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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI VERCELLI

in sintesi, pagina 1

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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Agnona (resti del castello)

Foto di S. Beltrame, dal sito http://web.tiscali.it/archeovercelli2/LUOGHI%20I   Foto di S. Beltrame, dal sito http://web.tiscali.it/archeovercelli2/LUOGHI%20I

«La località è già citata nel documento di acquisto, da parte di Guido di Biandrate, di vari beni valsesiani del 1070 (Mor 1933, VIII, p. 14), ma è ipotizzabile la presenza di una fortificazione solo dal diploma di Corrado III del 1140-41, in cui sono ricordate Rocca, Montrigone, Agnona e Seso "cum omnibus castris et villis" (Mor 1933, XIII, p. 25). Agnona è successivamente ricordata in vari documenti dal 1152 al 1247, anno successivo alla formazione del borgo franco di Seso. Il Mor ricorda che "solo gli incastellamenti antecedenti al secolo XII, e continuatisi per il secolo seguente ebbero un'effettiva portata nella formazione di circoscrizioni territoriali, come s'è avverato anche per Agnona" (Mor 1960, p. 86) che appare più tardi legata al borgo di Seso come comunità autonoma col nome di Riparia di Agnona, comprendente Aranco, Foresto, Isolella e Doccio. Del luogo "chiamato tuttora il castello [rimane] qualche rudere da cui appare essere stato più che un castello una torre d'avviso" (Ravelli 1924, I, p. 146). I resti, coperti da folta vegetazione, sono stati schematicamente rilevati dalle ricognizioni a terra e hanno evidenziato tracce di un fabbricato a pianta quadrangolare, probabilmente la torre, chiuso da un recinto cui era annesso un fabbricato avente pianta rettangolare. Il complesso era, a quanto sembra, contornato, a quota leggermente più bassa, da un secondo recinto che seguiva i contorni dell'altura. La tecnica costruttiva utilizza scheggioni di pietra locale a secco. Il rilevamento sommario, comunque suscettibile di approfondimenti e di verifiche, mostra un piccolo ma interessante impianto difensivo che occorrerebbe studiare in modo più ampio, e con metodo archeologico».

http://www.archeovercelli.it/fortifab.html#anchor43194


Alagna Valsesia (casaforte Steiner)

Dal sito wwww.localidautore.it   Foto di Andrea Garavaglia, dal sito www.google.it/maps

«Comune in provincia di Vercelli, composto da un gran numero di frazioni, sorge in una conca circondata da pini ai piedi del Monte Rosa. Rappresenta il principale centro della Valsesia in cui convivono architettura tradizionale walser ed edifici moderni. Le case Walser sono costruzioni in legno dotate di basamenti di pietra e tetti ricoperti da piode, scaglie di pietra grigia. è un centro di soggiorno e di sport invernali dotato di impianti sciistici e ricettivi, punto di partenza per numerose escursioni come alla volta di punta Indren a 3260 metri, nel cuore del Monte Rosa, dove è possibile praticare lo sci estivo, al rifugio Gnifetti, a 3647 metri, e al rifugio Regina Margherita, il più alto d'Europa, a 4559 metri. Fu fondato nel XIII secolo da un gruppo Walser proveniente dalla Svizzera, della cui presenza rimangono tracce nelle costruzioni, nei costumi e nella lingua. Al principio l'abitato fu aggregato a quello dell'attuale Riva Valdobbia, ma se ne separò quasi del tutto nel 1475. Verso la fine del Cinquecento gli Scarognini di Varallo diedero inizio all'attività di sfruttamento delle miniere d'oro, argento e rame attirando manodopera dalle zone limitrofe e contribuendo, in tal modo, a far perdere ai Walser l'isolamento che li aveva caratterizzati fino a quel momento ed aveva consentito loro la possibilità di conservare intatta l'identità culturale fino alla metà del Cinquecento. Nel 1842 divenne una base importante per partire alla volta del Monte Rosa. Da vedere: la parrocchiale di San Giovanni Battista risalente al Cinquecento presenta grandi affreschi sulla facciata, opera dei fratelli Avando, un pregevole portale in stile gotico ed una altissima torre campanaria. L'interno è a tre navate sostenute da colonne di granito nero. Conserva una pala d'altare del Seicento ed un altare laterale della fine del XVII secolo. Il castello, edificio storico situato a Pedelegno, di probabile origine quattrocentesca. Il Museo Walser nella frazione di Pedemonte è ospitato in una casa di legno del Seicento, conserva attrezzi e mobili tradizionali. ... Casa Steiner, situata all'ingresso del paese, ingloba i resti di un castello».

http://www.localidautore.it/paesi/alagna-valsesia-902.aspx


Albano Vercellese (castello)

