Arturo Carlo Quintavalle
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Il volto di Dante? Senza naso aquilino
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Firenze, restaurato il primo ritratto documentato. Che smentisce le immagini rinascimentali e rivela anche una carnagione scura
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Eccolo, quello che vedete qui è il più antico volto di Dante che sia documentato. Diverso, certo, dal volto di Dante che la iconografia soprattutto rinascimentale ha imposto. Lo hanno appena finito di restaurare insieme a un importante ciclo di affreschi scoperti nella sede dell’Arte dei Giudici e Notai a Firenze, a via del Proconsolo, a un passo dal Bargello. Ma come si pone questo ritratto rispetto all’altro dipinto attorno al 1336-37 dalla officina di Giotto proprio al Bargello, nella cappella della Maddalena, e scoperto nell’800? Monica Donato, che ha riconosciuto e pubblicato una ventina di anni fa questa immagine prima dei restauri, con quella di Boccaccio che le sta di fronte, aveva visto giusto, i documenti che ha ritrovato lo confermano, è Dante questa figura di pelle scura, dal naso lungo ma non arcuato, e, come scriveva il Boccaccio nel suo
Trattatello in laude di Dante: «il suo volto fu lungo, il naso, aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labro di sotto era quel di sopra avanzato».
Insomma Dante non doveva essere un bell’uomo, e, sempre secondo Boccaccio, «il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso». Per capire però come mai un ritratto di Dante finisca nella sala grande dell’Arte dei Giudici e Notai a Firenze bisogna tenere presenti due storie, quella di un progetto culturale che non nasce all’interno dell’Arte ma nella mente degli umanisti e che coinvolge Firenze come novella Roma, e ancora quella dell’edificio dove è riaffiorato un ciclo complesso e che sarà rivelato al pubblico fra breve. Dunque e prima di tutto il luogo: a fianco di una torre del secolo XI che viene inglobata si costruisce o sistema la sede dell’Arte dei Giudici e Notai nella prima metà del ’300; l’ingresso principale su via dei Pandolfini è adesso murato. L’edificio è stato preso in affitto da un appassionato, un ristoratore civilissimo, Umberto Montano, che ha investito, nel restauro, 400.000 euro, e altri 600.000 per completare le opere di sistemazione a consolidamento delle strutture. Ma perché impegnare tanti denari per una impresa così difficile e dove gli affreschi, massacrati dal tempo e dalla incuria, sono spesso ridotti a larve, affreschi che Daniela Dini ha adesso felicemente recuperato? Perché qui si conserva una delle più importanti tracce dei cicli degli uomini famosi e, in questo caso, dei poeti, ma non solo, che la programmazione della cultura a Firenze in ambito umanistico abbia saputo proporre. A Palazzo Vecchio, Coluccio Salutati, umanista famoso e cancelliere fra 1375 e 1406, aveva suggerito un grandioso racconto nel quale figuravano condottieri ed eroi; qui la matrice romana di Firenze era resa esplicita e con essa la gloria dei poeti cittadini. Perduto quel ciclo ecco adesso in una lunetta dell’Arte dei Giudici e Notai affiorare i resti di quattro figure: di quelle alle estremità restano il volto e parte del corpo, a sinistra Dante, a destra Boccaccio, di fronte a Dante doveva essere Petrarca, di fronte a Boccaccio Zanobi da Strada. Dato che Petrarca muore nel 1374 e Boccaccio l'anno dopo, il termine dopo il quale i ritratti devono essere stati dipinti è il 1375 ma lo stile delle pitture ci porta forse nel corso degli anni ’80.
