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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI COMO
in sintesi
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«Le più remote origini di Albiolo si collocano nel II Secolo come una dei presidi posti sulle colline comasche dai Romani dopo la fondazione di “Comum”. Con la caduta dell’Impero Romano nel 476 Como ed il nostro territorio passano sotto il controllo Longobardo che si protrae sino al IX secolo. Con la sconfitta dell’Imperatore Barbarossa a Legnano e la pace di Costanza del 1183 la nostra zona passa sotto la giurisdizione del vescovo di Como sino a quando Como viene occupata dai Visconti di Milano poi sostituiti dagli Sforza e quindi dalla dominazione spagnola. Con il passaggio dal dominio spagnolo a quello austriaco per la nostra zona inizia un periodo di riforma e di sviluppo; viene istituito il catasto teresiano in cui appare l’attuale centro storico costituito da case a corte. ... L’antico e ben conservato Castello Odescalchi, la Chiesa Parrocchiale SS. Annunciata, circondata da case a corte e dalle viuzze costituenti il Centro Storico, dominano dall’alto il paese moderno costituito da ville e villini immersi nel verde; sul versante a nord ovest degrada a rivette il parco Comunale sino a raggiungere la storica Chiesetta di S. Anna ...» - «Il Centro storico attuale non è databile ma risale sicuramente al periodo degli altri monumenti antichi, è infatti caratterizzato da "case a corte" tipiche costruzioni lombarde derivate dalle "domus" romane. Le corti sono costruzioni a tre piani chiuse a fortilizio verso l'esterno, con un ampio cortile interno su cui si affacciavano le stalle ed i laboratori di lavoro, al primo piano le abitazioni con loggiato ed al terzo i granai. Nel cortile si svolgeva la vita legata prevalentemente all'agricoltura. Queste "case a corte" tra loro addossate e tra loro collegate da strette vie carrabili e da viuzze pedonali che le collegavano con il castello e la Chiesa Parrocchiale costituivano e costituiscono l'antico borgo di Albiolo. ... Il Castello Odescalchi risale al XIII secolo e pare essere stato costruito su resti murari più antichi».
http://www.comune.albiolo.co.it/oc/oc_p_elenco.php - http://www.prolocoalbiolo.it/il_paese_di_albiolo/monumenti_storici.html
«Il comune di Alzate Brianza è formato da diverse frazioni, collocate per lo più su alture, in quella suggestiva area che è l’anfiteatro morenico prealpino. L’antico nucleo centrale è dominato dalla torre medievale, sulla cui facciata si trova una grande meridiana, mentre le varie frazioni sono caratterizzate dalla presenza di eleganti ville nobiliari, fatte costruire dalle famiglie che si alternarono alla sua guida: fra tutte spiccano villa del Soldo, villa Odescalchi e villa Durini che, edificata nel XVII secolo dai Casati, incorpora una torre di origine medievale. ...» - «Centro posto a SW del lago d'Alserio, nella zona collinare di origine morenica della Brianza. Di origini antichissime (come provano testimonianze epigrafiche leponzie), ebbe un primo nucleo abitato in età romana, che seguì poi le vicende storiche di Cantù. La frazione di Verzago, citata nel 1023, fu possesso del vescovo di Milano, mentre quella di Fabbrica Durini, già ricordata nel 936, raggiunse e mantenne a lungo l'autonomia comunale. Al centro dell'abitato sorge una solida torre quadrata, unico resto del castello medievale, che incorpora frammenti di lapidi e sculture romane: nella facciata che dà sulla piazza è una bella meridiana. ...».
http://www.angoliditalia.it/articoli/alzate-brianza-dominata-dalla-torre-1182 - http://www.sapere.it/enciclopedia/Alzate+Brianza.html
Argegno (ex torre dei Viscardi)
«Collocazione: l’ex torre dei Viscardi sorgeva sopra l’edificio che oggi ospita il Bar Motta in Via Milano di fronte a piazza Testi, mentre gli edifici di origine medioevale prospettano sul lato sinistra di Piazza Roma. ... Della ex torre medioevale detta dei Viscardi ora si può osservare solo la parte inferiore, perché quella superiore è crollata nel 1876. Le poche immagini che ci sono state tramandate mostrano una torre merlata, poco più bassa del campanile della vecchia Parrocchiale, con feritoie e finestrelle su tutti i lati. Secondo Donato Gregorio, autore di una documentata pubblicazione su Argegno, probabilmente si accedeva ad essa direttamente dall’attuale Bar Motta oppure salendo dalla scalinata che oggi porta al terrazzo soprastante il locale. ...» (a c. di Silvia Fasana).
http://www.camminacitta.it/wp-content/uploads/2013/09/ex_torre_viscardi.pdf
«Per una ricognizione sulle fortificazioni di epoca medioevale del territorio della “Communitas” di Vallassina il punto di partenza è rappresentato dalle Memorie storiche del 1796 di don Carlo Mazza. Il prevosto dà notizia dell’esistenza di numerosi castelli dei quali afferma di non saper indicare l’epoca di fondazione, fuorché nel caso di quello del borgo di Asso, la cui torre fa risalire all’epoca romana (studiosi moderni ritengono che sia dell’XI o del XII secolo, anche se non escludono la presenza di fortificazioni precedenti). Lo smantellamento dei castelli avvenne probabilmente alla fine del XVI secolo e, solo del castello di Asso, il Mazza dice di aver trovato ancora notizie risalenti all’inizio del XVII secolo. Di quasi tutte queste strutture fortificate egli aveva visto però solo i ruderi. Oggi, anche parte dei resti che il prevosto aveva avuto modo di vedere sono scomparsi e ben poco è rimasto della rete di fortificazioni che proteggevano la valle. Ad Asso si è conservata parte del castello, con la massiccia torre (alta 21 metri, ha 8,40 metri di lato e 2,20 metri di spessore), ma gli edifici adiacenti, alcuni dei quali ora in restauro, sono stati modificati dal riadattamento ad abitazioni. Nella torre è conservata una piccola ara, probabilmente romana e una lapide, datata 1796, dedicata alla Repubblica Cisalpina in cui i Vallassini ringraziano la Repubblica Francese verso cui si sentono debitori della recuperata libertà. A Scarenna, frazione di Asso, si trovano una torre, molto rimaneggiata, e resti diroccati forse della cinta muraria. La rete di fortificazioni della valle, che, secondo lo storico Coradazzi, ebbe notevole importanza strategica e militare fin dall’epoca gotica, bizantina e poi longobarda, comprendeva anche, come torri di segnalazione, i campanili delle chiese romaniche. La storia del castello è accompagnata da leggende come quella del Santo Sepolcro, costruito nella prepositurale da alcuni crociati della Vallassina di ritorno dalla Prima Crociata (1096). La leggenda narra che nella giornata del Venerdì Santo comparissero in paese figuranti vestiti da crociati con “romani e giudei”. All’epoca delle Crociate risalirebbe anche la scelta di S. Apollonia, protettrice di coloro che soffrono di mal di denti, quale compatrona di Asso. I crociati vallassinesi avrebbero riportato in patria un dente della santa; da qui l’usanza, nel giorno a lei dedicato (9 febbraio), di baciare la reliquia che preserva dal mal di denti».
Si tratta di «un edificio del '500 che conserva ancora parzialmente l'aspetto originario pur essendo stato recentemente ristrutturato»; di recente è stato anche posto in vendita.
http://www.aricantu.it/barni.htm
BARNI (resti del castello di Tarbiga)
«Del castello verso Magrelio sono rimaste alcune rovine e si notano alcune fortificazioni medioevali che chiudevano il valico: vi esisteva un presidio ancora nel 1578; oggi del castello di Barni rimangono purtroppo solo poche testimonianze. Nel 1450 Rufaldo, capo di milizie sforzesche, assalito sui monti dai Vallassinesi, si rifugiò nel castello ma, assediato, dovette ben presto arrendersi alla forza nemica. Nel settembre del 1452 gli uomini di Barni che ne prese solennemente possesso. Altri toponimi indicano indicano come nel territorio vi furono presenze di torri e castellieri, come ad esempio il "sasso della guardia" e le località di "castel farieu" ed anche "castel rott" ed infine "castel Leves". ... Tutt'ora abitazione privata è il Castello medioevale (900-1000) che si può scorgere a dominare l'abitato di Barni con la sua cinta muraria e una torre che la vegetazione sta gradatamente celando alla vista».
http://www.guidacomuni.it/storia.asp?ID=13015
BELLAGIO (resti del castello, villa Serbelloni)
«Resti del castello sono riconoscibili sia nella torre a pianta quadrata realizzata in calcare grigio che è posta sulla parte alta della collina, sia nei resti del recinto poligonale con ingresso arcuato, visibili all'interno del parco di Villa Sebelloni, proprietà della Fondazione Rockefeller dal 1959. La vicenda del castello di Bellagio è stata analizzata da Virginio Longoni che nel 1999 ha raccolto le principali fonti storico-letterarie e di archivio. Sulla base di questo studio, la più antica citazione del castello è quella riportata nei versi latini dell'Anonimo Cumano (XII sec.), che ricorda l'attacco alla struttura fortificata nel 1120 da parte dei Comaschi. Nel secolo successivo il castello fu conteso tra i Visconti di Milano e i Torriani, nell'ambito del più ampio conflitto tra guelfi e ghibellini. In questo contesto il castello venne dapprima conquistato nel 1292 da alleati dei Visconti di Milano, tre anni dopo ripreso da una famiglia non identificata, ma citata come i de Castello, sostenitori dei ghibellini Torriani di Como; venne quindi recuperato al dominio visconteo attraverso il Vescovo Benedetto nel 1365; dieci anni dopo, nel 1375, fu il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti a deciderne la distruzione. Le fonti documentarie e d'archivio ci segnalano che nel 1377 il castello, o quello che ne restava, era abitato da “due massari e un colono”, mentre nel 1450 i resti della costruzione non resistettero agli attacchi provenienti da Varenna, nella fase in cui Bellagio e Como erano alleate con la Repubblica Ambrosiana (1447-1450). Forse non restaurato alla fine XV, quando Marchesino Stanga nel 1493 si occupò della ricostruzione del borgo fortificato di Bellagio, i resti del castello erano ancora visibili nel XVI secolo quando Paolo Giovio (1537) e Tommaso Porcacchi (1569) ne parlavano nelle loro opere dedicate al territorio lariano. Si ipotizza che con l'avvento della famiglia Sfondrati, che divenne proprietaria di tutto il promontorio di Bellagio, il castello possa essere stato almeno parzialmente restaurato, forse per opera di Ercole Sfrondati (1559-1637) a cui si attribuisce il restauro della torre detta Sfondrata sulla sponda lecchese dello stesso promontorio».
http://www.triangololariano.it/it/castello-di-bellagio.aspx
BELLAGIO (torre di piazza San Giacomo)
«Torre a base quadrangolare realizzata in conci di pietra di calcare grigio. La torre si presenta con il lato settentrionale addossato al pendio, l'ingresso sul lato orientale mentre due feritoie si aprono sul lato meridionale. Oggi la struttura, di proprietà privata, è coperta da un tetto a doppia falda e presenta il lato orientale addossato ad un edificio moderno. La torre è stata datata al XIV secolo sulla base delle osservazioni effettuate in occasione dell'ultimo Censimento dei Castelli della Lombardia,pubblicato nel 1991 da Regione Lombardia (Settore Cultura e Informazione – Servizio Musei e Beni Culturali) a cura di F. Conti, V. Hybsch e A. Vincenti dell'Istituto Italiano dei Castelli. Nel 1999 una nuova schedatura della torre, con indicazione del vincolo ministeriale, è stata realizzata nell'ambito del progetto Lombardia Beni Culturali (portale unificato del patrimonio culturale lombardo a cura di Regione Lombardia e Università degli Studi di Pavia): in questa scheda, a cura di Maria Mascione, si sono ampliati i limiti cronologici di riferimento del bene al XII-XIV secolo».