Dal sito http://iluoghidelcuore.it   Dal sito www.comune.albanovercellese.vc.it

«Dal X secolo, sotto l’episcopato di Attone, Albano risulta tra le pievi della chiesa vercellese; il possesso al Vescovo di Vercelli fu confermato coi diplomi imperiali di Ottone III (999) e di Federico Barbarossa (1152) fino al 1179, quando una parte venne ceduta al Comune di Vercelli. Dopo esser stata proprietà di varie famiglie (Tizzoni, Avogadro, de Albano), nel 1335 Albano passò ai Visconti fino al subentrare dei Savoia (1407). Nel 1621, per volere del duca Carlo Emanuele I, Albano (insieme ad Oldenico e Cascine San Giacomo) fu eretta contea di Mercurio Arborio di Gattinara, gran cancelliere di Carlo V d’Asburgo. Ancor oggi l’edificio del Castello appartiene alla famiglia Arborio di Gattinara. Secondo gli storici, quando Albano si trovava sotto la dominazione del Comune di Vercelli, era circondato da uno spalto e da un fossato, lungo il quale venivano piantati cespugli spinosi; nel XIV – XV secolo venne edificato un vero e proprio castello. Alcune notizie sullo stato del fabbricato nel 1671 e in particolare l’esistenza di case rovinate fuori dal castello verso est, potrebbero attestare l’esistenza di un abitato a ridosso del perimetro fortificato, probabilmente un ricetto, la cui esistenza, allo stato attuale delle conoscenze, non è però documentabile. Il castello fu ristrutturato nel XIX secolo, ma conserva parti antiche risalenti al XV secolo. Descrizione del sito: di fronte alla chiesa parrocchiale ottocentesca si apre via XX Settembre, che costeggia il muro esterno del castello. Il muro di cinta del giardino è di recente costruzione, ma vi sono ancora tratti delle cortine medievali. Le parti antiche dell’edificio sono la bella torre d’ingresso a pianta quadrata, risalente alla metà del XV secolo, sopraelevata nel Seicento con una struttura che incorpora gli originari merli bifidi (ancora riconoscibili), fornita di torretta angolare cilindrica. A testimonianza dell’importanza dell’antico edificio signorile, fonti documentarie attestano ancora nel Seicento la presenza di un fossato largo m 12, che circondava l’intero perimetro del castello, oggi colmato. Il castello si trova fuori dell’abitato, in direzione del fiume Sesia».

http://archeocarta.org/albano-vercellese-vc-castello-e-oratorio-della-ss-trinita/


Alice Castello (castello o ricetto)

Dal sito ik2uvr.malpensa.net   Dal sito www.comune-alicecastello-vercelli.it

«Il palazzo che noi chiamiamo comunemente "il Castello", non è effettivamente quello di cui si parla negli atti antichi del quale, purtroppo, non rimane più nulla se non il muraglione esterno. L'attuale costruzione e un grande edificio posto sui lati nord e nord-ovest del poggio centrale del paese. Al piano superiore, dalla quale si accede tramite scale di pietra, ha stanze enormi con ampie finestre da cui si può godere di una bella vista delle Alpi. Le decorazioni delle volte facevano presupporre che fosse stata una abitazione signorile. Anche le pareti erano finemente dipinte. Erano...: oggi sono state ricoperte da diversi strati di tinte in più riprese. Sopra l'architrave di una porta era affiorato un affresco, si pensa di S. Andrea. Vi si conservava una piccola cappella con relativo altare nella quale era possibile celebrare messa. Dietro l'altare era appeso un dipinto raffigurante la Madonna Immacolata. Un lungo e ampio corridoio, posto sopra il portico sul lato antistante la piazza della chiesa, rende comodo l'accesso alle camere. Sulla lunga parte esterna curvilinea che si affaccia sul paese si notano, delle belle finestre a forma di fiore corrispondenti ai locali del solaio. Non è stato trovato nessun documento che parli della costruzione di questo palazzo, ne vi sono date incise o dipinte su parti dell'edificio, eccetto su una cisterna d'acqua piovana, posta nel giardino, sul coperchio della quale si legge 1750. Tuttavia lo stile dell'edificio fa pensare di più al secolo XVII. Negli antichi atti si trova spesso la denominazione di "casa dell'Abbazia" e tale edificio risulta coesistente al Castello Medioevale. Con l'incameramento dei beni degli ordini religiosi, ovvero sotto la denominazione napoleonica verso il 1800, il "castello" fu ceduto al barone francese Domenico Du Port. Non si sa ancora bene come questo signore fosse capitato da noi, ma si presuppone al seguito dell'esercito napoleonico, o come ufficiale, o come funzionario statale. Alla sua morte lasciò le proprietà al figlio Camillo che ne risultava ancora proprietario nel 1864».

http://www.comune-alicecastello-vercelli.it/Home/Guidaalpaese/tabid/18673/Default.aspx?IDPagina=7275


Aranco (torre)

Dal sito www.evvivaborgosesia.it   Dal sito www.evvivaborgosesia.it

«...L'antica strada “biandrina” dalla pianura alla Valsesia si snodava lungo un percorso segnato di rocche e di castelli: Sillavengo, Carpignano, Breclema (nei pressi di Gemme), Romagnano, Grignasco; a nord di Grignasco il castello di Robiallo, sovrastante Bettole; Montrigone, con un suo borgo dipendente ; Vanzone (sul colle dell'attuale chiesetta di Santa Maria) con un borgo sottostante, e la rocca di Roccapietra sorvegliavano in sponda sinistra i passaggi di uomini e merci da e per la pianura, garantivano la sicurezza delle mandrie e greggi transumanti. Ma vigilavano pure su importanti strade d'accesso alla valle, forniti di armi e di soldati per la difesa e l'offesa. In sponda destra il castello Agnona, con l'avancorpo della torre di Aranco, controllava lo sbocco della Valsessera (terra vercellese) e la strada da Gattinara a Serravalle (pure vercellesi). Era un sistema difensivo capillare e coerente, al centro del quale su un'altura di Seso si ergeva il castello tradizionale di Biandrate» - «Edificio su tre piani in pietra di pianta quadrata copertura in coppi. Di origine medievale, già di proprietà dei conti di Biandrate. Utilizzato come luogo difensivo e dogana».

http://www.comune.borgosesia.vc.it/storia.php - http://www.evvivaborgosesia.it/borgosesia_cultura/it-torre-del-trione.html


