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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 3 |
Sarebbe bene ora che il lettore si fornisca di un buon atlante per seguir meglio il nostro discorso. Nel XII secolo gran parte della pianura russa europea, che in pratica si estende dal Bug Occidentale (oggi fiume al confine bielorusso con la Polonia) fino agli Urali (più o meno fino alla riva destra del Volga), era già stabilmente colonizzata e abbastanza “russificata” e già in quegli anni cominciavano a differenziarsi, nella gente che l’abitava, quei tratti fisici e culturali, che oggi si notano subito quando s’incontrano i cosiddetti Piccoli Russi e i Russi Bianchi, nelle loro sedi nazionali, ossia in Ucraina e in Bielorussia. La zona fra l’Okà e il Volga dove viene fondata
Mosca, a quell’epoca è abitata invece da pochissime persone, per cui i russi,
che si mossero dai dintorni di Kiev e che giunsero in questa zona nel XII secolo
e dei quali noi vogliamo raccontare, non solo trovarono sparsi qui e là i
discendenti degli Slavi Vjatici, a loro affini e ricordati nelle Cronache come
già qui residenti fin dall’VIII secolo, ma anche, e principalmente, i
discendenti di altre popolazioni non slave di insediamento anteriore. Fra queste
c’erano i Baltici di stanziamento molto antico, più ad est i finnici di
stanziamento un po’ più recente e, ancora più in là, sulla riva sinistra
del Volga, i Bulgari e i Magiari (oggi i loro discendenti si trovano
nell’attuale Penisola Balcanica), insieme ad altri popoli di stirpe
ugrofinnica, anche se in parte già in movimento migratorio spontaneo verso
occidente. Con questi popoli i russi “del sud” (poljani
e poi rusìny o rusìci nel russo di quel tempo) in parte si
scontreranno, ma, data la loro superiorità culturale e tecnologica, soprattutto
negli arnesi per la lavorazione della terra, i russi li assimileranno quasi
completamente e abbastanza pacificamente dando esito al popolo attuale (certo,
anche dopo l’assorbimento nei secoli successivi di altri popoli della steppa
di ceppo turco-mongolico!) e solo i Bulgari del Volga, entrando nella sfera
dell’Islam, riusciranno a tenersi culturalmente separati dai nuovi immigrati. Nel XII secolo, riassumendo, possiamo dire perciò
che è appena iniziato il processo di russificazione dei popoli non slavi del
nordest da cui scaturirà il terzo popolo russo: i Grandi Russi (Velikorùsye),
base umana della futura Moscovia.
I tre popoli nominati: i Grandi Russi, insieme ai
Piccoli Russi o Ucraini e ai Russi Bianchi o Bielorussi, sono detti poi con un
termine più generico Slavi Orientali. Dunque oggi i popoli parlanti una lingua slava
vengono divisi in Slavi Occidentali e Slavi Orientali principalmente sulla base
di criteri linguistici (e talvolta religiosi: ortodossi gli orientali, cattolici
gli occidentali), ma nel X-XI secolo era ancora possibile raggrupparli tutt’insieme,
dal punto di vista culturale. Queste genti si erano mosse intorno al V-VI secolo
dalla loro sede originaria, che ormai si è quasi concordi a riconoscere nel
bacino del fiume Elba, usando i dati linguistici a disposizione come i nomi dei
fiumi e dei laghi (idronimica) o i nomi dei luoghi (toponomastica). L’area è
quella oggi compresa nei confini tedeschi, da Dresda ad Amburgo per intenderci,
e fino ai Carpazi immediatamente a Nord della Penisola Balcanica!