«Torre a pianta quadrata, realizzata con conci di pietra; si sviluppa su tre livelli con finestre aperte successivamente, quando venne cambiata la sua destinazione d'uso da difensiva a residenziale. Oggi la torre è coperta da un moderno tetto a quattro falde. La struttura è da ricollegare all'intervento di Marchesino Stanga che, nel 1493, fu promotore della ricostruzione del borgo fortificato: in questo contesto la torre venne edificata come caposaldo a difesa del molo orientale di Bellagio. Nel secolo successivo l'area, su cui si trovava anche la torre, venne rilevata dalla famiglia Sfondrati e si attribuisce in particolare ad Ercole Sfondrati (1559-1637), generale pontificio per i papi Gregorio XIV, Innocenzo IX e Clemente VIII, il restauro ed ampliamento della struttura, che venne adibita ad edificio residenziale. Più di recente (1986-1987) la torre è stata restaurata dalla Fondazione Rockefeller, proprietaria del sito dal 1959: le numerose stanze ricavate all'interno della torre accolgono gli ospiti del Bellagio Center. La torre viene datata alla fine del XV secolo nel Censimento dei Castelli della Lombardia, pubblicato nel 1991 da Regione Lombardia (Settore Cultura e Informazione - Servizio Musei e Beni Culturali) a cura di F. Conti, V. Hybsch, A. Vincenti dell'Istituto Italiano dei Castelli».
http://www.triangololariano.it/it/torre-sfondrata-bellagio.aspx?cmn=bellagio&cat=torri-e-castelli
«Col nome di Canturium (incerta è ancora la ricostruzione dell’etimo: può derivare dal popolo insubrico dei Canturigi, già ricordato da Strabone, ma può trarre origine come propongono studiosi moderni, tra cui l’Olivieri, da Cantores, accertata l’esistenza di una Cantoria presso qualche sacro edificio) fu indicato il territorio intorno a Galliano, primo nucleo abitato. Il Borgo rimase pure coinvolto nelle contese tra Guelfi e Ghibellini e, nel 1324, divenne signoria di Gaspare Grassi, che lo fortificò facendo erigere numerose torri. Tornato ai Visconti dieci anni più tardi e travagliato dalle lotte tra i vari pretendenti, fu sottomesso con le armi da Francesco Sforza e donato, nel sec. XV, dal duca Galeazzo Maria a Polidoro Sforza Visconti. Nel 1475 venne concesso in feudo ai fedeli Pietrasanta che vi eressero un castello in cima al colle centrale, di cui oggi rimane la base in pietra dell’attuale torre campanaria della Basilica di San Paolo. ...» - «Indirizzo: Via Corbetta (nel centro abitato, integrato con altri edifici). ... Epoca di costruzione: sec. XII. Uso attuale: abitazione. Condizione giuridica: proprietà privata».
http://www.comune.cantu.co.it/c013041/zf/index.php... - http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00284...
Carate Urio (castello di Urio)
«Forse eretto nel tardo Seicento, addirittura sulle rovine di una vetusta fortificazione. Fatto costruire dai conti Della Porta, infeudati di Urio nel 1731 che al termine della loro generazione cedettero ai Castelbarco per poi essere ceduto ai Dupuy. Nei primi anni dell’800 fu dei Melzi d'Eril che gli diedero il nome di Castello. Questi ultimi completarono l'elegante dimora, sistemando il vasto parco con la scalea ed il caratteristico cavalcavia che scende verso la riva del lago. Maria Teresa d'Asburgo Lorena, consorte del re di Sardegna Carlo Alberto, ne divenne proprietaria in seguito per poi cederlo agli Avogadro di Collobiano, che ospitò, Vittorio Emanuele II, con la consorte, Maria Adelaide subito dopo le nozze per star vicini ai genitori di lei che erano a Villa Pizzo di Cernobbio. I successivi possessori trascurarono l'edificio, che fu riattato nel 1871 dalla famiglia Richard; il giardino venne sistemato ed ampliato. Un ulteriore restauro ebbe luogo infine per le cure della signora Maccrery e del barone Langheim. Il fabbricato della villa è costituito da un grande blocco a pianta rettangolare sviluppato su tre piani di altezza con una parte centrale più alta composta da quattro piani. La facciata è contraddistinta da un frontone mistilineo e da una balaustra sommitale con statue ed è scandita da lesene ioniche. Le finestre del piano nobile presentano timpani centinanti e spezzati alternati. Da anni il castello è di proprietà dell'Opus Dei e vi si tengono convegni della Fondazione Rui».
http://www.comune.carateurio.co.it/vivere-a/scoprire/da-visitare/Monumenti/castello-di-urio.html
«Le prime notizie di un
insediamento difensivo nella attuale posizione di Carimate si ha nell'anno
1149 (il castello fu distrutto nella guerra tra Milano e Como). La
costruzione del castello alla base di quello attualmente esistente risale al
1345 (fatto costruire da Luchino Visconti) quando il feudo passa sotto il
dominio dei Visconti, signori di Milano. L'edificio è da questi usato come
postazione di villeggiatura e di caccia, ma è anche situato in posizione
strategica in prossimità della strada che da Milano va a Como e quindi in
Svizzera.
Il castello fa parte di una rete difensiva a nord di Milano. Si sviluppa un
piccolo borgo di personale legato al castello, case di agricoltori,
scuderie. Una quarantina d’anni più tardi, il castello apparteneva a
Caterina Visconti, figlia di Bernabò Visconti, donatole da Galeazzo
Visconti, signore di Milano dal 1386. Di suo Caterina Visconti fece scavare
il fossato perimetrale e costruì il ponte levatoio. Dopo la morte di
Galeazzo Visconti (1402) il castello passò a Filippo Maria Visconti, duca di
Milano. Il castello e i beni di Carimate furono concessi in feudo il 20
maggio 1434 a Giorgio Scaramuzza Visconti già Alicardi, condottiero del
duca. Il nuovo investito di tali beni era figlio di Domenico Aicardi di S.
Giorgio di Lomellina, nel pavese. La storia racconta che, avendo l’Aicardi
Domenico scoperta una congiura di nobili milanesi contro la vita di Filippo
Maria, diventò tanto caro al duca da essere insignito del cognome e
dell’insegna di Visconti. Nel novembre dell’anno 1493 gli ambasciatori di
Massimiliano I d’Asburgo, vennero in Italia con l’incarico di sposare per
procura, a nome del loro sovrano e poi condurre in Germania, Bianca Maria
Sforza, figlia di Galeazzo Maria.
Dopo i festeggiamenti per il matrimonio, una numerosa comitiva di
personalità accompagnò Bianca Maria nel viaggio, tra questi: il duca
Giovanni Galeazzo e suo fratello Ludovico il Moro con Batrice d’Este, Guido
Arciboldi, arcivescovo di Milano, il giureconsulto Giasone del Maino, gli
ambasciatori Baldassare Pusterla, Erasmo Brasca e altri. Giunta a Meda, la
sposa con il seguito, vi fu la necessità di alloggiare tutte queste
personalità. La comitiva, ovviamente si divise ed a Carimate prese stanza
Ludovico il Moro con altri membri della famiglia ducale. Nel 1496 in viaggio
per Pisa, passò da Carimate lo stesso imperatore Massimiliano I. Tanto gli
piacque il luogo che vi soggiornò per ben sette giorni, riposando e
cacciando cervi nei boschi circostanti. Qualche anno più tardi, questa
dimora divenne l’ultimo rifugio di Ludovico il Moro, che ormai sconfitto in
patria, voleva riparare in Germania con la famiglia ed i tesori. I figli
alloggiarono a Carimate, da dove proseguirono poi per il centro Europa.
Tornando ai proprietari del castello, un ramo della famiglia Aicardi
Visconti, si estinse il 26 settembre 1626 con la morte dell’ultimo
rappresentante Annibale Visconti, che venne sepolto nell’adiacente chiesa di
S. Maria dell’Albero. Il castello e i suoi beni passarono a suo cugino
Ottavio Visconti conte di Riozzo, i cui discendenti lo tennero sino al 27
luglio 1795, anno della morte di Ludovico Visconti senza eredi legittimi.
Tutti i beni e il castello furono così avocati al pubblico demanio passando
alla realcamera. In età napoleonica il paese di Figino Serenza passò sotto
giurisdizione carimatese fino al 1815.
Il 19 frinale anno V della Repubblica Francese, 9 dicembre 1796, furono
acquistati da Cristoforo Arnaboldi, cittadino comasco, che fece del castello
la sua residenza. Durante il Risorgimento Vittorio Emanuele II e Giuseppe
Garibaldi, dall’alto della torre, seguirono alcune manovre delle truppe
implicate nel conflitto della Terza Guerra d’Indipendenza. Nel 1874 la
proprietà passa nelle mani della famiglia Arnaboldi-Gazzaniga. Questa riunì
il castello e le diverse proprietà circostanti che si erano nel tempo
frazionate. Il castello fu sottoposto a radicali restauri che gli diede
l'attuale aspetto romantico con le torri merlate. Nel 1918 il conte Bernardo
Arnaboldi Cazzaniga, muore e lascia il castello alla figlia Bice Arnaboldi
coniugata con il conte Paolo Airoldi di Robbiate. Nel 1928 vengono staccate
da Carimate la frazione di Noverate e parte del territorio appartenente al
paese di Cantù Asnago. Nel 1956 la Società Generale
Immobiliare di Roma acquista in blocco la proprietà dei conti Arnaboldi,
costituita non solo dal castello ma dal parco, le scuderie, da cui una
sapiente opera di ristrutturazione ricaverà l’attuale salone centro
commerciale e civico del Torchio, parte degli edifici del vecchio borgo di
Carimate e tutti i terreni agricoli. Dal 1990 il castello è un suggestivo
hotel».
http://www.icastelli.it/castle-1235256132-castello_di_carimate-it.php
CARLAZZO (borgo fortificato di Castel San Pietro)
«Carlazzo è un piccolo centro della Val Menaggio, situato a 481 m di altitudine, immerso nel verde delle pendici sud-occidentali del Monte Pidaggia. Il Lago di Piano rientra quasi interamente nei confini comunali del paese. Rispetto ai comuni limitrofi, il territorio di Carlazzo è, infatti, molto esteso e comprende anche la Piana di Porlezza, i centri di Gottro e di San Pietro Sovera e la frazione di Bilate, dove oggi si trovano solo poche stalle. Il suo nome deriva da un toponimo romano che significa "Castrum ratii", cioè castello di fuoco, ad indicare che il paese fu sede di una torre per segnalazioni. Fu possesso degli arcivescovi di Milano e nel 1240 passò sotto la giurisdizione di Como, in quanto appartenente alla Pieve di Porlezza, di cui seguì le vicissitudini politiche come altri centri della valle. ... I resti del castello. Il castello di Carlazzo o Castel San Pietro si trova sulla collina nei pressi del Lago di Piano. Fu edificato in un luogo strategico, situato all'imbocco delle strade che conducono in Val Cavargna e in Val di Rezzo. Era costituito da una cerchia di mura con torri e porte d'ingresso, che racchiudevano la zona più alta del paese, che fungeva a sua volta da rifugio in caso d’attacco esterno. Oggi si conservano i resti delle mura, una casa torre con sottopassaggio e alcune case arroccate. La rocca subì numerosi attacchi durante la guerra decennale tra Como e Milano (1118-1127) e ciò che è sopravvissuto lo deve alla possanza dell'edificio».