Arborio (castello)

Dal sito http://artestoria.terapad.com   Dal sito https://novartestoria.files.wordpress.com   Dal sito https://novartestoria.files.wordpress.com

«Arborio, feudo della Chiesa vercellese, poi dei conti di Biandrate, verso la fine del XII secolo passò al Comune di Vercelli. I signori di Arborio presero parte, infatti, alle lotte civili comunali a fianco degli Avogadro. Verso la fine del dominio visconteo, nel 1357, il castello venne espugnato e saccheggiato, poiché il luogo era passato alla giurisdizione dei Savoia. Il castello è ricordato per la prima volta nel 1224 e nello stesso periodo il Comune di Vercelli imponeva alla comunità la manutenzione degli spalti e dei fossati. L’esistenza del ricetto è attestata già nel 1266. Quando, nel 1407, i signori di Arborio fecero atto di dedizione ai Savoia, ripararono gli apparati di difesa, alcune cellule del ricetto e costruirono un palazzotto nella zona più elevata, posta nello spigolo nord-ovest dell’area fortificata, la “rocha castri”, oggi “Rocchetta”. Il complesso, nei secoli, subì devastazioni ad opera del Marchese del Monferrato, degli Spagnoli e dei Francesi, ma la struttura è ancora leggibile, benché anche la conservazione degli edifici medievali e degli elementi fortificati residui non sia stata sempre adeguata. La pianta doveva essere rettangolare, di circa m. 70 x 90, cinta da mura. Le cellule edilizie, di piccole dimensioni, erano su isole parallele all’asse maggiore. Per alcuni aspetti di carattere giuridico il ricetto di Arborio sembrerebbe di appartenenza signorile e non comunitaria, anche se il tessuto urbanistico non lo diversifica dagli altri ricetti della zona. Descrizione del sito: il sito del ricetto è rialzato di circa tre metri rispetto alla zona circostante; la parte interna delle mura, costruita in ciottoli posti a spina di pesce, è quella più antica del XIV secolo; invece l’esterno, frutto delle riedificazioni del secolo successivo, ha il paramento in mattoni, con cornici in cotto e merlatura di colmo, ormai non più identificabile. La cinta difensiva è leggibile per quasi tutto il perimetro, escluso il lato nord. Le mura quattrocentesche sono alte circa m. 6,5 rispetto al piano esterno, mentre quelle più antiche avevano un’altezza di m. 5,5. Nello spigolo inferiore sud del perimetro è rimasta una torre angolare a pianta circolare. La torre-porta, ora inglobata in un fabbricato, era al centro del lato occidentale. Sul lato opposto dell’area rimangono tracce di una seconda porta quattrocentesca. Le cellule del ricetto sono state molto manomesse, ma conservano in alcuni casi tratti di murature medievali. Dall’altezza originaria di circa m. 5, sono state alzate a m. 7. Anche la struttura urbanistica interna è stata alterata. La Rocchetta rivela alcune delle sue strutture originarie: tratti di merlatura a coda di rondine e tre finestre a sesto acuto, contornate da cornici in cotto».

http://archeocarta.org/arborio-ricetto/


Arelio (resti del castello)

Veduta aerea dei resti della fortificazione, dal sito www.academia.edu   Dal sito www.teses.net

«La località compare per la prima volta in un documento del 999 (Panero 1985, p. 12), successivamente in vari documenti del secolo XII, fra cui l'atto del 1173 in cui i conti di Cavaglià si dichiarano vassalli del vescovo di Vercelli (Avonto 1980, p. 202). I documenti fanno però riferimento all'abitato o villa, con la chiesa di S. Maria, e non al castrum che sovrasta la zona. L'Ordano ritiene che la fortificazione potesse essere già in abbandono nei secoli XI-XII (Ordano 1985, p. 80) e la totale mancanza di attestazioni per un sito di così grande rilevanza rende l'ipotesi assai plausibile. Sulla collina, a forma di cono, si trova un ripetitore R.A.I., il recinto segue i contorni del pianoro, su di un lato è ancora visibile un tratto di muratura di ciottoli alternati a filari di laterizio della lunghezza di una trentina di metri; piú in alto sulla cima sono riconoscibili i resti di una torre e di un altro edificio approssimativamente inscrivibili in un rettangolo di m 9x14, il muro raggiunge lo spessore di 130-140 cm (Ordano 1985, pp. 79-80). L'area del bric di Arelio è una interessantissima area archeologica».

http://www.academia.edu/12388290/LUOGHI_FORTIFICATI_FRA_DORA_BALTEA_SESIA_E_PO


Asigliano Vercellese (resti del castello)