I popoli slavi nel VII secolo d.C. (a sinistra) e dalla fine del Medioevo ad oggi (a destra) Molte di queste popolazioni erano state spinte a
migrare fuori dalle loro sedi d’origine dai Germani che premevano dal nord e
dall’ovest, e si erano riversate verso il sud. Avevano premuto ai confini
dell’Impero Bizantino finché non erano “straripate” nella Pannonia e
nella Tracia. Avevano costretto i popoli di cultura latina, a ritirarsi sui
monti (Valacchi o Vlahi), ed erano giunti così fino a popolare il Peloponneso e
tutta la costa dalmata… Ad est oltre il Danubio, il Dnestr, il Prut e il
Dnepr e oltre il Bug Occidentale e al nord oltre la Dvina Occidentale, sempre più
gruppi di slavi avevano trovato più spazio e meno resistenza, ma un clima molto
più rigido e più severo. Giustamente lo storico-linguista A. A. Sciakhmatov
chiama questa zona sud-nord fra i grandi fiumi sopra ricordati la Seconda Patria
degli Slavi Orientali perché è di qui che comincia ora la vera e propria
colonizzazione di tutta la Terra Russa che oggi si è fermata sulle sponde
opposte dell’Oceano Pacifico. Gli Slavi Orientali non erano un solo ed unico popolo, ma una congerie di popoli affini, in migrazione nella Pianura Russa, dove si sapeva trovarsi grandissime fonti di ricchezza. Ancora oggi questa zona è ricchissima di materie prime rinvenibili nelle estesissime foreste, ma a quei tempi (tecnologicamente meno esigenti dei nostri tempi moderni) addirittura nelle foreste si trovava praticamente tutto quanto fosse necessario non solo alla sussistenza, ma anche al benessere (vi si trovava persino il ferro). Nelle foreste gli Slavi Orientali, fondamentalmente agricoltori, col passar del tempo, imitando la gente indigena, si dovettero adattare anche alla piccola caccia e alla raccolta e si specializzarono, anche loro, a lavorare e a commerciare pellicce d’inestimabile valore (zibellino, vaio, martora etc.), a raccogliere miele e cera dalle api selvatiche, a preparare la colofonia per calafatare le navi e a raccogliere tante altre materie prime di grandissimo smercio e valore, per riuscire a vivere un po’ meglio. Siccome poi i mercanti compratori si trovavano nelle grandi città del Mediterraneo e del Medio Oriente (Bisanzio sopra tutte), i prodotti della Terra Russa divennero famosissimi e ricercatissimi ovunque nel mondo musulmano e in quello cristiano! E non solo, come abbiamo visto, miele, cera e tessuti di lino e di canapa (e potremmo aggiungere anche l’avorio di zanne di tricheco o l’ambra) venivano esportati da queste zone… ma in primo luogo schiavi di alta qualità, di cui c’era grandissima richiesta in quasi tutta l’Europa e negli Stati musulmani! Più a sud di Kiev invece gli Slavi Orientali preferirono non andare, giungendo al massimo fino alle falde dei Carpazi, poiché lungo la riva settentrionale del Mar Nero, la zona, ultimo lembo della steppa asiatica, non aveva suolo adatto all’agricoltura e per di più era infestata dal continuo passaggio delle genti nomadi. Diamo ora uno sguardo ulteriore a questo
territorio immenso sul nostro atlante per cercare d’immaginarcelo come esso
dovesse apparire agli albori della storia russa e prima della devastante
invasione mongola del XIII secolo. Dal punto di vista geofisico la pianura russa non è omogenea. Sappiamo oggi che milioni di anni fa essa era il fondo del mare che univa il Mar Caspio all’Oceano Artico, poi erano arrivate le glaciazioni e nel XII secolo in pratica rimaneva un grandissimo esteso territorio ancora coperto da un unico continuo e immenso manto verde, i resti della grande foresta glaciale europea, chiamata convenzionalmente Foresta Hercyniana, che ancor oggi sopravvive al di là delle Alpi. A nord la Pianura Russa giunge alle rive del Mar
Glaciale Artico (chiamato allora Mare di Giaccio o Mare dell’Oscurità, in
russo rispettivamente Ledovìtoe More o More Mraka) dove regna il
paesaggio tundrico, coperto di rarissima vegetazione che arriva al massimo
all’altezza di piccoli arbusti e che scompare con l’arrivo della stagione
fredda. Più a sud segue una punta della taigà siberiana, foresta più
rada, e infine… eccola! La foresta russa vera e propria! Alberi e alberi a non
finire, distese fittissime di betulle, tigli, querce, larici, ippocastani,
pioppi, abeti e così via, attraversati da innumerevoli fiumi e fiumiciattoli,
laghi e laghetti, marcite e paludi, acquitrini argillosi e torbiere, con
rarissime alture che solo nel Valdai, poco a sud di Novgorod la Grande,
raggiungono l’altezza di qualche centinaio di metri sul livello del mare. I grandi fiumi russi hanno le sorgenti proprio nel
cuore di questa pianura e su queste alture e scorrendo a raggiera, man mano che
vanno verso la foce, s’ingrossano enormemente per la lentezza della corrente e
diventano larghissimi, con volumi d’acqua inimmaginabili nel resto degli altri
grandi fiumi d’Europa. Nel nord a volte si versano in laghi immensi
oppure nel Mar Baltico o nel Mar Glaciale Artico o, nel sud, nel Mar Nero o nel
Mar Caspio, formando spesso grandiosi estuari o delta estesissimi quanto piccoli
mari interni, come fa il Don sboccando nel Mare d’Azov a sud o la Dvina nel
Golfo di Riga a nord. Talvolta formano lagune (in russo limàny) come
quella dove sfociano insieme il Bug Meridionale e il Dnepr, poco lontano
dall’odierna Odessa. A sud infine oltre i Carpazi e verso est sulla
riva sinistra del Dnepr e oltre il Volga c’è, sabbiosa e arida, la steppa,
adatta solo ad essere sfruttata dall’allevamento del bestiame, come sappiamo