http://www.fioregottro.it/itinerari.aspx
«Nello stato milanese, dal 900 al 1000 circa, I'autorità feudale era in mano ai "conti", la cui giurisdizione si chiamava "contado rurale". II più antico di essi e considerato quello della Martesana, con le 12 Pievi di Alzate, Desio, Seveso, Asso, Incino (Erba), Cantù, Missaglia, Oggiono, Garlate, Brivio, Vimercate e Mariano. AI principio del secolo XI la campagna milanese fu infatti regolata in Pievi, ciascuna delle quali teneva un consiglio comunale e dipendevano nello spirituale dall'arcivescovo e nel temporale dalla repubblica di Milano. Dall'anno 1000 al 1300 si ha un periodo di intense lotte tra nobili fuorusciti di Milano e il popolo; in queste lotte le rivendicazioni politiche (lotta dei Comuni contro l'Impero), sociali (lotte del popolo contro i nobili) e religiose (lotte dei cattolici contro gli eretici) vanno di pari passo. È in questo periodo che Carugo e i suoi dintorni entrano nei documenti della storia nazionale. Nell'agosto del 1222 il forte castello, di cui si ha notizia fin dall'892 e da cui trasse il nome e l'origine la famiglia Carugo (una delle duecento famiglie iscritte nell'albo della nobiltà milanese), fu preso, saccheggiato e distrutto dal podestà di Milano, Ardigotto Marcellino, durante le discordie sorte tra nobili e popolani; si dice che I'Ardigotto, dopo aver distrutto il castello non osasse più avanzare su Cantù, dove si era rifugiato coi nobili l'arcivescovo di Milano Enrico da Settala, poiché nel giorno dell'Assunta era apparsa una grande cometa che aveva oscurata la luna allora nel suo pieno. ... Alcune memorie orali dicono che il castello del "cuntcarùc" comprendesse anche l'attuale "curt del Vilùm" in via Diaz e che la torre servisse da osservatorio sulla pianura: che fosse una sola proprietà lo testimonia il cunicolo (La "tana del cunt Carùc" dicevano gli anziani) che unisce nel sotterraneo le due residenze».
http://www.comune.carugo.co.it/index.php/cenni-storici?showall=&start=1 - ...start=2
«è un piccolo nucleo abitato di antica origine posto in posizione strategica e dominante su un rilievo roccioso a nord di Erba. ... Per la sua posizione strategica, divenne una delle fortificazioni del "Limes Bizantino" (confine) che, passando in questa zona collegava visivamente le località di Lecco, Civate e Castelmarte con il buco del Piombo sopra Erba, fino al Baradello di Como. Rimangono ancora alcune testimonianze delle torri di avvistamento poste al centro del paese e verso la periferia, in contatto diretto visivo verso il territorio circostante. Nell'alto medioevo fece parte del Contado della Martesana e divenne il centro più importante per la sua tipologia difensiva a fortezza. Ben presto divenne nel Medioevo feudo dell'arcivescovo di Milano poi, nel 1100, passò al capitolo di Monza che lo governò anche mediante degli statuti particolareggiati approvati nel 1237. Nell'anno 1285 il popolo di Castelmarte si pose a favore dei Visconti contro i Torriani, venendo da questi ultimi posti a ferro e fuoco. Nel 1405 entrarono a far parte della Corte di Casale e nel 1672 andarono in feudo ai Missaglia proprietari di tutta la corte. Con il trascorrere dei secoli il paese passerà prima ai Carpani e poi, nel nel 1677, alla famiglia Crivelli di Inverigo. ...». La torre nelle foto, databile XIV secolo, riveste oggi funzioni abitative.
http://www.me4you.it/comuni/storia.asp?ID=13058
«Villa d'Este, in origine Villa del Garovo, è una residenza patrizia rinascimentale situata sulle rive del Lago di Como nel comune di Cernobbio. Sia la villa che il parco di 25 acri che la circonda sono stati modificati sostanzialmente rispetto alla costruzione originariamente destinata come residenza estiva per il Cardinale di Como. Sin dal 1873, il complesso è stato destinato ad albergo di lusso.
Gerardo Landriani Capitani,
Vescovo di Como, costruì qui un convento femminile nel 1442, presso il
torrente Garovo. Un secolo dopo, il Cardinale Tolomeo Gallio lo demolì e
commissionò all'architetto Pellegrino Tibaldi la costruzione di una
residenza per uso personale. La Villa del Garovo, unitamente ai lussuosi
giardini, fu costruita negli anni dal 1565 al 1570 e, mentre il cardinale
era in vita, divenne il luogo di vacanze di politici, intellettuali ed
ecclesiasti. Alla morte di Gallio la villa fu ereditata dai familiari, i
quali, durante gli anni, la lasciarono cadere in uno stato di fatiscenza.
Dal 1749 al 1769 divenne un centro per esercizi spirituali dei Gesuiti,
dopodiché fu prima acquistata dal conte Mario Odescalchi, indi nel 1778 da
un certo conte Marliani. Nel 1784 passò alla famiglia milanese dei Calderari,
la quale la sottopose ad importanti restauri e creò un nuovo giardino
all'italiana con un imponente ninfeo ed un tempio con una statua del
diciassettesimo secolo raffigurante Ercole che scaraventa Licas nel mare.
Dopo la morte del Marchese Calderari sua moglie Vittoria Peluso, una ex
ballerina del Teatro alla Scala conosciuta come la Pelusina, sposò un
generale napoleonico, il Conte Domenico Pino, ed una piccola fortezza fu
eretta nel parco in suo onore. Nel 1815 divenne la residenza di Carolina
Amalia di Brunswick, Principessa del Galles, moglie separata del futuro Re
Giorgio IV, che l'acquistò con un rogito in cui procuratore fu Alessandro
Volta; la villa venne denominata Nuova villa d'Este e il parco venne
ridisegnato in stile inglese.
Fu convertita alla fine dell'Ottocento in un albergo dove confluiva la
nobiltà e l'alta borghesia europea. Prese in quel momento definitivamente il
nome di Villa d'Este, anche per sfruttare la fama internazionale
dell'omonima villa di Tivoli. Nel dopoguerra, tornò ad essere un rinomato
luogo di appuntamenti mondani, e fu teatro del celebre delitto Bellentani,
un fatto che ebbe grande risonanza nella stampa dell'epoca; la contessa Pia
Bellentani, accusata di aver ucciso il suo amante, fu condannata a dieci
anni di reclusione. Villa d'Este è oggi un albergo destinato alla clientela
più facoltosa, ed è inoltre meta di turismo congressuale di alto livello.
...».
http://it.wikipedia.org/wiki/Villa_d%27Este_%28Cernobbio%29
«Antica sede del Palazzo Comunale di Como, il Broletto sorge in Via Vittorio Emanuele. è un edificio con facciata gotica in marmi policromi, provenienti dalle cave del Lario, fiancheggiato dalla torre civica in pietre bugnate. Come indica la lapide che si trova sulla facciata principale, sotto la prima finestra di sinistra, l’edificio fu eretto nel 1215, per volere del lodigiano Bonardo da Cadazzo, podestà di Como. Palazzo e torre furono costruiti in onore di Sant’Abbondio, patrono della città di Como, accanto all'antica Cattedrale che studi recenti considerano non come un'unica chiesa, ma come un complesso a cattedrale doppia, costituito dalle basiliche di Santa Maria e San Giacomo. Inizialmente, la struttura era più estesa e si presentava in forme romanico-gotiche, ma nella seconda metà del Quattrocento fu mutilata, forse per consentire un ingrandimento del Duomo, e trasformata fino ad assumere un’impronta gotico-rinascimentale. Nel complesso, l’edificio presenta i tipici caratteri del periodo di transizione tra romanico e gotico, vivacizzati dal gioco policromo delle diverse pietre utilizzate. Il termine “broletto” deriva dal termine medioevale latino brolo, che significava campo, vasto terreno in cui la folla si poteva riunire e quindi per estensione il luogo deputato allo svolgimento delle assemblee cittadine, cioè il Palazzo Comunale. Successivamente il Broletto fu adibito a teatro e ad archivio comunale; oggi è utilizzato per mostre e manifestazioni pubbliche».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/como/broletto-como/
«Il Castel Baradello sorge sull'omonimo colle (430 m s.l.m.) che domina la città di Como, chiudendo sul lato sud-ovest la convalle. Dal colle si gode un panorama mozzafiato: lo sguardo spazia a 360° dal lago alla città, dalle cime delle Alpi alla pianura Padana fino agli Appennini: il suo massiccio torrione a base quadrata è ben visibile per chi giunge a Como. L'origine etimologica del toponimo Baradello è riconducibile alla radice indoeuropea bar che significa luogo elevato. La struttura meglio conservata dell'intero complesso è la torre quadrata romanica, la cui base misura m 8.20 x m 8.35. La parte più bassa, alta m 19,50, poggia le fondazioni sulla roccia ed era anticamente adornata da merli di tipo guelfo, la parte sommitale, più recente, alta m 8, anticamente merlata con merli di tipo ghibellino. L'altezza complessiva della torre era di m 28. Dell'antica imponenza manca oggi solo la merlatura.
Il
primo ordine di mura che circonda la torre è la struttura
più antica, di epoca bizantina, del VI-VII secolo. Lo storico
Giorgio di Cipro nella sua Descriptio orbis romani
del 604 accenna al castron Baractelia insieme al castron Leuci
(Lecco), al castron Marturion (Castelmarte) ed all'Isola Comacina.
Tutte queste fortificazioni erano inserite in un complesso sistema defensivo
di confine chiamato Limes bizantino. Il recinto murario è
trapezoidale con lati di 10,40 m x 13,76 m con un ingresso alto 1,90 m sul
lato nord-ovest che poteva essere sprangato. La fattura è simile alle Mura
Romane di Santa Maria Rezzonico sul Lago di Como. Sette feritoie alte 1,10 m
erano ordinate lungo il perimetro. In epoca più recente vennero supralzate e
dotate di merli di tipo ghibellino. Le antiche mura sono circondate da una
più recente cinta muraria, contemporanea all'innalzamento della torre e
delle mura interne. Vi si accede attraverso un suggestivo portale a sesto
acuto.
Delle altre strutture non rimangono che le fondazioni, ma è stato possibile
ricostruirne la planimetria grazie ai recenti interventi di rivitalizzazione
del complesso. Si possono individuare:
-La cappella di San Nicolò. La planimetria, l'angolazione abside-navata e la
tipologia muraria indicano una costruzione contemporanea alla primitiva
cerchia muraria, quindi del VI secolo. L'aula è unica di dimensioni 5.50 x
3.04 m con abside. La dedicazione non è originaria ma successiva. La
tradizione vuole che qui venne seppellito Napo Torriani, ma non sono stati
ritrovati reperti ossei durante i lavori.
-Torre quadrangolare, 4.40 x 4.15 m, probabilmente usata come alloggio del
castellano. Risale alla stessa epoca della cappella.
-Cisterna coperta a volta. La costruzione è precedente la torre federiciana.
-Locale macina e locale forno, di epoca viscontea.
-Ambienti per alloggiamento di truppe o magazzino di vettovaglie.
-Cisterna trapezoidale.