Dal sito www.tecnicocavour-vc.com   Dal sito www.asigliano.it

«Cittadina del Piemonte in provincia di Vercelli , situata a 127 m. di altezza nella bassa pianura tra il Sesia e il suo affluente Marcova. Il territorio comunale si estende su una superfice di 26,3 Kmq. Gli abitanti riportati dall'ultimo censimento sono 1419. La sua economia è quasi esclusivamente risicola. Fra i suoi monumenti ... di rilievo pure il Palazzo dei Buronzo di Asigliano. Edificio tardo rinascimentale del XVII secolo, rimaneggiato nella prima metà dell'Ottocento, caratterizzato in facciata da un doppio loggiato centrale, non richiedono particolari esigenze nella struttura della pagina. ... Asigliano fu feudo dei vescovi di Vercelli da epoca anteriore al 1000. Il luogo, già noto nel secolo IX, venne donato alla Chiesa di Vercelli, se dobbiamo prestar fede al noto e discusso diploma di concessione del 16 marzo del 881 dall'imperatore Carlo il Grosso al vescovo Liutvardo. Questo nome viene accettato dalla storiografia locale, come primo titolo in possesso da parte della Chiesa Vercellese, il diploma di Carlo II. Un esame critico di tale documento, ne proverebbe l'evidente falsità. è comunque autentico il diploma di Ottone III del 7 maggio 999 che cita per la prima volta “Asigliano”, che conferma alla chiesa di Vercelli la “curtis de Asiliano”, così pure Federico Barbarossa, con diploma del 7 ottobre 1152, confermò precedenti donazioni, specificando “Asilianum cun omni districto et integritate”. Le famiglie feudatarie che si sono alternate al feudo asiglianese, oltre alla Chiesa di Vercelli, furono gli Avogadro, i Cavalca, infine i Bronzo. Il paese divenne importante per il suo Castello. Poco nulla rimane. Venne costruito quasi sicuramente durante il periodo delle grandi incursioni degli Ungari che il 13 dicembre 899 d.C. razziarono il vercellese, trucidando il Clero. Nel castello si trovavano gli edifici più importanti del borgo: l’abitazione dei Signori, il Palazzo Vescovile, la chiesa, la torre nella quale si trovava la casa comunale, le abitazioni dei servi, il forno per la panificazione, le scuderie, le prigioni. Questa costruzione, ben fortificata, era situata nella parte più alta del paese. Il suo perimetro era di 135 "trabucchi" pari a 400 metri circa. Il complesso fortificato sorgeva su una altura costruita con terra di riporto (1433-1438). Con ciò spiega anche perchèl'attuale parco comunale sorge in un'area molto bassa rispetto al livello della piazza e delle abitazioni che a semicerchio lo circondano. Ancora oggi troviamo antiche testimonianze di un passato pieno di lotte e di morte, come il muraglione e il campanile, ricavato da una torre del castello».

http://www.asigliano.it/Template%20Cenni%20Storici/Cenni%20storici.html


AURIOLA (castello)

«I re Ugo e Lotario donarono nel 933 cortem que nominatur Auriola ...cum castro et capellis (Panero 1979, p. 21) agli Aleramici, che ebbero da allora dominio sulle terre comprese fra i corsi del Lamporo e della Stura, confini settentrionali e meridionali della corte. L`identificazione di Darola con l`antica Auriola, proposta dal Sincero (Sincero 1897, p. 56) ed accreditata in varia misura dall`Avonto e dall`Ordano (Avonto 1980, pp. 240-241; Ordano 1985, p. 122) per l`indubbia assonanza del toponimo, non soddisfa pienamente, essendo la località di Darola poco a nord del corso attuale del Lamporo (Panero 1979, p. 22, nota 21) e, pertanto, esterna agli antichi confini naturali della corte. Qualche dubbio può permanere su quale fosse, comunque, il reale corso del Lamporo nel X secolo, in una regione assai mutata dall`intensa attività agricola. Certo è che sia il toponimo Darola che quello di Leri ricordano rispettivamente Auriola e Aleramo e rendono pressoché certa la localizzazione della corte in questa parte del Vercellese (Dionisotti 1896, p. 162; Ogliaro 1972, p. 55; Giordano 1979, p. 96; Borla 1982, p. 38; S. Michele 1989, pp. 18-19). Decisivi elementi per approfondire le ricerche della località scomparsa sono offerti dal Panero (Panero 1979, p. 22, nota 21), che ricorda l`esistenza di una chiesa di Sancti Martini de Cortorola in territorio trinese, attestata ancora nel 1220, e di un canale S. Martino che scorre ad est di Montarolo; ad essi si aggiungono, frutto di una ricerca complessiva condotta sul territorio trinese, l`inequivocabile toponimo Castellacium (XV sec., S. Michele 1989, f. 16, p. 56) situato a nord di Trino, non lontano dalla località ad Sanctum Martinum e presso una strata indicata dal toponimo ad stratam, la stessa, probabilmente, proveniente da Ad Septimum, in direzione di Vercelli. L`identificazione del castrum e dell`abitato di Auriola rimane dunque problematica, ma la coincidenza, quantomeno interessante, di tanti elementi provenienti da fonti diverse, porta a ritenere che si debbano approfondire le ricerche nella zona compresa fra la cascina Caluzzano ed il canale S. Martino, lungo la strada di origine romana che un tempo toccava Tres cerros ed il castello di quel luogo. Della corte si fa menzione ancora nel 1014 (Sincero 1897, p.57), successivamente, nelle lotte per il controllo del territorio da parte dei Vescovi e del Comune di Vercelli, e dopo la fondazione nel 1123, da parte di un Ranieri marchese di Monferrato, dell`abbazia di Lucedio sorta sul feudo denominato Auriola (Giordano 1979, p. 74), di essa si perdono le tracce. Auriola costituisce tuttora un interessante quesito in materia di topografia antica e un importante obiettivo per la ricerca storica e archeologica locale».

http://www.cittafutura.al.it/web/_pages/detail.aspx?GID=52&DOCID=5536


Balocco (castello)

Dal sito http://fotoalbum.virgilio.it/alice/vu7ete5anta   Dal sito http://fotoalbum.virgilio.it/alice/vu7ete5anta

