LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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Camposanto di Orta Nova: prospetto.
Sin
dall’antichità il culto dei morti è stato oggetto di attenzione; non sono
casuali i rinvenimenti archeologici che testimoniano la necessità da parte
dell’uomo di dare degna sepoltura ai defunti.
Dall’antico
Egitto alla Daunia, in modi diversi, le sepolture erano ritenute sacre, e
l’uomo viveva quasi esclusivamente per officiare riti propiziatori affinché
l’anima e il corpo del defunto potessero essere ben accolti nella vita
ultraterrena.
Sicuramente,
non bisogna andare lontano per comprendere che è insito nell’uomo questo
comportamento che via via col trascorrere dei secoli ha assunto criteri diversi.
Fondamentale è stata l’istituzione dei camposanti, non solo come luoghi di culto, ma anche perché l’uomo stesso aveva compreso che la mancanza di condizioni igieniche idonee metteva a repentaglio la propria salute. In Europa il problema delle sepolture si poneva già dal 1804, ovvero da quando l’Editto di Saint Cloud, facendo prevalere i principi di libertà ed uguaglianza dettati dalla rivoluzione francese, fissò i criteri secondo cui nelle chiese non dovevano più essere inumati i corpi, non solo per evitare il dilagare di epidemie, ma anche per eguagliare gli uomini che fino ad allora avevano ostentato il loro potere edificando tombe monumentali.
Il
lavoro di ricerca documentale fin qui svolto ha aperto la strada agli
interrogativi ed agli eventi storici che hanno determinato la genesi e lo
sviluppo del “Camposanto” di Orta Nova
Nel
Regno delle Due Sicilie solo nel 1817 furono adottati i primi provvedimenti ed
il Consiglio di Stato del Regno di Napoli, in quello stesso anno, promulgò una
legge che regolasse le sepolture adeguandosi agli altri Stati europei.
Interessante
è stato, dal punto di vista storico, seguire il coinvolgimento di Orta nel
problema attraverso una lunga corrispondenza tra gli Intendenti di Capitanata e
i Sindaci del paese.
Non
fu semplice per i proprietari terrieri accettare di avere vicino alle loro terre
il “Camposanto”; i pregiudizi e l’ignoranza presero il sopravvento sulla
logica e, dopo varie vicende, finalmente anche Orta poté avere il suo “luogo pio”.
Da
allora molti cambiamenti nel corso del tempo sono stati fatti e, dalle semplici
lapidi collocate all’interno delle cappelle gestite dalle Confraternite, molto
simili nell’architettura ai “Colombari”
romani, si passò in seguito alla costruzione delle cappelle private.
Oggi,
per alcune di esse è indispensabile un intervento di recupero affinché
continuino a testimoniare la storia dei nostri antenati, ed il ricordo che di
loro rimane vivo in ognuno di noi.
***
Dopo la promulgazione della legge sull’istituzione dei camposanti [2], il Consiglio di Stato del Regno di Napoli convocò i propri Intendenti affinché provvedessero all’applicazione dei principi dettati dal nuovo ordinamento.
Così,
il 1° maggio 1817, l’Intendente di Capitanata inviò una lettera al Sindaco
di Orta, Francesco Bucci, con la quale disponeva che fossero contattati i
proprietari terrieri del paese affinché esaminata la legge, decidessero il
luogo in cui costruire il camposanto.
Il 9 maggio dello stesso anno, il Sindaco rispose all’Intendente inviandogli un resoconto dettagliato sulle decisioni prese in merito alla richiesta [3] :
“[…]
Giusta la Vostra veneratissima in data Primo maggio corrente, per la legge sulla
costruzione de’ Camposanti, non ha mancato subito chiamare la Commissione e li
proprietari di questo suddetto Comune a’ quali avendo fatto sentire detta
legge, una alle intenzioni del Camposanto, li stessi hanno determinato
costruirsi sul saldo della Posta della Casa
Il
documento evidenziava che il fondo era proprietà del Regio Fisco ed era stato
assegnato in enfiteusi alla famiglia Zampini.