Il Castel Baradello domina la
città di Como. L'abitato protostorico di Comum Oppidum era situato nel primo
millennio a.C. sul versante sud delle colline poco distanti dal Baradello,
in località oggi chiamata Pianvalle. Numerosi ritrovamenti archeologici ci
attestano la frequentazione del colle, già in epoca preromana, dai primi
abitanti comensi come centro abitativo organizzato, da un'epoca fra il IX
secolo a.C. alla conquista romana. I reperti vengono collegati, come tutto
l'ambito circostante, alla Cultura di Golasecca di cui Como era il centro
principale del corso dei secoli VI - IV a.C. svolgendo un importante ruolo
di collegamento culturale e commerciale tra la civiltà etrusca e quella
celtica d'oltralpe. Nel 196 a.C. Comum Oppidum
venne conquistato dall'esercito romano condotto dal console Marco Claudio
Marcello. Dopo un secolo di progressiva e pacifica romanizzazione, Como
venne ricostruita ex novo da Gaio Giulio Cesare nel 59 a.C. nella sede dove
oggi è situata, prendendo il nome di Novum Comum. La frequentazione del
colle in quest'epoca è documentato dal ritrovamento di monete: era un'area
fortificata che svolgeva la funzione militare di avvistamento e
segnalazione, oltre che di controllo viario e daziario: alle falde del
Baradello, transitava la via Regia che collegava Como con Milano a sud e
proseguiva a nord lungo le rive del lago verso i valichi alpini e la
Germania.
La funzione militare del colle continua anche col mutare delle situazioni
strategiche e tattiche. Nel periodo dell'ultima romanità, il magister
militum Francione riesce a prolungare la resistenza bizantina contro
l'invasione longobarda per un ultimo ventennio accastellandosi sull'Isola
Comacina fino alla resa del 588. Lo storico Giorgio di Cipro ricorda che i
capisaldi del Limes bizantino di difesa erano costituiti, oltre che
dall'isola stessa, dal Castron Leuci (Lecco), dal Castron
Martirion (Castelmarte) e dal castel Baradello chiamato Castron
Baractelia. Le più antiche strutture conservate, cioè la cerchia di mura
interna, risalgono a questo periodo storico.
Da qui fino al XII secolo non si hanno notizie. Durante la Guerra decennale
(1118-1127) tra Como e Milano i Comaschi salivano tuti (protetti) al colle
per trovarvi rifugio, forse sfruttando gli antichi percorsi preistorici di
sella, dove sulla cima esistevano ancora i resti delle costruzioni
bizantine. Il 27 agosto 1127, a conclusione del conflitto, Como è assediata
dalle forze milanesi ed incendiata, le mura e le abitazioni distrutte, gli
abitanti dispersi. Non si conoscono le sorti del Baradello.
Attraverso l'alleanza con Federico Barbarossa, Como trova negli anni seguenti l'occasione di ricostruirsi e di aspirare all'egemonia perduta. Con l'aiuto dell'Imperatore nel 1158 riedificò ed ampliò le mura della città con le sue imponenti torri di Porta Torre, Torre di San Vitale e Torre di Porta Nuova (o Torre Gattoni) e restaurò il Castel Baradello potenziandolo con la costruzione della poderosa torre e delle altre strutture. Nel 1159 ospitò lo stesso Imperatore con la consorte Beatrice di Borgogna di passaggio in città. In questi anni di effimera gloria, Como ebbe la sua vendetta partecipando all'assedio ed alla distruzione della città di Milano nel 1162 e dell'Isola Comacina nel 1169. Infine a Legnano nel maggio 1176 gli alleati della Lega Lombarda sconfiggono definitivamente l'esercito imperiale. Con un diploma datato 23 ottobre 1178 Federico Barbarossa dona alla Chiesa ed alla Comunità di Como in premio della loro fedeltà il Castello Baradello insieme alla Torre di Olonio. Il 16 agosto 1278 vi morì Napo Torriani consumato dall'inedia. Era stato catturato dalle milizie dell'arcivescovo di Milano Ottone Visconti, alleato dei Rusconi, nella battaglia di Desio del 1277 insieme ad altri membri della famiglia Della Torre, il figlio Corrado detto Mosca, il fratello Canevario ed i nipoti Guido, Salvino, Lombardo ed Enrico. Vennero rinchiusi da Simone da Locarno in gabbie di legno ed appesi alle mura della torre del castello. Napo secondo la leggenda una volta morto venne seppellito nella cappella di San Nicola. La medesima sorte toccò più tardi anche a Canevario e a Lombardo. Guido venne lasciato fuggire dal carcere nel 1283, Mosca ed Enrico vennero liberati nel 1284 da Lotario Rusca per dispetto nei confronti di Ottone Visconti e Simone da Locarno.
Il torrione del castello è preceduto da un'altra fortezza, più vasta, dotata di una cisterna per la raccolta dell'acqua e anticamente raccordata a un muraglione posto a valle, a chiudere l'accesso della città. La località si chiama, ancor oggi, Camerlata. Il complesso fortificato venne rimaneggiato (con innalzamento del torrione) dai Visconti, probabilmente ad opera di quello stesso Azzone che si era impossessato della città nel 1335 e che aveva realizzato il Castello della Torre Rotonda e la cittadella. Venne smantellato nell'agosto 1527 dal governatore spagnolo della città il Capitano Cesareo don Pedro Arias, in ottemperanza agli ordini di Antonio de Leyva luogotenente di Carlo V e governatore di Milano, per impedire che cadesse nelle mani delle truppe francesi, che invadevano la Lombardia. Si salverà la sola torre. Ridotto a rudere, da quel momento passò in mano a privati. Inizialmente fu possedimento dei monaci Eremitani di san Gerolamo, insediati a san Carpoforo. Nel 1825 divenne proprietà della famiglia milanese Venini che fece aprire il viale carrozzabile dalla base alla sommità del colle e fece costruire la piccola torre esagonale in stile neogotico. L'ultima proprietaria, Teresa Rimoldi, in assenza di eredi, lasciò per disposizione testamentaria come erede universale l'Ospedale sant'Anna, il castel Baradello con le relative adiacenze venne poi donato al Comune di Como.
Durante le cinque giornate di Como nel 1848 rientrerà brevemente nella storia, quando sulla torre verrà issato il tricolore d'Italia, simbolo della riconquistata libertà dopo la resa della guarnigione austriaca. Nell'agosto del 1943, durante il secondo conflitto mondiale, torna brevemente a svolgere una funzione militare. Un plotone del 3º reggimento Bersaglieri di stanza a Milano vi verrà distaccato con funzione di avvistamento e controllo da eventuali lanci di nuclei paracadutati. Venne parzialmente restaurato, perché pericolante, nel 1903, per opera di un comitato cittadino appositamente costituitosi e nel 1971 una campagna di studi e di lavori di consolidamento e recupero delle strutture sotto la direzione del professor Luigi Mario Belloni. Oggi fa parte del Parco della Spina Verde e la sua immagine è stata scelta a simbolo del parco stesso. Attualmente i volontari del "Club Baradel" sono disponibili per consentire la visita alle strutture».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Baradello
COMO (castello della Torre Rotonda)
«L’antico Castello della Torre Rotonda sorgeva a Como, sul sito dell'attuale Teatro Sociale. Venne eretto dai ghibellini Rusconi (o Rusca), signori di Como, attorno al 1250, con le consuete finalità di rafforzamento della autorità signorile, comune a molte costruzioni dell’epoca, a partire dal Castello Sforzesco di Milano. Nella medesima epoca (1288), d’altra parte, si procedette al prolungamento delle mura sino al lago ed al rinforzo del fossato, alimentato dal lago. Successivamente fortificato dai Visconti, signori di Milano e della Lombardia, dopo che la città, nel 1335 aveva definitivamente perduto la propria autonomia comunale. Esso costituiva, insieme al Duomo, al palazzo vescovile, la chiesa di San Giacomo, il Palazzo Pretorio ed il vecchio porto (ora destinato esclusivamente a funzioni di carattere militare), una cittadella dalla quale veniva garantito il controllo della città. Voluta da Azzone Visconti, attorno alla metà del sec. XIV, essa era circondata da una speciale cerchia murata che la divideva dal resto della città murata.
Occupato, nel corso delle successive occupazioni, dalle guarnigioni francesi, svizzere, spagnole ed austriache, il castello fu abbattuto nel 1811, quando le autorità cittadine si accordarono con i proprietari del piccolo teatro patrizio della città (allora ospitato nella sede dell’antico Broletto, per un utile scambio: il prefetto propose ai proprietari di cedere il palazzo, offrendo in cambio la cessione dell'area del vecchio Castello, ridotto ormai ad un "luogo di rovine". Il trasferimento permise, inoltre, di trasferire l’archivio notarile nel Broletto. L'epoca era, infatti, assai favorevole all'abbattimento delle antiche fortificazioni, come ben testimoniato dal parziale abbattimento della Rocca di Arona, del Forte di Fuentes o dello stesso Castello Sforzesco di Milano. Il tracciamento dei muri perimetrali del castello si può osservare ancora oggi, in quanto anche se in massima parte ricostruiti, limitano il Teatro Sociale e l'area dell'arena posteriore al teatro medesimo. La delibera venne approvata dal Consiglio Comunale il 31 gennaio 1809, sotto la presidenza di Alessandro Volta e con il voto contrario del solo marchese Giuseppe Rovelli, storico della città e proprietario di parte dello stesso in corrispondenza del fosso a nord-est».
«La cerchia di mura medievali, ripetutamente distrutta e ricostruita per tutto il XII secolo, ricalca il percorso delle mura romane. I resti attuali risalgono alla ricostruzione intrapresa nel 1192. Sul lato meridionale si conservano tre grandiosi torri di cui quella centrale, la torre di Porta Vittoria, è aperta da doppio fornice. I due portali, caratterizzati da archivolto con estradosso leggermente acuto, non presentano allo stato attuale complesse opere difensive. Dalla parte interna si possono immaginare l'alloggiamento dei portoni e delle assi orizzontali di chiusura. Un limitato numero di feritoie caratterizza la struttura dela torre che in tal modo si presenta come un massiccio blocco monolitico. Ben diverso è l'aspetto verso l'interno. Al di sopra di un ampio arcone centrale, si sovrappongono quattro serie di doppi fornici, più alti quelli degli ordini inferiori, che esemplificano la struttura a cinque piani della torre. A pianta romboidale sono invece le due torri d'angolo delle mura, anch'esse caratterizzate da una struttura esterna massiccia dove le aperture sono molto limitate. Eleganti fornici ad arco acuto si aprono solo sul lato interno che interseca le mura. Le porte ai lati della torre sono evidentemente moderni, come pure la ampie feritoie per armi da fuoco che si aprono sul lato meridionale. Di struttura simile è la torre che si trova sul lato meridionale. Degna di nota è la struttura delle mura, costituite da filari regolari di conci di media grandezza».
http://www.medioevo.org/artemedievale/Pages/Lombardia/MuraMedievaliaComo.html
CUCCIAGO (castello, torre degli Alciati)
«Il Centro Storico comprende una serie di abitazioni raggruppate per cortili, edifici di culto e strutture di servizio che assicurano il funzionamento della comunità (Ufficio Postale, Ambulatori medici, Centro Sociale per Anziani, sedi per gruppi ed associazioni). Nel corso dei secoli ha subito lente e continue trasformazioni, ha determinato e determina, ancora oggi, il maggior numero di impulsi al resto del paese, perché possiede la concentrazione massima di servizi, di storia, di bellezza. La parte più significativa è quella che gravita intorno ai Cortili Castello, Stellazzo e Pedroni. Il cortile Castello, nel Medioevo di proprietà della famiglia di sant’Arialdo Alciati, è ora del comune di Cucciago che l’ha recuperato tra il 1980 e il 1985. Citato nel 1147 da una pergamena dell’archivio di Stato di Torino, il Castello sta in posizione strategica, nel centro del paese. L’edificio possiede due corpi entrambi con pianta quadrangolare irregolare. La Torre, unica testimonianza di quella che fu la residenza degli Alciati, è di forma quadrata, alta una decina di metri, costruita con grandi blocchi di serizzo locale accostati gli uni agli altri con poca malta. Il restauro completo, avvenuto dal 1980 al 1985, ha ridato vita e splendore ad un complesso che sembrava perso per sempre. All’ingresso è visibili lo stemma degli Alciati, ora del Comune di Cucciago, costruito con ciotoli di diverso colore».
