VITO
ANTONIO LEUZZI |
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Scienziati
razzisti. Ecco chi
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Manifesto fascista contro gli ebrei. Un libro di Cuomo sui 10 firmatari
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La storia del Manifesto della razza, al centro in questi ultimi anni di un forte interesse storiografico, si arricchisce di una ulteriore indagine sul ruolo degli intellettuali che elaborarono le direttive in base alle quali, nel 1938, si dette avvio alla persecuzione contro gli ebrei in Italia. Subito dopo la guerra non si tenne conto delle gravi responsabilità di questi scienziati che non furono «scomodati» dalle posizioni accademico-scientifiche accumulate negli anni del regime fascista. I loro nomi compaiono persino nelle voci di importanti dizionari biografici ed enciclopedie, editi anche negli ultimi decenni, che non fanno riferimento alcuno al loro coinvolgimento nelle politiche razziali del fascismo.
«L'intoccabilità» dei docenti universitari che determinarono a diffondere con la loro firma «uno dei più odiosi messaggi di morte del ventesimo secolo» è alla base di in una recente pubblicazione di Franco Cuomo,
I Dieci. Chi erano gli scienziati italiani che firmarono il manifesto della razza (Baldini Castaldi Dalai
ed.). Nella sua puntuale e documentata ricostruzione Cuomo dilata il suo campo di osservazione anche a noti esponenti della cultura italiana di matrice cattolica, in particolare, ai gesuiti e a padre Agostino Gemelli, fondatore dell'Università del sacro cuore e presidente della Pontificia accademia dei Lincei, così definito: «Il primo e sicuramente il più inquietante dei sostenitori della necessità per gli italiani di proclamarsi francamente razzisti».
Desta molto sconcerto la denuncia della impunità dei dieci scienziati a cui, nel dopoguerra, furono intitolati strade e scuole, aule e istituti di prestigiose università. Eppure «gli scienziati razzisti» riuscirono «a superare, in zelo persecutorio, i più fanatici del regime». Balza all'attenzione la vicenda di Nicola Pende, il più noto di questi scienziati, uno dei fondatori dell'Eugenetica (rettore dell'Università di Bari nel 1925, legato al ministro Fedele ed in particolare a Bottai) che, subito dopo la guerra, secondo la ricostruzione di Cuomo, riuscì a far circolare «una leggenda metropolitana da lui stesso diffusa», di aver protestato con lo stesso Mussolini e di essere stato costretto a firmare il Manifesto e di essere stato allora indotto al silenzio. Alla versione di Pende prestò attenzione lo storico Eucardio Momigliano, nonostante la smentita della sua versione da parte dell'avvocato Carlo Alberto Viterbo direttore della rivista «Israel», in un articolo del 13 gennaio
1949 (prima di Momigliano anche un noto israelita, Giuseppe Nathan, in una lettera a De Gasperi sostenne l'estraneità di Pende al Manifesto sulla razza).
Pende si distingueva solo per aver sostenuto un «nazional-razzismo» teso a combinare la nozione biologica di razza con quella culturale di nazione.
La radicalizzazione del razzismo biologico provocava probabilmente imbarazzo nello scienziato di Noicattaro. Tuttavia, rileva ancora Cuomo, «non risulta che abbia mai replicato, infatti, a chi l'aveva smascherato». Nicola Pende conservò la sua cattedra di Patologia speciale medica dell'Università di Roma sino alla sua morte avvenuta nel 1955. Di recente è stato bandito anche un premio dalla società italiana di endocrinologia per onorare la sua memoria, e da tempo il suo nome figura nella toponomastica barese.
Vicenda analoga a quella di Pende è quella di Sabato Visco, che tentò come il collega di Noicattaro di prendere le distanze dagli altri otto firmatari del Manifesto, senza però «contestarne il contenuto». Visco accumulò durante il fascismo una quantità incredibile di cariche, titoli, premi e soprattutto finanziamenti continuando «indisturbato» in questa attività nelle pubbliche istituzioni anche dopo la caduta del fascismo.
Sotto la lente del microscopio di Cuomo passano gli altri otto docenti universitari, appresso indicati. Risvolto tragico di tutta la vicenda fu la messa in atto di una violenta selezione e separazione tra ebrei ed italiani. La rivoluzione culturale razzista fu tradotta da Bottai nelle scuole e nelle Università con la complicità dei dieci firmatari del Manifesto e di tanti altri accademici. Ai provvedimenti che provocarono l'allontanamento dei bambini e degli studenti ebrei dalle scuole, seguirono la cacciata dei docenti universitari, mentre le loro cattedre erano «occupate senza imbarazzi da illustri ariani». Circa 100 docenti universitari di «razza ebraica» furono esplusi. Furono,inoltre, censiti 58 mila ebrei, 8 mila dei quali (rastrellati e consegnati dai fascisti della Repubblica sociale italiana ai nazisti) non fecero più ritorno. Gli intellettuali razzisti continuarono nel secondo dopoguerra, senza alcun imbarazzo, ad occupare posizioni di potere nelle istituzioni scientifiche e nelle Università. La verità fu negata e occultata, «trasfigurata nel mito dell'autoinnocenza», senza mai spiegare cosa era
accaduto.
Vito
Antonio Leuzzi
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