Al fine di definire meglio la questione, il Sindaco chiedeva che gli fosse inviato un esperto allo scopo di effettuare una perizia che avrebbe fornito i dati necessari per bandire l’appalto e dare inizio ai lavori.
Il preventivo di spesa avrebbe riguardato la costruzione delle mura di cinta della cappella e della casa del custode.
Il
luogo, inoltre, doveva essere a pianta rettangolare con una lunghezza
complessiva di 40 passi ed una larghezza di 30 passi; nella lettera il Sindaco
sollecitava l’invio del perito affinché i lavori potessero incominciare per “[…]
eseguire li ordini di Sua Maestà, nostro Signore e Vostro[…]
Il
19 maggio 1819, l’Intendente gli rispose inviando un preventivo di spesa
eseguito dall’Arch. Ferrara di Foggia che doveva essere approvato dai
Decurioni; ed il 24 maggio di quell’anno l’Arch. Raffaele Ferrara inviò
all’Intendente un altro preventivo nel quale prevedeva che il camposanto fosse
distante 350 passi dal centro abitato e che ogni lato fosse lungo 245 palmi.
Orta
allora contava 2.122 abitanti più i forestieri ed il paese era in crescita,
questo aveva indotto il perito a modificare i calcoli iniziali e nella lettera
che accompagnava il nuovo preventivo chiedeva che il Sindaco non pretendesse
misure diverse da quelle da lui stabilite.
Il
progetto prevedeva che il muro di cinta avesse una lunghezza di palmi 968, una
profondità di palmi quattro ed uno spessore di palmi tre; il materiale da
costruzione da utilizzare sarebbe stato la crusta,
con una variazione per l’arco trionfale e per gli stipiti che sarebbero stati
in pietra di Trani. Il preventivo prevedeva che la cappella fosse lunga 40
palmi, larga 30 palmi e profonda otto palmi, con volta a botte; e che
l’ingresso principale con quattro scalini, sarebbe stato completato da
rifiniture esterne in pietra di Trani.
Per
l’interno si prevedeva una sola navata con altare maggiore rivestito di
stucchi con riquadrature al paliotto,
pilastrini laterali e gradini rifiniti in legno e pietra di Trani. Il costo
complessivo preventivato ammontava a 4.409 ducati, 18 grani, 5 carlini e 12
cavalli.
Pur
essendo completo in tutte le parti, il progetto non fu approvato dal Comune,
tanto che il 25 maggio 1819, all’Intendente di Capitanata fu sottoposto un
nuovo progetto. Questa volta però, la pianta sarebbe stata quadrata ed ogni
lato avrebbe misurato 155 palmi comprese le mura di cinta; il costo complessivo
preventivato per la realizzazione dell’opera sarebbe stato di ducati 1.904,04
grani.
Intanto, il sito su cui doveva essere costruito il camposanto fu alienato dai fratelli Zampini ai fratelli Giovine originari di Ascoli, ma residenti a Ordona, con atto del notaio Campanella; questi ultimi dopo l’acquisto, il 29 novembre 1819 inviarono una lettera al Sindaco di Orta, con la quale disapprovavano la decisione presa dal Decurionato di far costruire il camposanto sulle loro terre; il terreno che confinava con i loro territori, era stato acquistato per ingrandire la masseria armentizia e, quindi, pur essendo consapevoli che la legge fosse giusta, scrissero che:
“
[…] in questo caso lungi dall’ottenersi lo scopo si verrebbe ad apportare
grave deterioramento alla salute de’ pastori che non sono pochi […]”.
Pertanto
alla luce dei nuovi avvenimenti chiedevano che il camposanto fosse costruito
altrove.
Il Decurionato, dopo aver esaminato la richiesta, accolse la supplica e a sua volta la ripropose all’Intendente di Capitanata, affinché valutasse la possibilità di scegliere un altro luogo per la costruzione [6].
