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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 63 |
Costumi nazionali georgiani.
Qualche considerazione più generica sul vestito la facciamo subito, salvo nel seguito ampliare l'argomento nell'ambito che abbiamo prefisso. Immaginiamo allora di circolare nudi nelle vie della città. Notiamo dagli sguardi dell'eventuale interlocutore o passante che l'atteggiamento più immediato che costui ha davanti al corpo nudo è basata su categorie classificatorie, come l'età o i canoni di bellezza fisica, e allo stesso tempo sulle proibizioni che attengono a certe parti del corpo da tener nascoste in pubblico che si rifanno ad una qualche tradizione accettata e trasformata addirittura in legislazione in vigore. A questo livello chiunque nelle varie regioni del mondo, a causa della diffusione sempre maggiore degli usi cosiddetti “occidentali” sul vestirsi e sullo svestirsi, avrebbe dei problemi a definire oggi che significa esser nudi poiché ci si accorgerebbe che ogni società umana ha le sue proprie storiche “misure legali di nudità” e giudica lecito quali aree del corpo mettere in mostra e quali invece coprire (o meglio “difendere” dai pericoli esterni) in modo esclusivo e a volte unico. La nudità inoltre, dopo i primi momenti di imbarazzo, è un grosso ostacolo quando ci impedisce di capire all'interno del tessuto sociale nel quale viviamo qual è il ruolo da noi ricoperto nella vita. In altre parole un modo di vestire, un colore dominante nell'ornamento, una qualità di tessuto ci situa in un certo strato sociale esattamente come chi indossa una divisa o l'uniforme. Non solo! L'abbigliamento denuncia da piccoli particolari da quale parte del mondo veniamo, a quale comunità apparteniamo e, in special maniera, quali tradizioni siano le nostre. Oltre a quanto detto fin qui dalle prime pitture umane trovate nelle grotte preistoriche scopriamo che non solo esiste un vestirsi, ma anche un travestirsi. Su una parete della grotta “des trois Frères” in Dordogna è dipinto infatti un uomo (si vedono l'organo sessuale e i piedi nudi) con indosso una pelle di cervo con i palchi delle corna e il muso dell'animale che gli coprono il viso ossia è un uomo travestito. E a quale scopo coprirsi oltre il solito vestito? Indossando un abito diverso da quello d'ogni giorno, come qui sembra essere il caso, che cosa cambia nella persona travestita? La risposta è già contenuta nel discorso fatto finora: il suo ruolo sociale! Col nuovo vestito – indossato lecitamente o fraudolentemente o persino per scherzo – si può mutare di collocazione sociale come accade in moltissime occasioni, dal carnevale allegro alla processione funebre, che osserviamo ancora oggi nelle diverse società umane. E infine ci sono le domande più solite che si fanno sull'utilità del vestito, se esso abbia la funzione primaria di involucro protettivo contro intemperie, ferite, sporcizia oppure, sempre nell'ottica dell'oggi, o se serva a renderci più attraenti o più sexy o che cosa altro. Anche qui le risposte del tutto legittime che noi daremmo corrispondono chiaramente ad una sfilza di valori sociali comuni che ereditiamo dalla tradizione con la quale ci siamo formati. L'investigazione antropologica e etnografica condotta ormai da molti secoli dagli europei nei rispettivi imperi universali a contatto con le varie genti del mondo ha fatto accumulare moltissimo materiale sull'argomento vestirsi/abbigliarsi/travestirsi. Schiere di studiosi appassionati e qualificati con le loro ricche relazioni specialistiche ci portano a conclusioni talvolta inattese sugli oggetti e le abitudini attinenti all'abbigliamento nelle occasioni notevoli della vita umana e così sull'uso del vestito c'è moltissimo da dire oltre ad ammirare quanto è in bella mostra nei musei europei.