Certo i documenti su questi dipinti parlano di tempi lievemente precedenti: nel 1366 a Jacopo di Cione, fratello dell’Orcagna, si attribuisce il compito di dipingere la volta e le pareti della sala maggiore dell’Arte; nel 1406 un pittore, Ambrogio di Baldese, deve aggiungere al gruppo dei quattro poeti, Dante e gli altri, Claudiano poeta latino ritenuto fiorentino e Coluccio Salutati appena scomparso; ancora, nel 1444, il giovane Andrea del Castagno viene chiamato a dipingere l’immagine di Leonardo Bruni nella prima stanza; in seguito Piero Pollaiolo avrebbe dipinto Poggio Bracciolini e Giannozzo Manetti. Insomma dal 1366 e fino al tardo ’400 i maggiori artisti di Firenze aggiungono ritratti di umanisti al ciclo che già comprendeva i ritratti dei poeti. Ma vediamo come Monica Donato interpreta i soggetti degli affreschi appena ritrovati nella volta e sulle pareti della imponente sala maggiore dell’Arte. Al centro ecco la grandiosa immagine circolare di Firenze rotonda, perfetta, nuova Gerusalemme Celeste, chiusa fra le mura arnolfiane, con gli stemmi del Comune, il giglio, l’aquila di Parte Guelfa, la croce; attorno, nelle vele, tre per parte, maestose figure, quella del Diritto, quindi della Giustizia, Fortezza, Prudenza, Temperanza e una immagine barbuta. Nelle quattro lunette vediamo nella prima a destra un santo con a lato cinque figure; nell’altra a destra i quattro poeti già ricordati; di fronte le immagini delle Arti del Trivio di cui restano solo Dialettica e Retorica; non interpretabile l’ultima lunetta di cui si vedono solo i resti di quattro teste.
Insomma un ciclo importante, che divulga le idee di Coluccio Salutati, il cancelliere fiorentino che in Palazzo Vecchio intendeva dimostrare, con la rappresentazione dei poeti, che la nuova Res publica sull’Arno aveva sopravanzato l’antica sulle rive del Tevere. Dunque nelle sale dell’Arte a fianco del Bargello si dovevano rappresentare poeti e umanisti nel nome della autonomia e indipendenza della città, secondo una tradizione che anche i Medici continueranno a esaltare. Per questo le pareti dell’Arte si continuano a dipingere con nuove figure per oltre un secolo, dagli ultimi decenni del ’300 a fine ’400, ma poi progressivamente la sala finisce in disuso, le pitture vengono danneggiate, in gran parte distrutte. E adesso? Nonostante le gravi perdite queste sono fra le tracce più importanti, a Firenze, della immagine della città e della sua storia, che ci offrono anche una precisa fisionomia di Dante. Finora infatti nulla permetteva di affermare con certezza che la figura in basso alla destra dell’affresco col Paradiso nella cappella della Maddalena al Bargello fosse Dante, ma adesso la somiglianza col ritratto, posteriore di oltre una generazione, della sala dell’Arte dei Giudici e Notai permette di confermare quella fisionomia. Cambia dunque la iconografia dantesca e si inserisce in un racconto umanistico complesso che muove dalle immagini degli Uomini Famosi pensate dal Petrarca per la reggia dei Carraresi a Padova a fine anni ’60 del ’300.
Ancora una osservazione: questo restauro è stato condotto per l’impegno generoso di un privato che, in accordo con le Soprintendenze e quindi con ogni salvaguardia e tutela, aprirà nella sala un ristorante ma permetterà la visita a livello degli affreschi grazie a una passerella che serve anche per incatenare le pareti. Si ricostituisce dunque un luogo simbolico della Firenze trecentesca, si ritrovano nelle pitture, pur consunte e scrostate, le radici di una idea di città che trovava riscontro negli affreschi di Palazzo Vecchio e nelle sedi di alcune delle Artes e che solo in parte corrispondeva ad analoghi cicli al Palazzo Pubblico di Siena o a Palazzo Trinci a Foligno. Torna dunque una Italia dove ogni storia cittadina risale alle origini, agli eroi, ai prodi, ma a Padova, come poi qui a Firenze, si propone una singolare trasformazione: sono i poeti, sono Dante, Petrarca, il modesto Zanobi da Strada e Boccaccio le matrici della dignità e della grandezza di una civile città. Ai grandi sovrani del passato, ai condottieri da Cesare ad Alessandro, da Costantino a Carlo Magno, si affianca il genio dei poeti a cominciare da Dante che sempre Boccaccio descrive «di mediocre statura» «di andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito».
Guardiamolo ancora, quel volto, appena restaurato. Fra due mesi lo potranno riscoprire tutti, nella splendida sala dell’Arte recuperata, e sarà una grande
festa.
Arturo Carlo Quintavalle
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