dalla presenza dei pastori nomadi che la frequentavano fin dai primordi. La vita nelle terre russe Quando gli Slavi Orientali arrivano in questa enorme distesa di foreste impenetrabili, sono dei contadini con un’agricoltura di sussistenza abbastanza primitiva, come abbiamo detto, mentre le popolazioni autoctone che essi incontrano sono raccoglitori e piccoli cacciatori e, nel numero, molto pochi. A questo punto la scelta è fra la conquista di un pezzo di terra da coltivare, per l’esistenza della propria gente, e lo sfruttamento della foresta, per un benessere ulteriore, ma, in questo caso, ponendosi in concorrenza con gli abitanti locali! Perciò il contadino della colonizzazione russa del XII secolo, finché non migliorerà le sue tecniche agricole, dovrà anche lui sfruttare la piccola raccolta nei boschi di funghi, erbe medicinali e bacche (generalmente fatta dalle donne e dai ragazzi) durante i mesi della bella stagione oppure la piccola caccia, mentre l’agricoltura come attività regolare collettiva di tutta la famiglia si praticherà rubando la terra al bosco, dopo aver dato fuoco a qualche macchia d’alberi (la cenere faceva da concime). Qui si coltiveranno le granaglie che resistono meglio al freddo, come la segala oppure le piante industriali del tempo: il lino la canapa e l’ortica da tessere e, soprattutto, si alleveranno i pochi animali di piccola taglia che, in branchi comuni, si mandano a pascolare nel bosco, fra cui il curioso cavallino lituano, oggi ormai rarissimo. Anche i fiumi sono sfruttati per procurare cibo perché in essi si pescano trote e salmoni (la carpa, pesce nazionale russo di oggi, sarà introdotta molto più tardi) in gran quantità, che poi, seccati nel vento, vanno a finire in dispensa per la stagione invernale o sono venduti al mercato della città vicina per arricchire la sporta del mercante viaggiatore o serviti alla tavola del signore locale. L’albero da frutto più comune è il melo e per bruciare o coprire i tetti si usa la torba. La bella stagione purtroppo è breve: non dura che
quattro mesi, più o meno, e dopo le piogge di fine agosto la temperatura scende
rapidamente e bruscamente fino a valori incredibili (-40 °C a Ladoga in
gennaio-febbraio) per il mondo mediterraneo, e tutto il paesaggio ora diventa
bianco per la neve e per il ghiaccio che copre tutto per chilometri e chilometri
quadrati. Quando questa enorme massa d’acqua gelata a primavera si scioglierà,
trasformerà il bosco e le zone adiacenti in un grande e impercorribile pantano.
Guai però se non ci fossero i fiumi (se ne contano a decina di migliaia, come
abbiamo detto)! Le comunicazioni sarebbero praticamente impossibili in queste
grandissime distese e nessuno continuerebbe a vivere in queste lande sperdute
nel freddo… Si costituisce a poco a poco un territorio con “macchie” abitate (poljany), costituite da villaggi di contadini che vivono in poche case (3-4 case per cascina al massimo, dice S. G. Pusckarev), sottoposti in qualche modo alla giurisdizione della città più vicina, se c’è. Le città, infatti, nascono lungo l’asse nord-sud della Pianura, all’alba del Medioevo russo nel IX secolo (le città come Ladoga o Novgorod la Grande sono le prime ad essere fondate e menzionate nella CTP nell’862 d.C. insieme a Kiev e a Smolensk), mentre quelle che sorgeranno dopo non fanno che indicarci come le popolazioni slavo-orientali continuarono a spostarsi verso nordest. Nella storia russa, ricordiamocelo!, le città hanno molta più importanza degli uomini perché i tre popoli russi si sono formati proprio nelle città e non nella campagna intorno ad esse. La città russa è stata, fino alla conquista della Siberia nel XVI secolo, una “città di confine”, un forte militare, a guardia del nemico esterno lungo la frontiera e solo a volte è diventato un centro di potere, in contatto con altre realtà politiche diverse o ostili. Tuttavia periodicamente (ogni 6-7 anni, come propone Kljucevskii o meno, secondo altri storici) quando la terra coltivata si è esaurita, gli stessi contadini abbandonano il vecchio villaggio e lo rifondano altrove, poco più in là, dove c’è nuova terra. Ancor oggi il villaggio rimane l’unico agglomerato abitativo importante nella realtà agricola russa, malgrado i tentativi dell’URSS di modernizzarli attorno ai Kolkhoz e ai Sovkhoz, ed ha ancora una vita propria, gelosa delle proprie tradizioni e nettamente diversa da quella della città. Successivamente (e fino al XIV-XV secolo) con l’affermazione del potere principesco (e del concetto di demanio del principe o vòtcina), in qualche modo si tenterà di fissare la popolazione contadina più stabilmente al territorio, a spese però delle libertà personali, perché i contadini diventeranno a tutti gli effetti proprietà del sovrano (servi della gleba)… alla stregua degli alberi e degli animali della foresta intorno! Questo processo, naturalmente, sarà pienamente attuabile solo quando i campi coltivati diventano maggiori in estensione e, per questo, bisognerà migliorare il modo di coltivare perché solo così la popolazione contadina può continuare a vivere e accrescersi. Fino a quel momento tuttavia i contadini rimarranno un popolo di vaganti, da una terra all’altra, attirati dalla fame di terra buona, allettati dalle promesse dei signori che vogliono solo aumentare i loro introiti e la propria potenza, e addirittura, quando si trasformeranno in fuggiaschi, daranno esito talvolta a piccole nazioni indipendenti politicamente, come la Repubblica di Vjatka.
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©2003 Aldo C. Marturano