http://www.comune.cucciago.co.it
«Il castello di Casiglio è uno dei monumenti della storica famiglia dei Parravicini, ramo non secondario dei potenti signori di Carcano. I Parravicini lasciarono la loro impronta non solo nell'abitato fortificato da cui presero il nome, ma anche nei castelli di Casiglio, Pomerio, Tregolo di Costamasnaga. Non è certo, ma molto probabile anche il loro dominio sui castelli di Erba e di Buccinigo. Unitamente alle fortificazioni, essi distribuirono nell'Erbese un buon numero di chiese, alcune rimaste come cappelle private, altre aperte alle popolazioni. Una di queste è certamente Santa Maria di Casiglio entro la quale riposa, in una pregevole urna marmorea trecentesca sorretta da due colonne cilindriche, Beltramino Parravicini Legato a Latere per il Papa Benedetto XI oltre che figlio del signore di Casiglio. Può essere indicativo che la chiesa di Santa Maria non sorgesse nell'area del castello, ma ad una certa distanza. Ciò potrebbe far pensare che tanto la chiesa quanto il castello fossero di epoca più tarda rispetto ai fasti della fortezza di Carcano, la quale aveva al suo interno la chiesa di San Nazaro, noto sacrario dei Parravicini.
Se resta incerta la sua matrice feudale, il castello di Casiglio può essere, con sicurezza, annoverato tra i capisaldi della fazione guelfa, la quale, nell'Erbese e nel Comasco, ebbe tra gli alfieri proprio i Parravicini. A differenza dei cugini di Carcano, che in età comunale si convertirono da soldati in burocrati, i nobili di Parravicino conservarono viva la voglia di battagliare e, fino al tempo delle signorie, entrarono da protagonisti in ogni rissa. Da queste parti essi ebbero per fedeli alleati i Carpani, i Meroni ed i Sormani, con i quali costituirono un serio ostacolo all'ascesa dei Visconti, forti del supporto dei ghibellini. Di questa storica opposizione mancano saporite testimonianze, due delle quali si potrebbero ambientare proprio a Casiglio. Entrambe ci sono state tramandate dagli scritti di Bernardino Corio, storico di simpatie viscontee che fu, per alcuni anni, podestà di Erba. Egli era molto amico del rettore di Santa Maria di Casiglio che, a quel tempo, era prete Antonio Beretta e che lo aveva spesso ospite. Memore della fiera opposizione guidata dai Parravicini contro gli amici dei Visconti, il Corio scriveva che la Pieve di Incino era un nido "veramente molto piacevole et ameno, ma habitato da pessimi e cativi ucelli?". Tra questi falchi con artigli guelfi, neppure il Corio poté sminuire il valore di Tignasca Parravicini, battagliero trascinatore dell'opposizione ai ghibellini e protagonista di gesta memorabili. Le cronache di queste lotte fanno pensare che il prode Tignacca trovasse spesso rifugio e sostegno proprio in questo castello di Casiglio e che in questo scenario incarnasse il crepuscolo del medioevo. Tignacac era infatti fratello di Aicardo, capostipite di quei Parravicini che si distinsero per più generazioni, come medici. L'immaginario incontro dei due fratelli tra le mura del castello di Casiglio evocherebbero dunque la transizione del Medioevo dei forti all'Umanesimo dei sapienti».
http://www.comune.erba.co.it/html/monumenti/citta/monumenti/castello_casiglio.html
ERBA (castello di Erba non più esistente)
«Il castello di Erba sorgeva in cima ad un poggio a terrazze e si apriva sul grande parco che sovrasta la parte alta di Erba e la distesa di colline degradanti fino a Parravicino e al lago di Alserio. Doveva essere un castello ben munito se poté sottostare ai durissimi assalti e alle potenti distruzioni, durante le scorrerie di Federico Barbarossa, le guerre di Como coi Rusca, i Torriani, i Visconti e gli Sforza. I primi proprietari, membri della famiglia ghibellina Di Herba, divengono vicari imperiali per decreto di Federico Barbarossa, poi marchesi del luogo e, sul finire del '600, uniscono il loro cognome a quello degli Odescalchi in virtù della parentela con il papa Innocenzo XI. Nel 1160 i borghigiani di Erba partecipano alla gloriosa battaglia di Carcano, detta anche di Tassera, alleandosi con i Milanesi contro Federico Barbarossa e il castello sopporta duri assalti. Si tramanda che il Barbarossa dall'alto di uno dei torrioni facesse segnalazioni ai suoi soldati durante la battaglia. I Milanesi, sopraffatti in un primo tempo dalle truppe imperiali, ebbero poi modo di riprendersi e di sbaragliare l'avversario grazie al provvido soccorso dei castellani di Erba e di Orsenigo, che intervennero al loro fianco determinando l'insperato capovolgimento della situazione. Per questo loro contributo decisivo alla vittoria delle armi ambrosiane, gli abitanti di Erba (come quelli di Orsenigo) furono ricompensati con il privilegio della cittadinanza milanese, ascrivendone i nomi tra gli abitanti di Porta Oreinatle, parrocchia di Santa Babila. Per ricordare questo quel glorioso passato, la città di Erba, in una sezione del suo stemma, conserva la croce rossa in campo bianco, insegna propria del comune di Milano.
Nel 1278 il castello cade nelle mani di Cassone della Torre, il quale l'aveva cinto d'assedio per vendicarsi dei castellani alleatisi nella battaglia di Desio nel 1277 con il suo avversario, l'arcivescovo Ottone Visconti. Nel 1404 Giovanni da Carcano, condottiero dei Visconti , a capo di una banda di mercenari, richiude nel Castello Franchino e Ottone Rusca fino alla conclusione della pace tra Milano e Como. Degli anni successivi la storia non registra altre vicende. Nei primi decenni dello scorso secolo una famiglia milanese, i Valaperta, sceglie questa proprietà per porvi la propria residenza estiva. Allo scopo di conservare al luogo il nome di castello i Valaperta, fatti demolire i pochi resti della fortificazione medioevale, vollero erigere due torrioni che ancora oggi dominano il poggio».
http://www.comune.erba.co.it/html/monumenti/citta/monumenti/castello_erba.html
«Recentemente restaurato e restituito all'antico splendore, il castello è oggi hotel. Pomerio, ricordato nei documenti medioevali come "el loco de Pome'" e il cui nome ricorda il latino "Pomario", luogo fuori delle mura della città, consacrato alla religione, appartenne ai nobili Parravicini di Parravicino. Il castello risale probabilmente ai tempi delle invasioni degli Ungari (sec. X). Rifatto o ampliato nella prima metà del XIV secolo dal cardinale Beltramino Parravicini, il castello, che possedeva un appartamento nobile riccamente affrescato, pare fosse anche sede di una guarnigione. Dai Parravicini passò ai Carpani, ai Crivelli Visconti e, da ultimo, ai Corti. L'originario ingresso sulla provinciale Lecco-Como è senza dubbio la parte più antica: è un avanzo di torre in stile lombardo databile intorno all'XI secolo. Questo ingresso, non utilizzato, immette nella corte d'onore del castello nella quale campeggiano due vecchissimi gelsi, ricordo di quando nel Settecento e nell'Ottocento, l'edificio divenne filanda. Nella facciata che guarda verso Albavilla (ovest), si aprono varie bifore, forse ricostruite nei primi del secolo XX in stile gotico lombardo. In tutto l'edificio è fatto abbondante uso del cotto. Nella parte più antica del castello sono tornati alla luce alcuni affreschi: in cima alla scala di legno che dal porticato, nella corte d'onore, porta ai piani superiori, è un San Cristoforo; nel salone dei banchetti al secondo piano è una Madonna col Bambino e San Benedetto, mentre sulle pareti della sala, come nella sala attigua, restano alcuni frammenti di decorazioni recanti gli stemmi dei Parravicini e dei Carpani».
http://fspinelli.altervista.org/argomenti/erba/index.htm#POMERIO
FABBRICA DURINI (villa-castello Durini)
«Edificata su una collina che domina la natura circostante, Villa Castello Durini fu nei secoli meta dell’alta società aristocratica, politica e culturale. Vi soggiornarono molti ospiti illustri, fra i quali Parini, Rossini, Verga e i reali di casa Savoia. Le origini sono antichissime, risalgono a prima dell’anno Mille. Sviluppatosi intorno ad una torre di origine tardo romana, questo vasto complesso architettonico è andato crescendo ininterrottamente fino al primo ‘800. Nel 1815 l’architetto Carlo Amati progettò la sala da pranzo, la cappella di famiglia e il parco. Il balconcino che si affaccia sulla torre era originariamente posto sulla facciata di Palazzo Durini a Milano. Da qui il governatore spagnolo parlava al popolo. La dimora oggi mette a disposizione quattro sale per ricevimenti e può accogliere fino a 180 posti seduti e 500 in piedi. All’esterno è pregevolissima la scalinata barocca. La strada che porta alla villa crea uno scenario unico, fondendosi con lo splendido panorama circostante, formato dalla catena delle Alpi, dal Monte Rosa, dalle Grigne e dal Resegone».
www.fondazionedurini.com/fondazionedurini/Il_Castello_Durini.html
«Essendo stata nei secoli passati crocevia di importanti vie di comunicazioni, tutta l'area di Colico fu munita fin dall'età medievale di numerose fortificazioni, ancora prima della costruzione del Forte di Fuentes. Sul Montecchio settentrionale sono ancora visibili due torrette di guardia, che costituivano il cosiddetto Castello di Colico, di epoca comunale, ma largamente rimaneggiate, a controllo delle strade provenienti dalla Valtellina. Più importante sotto il profilo strategico della Torre di Fontanedo, che faceva parte di una più complessa opera di fortificazioni edificata nel corso del XIV secolo dai Visconti. Dalla torre era possibile dominare tutto l'Alto Lago, l'entroterra di Colico e la zona dell'attuale lago di Novate Mezzola. A difesa dell'antica strada che collegava il Lago di Como con la Valtellina, nel territorio di Curcio, troviamo un'altra torre di vedetta, probabilmente collegata al Forte Fuentes e oggi trasformata in abitazione agricola e chiamata la Torretta di Curcio. Sempre del sistema difensivo del Forte doveva far parte il cosiddetto Fortino d'Adda, o Stallone, che sorge fuori dai confini comunali, nel territorio di Gera Lario. Doveva servire come punto protetto per le attività di sorveglianza e come magazzino. Molto singolare la sua struttura che presenta feritoie per il tiro delle armi da fuoco e un ponte in muratura che raccorda l'ingresso principale al piano. Attualmente è usato come magazzino. Un'ultima fortificazione è posta nel territorio di Olgiasca. Si tratta in questo caso di una casaforte, che dalla cima del colle controlla l'abitato sottostante. È nota come il Castello di Mirabello e dovrebbe essere stata edificata prima della metà del Cinquecento».