Da sinistra: attore; sciamano ugrofinnico; sposo russo. Innanzi tutto ci viene suggerita l'idea che gli uomini persino in estreme condizioni di freddo o di caldo non sempre ricorrono a coprirsi con un abito apposito, avendo abituato la propria pelle (d'altronde è il ruolo fisiologico basilare di quel tegumento) a resistere all'alternarsi di temperature diverse senza dover necessariamente indossare un vestiario. E quindi, se il vestito non è considerato universalmente come un semplice involucro protettivo (e se così fosse, saremmo gli unici animali superiori ad averlo per questo uso), come mai risulta tanto diffuso nelle società umane? E qui per il momento fermiamo le nostre considerazioni e, siccome non pretendiamo di fare una storia dell'umanità vestita, non possiamo andare troppo in profondo sui molti argomenti che suscita l'argomento vestito, salvo brevemente concludere che esso è un oggetto culturale e distintivo molto importante e che noi lo esamineremo su questo sfondo preminente. All'interno delle competenze e nei limiti che ci siamo posti, vediamo di passare all'argomento “russo” e già premettiamo che, pur costituendo per la gente un riparo dal freddo nordico, nel Medioevo – è questo il periodo che ci interessa – il vestito e i suoi componenti d'abbigliamento diventarono i prodotti più cari e più trafficati sui mercati internazionali, specialmente per gli acquisti delle classi più abbienti. La loro produzione perciò assorbiva la stragrande maggioranza del tempo a disposizione delle classi soggette (artigiani/contadini) giacché come prodotto finito diventava un valido surplus produttivo sia per i commerci sia per i tributi da pagare al potere. Ciò non vuol dire che le classi soggette non si vestissero, ma certamente adoperavano materiali e abiti più semplici, meno adorni e meno costosi. La questione che vogliamo trattare è molto più articolata già a partire dalla multietnicità del territorio, la Pianura Russa, del quale ci occuperemo. Infatti che cosa in realtà un capo di vestiario fra il IX e il XV sec. d.C. significasse vuol dire indagare su una molteplicità di culture a contatto su una stessa area abitata poiché la società che conosciamo come “russa” oggi non è che il risultato, mai completato e in mutazione continua, della fusione di genti differenti giunte nel Nordest europeo da altri luoghi della Terra in tempi diversi. Cominciamo allora a orientarci fra le etnie della Pianura e cerchiamo di sapere come e perché giunsero nella sede attuale, quali furono le loro prime commistioni interetniche e quali le diverse culture materiali apportate nella nuova sede abitativa con delle condizioni climatiche nuove e variate. E' un compito enorme per le nostre forze giacché i documenti scritti non sono tanti e molte questioni sono risolvibili (seppur parzialmente) dai reperti degli scavi archeologici. Iniziamo il nostro cammino immaginando per un momento la situazione di alcuni millenni fa. Contempliamo una Pianura Russa ancora coperta da ghiacci fino ad una certa latitudine benché la foresta vada colonizzando il territorio avanzando da sudovest del continente ed è giusto lungo questo tormentato periodo che ondate di agricoltori dal Vicino Oriente con il loro metodo del taglia-e-brucia migrano verso queste lande stabilendosi nelle radure. Gli accessi utilizzati non sono molti e sono stati abbastanza facilmente individuati nei Balcani e nella valle del Danubio. Contemporaneamente o quasi però altre etnie raccoglitrici e cacciatrici sono in migrazione, ma lungo la fascia settentrionale dell'Eurasia che affaccia sul Mar Glaciale Artico. Sono dirette verso occidente a causa di un peggioramento delle condizioni dell'ecosistema finora occupato. Se il primo gruppo arrivato dal Vicino Oriente non è ancora ben descrivibile in termini etnico-linguistici, la prima lega di tribù ad entrare nella Pianura Russa nel Grande Nord è probabilmente definibile come il superethnos ugro-finnico. Col termine superethnos intendiamo un raggruppamento di genti più o meno omogenee dal punto di vista culturale che si trovano o in via di 'disgregazione' e quindi nella fase di passaggio verso nuove e separate etnie oppure in via di 'aggregazione' di etnie diverse precedentemente esistenti. Gli Ugro-finni dunque entrano a nord dei Monti Urali cioè dove la catena montagnosa si abbassa fino alle rive del mare e, lasciandosi il mare alle spalle, alcune di loro seguono un itinerario verso sudest lungo i grandi fiumi. Col passar del tempo – la migrazione è logicamente condizionata dalle stagioni che si svolgono intorno al Circolo Polare Artico – raggiungono la confluenza del Kama col Volga dove finalmente s'incontrano con i nomadi iranofoni della steppa eurasiatica. La migrazione, come si capisce, è volta alla ricerca di ecosistemi più caldi e coltivabili a cereali per la penuria nella dieta dei migranti di carboidrati e le Terre Nere che qui s'incontrano ai confini con la steppa sono giusto i terreni più favorevoli ad un'attività agricola piuttosto semplice. Le Terre Nere sono ben note da lunghissimo tempo per la loro fertilità (dovuta al loess nel suolo) e facilità di lavorazione persino per i traffici con la lontana Scandinavia e qui intorno all'VIII sec. d.C. fiorirà la Bulgaria del Volga.