«L'attuale costruzione è in gran parte attribuibile al XV secolo. Restano parte della torre d'ingresso, alcuni tratti della cortina con i residui delle due torri orientali, l'una a pianta quadrata, l'altra circolare. L'accesso, un tempo sul lato meridionale, è ora su quello settentrionale. L'imponente mastio, costruito con pietra squadrata per una buon terzo dell'altezza, sembra conservare caratteristiche strutturali riferibili ad epoca anteriore alle riedificazioni quattrocentesche. è possibile che dalle strutture sopravvissute, che probabilmente costituirono il nucleo signorile del recinto originario, si dipartissero il fossato e il muro che cingevano la chiesa di S. Michele e una porzione dell'abitato, non è dato sapere con quale ampiezza. Ad oriente, la piccola casa colonica quattrocentesca, potrebbe essere indizio della presenza di un abitato attiguo al castello circondato dal recinto. Storia: la prima menzione del comune di Balocco si ha nel X secolo nell'elenco delle pievi vercellesi al tempo del vescovo Ingone (924-960). La prima struttura difensiva, fu edificata intorno all'anno Mille, come testimonia un documento del 1186, essa aveva funzionalità di ricetto, cioè era un recinto fortificato atto a difendere le persone, le masserizie e le scorte alimentari da attacchi esterni, il recinto comprendeva anche la chiesa plebana di San Michele e probabilmente il piccolo borgo circostante. Nel 1124 viene menzionato Eustachio Confalonieri di Balocco, primo personaggio noto della potente famiglia che signoreggiò sul paese, fino all'inizio del XVII secolo. Nella frazione di Bastia venne costruita una casaforte che doveva probabilmente servire come avamposto in appoggio al castello. Secondo una leggenda locale un corridoio sotterraneo collegherebbe le due costruzioni per poi biforcarsi e dirigersi verso Buronzo. Verso la fine del XIII secolo si inserirono nel feudo anche i signori di Buronzo, che nel 1328 ricevettero l'investitura di metà del castello. Nel 1335 Balocco passò sotto il dominio dei Visconti. Nel 1357 subì distruzioni a opera di Ugolino Gonzaga. Nel 1373 i Confalonieri di Balocco e i signori di Buronzo, si sottomisero ai Savoia. Nel 1378 Balocco e Buronzo entrarono a far parte del capitanato di Santhià. Nel 1413 i Rovasenda, soggetti alla signoria dei Marchesi del Monferrato, assaltarono Balocco, dando alle fiamme il castello e dopo una furiosa battaglia che lasciò sul terreno 90 morti, furono costretti al ritiro. Nel 1423 il vecchio ed ormai distrutto castello venne ricostruito ed attorno al 1427 il paese venne definitivamente assoggettato ai Savoia. Nel 1601 parte del feudo fu concesso a Claudio Curtet e poi a Giuseppe Pramaggiore. Nel 1622 le truppe spagnole di passaggio saccheggiarono paese e castello. Nel 1635 la proprietà passò a Giovanni Francesco Buronzo della Donne. Nel 1750 la proprietà passò a Marco Antonio Nasi, figlio di Lodovica Maria Plebano».

http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_VC_Balocco.htm


Bastia (casaforte)

Dal sito www.roberto-crosio.net   Dal sito www.tecnicocavour-vc.com

«La casaforte, o bastìa, viene comunemente posta in relazione con il vicinissimo castello di Balocco (Cenisio 1957, p. 68; Conti 1977, p. 136; Ordano 1985, p. 75), del quale potrebbe costituire una posizione avanzata. Non esistono documenti in grado di chiarire le origini della fortificazione, dalla quale si sviluppò, solo nel XVI secolo, il centro abitato di Bastia, la cui parrocchia è documentata a partire dalla seconda metà del Cinquecento. L'edificio ha una pianta piuttosto irregolare e ha subìto aggiunte nel tempo, l'ultima delle quali, risalente al 1824, ha interessato il lato meridionale (Ordano 1985, p. 75). Le più antiche strutture architettoniche, datate al XIV secolo, permettono di supporre che la costruzione sia nata, nella forma attuale, in tale secolo. Il termine bastìa, il cui significato di fortificazione semipermanente è sottolineato dal Conti (Conti 1977, p. 136), potrebbe, tuttavia, far risalire la fortificazione dell'altura ad epoca più antica, e nella forma di apprestamento militare provvisorio, in terra e legno, più appropriato alla denominazione che il luogo ha conservato».

http://www.archeovercelli.it/fortifae.html#anchor433418


Bianzé (fortificazioni, torrone dei Banditi)

Bianzé dall'alto: ben visibile il tracciato delle mura, dal sito www.academia.edu   Castello e grangia del Torrone in una pianta del 1688, dal sito www.academia.edu

«Del luogo, che ha restituito tracce di occupazione di epoca romana (Garione 1929, p. 4, Viale 1971, p. 53), si fa menzione per la prima volta nel 1159 (Panero 1985, p. 13) e compare con il toponimo Blanzay fra i possedimenti del ricco monastero di S. Genuario di Lucedio (Cancian 1975, p. 63). Bianzé fu per molto tempo sotto la dominazione dei Tizzoni di Rive, anche se una parte del territorio era tenuta dalla potente famiglia vercellese dei Bicchieri. Il borgo doveva essere già fortificato nel 1335 ed è assai probabile che lo fosse anche in precedenza. Nel 1362 le mura furono completamente distrutte nella guerra fra il marchese del Monferrato e i Visconti ed esse furono fatte ricostruire dal marchese Teodoro del Monferrato, entrato in possesso del territorio, nel 1387. Un gruppo di case posto a ovest dell'abitato conserva il nome di cittadella (Garione 1929, pp. 4-6). Il tracciato della cerchia muraria e dei bastioni, che hanno sostituito il piú antico recinto fortificato, è ancora rilevabile nell'impianto quadrato dell'abitato e nel profondo fossato che lo circonda (Dionisotti 1861, p. 82). ... Torrone dei banditi. Di una "Grangia e castello del Torrone" non si ha alcuna notizia documentaria e l'unica fonte che testimoni la sua esistenza è una stampa conservata presso l'Archivio di Stato di Vercelli, datata al 1688, dove essa compare, insieme con altre cascine, in una zona al confine fra i territori di Bianzé e di Carpeneto. Da un esame della cartografia territoriale attuale, dai riferimenti topografici e attraverso l'analisi dei toponomi ancora esistenti, si è ritenuto di individuare la località in un'area prossima alle attuali cascine Stroppei e Ariotta, dove, ancora alla metà del XIX secolo, era la cascina "Torrone dei Banditi", lasciando a successivi approfondimenti il compito di meglio chiarire l'origine e la funzione della struttura fortificata».