Non
fu tuttavìa solo questa la ragione che aveva indotto i Decurioni a chiedere lo
spostamento dell’ubicazione del luogo pio; l’altro motivo era dovuto al
fatto che, essendo il sito adiacente alla strada consolare che conduceva a
Cerignola, e trattandosi di una strada pubblica molto frequentata, il camposanto
avrebbe creato notevole disagio al transito dei veicoli e dei viandanti.
Così, il 5 dicembre 1819, l’Intendente, dopo aver esaminato l’istanza dei Decurioni, inviò una lettera al Comune, con la quale ordinava che fossero sospesi tutti i lavori di scavo già iniziati. Il 9 dicembre, fu assegnato all’ing. Raffaele Aliberti di Foggia il compito di progettare il trasferimento del camposanto in un altro luogo.
Il 23 gennaio 1820 l’ingegnere incaricato, dopo aver eseguito una lunga perizia, inviò il progetto richiesto corredato della relativa planimetria [7]; esso prevedeva l’unificazione del cimitero di Orta e di Carapelle e sarebbe sorto nel luogo Coppa della Posta delle Canne.
Il progettista prevedeva che il nuovo camposanto mantenesse la forma quadrata ma che ogni lato avesse una lunghezza di 165 palmi con il muro di cinta “[…] piantato sul sodo […]”, alto 48 palmi; inoltre la casa del custode sarebbe stata costruita sul quarto di territorio previsto per la frazione di Carapelle, mentre la cappella sarebbe stata edificata al centro della pianta ed il succorpo avrebbe custodito le ossa dei defunti dopo dieci anni dalla morte.
Il costo complessivo previsto per l’opera ammontava a 2.350 ducati, ma anche questa volta il Decurionato non approvò quanto proposto. Il motivo precipuo, consisteva nel fatto che fosse impossibile unificare in un unico luogo i due cimiteri, anche perché il posto scelto dal perito era troppo distante da Orta e ciò avrebbe creato notevoli disagi agli abitanti che non sempre avrebbero potuto raggiungere il luogo; mentre, era troppo vicino al centro abitato di Carapelle, e questo avrebbe esposto i suoi abitanti al pericolo di epidemie.
Così, sentite le ragioni, l’Intendente di Capitanata si rivolse ad un altro esperto ed affidò l’incarico all’ing. Luigi D’Auria di Foggia.
Quest’ultimo, dopo aver eseguito un sopralluogo sul posto, espresse il proprio parere con lettera del 23 febbraio 1820, confermando che il luogo scelto era quello meno indicato per costruire il camposanto, anche perché dopo soli otto palmi di profondità si trovava la falda acquifera e ciò obbligava il Comune a creare alcune infrastrutture; quindi, per ovviare all’inconveniente, suggerì di costruire un’elevazione artificiale di tre palmi riempendo il sito con altro terreno prelevato dalla zona limitrofa. Nella lettera, inoltre, invitava l’Intendente a voler considerare la possibilità di cercare un altro posto più idoneo allo scopo.
A tale riguardo, a suo avviso, il sito più indicato si trovava nella strada che da Orta conduceva a Cerignola e Stornara.
Intanto il Sindaco di Orta, Francesco Saverio Scuccimarra, il 28 febbraio di quell’anno inviò un’altra lettera all’Intendente con la quale chiedeva ragguagli sulla costruzione del camposanto e, il 2 marzo l’Intendente gli rispose che era stato approvato l’ultimo progetto sull’ubicazione nel nuovo sito. In quell’occasione egli dispose affinché i lavori cominciassero al più presto e fossero altrettanto celermente ultimati.
Nonostante le buone intenzioni e l’impegno profusi, il 6 marzo il Decurionato fu costretto a comunicare all’Intendente che era impossibile aderire alla richiesta di accelerare l’ultimazione dei lavori perché le condizioni climatiche ne impedivano la prosecuzione e che se non fossero migliorate i lavori sarebbero stati sospesi.