Cintura di capo della steppa del secolo X. A questo punto abbiamo una distribuzione degli Ugro-finni da nord a sud lungo i declivi degli Urali abbastanza tipica in cui soltanto una parte di essi – i Lapponi – continua a nomadizzare lungo il Mar Bianco mentre gli altri stanno creando un circolo virtuoso di scambi con i prodotti nordici fra i congeneri più a settentrione e quelli più meridionali che fanno da tramite proprio con i prodotti del nord con l'Asia Centrale e le attive aree del Mar Nero. Il traffico commerciale è di regola utilissimo per darci un'idea di come le genti vivono, che materiali usano e con quali tradizioni si muovono nell'ambiente che le avvolge e riusciamo quindi ad avere le prime indicazioni sugli Ugro-finni e sui loro abiti. Nella Letteratura Anglosassone Antica infatti si trova una menzione importante sulla regione del Grande Nord in particolare. Un certo Ottar (abbiamo semplificato il nome per comodità) norvegese, aggirato Capo Nord, riesce a sbarcare sulle rive dell'Artico (Mar Bianco) e ad avere contatti con la gente del posto. La notizia è riportata come un evento raccontato intorno alla seconda metà del IX sec. al re inglese Alfredo il Grande. Dice Ottar di aver raggiunto Bjarmaland dove dai Lapponi (Saami) riusciva a ricavare ogni anno «...pelli di animali, piumino d'uccelli (d'oca per imbottitura), ossi di balena (qui per balena si intende il tricheco e le sue zanne) e gomene fatte da strisce di pelle di tricheco intrecciate e pelle di foca. Ognuno paga a seconda del proprio ruolo sociale. A lui (Ottar) più alto in rango (degli Ugro-finni) pagano 15 pelli di martora, 5 pelli di renna, 1 pelle d'orso e 10 misure di piumino e 1 giacca di pelle d'orso e 1 d'otaria...». Orbene, sapendo che il clima da quelle parti è particolarmente duro e che le temperature medie annuali sono basse, i materiali sommariamente descritti al re sono quelli tipici che incontreremo anche più avanti e in più abbiamo un'idea dei vestiti indossati nel Grande Nord: le giacche di pelle di vari animali (col pelo naturalmente all'interno!). Se i Lapponi, i più probabili interlocutori di Ottar, allevavano le renne, gli Ugro-finni un po' più a sud cacciavano con lacci e trappole per non rovinarne il pelo gli animali da pelliccia di piccola mole e, mentre le carcasse di queste prede servivano loro da cibo, le pellicce erano il surplus esportabile come materia prima per farne mantelli e altri caldi capi di vestiario sofisticati. Logicamente alcune pellicce erano considerate più pregiate e preferite negli scambi fra cui la martora, lo zibellino, il castoro che erano usati per abiti di prestigio presso le élites in Europa Occidentale e nel Centro Asia. Lasciamo ora il Grande Nord e trasferiamoci un po' più a sudovest. Qui troviamo un altro grande superethnos: I Baltici indoeuropei i cui residui oggi sono la Lituania e la Lettonia. Molto vicini dal punto di vista linguistico e culturale agli Slavi, erano già conosciuti dagli autori latini (Plinio il Vecchio, Tacito) come fornitori di avorio (ricavato dalle zanne di tricheco) e di ambra. Il che denuncia non solo un'antica attività commerciale lungo le rive del Mar Baltico di queste genti, ma pure un intimo contatto con i vicini Ugro-finni. Ed è da notare che gli antichi Aestii nominati da Tacito parlano, secondo quell'autore, una lingua di tipo celtico (indoeuropeo), sebbene oggi l'etnonimo si riferisca a gente di lingua ugro-finnica, Eesti-Estoni. Alla stessa stregua i Livii descritti dagli autori locali dell'XI sec. d.C. di lingua ugro-finnica intorno al XIV sec. d.C. passarono alla lingua lettone. In altre parole le commistioni inter-etniche in quest'area erano (e sono) frequenti derivandone una grande comunanza culturale fra i due superethnos. Dei loro vestiti più antichi? Sappiamo quasi nulla, anche se l'archeologia ci porta a immaginare come