http://www.academia.edu/12388290/LUOGHI_FORTIFICATI_FRA_DORA_BALTEA_SESIA_E_PO


Borgo d'Ale (borgo fortificato, porta d'Alice)

La porta d'Alice, dal sito http://ontheroadinitaly.style.it   L'antica torre campanaria della parrocchiale di San Michele Arcangelo, dal sito http://ontheroadinitaly.style.it

«Il borgo franco di Borgo d'Alice venne istituito, inter Alicem et Clivolum, dal Comune di Vercelli nel 1270 e nulla è rimasto delle fortificazioni che certamente lo munivano. Fossati e spalti dovevano però essere stati realizzati dal Comune e la Credenza, nel concedere l'istituzione alle medesime condizioni ottenute da Trino, obbligò in perpetuo il nuovo borgo a fornire balestras duas de duobus pedibus de stambuco valentes lib. X. Le popolazioni di Alice, Meolio, Arelio, Erbario e Clivolo vennero autorizzate a recuperare i materiali delle loro case per ricostruirle nel nuovo sito, inoltre venne loro intimato di abbandonare le località di provenienza, fatta eccezione per i detentori di diritti signorili. Nel caso di Alice, ai conti di Cavaglià e ai Bondonni subentrò l'Abbazia di S. Andrea di Vercelli, che, opponendosi lungamente, impedì la distruzione del castello del luogo (Mandelli 1857, II, p. 272 sgg.). A Borgo d'Ale una torre, forse costruita su fondamenta antiche, è segnalata dal Conti che, tuttavia, ritiene che essa non abbia origini medievali (Conti 1977, p. 139); per contro l'impianto urbano conserva tuttora l'andamento regolare tipico del borgo franco ed è ancora possibile riconoscervi l'originaria impostazione planimetrica. L'interesse dell'area è pertanto ormai genericamente di tipo archeologico» - «La nostra gita inizia proprio varcando Porta d’Alice, l’unica delle quattro porte sopravvissute alle tempeste della storia. Costruita in mattoni a tre arcate, la porta che delimitava il borgo verso Alice è anche chiamata “napoleonica”, visto che è stata ristrutturata nel 1780».

http://www.archeovercelli.it/fortifai.html#anchor415778 - http://ontheroadinitaly.style.it/tag/borgo-dale/#?refresh_ce


Borgo Vercelli (castello)

Dal sito https://novartestoria.files.wordpress.com   Dal sito https://novartestoria.files.wordpress.com

«Secondo una notizia di dubbia autenticità, anche se non inverosimile, il castrum sarebbe attestato dal 956 (Perosa 1886, p. 33; con maggiore certezza, esso è presente almeno dal 1039, quando risultava in possesso dei Casalvolone: MGH, IV, doc. 280, pp. 387-389): tale attestazione si inserirebbe nel processo di incastellamento del X secolo, promosso a Borgo Vercelli dalla locale stirpe dei de Bulgaro che avviò in tal modo i primi passi verso la costruzione della signoria rurale sul villaggio, che appare affermata con sicurezza attorno alla metà del XII secolo. Nel 1149, il castello, che appariva dotato di una propria torre attorniata da abitazioni, fu donato dai signori rurali ai consoli del comune di Vercelli (Il Libro degli Acquisti, II, doc. 327, pp. 618-620; I Biscioni, 2/1, doc. 142, p. 239-241). Il comune urbano a partire da tale anno mise in atto uno stretto controllo sull’importante località fortificata nell’immediato oltre Sesia, i cui signori nel 1184, al termine di una disputa, furono costretti a giurare il cittadinatico vercellese (Pacta et conventiones, doc. 273, pp. 296-297). Nei primi decenni del Duecento, inoltre, forse in concomitanza con l’emanazione nel 1225 di uno statuto che impediva che i castelli entro le quattro miglia dalle mura urbiche potessero essere detenuti da non Vercellesi (Statuti del comune di Vercelli, cap. 185, p. 140), il governo cittadino avviò un’inchiesta sulla torre di Borgo Vercelli, per verificare se essa fosse di proprietà civica (Statuti del comune di Vercelli, cap. 187, p. 141). Di certo, nel 1222, sotto la podesteria del milanese Ugo Prealloni, è documentata una spedizione dell’esercito cittadino a Borgo Vercelli (Statuti del comune di Vercelli, cap. 386, p. 271).