http://it.wikipedia.org/wiki/Colico#Torrette
«L’imponente palazzo, edificato su un promontorio roccioso sporgente tra monti e lago, domina il paese. Questa fastosa dimora fu voluta nel 1586 dal cardinale e segretario di Stato al soglio pontificio Tolomeo Gallio. Investito da pochi anni della contea delle Tre Pievi di Gravedona, Sorico e Dongo, affidò a Pellegrino Tibaldi, architetto del Cardinale Carlo Borromeo, la realizzazione dell’edificio, ma venne completato dopo il 1607, anno della sua morte. Il palazzo andò ai suoi nipoti, duchi d’Alvito, e non ebbe mai vita splendida. Fu utilizzato dai francesi e dagli spagnoli come ospedale, fino a che, agli inizi dell’Ottocento passò per varie proprietà private. Oggi il palazzo appartiene alla Comunità Montana Alto Lario Occidentale, monumento nazionale, è vanto del comune di Gravedona e di tutti i gravedonesi. La tradizione ricorda che avrebbe dovuto ospitare quel Concilio della Controriforma Cattolica che invece fu tenuto a Trento. È a pianta quadrata con quattro torri massicce angolari legate da stretti loggiati; logge sovrapposte si aprono anche sulla facciata verso il lago e su quella a monte regalando la vista di un bellissimo paesaggio. Le mura di cinta hanno incorporati i resti dell’antico castello distrutto nel secolo XII. Questa pianta del Palazzo è ispirata a quella delle "ville della delizia" che il Palladio era andato costruendo in quegli anni nelle dimore patrizie di campagna dello Stato Veneto di terraferma, apparendo tale Palazzo come antesignano delle analoghe ville che sorgeranno sul Lario e in tutta la Brianza nel periodo seguente. Sotto la loggia rivolta verso il lago è stata esposta un’iscrizione dove si legge: “Tolomeo Gallio di Santa Romana Chiesa, Cardinale Comense e Signore delle Tre Pievi di Gravedona, Sorico e Dongo, attratto dal clima temperato e dall’amenità del luogo ornò e rese più illustre il nobile paese di Gravedona con questo grandissimo palazzo con giardini, fontane e piscine nell’anno del Signore 1586”. L’interno: il vasto salone centrale raggiunge in altezza due piani, oggi utilizzato per mostre, concerti e convegni. Lateralmente è affiancato da altri ambienti su due piani, collegati tra loro da loggiati. Questi locali sono utilizzati dagli uffici della Comunità Montana Alto Lario Occidentale e dalla Biblioteca comunale. Il Palazzo non presenta arredamenti e opere di grande fasto, presumibilmente perché i lavori vennero ultimati dopo la morte del committente e dunque mai utilizzato per lo scopo che il proprietario gli aveva destinato. Monumento nazionale, Palazzo Gallio, vanto del comune di Gravedona, è ora sede della Comunità Montana».
http://www.gravedona.it/italiano/palazzogallio.asp
«La Villa Crivelli è comunemente chiamata dagli abitanti di Inverigo Il Castello, a testimonianza della sua natura composita e del suo passato ruolo di centro del potere poliziesco e militare della regione. Il complesso rappresenta un unicum poiché in esso vi si legge il passaggio architettonico e storico, avvenuto nel corso di quasi dieci secoli, da castrum medievale a dimora di famiglia aristocratica rurale e infine a villa di delizia, con un esteso giardino e varie cascine di pertinenza. La porta ad arco di fronte a te è l’ingresso del castrum, il nucleo più antico della Villa Crivelli. La sua esistenza è attestata almeno dal 1026, probabilmente come luogo fortificato per l’avvistamento e la difesa del borgo dalle scorribande degli Ungari e da centro di controllo di un ampio tratto di valle del Lambro. Nel 1411, dopo un periodo di abbandono, il complesso fu acquistato dall’antica famiglia patrizia dei Giussani che lo rimaneggiarono, trasformandolo in residenza signorile e centro amministrativo di tutte le cascine del circondario. Ai due lati dell’ingresso si trovano le due torri di guardia e di prigione, all’interno si possono riconoscere i magazzini, l’infermeria, le abitazioni delle guardie, il pozzo, il torchio, il palazzo signorile. Continuando sulla destra, si nota (sebbene ora coperta di vegetazione) la garitta (piccola costruzione di vedetta) di guardia al ponticello in mattoni che collega il castrum al castro pretorio, edificio già esistente a metà Quattrocento, caratterizzato da finestre monofore in stile gotico-lombardo. Salendo si giunge al secondo ingresso della Villa, fatto edificare dai Crivelli, dal quale si domina tutta la piana della valle del Lambro.
I beni dei Giussani inverighesi, fra cui il castello, passarono alla famiglia Crivelli nel 1580 quando Tiberio Giussani nominò suo erede il nipote Flaminio Crivelli, a patto che ogni primogenito di famiglia portasse sempre nome di “Tiberio”. In quegli anni i Crivelli si stavano affermando politicamente ed economicamente grazie all’acquisto di feudi nel Ducato di Milano, arrivando in seguito a comprendere tra i loro possedimenti quasi tutta la Brianza e la Lomellina. Inverigo divenne la residenza regolamentare del governo feudale del casato Crivelli, tanto da far dire all’abate Annoni che ‘Inverigo fu chiamato la capitale della Brianza’. Tra la seconda metà del Seicento e l’inizio del Settecento, i marchesi adattarono gli edifici adiacenti a Nord del castrum in “casa da nobile”, cioè in villa signorile, e completarono il loro sistema di potere con il trasferimento, tra il 1777 al 1797, della Pretura ad Inverigo nella sede del castro pretorio, con la trasformazione del castrum in carcere e in abitazione delle guardie. (Piccola curiosità: tutte le celle avevano uno stretto pertugio di luce rivolto verso il campanile, affinché ci fosse ispirazione di pentimento e catarsi.) L’edificio si arricchì in questo periodo del teatro di corte (1758), con antiche macchine sceniche ancora presenti, e di spazi dedicati al lavoro dei coloni e della servitù. Fra questi si segnalano il gigantesco torchio del 1736, che testimonia come, fino all’arrivo della fillossera (parassita della vite) a fine Ottocento, il 30% dell’intero territorio inverighese fosse coltivato a vite con un’importante produzione vinicola, e le cucine settecentesche (con annesso forno per il pane, camino monumentale e cuoci-vivande in muratura) che sono una rarità nel nostro territorio.
La giurisdizione dei Crivelli cessò nel 1797 con l’abolizione dei privilegi feudali ad opera del governo napoleonico. I marchesi, quindi, spostarono la loro dimora abituale a Milano e Il Castello venne declassato a centro amministrativo delle pertinenti tenute agricole ed a una tra le tante ville di campagna dei Crivelli. Il passaggio da centro feudale a villa di delizia fu sancito dalla costruzione dell’ala Est, il porticato neoclassico con vista sul Piano d’Erba, su disegno del famoso architetto Leopoldo Pollack. Con questa aggiunta la pianta dell’edificio diventò a quattro corpi, chiusa a corte, mentre prima era ad U. è proprio ad Est che venivano ammassati negli ultimi giorni di giugno le tonnellate di bozzoli maturi da destinare alle filande della seta. La storia della famiglia Crivelli a Inverigo ebbe termine negli anni ’50 quando, col collasso dell’economia contadina della cascina, gli eredi dell’ultimo marchese, Uberto Crivelli, svendettero tutti i possedimenti, senza offrire la possibilità di prelazione agli affittuari delle corti circostanti la Villa. Da più di sessant’anni, la Villa Crivelli e il castrum giacciono in uno stato di sconfortante abbandono. Durante recenti lavori di restauro, sono stati recuperati pregevoli opere seicentesche e settecentesche, fra cui alcune di Giovanni Ghisolfi, affreschi cinquecenteschi ed una sinopia (un disegno preparatorio per un affresco) trecentesca con la rappresentazione di un orso giocoliere posto fra due giullari».
http://www.quelvialepercorso.it/percorso/villa-crivelli/
Isola Comacina (resti di fortificazioni)
a c. di Vittorio Mastrolilli
LAINO (resti del castello di Laino Intelvi)
«Del castello di Laino d'Intelvi, in Val d'Intelvi, si conosce la data di fondazione, avvenuta intorno alla metà del VI sec. d.C. (556) per volontà del famulus Christi Marcellino, secondo quanto riporta un'antica epigrafe ritrovata in loco. Si apprende inoltre, che in epoca longobarda il castrum venne inserito nella giudicaria del Seprio. I dati architettonici sono veramente esigui. La fortificazione sorge su di uno sperone di roccia tanto prominente, da dominare le valli di Osteno e Intelvi, in direzione del lago di Lugano. Il castello, sviluppatosi intorno all'antica chiesa di S. Vittore, presenta opere di fortificazione relativamente modeste, edificate forse per motivi urgenti, senza che vi fosse una precedente pianificazione. Rimangono solo alcuni ruderi della cinta muraria».
http://www.icastelli.it/castle-1257898420-castello_di_laino_di_intelvi-it.php (a cura di Giuseppe Tropea)
Lurate Caccivio (castello dell'Abate)
a c. di Vittorio Mastrolilli
a c. di Vittorio Mastrolilli
«Il castello di Monguzzo si erge su un colle isolato chiamato Mons Acutus, monte Acuto appunto, da cui si scorge un panorama stupendo sulla Brianza e sulle montagne circostanti. L'epoca precisa in cui il castello fu costruito è avvolta nel mistero. I primi documenti che ne parlano risalgono all'anno 920 d.C. quando i canonici di S. Giovanni di Monza ricevettero la proprietà (ma non si fa cenno a nessuna fortificazione o edificio) insieme ai vari beni donati da Berengario I. Il primo riferimento ad una fortezza edificata su questo terreno risale invece al 1383, quando i Visconti ne fecero dono al condottiero Iacopo Dal Verme; a quell'epoca viene descritto come una costruzione cinta da mura, composta internamente da quattro ambienti e tetto in tegole, con sotterranei in cui erano ubicate le prigioni e, addirittura, una sala delle torture. In seguito, il castello venne donato ai Bentivoglio (1486).