fossero fatti dalle borchie e dalle fibbie trovate nelle tombe. Addirittura le Saghe scandinave a proposito dei Curoni lituani raccontano che nelle battaglie fra Baltici e Svedesi per mettere scompiglio fra le spade e le lance del nemico si lanciavano… abiti interi! Oltre all'attività piratesca/mercantile presso i Baltici indo-europei rivieraschi notiamo pure una cultura agricola sviluppata (sempre col metodo del taglia-e-brucia) date le condizioni climatiche più favorevoli nelle foreste del Neman e della Dvinà/Daugava dove vediamo coltivare il lino, dapprima, e la canapa, poi, fibre tessili importanti nella nostra storia. La presenza baltica (insieme con gli Ugro-finni) è provata inoltre fino alla confluenza del Volga con l'Okà/Kama. All'altro estremo della Pianura Russa troviamo il mondo dei nomadi pastori nel clima temperato della steppa ucraina. Questo mondo è forse il più dinamico di ogni altra regione d'Europa perché i cambiamenti, le mutazioni radicali e profonde avvengono giusto qui in cui culture si sovrappongono o fagocitano altre culture, lingue scompaiono e se ne formano nuove e allo stesso tempo mutano i modi di vita sempre diversi e soprattutto innovativi. In questa area vediamo dapprima dominare gli iranofoni conosciuti già da Erodoto nel V sec. a.C. col nome di Sciti che però intorno al IV sec. d.C. vengono sostituiti nelle menzioni dei documenti dell'Impero Romano d'Oriente da tribù turcofone che domineranno la scena fino al momento in cui si formerà l'Impero Russo Moscovita. I turcofoni un po' alla volta si sedentarizzano loro malgrado nella Pianura Russa migrando in tutte le direzioni: verso nordest, i Bulgari del Volga, o a sud fondando stati autonomi nell'Anticaucaso, i Cazari, o a ovest nei Balcani, nella Bulgaria danubiana. Sebbene molti capi d'abbigliamento dei nomadi siano stati presi dalle culture vicine, è notevole la massiccia presenza di fibre tessili animali (seta, lana di pecora, di cammello o di dromedario) poco usate in Europa, sebbene già conosciute dalle élites e nella campagna, rispetto alle fibre vegetali del nord. Sono fibre che pian piano si affermeranno e si raffineranno nell'uso insieme con l'introduzione di nuovi tipi di tessitura dal Centro Asia e dalla Cina con la steppa a far da mediatrice. Esempi tipici sono l'uso del feltro, colorazioni migliorate da nuove tecniche tintorie delle pelli o l'introduzione dei pantaloni e l'uso degli alti stivali e delle scarpe di pelle invece che di legno. A parte ciò, nel 921 d.C. Ibn-Fadhlan è mandato dal califfo Al-Muqtadir ai Bulgari del Volga. Il nostro personaggio ci ha lasciato un famoso Rapporto al Califfo ove ci racconta che le donne dei turcofoni nomadi, signori dei territori che sta attraversando diretto a nord, non usavano le mutande e non avevano difficoltà di fronte ad estranei a mostrare il proprio pube. Sempre nello stesso scritto si racconta dei Bulgari del Volga che facevano il bagno nel fiume, maschi e femmine, nudi. Un'area invece veramente complicata dal punto di vista etnico è situata poco a sud della steppa: l'Anticaucaso, una delle più antiche regioni di montagna abitate d'Europa che si estende dal delta del Volga fino al Mare d'Azov. Qui le etnie sono numerose (oltre la quarantina) e convivono da tempi immemorabili l'una accanto all'altra. Fra il X e il XIII sec. d.C. finita la dominazione cazara l'unico segno di distinzione fra di esse restava la lingua e, mentre alcune delle etnie più occidentali erano già passate al cristianesimo, le altre per la maggior parte avevano abbracciato l'islam e la loro cultura (lo diciamo in modo approssimativo e sulla base di quanto raccontano i viaggiatori europei che a partire del XV sec. d.C. attraversarono il Caucaso) si era uniformata alle diverse prescrizioni religiose relative all'abbigliamento, pur conservando tracce delle identità culturali precedenti.