Più tardi, il 13 marzo dello stesso anno, il Sindaco inviò all’Intendente un resoconto dettagliato sui lavori eseguiti ed in quell’occasione, gli chiese finanziamenti pari ad 1/5 dell’ammontare del costo complessivo dell’opera, che sarebbero stati versati all’appaltatore.
La somma richiesta fu inviata al Comune il 18 marzo, ma l’Intendente ordinò che dopo la costruzione delle mura di cinta e della casa del custode i lavori fossero sospesi sino a nuove disposizioni, ed anche la costruzione della cappella sarebbe stata rinviata.
Il 6 giugno le prime fabbriche furono ultimate e s’incominciò a tracciare il primo solco per la sepoltura dei defunti ma, durante lo scavo, affiorò la falda acquifera e quindi per ovviare all’inconveniente, il solco fu riempito con la terra.
Nonostante ciò, il problema non fu risolto, così, il 10 giugno, il Sindaco scrisse all’Intendente di Capitanata informandolo sul problema sorto e affermando che prima del 20 giugno i corpi dei defunti non potevano essere seppelliti e, a causa di ciò, il tempo di ultimazione dei lavori non sarebbe stato inferiore ai due anni.
Il 13 giugno, l’Intendente rispose che bisognava ad ogni costo ultimare i lavori entro i termini stabiliti e che non sarebbero stati tollerati ritardi; mentre il 16 giugno, l’ing. D’Auria inviò all’Intendente un resoconto sui lavori eseguiti ed il 23 giugno, l’Intendente stesso, dopo aver ricevuto la comunicazione dell’ultimazione della costruzione delle mura di cinta, dispose che il parroco officiasse il rito di benedizione del luogo pio, e che fosse celebrato in un giorno festivo, così come previsto dalla legge.
Stabilì, inoltre, che la cittadinanza fosse informata dell’avvenimento con l’affissione di un manifesto nel quale fosse indicato il giorno di apertura del luogo; stabilì che si cercassero il custode ed il necroforo e che fosse fissato il loro compenso.
Il primo luglio, l’Intendente inviò una nuova lettera, chiedendo al Sindaco di Orta che provvedesse all’acquisto della bara coverta per il trasporto dei defunti; ed il 3 luglio quest’ultimo gli comunicò di aver assunto Pasquale Sigillino con mansioni di custode e di aver fissato il compenso in 30 ducati annui, ma aggiunse che questi ne pretendeva almeno 36, mentre rimaneva vacante il posto di necroforo.
Cosi, il 12 luglio fu redatto il verbale dal Decurionato ed in quella tornata furono nominati Deputati Sanitari Urbano Di Dedda e Giuseppe Vallario, e fu deciso che la cappella del cimitero fosse intitolata alle Anime del Purgatorio.
Il 13 luglio l’Intendente approvò le decisioni del Decurionato, il salario del custode in 36 ducati annui, mentre ordinò di estendere la ricerca del necroforo anche agli altri comuni limitrofi.
Il 30 giugno, il Vicario del Vescovo, Luigi Minichini, comunicò all’Intendente che di comune accordo con i parroci di Candela ed Orta era stata disposta la cerimonia di apertura del luogo pio in data da destinarsi.
Nel frattempo, si procedeva affinché fossero ultimati i lavori. Il 15 luglio 1820 l’Intendente scrisse al Vescovo di Ascoli informandolo sugli sviluppi della vicenda, perché disponesse sulla cerimonia solenne di benedizione.
Fino
al 21 agosto 1821, però, quanto deciso in precedenza non era attuabile, perché
all’infuori della cappella, la cui costruzione era stata appena cominciata,
gli altri lavori erano stati sospesi.
Intanto, fino al 2 aprile 1822, la situazione era mutata e l’appalto per la prosecuzione dei lavori fu affidato ai mastri muratori Michele Marchio e Natale Netti.