Borgo Vercelli era dunque sede di un’importante fortezza, espressione della signoria dei de Bulgaro, ambita dai Vercellesi. Tale aspetto era ancora leggibile alla metà del Trecento, quando il castello fu distrutto dai Visconti, secondo la notizia trasmessa dal cronista Pietro Azario (Ordano 1985, p. 83: "turrim Bulgari cum castro et fortilitio explanaverit"). Solo all’inizio del Quattrocento la struttura fu riedificata in una nuova veste, grazie agli accordi stipulati nel 1411 tra la comunità rurale e i signori. Fu ripristinata la torre, messi in sicurezza la porta d’ingresso e il ponte levatoio, erette nuove case all’interno della fortificazione, a sua volta protetta con ulteriori opere difensive (fossati, baloresche e battaglierie): simili pattuizioni lasciano intuire l’uso della fortificazione come difesa collettiva, a guisa di ricetto, in un periodo di forte insicurezza delle campagne vercellesi (Perosa 1886, p. 74; Ardizio 2010, p. 40; Settia 2001, soprattutto alle pp. 63-68). Sul finire del Settecento, le strutture del castello, oggi in buona misura perdute, erano ancora leggibili: una descrizione del 1780 accenna alla presenza di case nel castello, “alla porta d’ingresso di cotto”, a cucine, cantine e pozzo che si aprivano sulla corte, alla chiesa dedicata a San Pietro e a un torrone con “voltone di cotto”. Inoltre la presenza di un “sito incolto chiamato il revellino” sembra tradire l’antica presenza di una simile fortificazione a protezione dell’ingresso (AC Borgo Vercelli, SS, Estimo, mazzo 127). Anche il Casalis menziona “l’antico castello de’ Bulgari, che ad ognuno de’ quattro angoli ha una torre scassinata” (Casalis 1834, p. 501).

Oltre al castello, dal 1614, in un’epoca di urgenza militare, fu eretto dagli Spagnoli nel territorio del villaggio il forte di Sandoval (Perosa 1886, p. 88; Casalis 1834, p. 504 e, soprattutto, Beltrame 1995): la costruzione implicò la modifica della rete idrica dell’area, causando conflitti con la vicina abbazia di San Nazzaro Sesia (Cappellino 1994, p. 58). Tale fortificazione, che costituiva uno dei capisaldi dell’area, fu smantellataa partire dal 1644, quando il suo ruolo nel sistema difensivo fu rimpiazzato dalla piazzaforte di Vercelli (Beltrame 1995). Il forte risultava distrutto nel 1663 (AD Vercelli, Borgo Vercelli, Consegnamento beni, inventari, permute, transazioni, stati, atti di lite, certificati, locazioni note, in data 1663, febbraio 13). All’epoca del Casalis ancora se ne vedevano le vestigia (Casalis 1834, p. 504). In epoca più antica esisteva nel territorio di Borgo Vercelli una torre, di cui ancora alla metà del XVI secolo sopravviveva la memoria toponomastica in una località prediale. Un documento del 1569 menziona infatti un terreno ubicato "nelle fini di Bolgaro ove si dice alla torre d’Orfengo o sia Moneta tra le fini di Casalino et Bolgaro": potrebbe trattarsi dell’area dell’attuale cascina Moneta, equidistante tra Borgo Vercelli, Casalino e Orfengo (AD Vercelli, Borgo Vercelli, Consegnamento beni, inventari, permute, transazioni, stati, atti di lite, certificati, locazioni note, in data 1569, ottobre 30; si veda anche s.v. Comunanze i riferimenti alla cascina della Moneta)».

http://www.centrocasalis.it/print/scheda/borgo-vercelli


Borgosesia (fortificazioni)

Uno scorcio di Borgosesia, dal sito www.mondodelgusto.it   Il castello di Montigrone di Borgosesia, dal sito www.archeovercelli.it   Dal sito www.comune.borgosesia.vercelli.it

«Della città medioevale Borgosesia mantiene sicuramente il nome, data l'origine germanica di borgo (burg), indicativa di “centro rurale fortificato”-anche solo da un fossato-abitato dal popolo, contrapposto al locale castrum o castellum, dimora del signore e dei suoi rappresentanti. Nella zona nord del centro storico di Borgosesia, salendo dalla piazza parrocchiale lungo le attuali via Cairoli e piazza Garibaldi, in pochi passi percorriamo le tracce del Medioevo borgosesiano più antico. Dall'antichissima pieve del vico (villaggio) di Seso, definita dal vescovo Bescapé “matrice di tutta la valle”, c'inoltriamo nel rione Sassola e per vicoli laterali del nucleo abitato ancora detto borghetto sulla sinistra , e sulla destra tra blocchi/quartieri di edifici dipendenti dal castello dei conti di Biandrate, l'attuale ristrutturato Castellaccio. Raccolti fra la pieve e il castello, gli ambienti di Seso vissero per secoli in un'area di antico insediamento (come testimoniano reperto romani rinvenuti specialmente lungo l'attuale via Nicolao Sottile) percorsa dal rio Pianezza oggi incanalato, circondata da campi e prati per le coltivazioni e i pascoli, tra le colline coperte di boschi o coltivate a terrazze. Il destino di Seso, e del successivo borgofranco, fu determinato dalla sua specifica posizione: dare accesso alla Valsesia superiore e sorvegliare i transiti e i guadi del fiume Sesia. Quando la pieve di Seso, testimoniata come tale fin dai secoli precedenti il Mille, con diritto di battesimo e di sepoltura, fu centro ecclesiastico di un ampio territorio in Valsesia, sino ai confini con la Valsessera e il Cusio, appartenente alla diocesi di Novara, la comunità era organizzata in una curtis (corte) con una propria amministrazione ed economia aperta pure a scambi di mercato, collegata ad un dominio feudale (la contea di Biandrate). L'antica strada “biandrina” dalla pianura alla Valsesia si snodava lungo un percorso segnato di rocche e di castelli: Sillavengo, Carpignano, Breclema (nei pressi di Gemme), Romagnano, Grignasco; a nord di Grignasco il castello di Robiallo, sovrastante Bettole; Montrigone, con un suo borgo dipendente; Vanzone (sul colle dell'attuale chiesetta di Santa Maria) con un borgo sottostante, e la rocca di Roccapietra sorvegliavano in sponda sinistra i passaggi di uomini e merci da e per la pianura, garantivano la sicurezza delle mandrie e greggi transumanti. Ma vigilavano pure su importanti strade d'accesso alla valle, forniti di armi e di soldati per la difesa e l'offesa. In sponda destra il castello Agnona, con l'avancorpo della torre di Aranco, controllava lo sbocco della Valsessera (terra vercellese) e la strada da Gattinara a Serravalle (pure vercellesi).

