LUCIA
LOPRIORE |
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Antiche
fiabe ortesi
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Il
dialetto e il gusto del
racconto
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Fresco di stampa il volume in vernacolo ortese di Potito Di Pietro, presidente della locale Associazione di Studi Storici “I 5 Reali Siti”, dal titolo:
Steve na vote. Trenta fiabe in dialetto ortese, patrocinato dal Comune di Orta Nova.
Il lavoro, nella bella veste grafica curata da Nicola Pergola,
direttore del CRSEC di Cerignola, rappresenta una vera novità editoriale per la cittadina daunia: mai nessuno prima d’ora aveva pubblicato volumi in vernacolo ortese, all’infuori dell’autore. L’argomento: le fiabe.
Insegnante elementare in pensione, Potito Di
Pietro con questo contributo ha voluto omaggiare la
sua città, coinvolgendo i suoi alunni. Tante sono infatti, le illustrazioni che, realizzate dagli allievi della scuola elementare del 1° e 2° Circolo Didattico di Orta Nova, durante il periodo di insegnamento dell’autore, impreziosiscono il volume.
Lo scopo del lavoro, sottolinea l’autore nella premessa, è stato quello di valorizzare le fiabe che da ragazzo ascoltava dalla madre, ma anche le fiabe che ha raccolto durante le sue ricerche, alcune delle quali sono state pubblicate sul giornalino scolastico
«Toc toc» della scuola in cui ha insegnato. Scrivere in vernacolo ortese, per l’autore è stato un fondamentale ritorno alle sue radici. I media e quanto altro hanno fatto sì che le nuove generazioni dimenticassero il “dialetto ortese”. Nessuno scolaro oggi sa parlare bene il dialetto, e se pure lo parla, non è certo quello originale in uso tra gli abitanti nel periodo più antico.
Come il Manzoni
«andò in Arno a sciacquare i panni» quando scrisse
I Promessi Sposi, così Di Pietro ha effettuato un’attenta e meticolosa ricerca filologica, scaturita anche dal confronto con personalità del mondo della cultura tra le quali spicca il nome
di Pasquale Caratù, ordinario di Storia della lingua italiana presso l’Università degli Studi di Bari. Questi, nell’intervento che apre il volume, spiega attraverso un’esaustiva disquisizione filologica, le fasi dello studio seguito dall’autore.
La parte centrale del libro interessa la raccolta delle fiabe in vernacolo con relativa fedele trascrizione. Fiabe raccolte e confrontate con altre opere dello stesso
genere: nomi come Calvino, Basile, De Simone, Cinti, Capozzi, Scelsa, solo per citarne alcuni, le cui opere vengono messe al confronto dall’Autore e dalle quali emergono per analogia le stesse tematiche.
Potito Di Pietro non trascura di evidenziare nella parte iniziale del volume la fonetica. Lo studio della lingua dialettale non è semplice di per sé, e
quindi agevolare la lettura attraverso un’analisi linguistica è cosa certamente utile e mette in grado chiunque di comprendere.
Ci
sono nel volume racconti come Cumba Trend, nel quale la fantasia più bizzarra si mescola alla realtà: il protagonista, compare Trenta, contadino, non riesce a sopravvivere ed è talmente disperato da scendere a patti col diavolo, che però avrà la peggio; il racconto si conclude con il trionfo del bene sul male: il protagonista del racconto, infatti, si ritroverà in compagnia di
san Pietro in Paradiso.
Nella fiaba
La crapa cecate, il protagonista Peppinello è un ragazzo talmente povero che escogiterà un piano diabolico per diventare ricco. Si impossesserà di un convento dopo aver malmenato i monaci che avevano scambiato la sua unica ricchezza, una capra cieca, per un piatto di fave. I risvolti esilaranti della storia si concludono positivamente per il giovane che, ricorrendo ad altri espedienti, si impadronirà di ciò che non è suo.
Cecerette è un mendicante che riuscendo ad impossessarsi di un cece, andrà per la sua strada sfruttando tutte le occasioni che gli capiteranno. Alla fine avrà la peggio, in quanto un cane lo priverà del proprio naso e lui gli correrà dietro per riprenderselo.
In altri racconti
come I ciucce e i pisce, Tredicine,
Nannurche, U lupe e la volpe, U rizze e la
volpe, Sangeseppe, solo per fare qualche citazione, fantasia, astuzia, povertà e quanto altro concorrono a riportare alla memoria dei più anziani antichi ricordi, mentre insegnano ai più giovani che anticamente si viveva con poco… bastava una semplice storia con un risvolto positivo, per far tornare il buon umore dopo una giornata di lavoro, spesso resa faticosa dalla miseria che incombeva inesorabile sulla maggior parte della popolazione.
Anticamente, quando la televisione e la radio non c’erano, specie durante la stagione fredda, dopo cena, la famiglia era solita riunirsi intorno al braciere per recitare il consueto rosario. Poi, prima di darsi la buona notte e andare tutti a letto, si raccontava “u cunte”, il racconto. Ormai questa tradizione non esiste più… il ritmo di vita è cambiato… tutti corrono tra le mille attività quotidiane e frenetiche e non c’è più tempo di raccontare le fiabe… per i più piccini oggi ci sono i media, i videogiochi,
e si è perso anche il senso della tradizione ed il gusto di raccontare le fiabe. Ben vengano
dunque lavori come quello di Di Pietro, che insegnano alle nuove generazioni a ritrovare, attraverso la lettura di queste pagine, le proprie radici.
I nuovi programmi ministeriali scolastici prevedono il recupero delle tradizioni, e questo libro, se fosse adottato nelle scuole elementari e medie, potrebbe senz’altro rappresentare un veicolo cognitivo volto alla riscoperta del proprio passato, degli usi, costumi e consuetudini ormai dimenticate, non solo per Orta Nova ma anche per altri centri.
All’autore dunque, giunga il nostro augurio affinché il proprio sforzo non resti vano… oggi più che mai c’è bisogno di ritornare alle “origini” e Potito Di Pietro, con il suo lavoro, ci è riuscito.
Lucia
Lopriore
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