decide di distribuire i suoi armati (ne sono giunti al galoppo anche da Schwez) lungo una lunga fascia di terreno della riva del fiume e, secondo lo storico russo Razin, questo fu il primo errore poiché in questo modo s’indebolì tutta la loro difesa, pensando, stupidamente, che i Polacchi avrebbero attaccato proprio dove c’era un castello ben guarnito!

Invece Jogaila non guadò e decise dopo il consiglio con i suoi generali di continuare la marcia fin nei pressi delle sorgenti del fiume dove il guado sarebbe stato molto più agevole sia a piedi che a cavallo e ben lontani dall’occhio teutonico. Certo! C’era il rischio di farsi vedere a causa della vicinanza del castello di Osterode (Ostroda), ma era un rischio che andava corso.

Il Gran Maestro a questo punto, capite le manovre di Jogaila, si diresse, arretrando, verso Bratenau (Bratian), più vicino a Tannenberg, per chiudere la strada per Marienburg all’armata nemica.

è il 12 luglio!

Jogaila e Vytautas decidono di riposare e solo il giorno dopo si scontrano con un battaglione di Cavalieri che viene sbaragliato, presso il piccolo castello di Gilgenburg (Dąbrówno). Il castello è preso e la cittadina annessa è saccheggiata e messa a ferro e a fuoco.

Si tramanda che questa fu un’impresa militare tutta tatara. Questi formidabili guerrieri, a quanto sembra insultati dai Cavalieri per il loro aspetto, attaccarono con grandissima foga e distrussero e uccisero, tagliarono le mammelle alle giovani vergini, torturando e prendendo prigionieri da vendere come schiavi. Profanarono persino sacre immagini e templi… Tutto questo sarà registrato dai Cavalieri con molta puntigliosità perché era una prova davanti al Papa della paganità dell’esercito di Jogaila!

Al 14 c’è ancora un’altra fermata di riposo.

Durante la notte del 15 scoppiò una delle solite e improvvise burrasche estive. Tuoni, lampi e fulmini e pioggia a catinelle, ma al mattino tutto si calmò sebbene la pioggia continuasse a cadere. Naturalmente proprio a causa del terreno diventato pesante non si riuscì a proseguire con la speditezza desiderata e alla sera si fece bivacco nel bosco vicino alle rive del laghetto di Lauben (Łubień). Zyndram mandò gli esploratori in ricognizione e costoro al ritorno riferirono che l’esercito teutonico era attestato sulle colline di fronte a Tannenberg. Anche i Cavalieri avevano avvistato i Polacchi, ma siccome Jogaila non aveva dato ordine di muovere, il Gran Maestro pensò di radunare il Consiglio di Guerra. Forse per affrettare le mosse del nemico si decise di mandare in campo polacco due spade al re Jogaila per dire che l’ora dello scontro era giunta, usando il simbolismo di quei tempi.

Quando gli inviati dei Teutonici infissero le due spade nel suolo davanti alla tenda del re, Jogaila raccolse la sfida e la considerò un’offesa fatta a lui personalmente. Ribadì che aveva voluto questo solo perché era stato provocato e ordinò ai suoi di prepararsi con tutte le forze.

C’era anche una cerimonia importante che era stata preparata da tempo e che doveva essere celebrata. Alcuni membri, qualche centinaio, della Schlachta avevano chiesto al re di essere nominati cavalieri sul campo ed ora aspettavano che il re li consacrasse. La pioggia era ormai cessata e così la cerimonia fu celebrata con grande solennità e subito dopo, era il primo pomeriggio, fu dato fiato alle trombe e i tamburi cominciarono a rullare chiamando i soldati e i cavalleggeri nelle proprie linee.

Il più impaziente era Vytautas coi suoi Tatari ed i suoi Russi e espresse quasi il suo disprezzo per suo cugino che fra messe e cerimonie perdeva solo tempo e disse che non aveva visto mai tanta lentezza in un comandante nel dare l’ordine di attacco.

Finalmente i due eserciti ora sono schierati l’uno di fronte all’altro.

Il Gran Maestro si trova sul fianco sinistro vicino a Tannenberg e Jogaila sulla collina di Grunwald dietro il suo fianco destro, circondato dai suoi fidati mercenari cechi e dalle sue guardie del corpo al comando di Jan Sokol.

è Vytautas a dare il primo segnale d’attaccare e a lanciare i suoi tatari a cavallo in un carosello sfrenato contro la prima linea dei Cavalieri che prudentemente si tengono serrati dietro gli scudi al sicuro della resistenza delle loro corazze di ferro. Infatti le frecce scoccate dai Tatari rimbalzano sul metallo costringendo i Tatari a ritirarsi al galoppo dietro le linee polacco-lituane. Dietro i Tatari però si sono già messe in movimento la prima e la seconda linea dell’esercito polacco, mentre i Cavalieri stanno respingendo ora i lituani che hanno seguito i Tatari.