Tra il 1527 e il 1531 un temuto capitano di ventura, Gian Giacomo Medici, con uno stratagemma se ne impossessò con la forza. In quegli anni egli lo fece diventare il suo quartier generale e lo dotò di sotterranei, passaggi segreti e botole dove spesso venivano imprigionati i suoi nemici. Alla sua morte la proprietà tornò ai Bentivoglio che demolirono quanto realizzato da Gian Giacomo dei Medici. Successivamente passò ai Novati e poi ai Rosales che, nel 1700, lo trasformarono così da renderlo un palazzo di villeggiatura. Nel 1853 il castello fu acquistato da dal conte Sebastiano Mandolfo, mentre nei primi anni del 1900 divenne di proprietà di Ferruccio Benocci. Questi diede inizio ad una notevole opera di restauro che venne però ultimata dalla moglie Leonilda Trussardi, a causa della prematura morte del marito. Alla morte di Leonilda (1972), per lascito testamentario, il complesso fu donato all'ordine dei Fatebenefratelli di S. Giovanni di Dio, che lo hanno adibito a Centro Studi Ospedaliero. Il complesso sorge su una proprietà di oltre 60.000 mq ed è costituito da tre edifici: il Castello, avente pianta a U, più volte ricostruito e restaurato negli anni '70 del 1900, il Castelletto, con camere per gli ospiti e biblioteche, e la Pusterla. sede dei servizi di custodia (portineria e appartamento dei custodi) e sala da pranzo per gli ospiti».
http://www.altabrianza.org/reportage/castello_monguzzo.html
«La Torre di Ossuccio, detta anche del Soccorso, è entrata a far parte del patrimonio del Fondo ambiente italiano. L'acquisizione è stata anticipata sull'ultimo numero del bollettino informativo dell'associazione. "Da rifugio d'amore - si legge - la Torre di Ossuccio, monumento di origine medioevale nascosto tra la vegetazione a 400 metri sopra il lago, è entrata nella famiglia del Fai sempre per amore. Un amore per l'educazione e la sensibilizzazione alla tutela dell'arte e della natura italiane. Acquistata dall'architetto Clemente Bernasconi negli anni Cinquanta, che l'adattò a casa di vacanza, è stata lasciata al Fai per legato testamentario dalla figlia Rita, scomparsa nel settembre dello scorso anno". Secondo le ricerche effettuate a suo tempo dall'architetto Luigi Mario Belloni, la struttura risalirebbe al sistema fortificato del Lario dell'epoca romana o tardo romana e avrebbe acquisito ulteriore importanza nel periodo comunale, quando la struttura a picco sulla Zoca de l'Oli aveva assunto interesse come punto di avvistamento, oltre che di difesa».
http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Homepage/195748_la_torre_di_ossuccio__di_propriet_del_fai/?mediaon... (a c. di M. Butti)
«La villa venne ricostruita alla fine del Cinquecento dal cardinale Tolomeo Gallio su disegni del Pellegrini predisposti per i Giovio, a cui apparteneva precedentemente la proprietà. E ai Giovio, al conte Giambattista, la villa ritornò nel 1778, per passare pochi anni dopo al cardinale Angelo Maria Durini, che la restaurò e arricchì il giardino di statue, fontane, nuovi viali e pergolati. Il cardinale, esperto diplomatico e cultore delle lettere e delle arti, comprò anche il vicino Dosso di Lavedo dove fece costruire un secondo edificio, la villa Balbianello. Passata a diversi proprietari, villa Balbiano è stata restaurata negli anni Sessanta per volere di Hermann Hartlaub. Appartiene oggi alla famiglia Canepa».
http://www.larioonline.it/lagodicomo/lagodicomo.asp?name=Villa%20Giovio%20Balbiano
PARRAVICINO (torre, villa Parravicino Sossnovsky)
«La villa è situata nell’ambito dell’antico borgo medievale di Parravicino, annesso al castello feudale costruito dai “nobili de Paravexino” dell’XI secolo; a memoria ne rimane la torre pendente. Il corpo centrale della villa risale alla fine del ‘500, come attesta il fastoso salone ricco di affreschi rinascimentali (scene di putti, strumenti musicali e paesaggi della verde Brianza), e da monumentale camino in pietra molera sormontato dagli stemmi Parravicini, Visconti e Belgioioso. Il lato nord comprende una tipica corte brianzola con pozzo e annessa casa medievale. Una scritta riferisce che quest’ultima fu “Riparata da Mastro Franceschino de Carella di Eupilio nell’anno 1420”. I Parravicini, signori di Parravicino, hanno per stemma un cigno bianco in campo rosso; nella tradizione della linea primogenita i discendenti della famiglia risiedono tuttora in questa dimora».
http://www.villeparravicini.it/sossnovsky_storia.html
PELLIO INTELVI (resti del castello, casa Corti)
«La Valle d'Intelvi trova posto in provincia di Como, non lontano dal confine svizzero. Presso il comune di Pellio è stata segnalata la presenza di un dosso posto un centinaio di metri a sud-est dell'antica chiesa intitolata a S. Giorgio, menzionata in un testamento risalente al 1186 d.C. Si tratta di un piccolo pianoro dalla sommità piatta, lungo 43 metri e largo 28. Indagini effettuate già a partire dal 1995 hanno permesso di individuare i resti di un edificio a pianta rettangolare, con una superficie interna di circa 500 mq. Il corpo di fabbrica pare risulti diviso in due porzioni principali, delle quali quella nord avrebbe le fattezze di un cortile, mentre quella meridionale rappresenterebbe la parte abitata, ulteriormente divisa in cinque vani di dimensioni differenti. Nel complesso la muratura non gode di fondazioni profonde e il materiale da costruzione è in linea di massima locale, anche la calce è reperita in loco, poiché la pietra della valle è un buon calcare marnoso. Il muro perimetrale, spessore circa un metro e mezzo, è a sacco, i due paramenti sono costituiti da pietre sbozzate di forma rettangolare, su filari regolari. Il riempimento interno è formato dal consueto materiale di scarto con allettamento di malta.
Diversamente, le pareti divisorie dei vani hanno uno spessore medio di 55 cm., il materiale da costruzione è quasi sempre lavorato a faccia vista e la pietra non è squadrata. Indagini hanno permesso di comprendere almeno in parte il tipo di copertura dell'edificio. Assenti le tegole, si ritiene infatti che la copertura fosse affidata a lastre di pietra scistoide, le cosiddette "piode", sorrette da probabili travature lignee. I piani di calpestio risultano invece abili, sottili e in larga parte distrutti dalle coltivazioni. Ciò ha fatto pensare ad un uso dell'edifico ridotto nel tempo ed a un successivo abbandono causato non da eventi traumatici. Risulta interessante che, a seguito dell'abbandono, l'area interna della costruzione sia stata utilizzata per seppellire bovini, le cui sepolture risultano intenzionali. Le fosse sono in linea con l'andamento delle murature e vennero probabilmente create in un periodo in cui l'edificio era già stato abbandonato, ma non definitivamente crollato su se stesso. Interessante notare anche la presenza, nei pressi dello spigolo sud/est della struttura, di un'imponente muratura, spessa ben 3 metri e che si conserva per un breve tratto. Si ritiene possa essere ciò che rimane delle mura di cinta, edificate lungo l'intero perimetro del pianoro. In punti diversi della struttura sono stati rinvenuti, durante le indagini, sette denari in argento con il nome dell'imperatore Ottone I e databili al X sec. d.C. La data è confermata dall'utilizzo del radiocarbonio in alcuni resti di carboni (l'età ottenuta attraverso successiva calibrazione va dal 950 d.C. al 1050 d.C.).
I resti della struttura sembra non abbiano altri confronti tipologici. Ciò che permette di identificare l'edificio come i resti di un castello risiede sicuramente nelle caratteristiche edilizie, che denotano certamente l'utilizzo di maestranze specializzate (la Valle d'Intelvi fa parte della regione che darà di lì a poco origine ai famosi "magistri Antelami, famosi in tutta Europa per le loro abilità nell'edilizia). Anche il toponimo locale, "Cailèt", lascia intender che un tempo sul dosso sorgesse un edificio fortificato. Riguardo alla brevità della frequentazione e dell'utilizzo del sito ben poco si può dire. Alcuni reperti comunque garantiscono una frequentazione sporadica fino al XIV-XV sec. d.C. Riguardo alla presenza di una struttura fortificata presso Pellio Superiore, le fonti storiche poco o nulla riportano. La Valle d'Intelvi è menzionata in alcuni documenti a partire dall'VIII sec. d.C. In un atto di vendita del 799 il territorio si ricorda col toponimo di "Antellaco", trasformatosi in "Antelamo" in un diploma di re Ugo, databile al 929 d.C. In questo scritto il sovrano conferma al monastero di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia la concessione di Liutprando al fine di utilizzare i magistri Antelami della valle, gli stessi che nel XII e XIII giungono a formare una corporazione presso Genova, città nella quale si trovano conservati numerosi atti privati relativi alle attività dei magistri. Fra i tanti documenti, uno riporta la più antica menzione della chiesa di S. Giorgio di Pellio Superiore, beneficiaria, insieme alla chiesa di S. Michele di Pellio Inferiore, di lasciti in denaro. Pellio è presente in altri documenti degli inizi dell'XI sec. d.C. Della presenza di castelli nella valle, i documenti risultano esigui e vaghi. Sul Castello di Laino d'Intelvi si posseggono solo dati archeologici e epigrafi. Di un altro sito forte, il Castiglione d'Intelvi, si attesta la presenza, oltre che dalla toponomastica, dalla presenza di un documento del 987 d.C., nel quale si ricorda, per l'appunto, un "Castro Castillioni". Nessuna identificazione plausibile si può ipotizzare per un altro castrum, il "Castro Axongia o Axungia", ricordato in un paio di documenti dell'804 e 807 d.C. Certamente l'incastellamento della valle ebbe rapporto diretto con le vicende storiche che interessarono il lago di Como tra altomedioevo e i successivi secoli centrali della stessa epoca (X/XIII sec.), non ultimi gli accadimenti che videro come protagonista la grande fortezza dell'isola Comacina [a cura di Giuseppe Tropea]».
Casa Calvi, in via Castello, è un edificio residenziale, di proprietà privata, databile al secolo XVII.
http://www.icastelli.it/castle-1258292058-castrum_di_pellio_di_intelvi-it.php
«Il Castello di Rezzonico si trova a Rezzonico, frazione di San Siro sul Lago di Como. Pare sia stato costruito dalla famiglia Della Torre durante il XIV secolo, è di pianta trapezoidale con tre torri. Si trattava di un "castello-recinto", cioè un'area di circa duemila metri quadrati dal perimetro murato che conteneva le abitazioni e la torre principale. Più che un castello vero e proprio, pertanto, consisteva in un'opera di fortificazione estesa all'intero abitato. Probabilmente sostituì una precedente fortificazione del borgo di Rezzonico, i cui resti sono ancora visibili in pochi lacerti del muro di cinta e da due porte d'accesso del vicino centro abitato. Oggi il castello è caratterizzato dall'alta torre medioevale con coronamento a merlatura».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Rezzonico
SCARENNA (torre dei Pallavicini)
«A Scarenna, frazione di Asso, si trovano una torre, molto rimaneggiata, e resti diroccati forse della cinta muraria. La rete di fortificazioni della valle, che, secondo lo storico Coradazzi, ebbe notevole importanza strategica e militare fin dall’epoca gotica, bizantina e poi longobarda, comprendeva anche, come torri di segnalazione, i campanili delle chiese romaniche. Alcune notizie e fatti d’arme cui presero parte i Vallassini, da Memorie storiche della Vallassina di Carlo Mazza, 1796: - Asso e la valle fecero sempre parte del Ducato di Milano, ma godettero di una certa autonomia (Statuti di Vallassina del 1343); - 1130: viene costruita ad Asso la torre detta, un tempo, dei Begni (oltre a quella del castello, in Asso vi erano i resti di altre tre massicce torri visibili fino agli inizi dell’Ottocento); - 1140: viene costruita la torre di Scarenna dalla famiglia Pallavicini».
http://digidownload.libero.it/motoclubasso/Itinerari/Asso%20+%20Valle%20Mulini.pdf
SORICO (castello di San Giorgio, torre romana o Nuova)
«Il castello di San Giorgio è una fortezza (ora in stato di rudere) edificata in età feudale al di sopra dell'abitato di Sorico in provincia di Como. Probabilmente ben più antico del XI secolo, le poche fonti storiche citano l'edificio quale avamposto di segnalazione ed avvistamento sul primo tratto del lago di Como. Ultima testimonianza della costruzione è la cronistoria della visita pastorale del vescovo di Como Feliciano Ninguarda del 1593. Il vescovo descrive l'edificio come diroccato con una cappella o chiesa dedicata a San Giorgio in disuso anch'essa: "Sopra Sorico, a un quarto di miglio dalla chiesa arcipretale, si trovarono sopra il monte alcune pareti rustiche e quasi diroccate, nelle quali v’è una cappella semicircolare egualmente diroccata e con la volta crollata, che altre volte era dedicata a San Giorgio ed è scoperchiata". Attualmente, lasciato il sentiero che porta sulla sommità della collina di Sorico sulla parte più alta del rilievo, si riconoscono nell'intrico della vegetazione possenti murature in pietra di Moltrasio e la base di una piccola torretta rivolta verso nord. Al di sotto di una breccia in un barbacane si accede ad un locale semi invaso dai detriti con volta a botte. Secondo un'incerta tradizione, da sempre si posiziona proprio in questo salone l'antica cappella di San Giorgio cuore del fortilizio. In assenza di ulteriori fonti storiche ed archeologiche il castello di San Giorgio potrebbe risultare il fortilizio donato da Federico Barbarossa alla Chiesa di Como il 25 ottobre 1167 ed elevato a Fortezza Imperiale assieme alla torre di Olonio e al castello del Baradello di Como Il sito necessiterebbe di un'approfondita campagna archeologica sinora mai attuata».