Da sinistra: pastore caucasico con burka; Karaciai e Vainakh. E infine l'ultimo ad arrivare nella Pianura Russa è il superethnos che poi dominerà in seguito a varie vicende tutta la cultura materiale e spirituale della Pianura Russa: gli Slavi. Dai documenti sembra che popoli in via di trasformazione verso un ethnos slavo abitassero già le steppe ucraine insieme agli iranofoni e che, anzi, come si pretende da parte di qualche autore, ne discendessero. Successivamente gli “slavi in fieri” furono spinti verso nordovest nella Pianura Ungherese dove si insediarono definitivamente e questa parte della Mitteleuropa nel VI sec. d.C. venne riconosciuta da due autori “romani” abbastanza affidabili, Procopio di Cesarea e Jordanes, come il crogiolo dei popoli slavi di oggi. Di qui, dal bacino superiore della Vistola, avverrà la migrazione verso nordest e nordovest degli Slavi che non era spontaneo, ma molto probabilmente causato dal tipo di agricoltura primitiva in cui, di fronte all'immensa foresta boreale europea, il metodo del taglia-e-brucia senza rotazione dopo alcuni anni di sfruttamento provocava l'esaurimento del suolo e di conseguenza la spinta a cercare nuovi terreni vergini abbandonando ai vecchi e ai disabili i villaggi d'origine. Le distanze e le comunicazioni erano tali che in pratica migrare significava morire e di qui l'abitudine di chiamare i nuovi abitati col nome dell'eponimo aiutando la nostra indagine nel ricostruire il loro cammino attraverso la toponomastica. Ed ecco Procopio sul vestire slavo... in guerra! «...Alcuni (di loro) addirittura non hanno addosso neppure una camicia senza maniche (il greco khiton) o un mantello (di poco valore), ma sono forniti solo di pantaloni per nascondere le loro vergogne e così vanno in battaglia contro il nemico». Tuttavia in una lettera scritta su scorza di betulla (NGB No. 43) si legge come le mode siano già cambiate nel XII sec. d.C. : «Da Boris a Nastasia. Quando riceverai questa lettera mandami subito qualcuno con il cavallo perché qui ho molto da fare. E mandami la biancheria intima perché ho dimenticato di portarla con me».
Pure gli Svedesi hanno lasciato tracce nel crogiolo etnico russo
addirittura conquistando il potere politico slavo-russo, se li
identifichiamo con i Rus' degli autori bizantini e arabi, ma
la loro influenza sul vestire sembra essere stata minima. Ancora
Ibn-Fadhlan: «Non si vestono con giacche e neppure con
caffettani, ma gli uomini indossano un rozzo mantello che si gettano
su una spalla in modo da avere libere le mani». Il rozzo
mantello probabilmente è il lodhi scandinavo fatto con
pellicce (da cui deriverà il russo luda, una specie di
abito/manto).
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©2013 Aldo C. Marturano.