«Ogni cultura, ogni tradizione, ogni identità è un prodotto della storia, dinamico e instabile, generato da complessi fenomeni di scambio, di incrocio, di contaminazione», scrive Massimo Montanari, docente di storia dell’alimentazione
nell’Università di Bologna, in questo libro che ricostruisce in breve le vicende dell’uomo legate al cibo e alla cucina.
Le pratiche alimentari infatti nascono dal punto di incontro fra culture diverse, frutto della circolazione di uomini, merci, tecniche, gusti da una parte all’altra del mondo. La raffinata cucina che fiorisce nel medio oriente ai tempi di Carlo Magno, con centro a Baghdad, influirà su quella europea, trovandosi proprio sulla via delle spezie che arrivano dal golfo d’Arabia.
Le regole e proibizioni religiose in materia di
alimentazione spingono a ingegnarsi e creare piatti particolari o alternativi. Proprio da quella Baghdad ci arrivano antichi manuali di cucina, che in fondo, a parte testimonianze sporadiche dall’antichità, è con i greci e i romani che diventa scritta e codificata (De re
coquinaria di Apicio del primo secolo d.C.). Poi verranno testimonianze diverse, da libri di storia, croniche e, infine, da documenti di corti come menù e inventari di dispensa. Montanari, da parte sua, critica l’idea delle ricostruzioni storiche culinarie, perchè impossibili, visto che sono sostanzialmente cambiate le materie prime e che i ricettari antichi e
medievali non riportano le quantità e i rapporti tra i vari ingredienti.
Il libro procede nella sua ricostruzione soffermandosi su alcuni temi e storie, tra cui ci piacciono le contrapposizioni, da quella classica tra crudo e cotto (e Levi-Strauss apre la bibliografia ragionata finale), ovvero tra il cibo sano e quello condito, a quella tra arrosto e bollito.
è
la storia dell’uomo a condizionare tutto. Per esempio, la grande rivoluzione avviene in Europa nel
Medioevo, quando si passa dal modello di produzione greco-romano fondato sull’agricoltura, a quello basato sullo sfruttamento dei boschi di stampo germanico.
è
la dinamica tra natura e cultura che costringe l’alimentazione a misurarsi con le trasformazioni temporali e con la realtà dei luoghi. Dati che la cucina cerca di controllare e superare grazie alle tecniche sempre più raffinate di conservazione dei cibi, oltre le stagioni che sono loro proprie. Accade così che il 27 novembre 1655, in pieno inverno, a Mantova, prima portata di un banchetto regale siano fragole al vino bianco.
Altra rivoluzione, quella che nel
Seicento vede nascere in Francia le salse grasse che condizionano ancora oggi il nostro modo di intendere la grande cucina, anche se con la
nouvelle cuisine e poi la riscoperta della tradizione popolare qualcosa
è cambiato. Il cibo è ragione di vita e quindi, annota Montanari, anche alla radice di molti conflitti, specie nel rapporto tra classi dominanti e classi subalterne, quando le prime oltrepassavano limiti ritenuti invalicabili per il sostentamento. Un po’ come oggi, con le correnti migratorie che diventano sempre più inarrestabili, dai paesi dove si muore di fame verso quelli segnati dal consumismo e lo spreco, dove non vige più l’equazione grasso eguale benestante, anzi, in nome della salute, si esalta la magrezza.
Così, indagando passato e presente, soffermandosi sui nodi dei cambiamenti sociali, culturali e, di conseguenza, alimentari, Montanari arriva a leggere leggi e convenzioni che regolano il cibarsi come «quelle che danno senso e
stabilità ai linguaggi verbali», e ci propone una sua grammatica del cibo, analizzandone il lessico (repertorio dei prodotti), la morfologia (modi di elaborazione dei prodotti), la sintassi (il pasto che ordina i piatti in successione) e persino la retorica (il modo in cui il cibo
è allestito, servito, consumato) e cita a esempio il principe longobardo Adelchi che, per Manzoni, mangia «come un leone affamato che divora la preda», contrapponendolo alla «ritualità
silenziosa dei monaci, ai quali è fatto obbligo
di ascoltare, durante i pasti, le sacre letture», che è un po’ come accostare oggi
fast e slow food.
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