I battaglioni di Trakai e di Vilnius riescono a resistere più a lungo. Ben nove gonfaloni al comando del Cavaliere di Wallenrode vengono lanciati contro di loro, tanto che alla fine devono indietreggiare. Sei di questi gonfaloni teutonici sono però tenuti impegnati da Giorgio figlio Mstislav, principe di Smolensk, che con i suoi tiene loro testa anche sacrificando la vita di molti uomini.

Questo dà il tempo a Zyndram di scatenare la sua prima linea e mandarla avanti. Il Gran Maestro allora manda il Cavaliere di Lichtenstein e lo scontro è sanguinosissimo. I Polacchi riescono però a sfondare ed ad inseguire i Cavalieri, ma altri intervengono e il fianco destro lituano viene colpito pesantemente. Anche questo colpo viene parato dai Russi di Smolensk e questa parte dell’armata alla fine è salva!

Per un caso sfavorevole cade lo stendardo di Jogailo e ciò mette in confusione i Polacchi, ma il re si porta subito personalmente in seconda linea per farsi vedere vivo e vegeto da tutti e con l’aiuto dei Russi riesce a strappare a Wallenrode lo stendardo, cominciando a respingere gli uomini di questo.

I Cavalieri hanno cominciato ad indietreggiare. Che succede? Non sono ancora in rotta, ma il momento sembra cruciale.

Il Gran Maestro infatti ha chiamato le riserve all’attacco in modo da impegnare i Polacchi dal fianco destro e mentre queste si muovono, la terza linea polacca parte all’assalto. Per un momento le riserve teutoniche si arrestano, ma è fatale perché i polacchi sfruttano quell’esitazione e danno dentro.

I Lituani che in apparenza erano stati battuti, lasciando i Russi in campo con a capo Giovanni Niemira di Polozk, in realtà avevano adottato la loro solita tattica di ritirarsi per poi ritornare di gran carriera quando il nemico li aveva dimenticati e così si sente il grido: Arrivano i Lituani! E a questo punto l’armata teutonica assalita da due lati non può resistere oltre.

Quelli che erano più vicini al Gran Maestro gli gridano di ritirarsi prima di esser colpito direttamente lui stesso, ma si dice che Ulrico rispondesse: “Non voglia Dio che io abbandoni mai questo campo dove sono morti tanti miei uomini.” e rimanesse nel pieno della battaglia. A questo punto ad Ulrico di Jüngingen capita quel che doveva: Viene colpito a morte da un lituano…

Ucciso il Gran Maestro e caduto il suo stendardo e sparsasi subito la voce della sua morte, tutti i Teutonici al grido: Madonna, abbi pietà di noi! si sbandano e fuggono da tutte le parti specialmente lungo due correnti di fuga. Una che va verso nord (Frygnowo) e un’altra verso est oltre Samin, e ambedue sono inseguite dai Polacchi, dai Lituani e dai Russi vittoriosi che li incalzano.

Dice Jan Długosz che “i nostri” inseguirono i Teutonici fino all’imbrunire per oltre 15 miglia, prima di desistere.

è la disfatta!

Una cosa è strana: Come mai i Cavalieri non impiegarono le bombarde che avevano costruito all’uopo? Il motivo forse è semplice: La polvere, a causa del tempo burrascoso si era bagnata e il terreno fattosi troppo fangoso non permetteva di muovere questi enormi pesi e di conseguenza non potevano neanche essere puntati!

Certo, la battaglia ha molti altri particolari sui quali gli storici di tutte le parti si sono affannati per ricostruirla esattamente e capire il perché della vittoria di Jogaila e di Vytautas.

Essa è descritta con tutti gli episodi più salienti nelle varie Cronache a cui abbiamo accennato prima, ma noi ci siamo attenuti alle descrizioni, facendone un compendio, dello storico russo Razin e del polacco Nadolski principalmente. Seguendo la ricostruzione dello storico inglese S. Turnbull, al quale ultimo il lettore più curioso si può rifare, si ha anche la possibilità di riviverla come davanti ad un diorama.

Possiamo dare delle cifre sul numero di uomini che si scontrarono? Forse sono reali quelle riportate da A. Samsonowicz da parte dell’Ordine: 700 fratelli Cavalieri, 11.000 uomini mobilitati, 8.000 invitati ed altri mercenari, più, naturalmente, servi e aiutanti, etc.

Lo storico P.G. Cigrinov dà le seguenti cifre per Vytautas: 5.000 Tatari, circa 15.000 dalla Podolia ucraina, e dai gonfaloni delle città bielorusse di Mogiljov, Vitebsk, Polozk, Mstislavl, Orscia, Sluzk, Minsk, Pinsk, Lida, Novogrudok, Volkovysk, Grodno, Kricev, Byhov, Druzk più qualche altra. Una minoranza (!) era costituita da Lituani veri e propri.

L’importanza di questa battaglia, se si pensa a quello che ne seguì, è nella coscienza che il re Jogaila e suo cugino Vytautas acquisirono del fatto che i terribili Cavalieri non erano così terribili e che potevano essere battuti.

Se Jogaila attribuì questa vittoria alle sue preghiere e alla protezione divina della sua giusta causa, Vytautas più pratico dovette invece riconoscere l’alta preparazione dei suoi russi... 

 

 

    

    

©2005 Aldo C. Marturano

    


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