«Torre Nuova. L'edificio, originariamente di base quadrata, è stato costruito con conci lapidei legati con malta aerea. Non esistono documenti certi sulla sua edificazione, ma gli storici concordano che il suo passato utilizzo era punto di controllo o riscossione dei dazi della Antica Via Regina, che corre poco più a sud. Negli anni '60 del XX secolo la torre venne acquistata da privati e ristrutturata; ulteriori locali abitativi sono stati aggiunti perimetralmente alla base».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_San_Giorgio_%28Sorico%29 - http://it.wikipedia.org/wiki/Sorico
SORICO (resti della torre di Olonio)
«La torre di Olonio è fortilizio militare ora in stato di rudere un tempo utilizzato come punto di controllo e di riscossione dei dazi sulle merci che navigavano da e per la Valchiavenna e la Valtellina sulle direttrici navigabili dei fiumi Mera e Adda. La torre sorgeva sulla sponda sinistra del fiume Mera all’altezza della riserva del Pian di Spagna, sul confine tra i comuni di Gera Lario e Sorico in provincia di Como. L’edificio venne costruito in età imperiale romana ma il primo documento che ne attesa ufficialmente la funzione e la posizione geografica è del XII secolo quando il 25 ottobre 1167 Federico Barbarossa dona la torre di Olonio e il Castello di San Giorgio di Sorico al vescovo di Como.
Un atto del XV secolo descrive l’edificio dotato di sistema riscossione dei pedaggi e dalla torre stessa si comandava un impianto di catene amovibili tese sopra la superficie del fiume alfine di evitare e scoraggiare la navigazione non regolare. Per secoli l'edificio viene descritto con meraviglia dai visitatori che si soffermano nel citere come il fortilizio spuntasse letteralmente dalle acque. Alberto da Vignate nel '500 scrive sulla funzione della Torre: "Tore de Vologna, fortezza con rivelino in mezzo del lago... et pocho de sopra de dicta Torre Adda entra in lo lago. Così lì se poria andar in Valtellina andando a man drita che è lo suo passo: andando al drito per lo lago si va a Chiavena".
Nel 1520 il disastroso mutamento del letto dell’Adda che prima sfociava nel lago di Mezzola fece si che il fiume andò a scontrarsi direttamente contro la torre. Undici anni più tardi nel 1531 dopo la stipula di un trattato tra i Grigioni e il ducato di Milano la torre di Olonio venne abbandonata e smantellata. Secondo la tradizione locale, il materiale lapideo sarebbe stato impiegato per la costruzione del forte di Fuentes a Colico. Sino al 1960 tracce delle possenti murature della torre erano ancora visibili e oggi rimangono pochi segni della costruzione come i suoi originali seminterrati utilizzati quali cantine di alcune abitazioni private in località Ponte del Passo del comune di Gera Lario».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Olonio
«Costruita nel lontano 1577 dal conte Giovanni Anguissola governatore di Como. Nel 1590 il nipote del governatore vendette la villa, pare per una cifra irrisoria, a Pirro Visconti Borromeo. La villa ospitò importanti personaggi fra cui Napoleone, Byron, Volta, Rossini. Fra luci ed ombre, fra rinascite repentine e lunghi periodi di abbandono e decadenza – celebre la denuncia dello stato di degrado in cui versava la villa da parte del poeta inglese Percy Bysshe Shelley - la proprietà della magione passò di mano varie volte nel corso dei secoli fino all’ultimo acquisto, nel 1983, da parte della “Società Pliniana” che nel maggio 2001 ha iniziato i lavori di restauro della villa tornasca, il cui interno è oggi tristemente spoglio. La famiglia Valperga, dopo la vendita del 1983, trasferì infatti altrove i preziosi arredi che abbellivano sale e stanze. All’interno del cortile campeggia una statua di Nettuno - il dio greco del mare Posidone - quasi a ricordare la fama imperitura della fonte pliniana che continua a stupire nei secoli. L’antico splendore è però ancora testimoniato dagli artistici soffitti a cassettoni con le sottostanti fasce dipinte, dai pavimenti in mosaico con stemmi araldici, e dalla bellissima loggia dorica, dalla quale si gode una splendida vista sul primo bacino del Lario comasco. La fonte intermittente della “Villa Pliniana”. Un fenomeno naturale che da secoli rende Torno conosciuto in tutto il pianeta. Protagonista del fenomeno è un’acqua sorgiva perenne che alimenta la famosa “Fonte Pliniana Intermittente” che si trova all’interno dell’omonima villa. Il suo nome deriva dal fatto che furono proprio Plinio il vecchio e Plinio il giovane a descriverla nelle loro opere. “Una fonte copiosa che sempre cresce e cala ogni ora”: così la descrive Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. A lungo gli esperti - tra cui alla fine del XV secolo Leonardo da Vinci - si arrovellarono sulla reale natura di questa fonte dal funzionamento oscuro e misterioso. secondo l’ipotesi moderna più plausibile sarebbe dovuta alla presenza di un sifone naturale in una cavità carsica. Quando l’acqua raggiunge all’interno della grotta una certa altezza, si scarica verso l’esterno. Diminuisce così la portata fino al successivo accumulo interno ed alla nuova tracimazione».
http://www.comolake.com/arte-e-turismo/472-3-palazzi-chiese-ville/8417-villa-pliniana-torno
«Tremezzo si affaccia sul lago con case a portici in uno dei punti più belli del Lario. Lo sguardo spazia sul promontorio di Bellagio e sulle Grigne e i paesini lungo la sponda orientale. Alla fine dell'abitato si trova la Villa Carlotta. La villa è alla sommità di un bellissimo giardino terrazzato ricco di oltre 500 specie di piante favorite nella fioritura dalla dolcezza del clima. Nel giardino troviamo pergolati di agrumi, siepi di camelie, azalee, rododendri, platani, sequoie secolari, piante tropicali, la valle delle felci australi, palme, cedri, il giardino di bambù e conifere secolari. La serra utilizzata in inverno per gli agrumi è stata trasformata in un interessante museo. La villa fu fatta costruire alla fine del 1600 dal marchese Clerici: si presenta come un edificio di sobria imponenza. All'inizio del secolo XIX la villa divenne proprietà di Gian Battista Sommariva, abile politico e collezionista d'arte. Le raccolte d'arte si arricchirono con capolavori di scultura, tra cui opere di Canova e della sua scuola e di Thorvaldsen e il monumentale fregio con i Trionfi di Alessandro Magno, che oggi si possono ammirare al piano terreno. Al piano superiore, dotato di una elegantissima galleria, si ammira la villa dal punto di vista abitativo. È qui che abitava Carlotta, il personaggio che diede il nome alla villa: intorno al 1850 la villa divenne di proprietà della principessa Marianna di Orange-Nassau che la donò alla figlia Carlotta quando sposò Giorgio II, duca di Sachsen-Meiningen. Fu merito del duca, appassionato di botanica, lo sviluppo e l'arricchimento del giardino, che oggi è di grande pregio storico ed architettonico. La villa ora è affidata ad un apposito ente che ne ha valorizzato il museo e i giardini» - «Villa Carlotta è un museo e un parco botanico. è un complesso in cui la componente artistica e quella paesaggistica sono inscindibili e la struttura architettonica, le collezioni d'arte, i vasti giardini e il parco sono elementi di un progetto collezionistico e residenziale che si è sviluppato nel corso di due secoli, a partire dalla fine del XVII secolo. Le sale interne ospitano capolavori di Canova, Thorvaldsen e Hayez. Il parco è celebre in tutto il mondo per la spettacolare fioritura primaverile dei rododendri e delle azalee. Un recente restauro conservativo ha restituito a nuove destinazioni d'uso la Torretta, interessante edificio ottocentesco in stile neomedievale, luogo idoneo per laboratori didattici, piccole esposizioni di arte e di botanica, nonché punto privilegiato di osservazione del lago e di una parte del giardino».
http://www.auser.lombardia.it/como/comp/progetti/7134-villa_carlotta - http://www.provincia.como.it/temi/tempo-libero/cultura...
«Sorta nel XIII, la torre faceva parte del più ampio complesso castellare demolito del tutto nel 1527 dalle truppe spagnole in seno alla lotta che vide opposti i Rusca e Gian Giacomo Medici il Medeghino, ossia piccolo medico. Costruita in laterizi, il suo solido aspetto è interrotto soltanto da 3 monofore e feritoie su altrettanti livelli. Sugli angoli di ciascun lato il prospetto i laterizi sono disposti in modo da creare un profilo seghettato che, raggiunta la sommità della struttura, culmina in un merlo».
http://www.exploro.it/portal/content/?page=place-detail&id=43969&lang=it
VILLINCINO (resti della rocca, torre Incino)
«Sorgeva questa rocca su un rialzo acciottolato nella piccola piazza Torre in località Vill'Incino che costituì tra il XIII e il XIV secolo un attivo centro medioevale. In origine il forte apparteneva ai Carpani, la loro ultima discendente visse nella casa - detta stallazzo - nella vicina piazzetta Prina. Ancora oggi si possono scorgere un portico ad archi ribassati, soffitti a cassettoni del '400 con lacunari in parte affrescati con ritratti di gentiluomini e di dame dell'epoca, finestre trecentesche in cotto. Dopo la battaglia di Desio (1277) quando vennero abbattuti i castelli, anche quello di Vill'Incino resta abbandonato, ma verso il 1500 diviene sede di religiosi. Con l'editto di Saint Cloud nel 1810 l'edificio viene messo all'asta e aggiudicato a un Casati. Oggi del castello, elencato tra i monumenti nazionali, resta solamente un rudere. Esso è in posizione lievemente sopraelevata e il suo portale a volta chiusa conserva un'elegante bifora con colonnetta in marmo di Candoglia. Le case della piccola e suggestiva contrada sorgono sull'area del castello del quale resta pure la Pusterla, torre in pietra a vista, con piccole finestre a sesto acuto e una loggia rustica. Nella Pusterla è stata rinvenuta una rara "forchetta" del periodo alto medioevale, attualmente conservata al Civico Museo di Erba. Si pensa che il borgo di Vill'Incino abbia conosciuto le feste pagane tramandate a noi lungo il corso dei secoli: la festa della "Giubbiana" e del "Masigott". Il "Masigott", alla terza domenica di ottobre, è la festa della vendemmia e trae il suo nome da una polenta di farro o grano duro detta appunto "masigott". Dal borgo medioevale partivano pure le lunghe processioni che, durante le grandi epidemie, giungevano fino alla chiesa plebana di Santa Eufemia».
http://www.comune.erba.co.it/html/monumenti/citta/monumenti/rocca_villincino.html
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