Dal 1822 al 1825 le fabbriche furono sospese per incomprensioni sorte tra l’appaltatore ed il Comune, così, il 19 maggio 1825 il Sindaco di Orta, Francesco Bucci, scrisse all’Intendente informandolo che le fabbriche esistenti rischiavano il totale degrado ed il conseguente crollo sia delle lamie sia delle mura d’ingresso del camposanto. Con la lettera, inoltre, comunicava che il primo appaltatore, Michele Marchio, aveva acconsentito ad eseguire i lavori di riparazione delle fabbriche stesse a sue spese onde evitare “liti maggiori”.
Così, il 2 novembre 1825 l’Intendente rispose al Sindaco acconsentendo alla prosecuzione dei lavori, ed il 21 marzo 1826 Michele Marchio gli inviò un resoconto dettagliato sullo sviluppo dei lavori stessi la cui direzione, nel frattempo, era stata affidata all’ing. Francesco D’Aversa. Nel 1827 le riparazioni furono ultimate al costo complessivo di ducati 1.299,95 grani.
Fu nuovamente fissato il compenso per il custode in 30 ducati annui, ed il nuovo incarico fu affidato a Ciriaco Arcidiacono; per il necroforo fu fissato un compenso annuo di 12 ducati.
Il 29 luglio 1826, il cancelliere Luigi Guadagni dispose la chiusura delle sepolture nella Chiesa Matrice e in quella del Purgatrorio ed in pari data fu affisso il manifesto affinché la cittadinanza fosse informata sulle nuove disposizioni.
Tra il 1831 ed il 1833 furono eseguiti altri lavori di consolidamento della Cappella, perché le acque pluviali avevano danneggiato il succorpo.
Così, 15 gennaio 1831 fu affidato l’incarico di eseguire gli ultimi lavori ad otto muratori e due ragazzi del posto.
Tra il 1827 ed il 1834 nel camposanto furono scavati 26 solchi per seppellire i defunti; in quell’anno furono ultimati tutti i lavori di riparazione.
Dopo l’apertura, nel luogo furono costruite le tombe esterne e le cappelle gestite dalle congregazioni.
Queste ultime in particolare, presentavano un’architettura identica a quella dei Colombari romani, ovvero di tombe comuni che, formate da nicchie, custodivano le ceneri dei defunti. La sola differenza tra i Colombari e le cappelle del camposanto di Orta consisteva nel fatto che queste ultime custodivano i corpi e non le ceneri dei trapassati.
Così, dai solchi tracciati dal Comune, più tardi, si passò alla costruzione delle cappelle private che, com’era accaduto per le abitazioni, evidenziavano l’ostentazione delle classi più abbienti.
Con il sisma del 1948, purtroppo molte di queste ultime furono rase al suolo, tanto che oggi le poche scampate al crollo, a causa dell’incuria e del tempo rischiano di andare distrutte.
Intorno alla fine dell’Ottocento il camposanto fu ampliato e le mura di cinta furono trasformate in ossari.
In maggioranza, negli anni successivi perdurò la presenza delle cappelle gestite dalle confraternite, delle tombe esterne che contenevano le spoglie degli appartenenti alle classi medie e dei solchi che accoglievano nella nuda terra i corpi dei più poveri.
In seguito, la presenza di altre cappelle private, con la loro imponenza e bellezza, fece sorgere l’esigenza di un ulteriore ampliamento del luogo pio.
Dopo i lavori di ricostruzione del 1948 il camposanto è rimasto grossomodo invariato fino a quando l’espansione urbanistica del paese ha richiesto che fossero eseguiti i lavori di ampliamento.
1 Questo saggio è tratto dal volume: L. Lopriore, Il Camposanto di Orta Nova, Genesi e sviluppo, Bastogi, Foggia 2000.
2 Si veda la trascrizione in Appendice.
3 Archivio di Stato di Foggia (da ora in poi ASFG), Intendenza e Governo di Capitanata, Atti, b. 922, fasc. 1, anni: 1817/1834. Il fascicolo non presenta la numerazione delle carte.
©2005 Lucia Lopriore