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LA CASA EDITRICE

Carla maria Russo, Il cavaliere del Giglio, Edizioni Piemme, 2007.

«Inizi del 1200. Firenze è dilaniata dalla guerra civile: guelfi contro ghibellini, papato contro impero. Le torri pullulano di argani e catapulte, pronte a scagliare massi sui tetti. Pur di sopraffarsi, le fazioni lanciano pece infuocata sulle dimore degli oppositori. La città brucia e il sangue scorre nelle strade...»

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GIULIA NOTARANGELO

 

Il cavaliere del Giglio

 

Un romanzo di Carla Maria Russo

 

       

Cerco in libreria e finalmente trovo Il cavaliere del Giglio. So che è uscito da pochi giorni.

Non nascondo le mie perplessità. Si tratta di intraprendere la lettura di un romanzo storico letterario, incentrato per di più su di un personaggio, Farinata degli Uberti, conosciuto sui banchi del Liceo grazie alla Divina Commedia.

Avevo di lui un’idea di superba fierezza, di grandiosa magnanimità. Era un personaggio, quello dantesco, colto nel pieno della sua maturità e consapevole della sua grandezza, di un politico-guerriero, insomma.

Inizio la mia lettura in libreria e mi ritrovo immersa, fin dalle prime pagine, nei vicoli di Firenze antica. Sono catturata dalle atmosfere che l’autrice è riuscita a ricreare.

Schiatta, Neri, Farinata… sono i primi personaggi ad apparirmi. Si tratta del capostipite e degli eredi più giovani della grande famiglia degli Uberti. E così il racconto si dipana tra banchetti, cerimonie, offese, intrighi e cortesie, onori e inganni. Un incontro di famiglie nobili, un mirabile affresco di vita in una città medievale.

Grande è la cura nella ricerca delle parole che rendono più viva la realtà del tempo. C’è anche l’uso di termini, poco frequenti ai giorni nostri, mi vengono in mente “fantesche” o “sestieri”.

Dei primi capitoli mi è rimasta impressa l’immagine di madonna Gualdrada Donati che riceve in casa un cavaliere, Filippo Buoncompagni (che transita sotto le sue finestre) per presentargli la figlia Gemma e tessere un piano di vendetta contro le famiglie avversarie.

è uno dei tanti episodi di questo romanzo che descrivono l’ambiente e gli intrighi della Firenze medievale. Mi riporta alla memoria le pagine su Andreuccio da Perugia nei vicoli napoletani.

Siamo intorno al 1216, periodo in cui, messe da parte le aspre contese legate alle lotte tra Guelfi e Ghibellini, si viveva ancora tranquilli nella cerchia delle mura e si godeva di una tregua già da alcuni “lustri”. Ma è una situazione destinata a non durare a lungo. Basta  un gesto mal interpretato per innescare una catena di ritorsioni e di vendette che riportano a galla come per incanto ciò che sembrava sopito e rigermogliano i semi dell’ inimicizia e dell’ odio di parte.

Firenze assurge  in questo romanzo al ruolo di città-simbolo, dovuta anche alla sua posizione nell’universo dei Comuni toscani: ci troviamo di fronte ad una sorta di imperialismo ”localistico” che si avvale dell’aiuto-appoggio del papato o dell’Impero soprattutto per affermare la propria egemonia su altre città.

Guelfi e Ghibellini, eterno dualismo di una politica di alternanza che ancora oggi viviamo da spettatori più o meno partecipi. Storie piccole e grandi, passioni di parte e passioni d’amore. Ma la vera protagonista è la politica come pratica quotidiana, che connota, come un’etichetta, e “segna”, attraverso il casato, fin dalla nascita.

è un mantello che protegge e scopre, un titolo di vanto, un vessillo, una specie di laica religiosità che chiede continua dedizione e invade i singoli atti, anche quelli più scontati. Una politica che trascende le passioni  e fa prevalere, laddove è  necessario, la ragion di Stato. Basti pensare alla storia d’amore di Farinata con la bella Adaleta, fanciulla nobile  della nemica Siena (che non esita ad impugnare le armi ed a indossare  le vesti di guerriera per difendere la sua patria) o a quella del fratello Neri con Gemma di Zingane dei Buondelmonti, guelfo e, dunque, acerrimo nemico degli Uberti.

Pace e guerra, altro eterno dualismo o meglio, “mito motore“ dell’esistenza umana. Armi da guerra ed apparati di pace. Cortei, processioni, vessilli e, di contro, macchine da guerra, torri di difesa, passaggi segreti, fortezze a metà strada (tra Firenze e le città nemiche).

Un intreccio di storie che vedono anche il passaggio del poverello d’Assisi; storie di amori, di agguati, di eretici eroismi (l’episodio di Filippo Buondelmonti a Bologna) che ruotano intorno a Farinata la cui figura pian piano emerge nella sua onestà e generosità. Soltanto all’inizio del romanzo appare un po’ in ombra per la sua verde età.  

è infatti il nonno Schiatta (il capostipite) che nella prima parte tiene in mano, assieme ad altri notabili, le redini della politica fiorentina. Toccherà  poi a lui, Farinata, assumere il  ruolo di protagonista. Sarà l’onesto e responsabile custode dell’eredità familiare di fedeltà al partito ghibellino, ma anche alla Patria, che salverà dalla distruzione voluta da Siena dopo Montaperti. La scrittrice lo ha così preservato da un oblio a cui la controparte lo aveva condannato dopo “l’Arbia colorata in rosso” di dantesca memoria. Gli erige non un piedistallo, come aveva fatto Dante, ma quasi un altare, dando vita e spessore ad episodi che il Sommo Poeta ci aveva fatto solamente intuire.

Conferisce così maggiore umanità alla sua figura, e - grazie al suo intuito femminile e alla sua fantasia colta e raffinata - ricuce le crepe di una memoria storica distrutta dai Guelfi. Ne risulta, quindi, un’immagine a tutto tondo della personalità di Farinata, della sua umanità di padre e di marito, oltre che di “patriota” di politico e di condottiero invincibile.

I versi di Dante scandiscono questa storia avvincente che abbraccia un periodo di cinquanta anni; una storia fatta di politica con le sue crudeltà, ipocrisie, intrighi, ma anche slanci di generosità e soprattutto fedeltà agli ideali. Altri personaggi popolano il racconto: un’alternanza di papi, imperatori, autorità religiose e laiche; persino l’Inquisizione con le sue accuse di eresia come instrumentum regni, e le sue torture; le connivenze, gli eroi buoni e cattivi, le battaglie.

L'Aquila e il Giglio, ovvero l’Impero e la Patria. La città del giglio e la fede ghibellina, due entità non sempre conciliabili; fonti di continui tormenti e di scelte combattute.

Un grazie a Carla Maria Russo per avermi dato l’opportunità di entrare più da vicino in un periodo così denso di fatti, pur nella consapevolezza che, come in ogni romanzo storico, ci troviamo di fronte al “verosimile”, più che al “vero”.

   

Giulia Notarangelo

   

 

 

 

  

 

 

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