Era un sistema difensivo capillare e coerente, al centro del quale su un'altura di Seso si ergeva il castello tradizionale di Biandrate. Sino ai primi anni del 1300 la storia valsesiana è più la storia di Biandrate: quando l'ingresso in Valsesia fu spartito tra due gruppi rivali della medesima famiglia. Robiallo e Vanzone toccarono a Guido e Umberto, fedeli a Vercelli ed alla Chiesa; Montrigone e Rocca ai figli del conte Gozio, già residente al castello di Seso, che trasportarono la loro sede a Varallo. Pertanto il comune di Vercelli nel 1246-47 intervenne per difendersi da eventuali attacchi dei conti del comune di Novara. Poco a valle dell'antico Seso costituì un borgofranco, opportunamente fortificato, con una propria amministrazione e particolari privilegi. Il nucleo originario del nuovo borgo (Borgo di Sesio o Borgo Franco, o di Seso negli “statuti di Novara” e nelle “carte valessiane” studiate dal Mor) è in parte identificabile nella zona compresa tra l'attuale chiesa di S. Marta (ampliata sulla primitiva cappella) e la via Borgofranco, probabilmente inoltratesi verso la chiesa parrocchiale e congiunto a Seso fu solo un'addizione del già esistente borgo di castello, opportunamente fortificato nel complesso. E' comunque storicamente accertato che i borghi franchi di Gattinara, Serravalle e Borgosesia furono istituiti dal comune di Vercelli, a monte della prima Rado il primo, e di Naula il secondo; a Seso la presenza del castello e di un borgo imposero un intervento solo aggiuntivo. Il nostro borgofranco, posteriore di pochi anni ai due citati, realizzava per Vercelli un collegamento tra l'ingresso in valle dalle appendici del Fenera all'Oltre il Sesia, verso quella sponda destra di dominio vercellese raggiungibile dal traghetto di S. Maria-S. Marta. La funzione difensiva del Borgofranco di Seso ebbe breve durata: in pochi decenni la potenza di Biandrate e l'alleanza con Vercelli s'indebolirono e si vanificarono, sopraffatte dalla forza politica e militare del comune di Novara e delle nuove istituzioni comunali e comunitarie in valle. Quando,nel corso del 1300 i castelli e le rocche dei Biandrate furono abbattuti, il paesaggio storico valsesiano in parte cambiò ma il Borgo di Seso mantenne per secoli, pur cambiando nome, i luoghi reali e simbolici del suo Medioevo».

http://www.comune.borgosesia.vc.it/storia.php (a c. di Franca Tonella Regis)


Bornate (resti del castello)

Dal sito web.tiscali.it/vercellarchivi/st5.pdf   L'oratorio di S. Maria, denominato "dai ruderi del castello medievale", dal sito http://prealp.msh-alpes.fr

«Nel diploma imperiale di Ottone III del 7 maggio 999 vengono confermate a Leone vescovo di Vercelli le donazioni fatte da Carlo il Grosso al vescovo Liutvardo, fra queste compaiono Bornade et Grignasco et districtu vallis Scicide (Mor 1933, II, pp. 3-4). La località era dunque abitata fin dal X secolo almeno, ma la presenza di una rocca è attestata solo nel 1190 (Avonto 1980, p. 116), quando i Vercellesi, con un pretesto, occuparono il castello e fecero giurare ai signori di Bornate, nella chiesa di S. Maria di Bornate, apud castrum, un patto di alleanza e di sottomissione che assicurò loro il controllo della fortificazione. Nel 1243 il Comune di Vercelli acquistò la giurisdizione vescovile sui luoghi di Naula, Bornate e Vintebbio (Avonto 1980, p. 118), sviluppando il proprio programma di controllo dell'area che avrebbe portato, nel 1255, all'erezione del borgo franco di Serravalle, popolato dagli abitanti delle tre località limitrofe che in gran parte vi confluirono. Nel 1355 anche Bornate passò al dominio visconteo e, nel 1402, Gian Galeazzo Visconti infeudò Serravalle e la Valsesia ai Barbavara che, già nel 1409, vi furono scacciati da Facino Cane con l'aiuto degli stessi loro sudditi. Alla morte di Facino i feudi tornarono ai Visconti che promisero ai Valsesiani di mantenerli sotto la loro diretta signoria. Serravalle, essendo posta nel distretto di Vercelli, venne poco dopo ceduta ai Savoia, nel 1427, mentre il resto della Valsesia continuava a far parte del Ducato di Milano, mantenendo i propri privilegi e la propria autonomia. Nel 1557, al tempo delle guerre tra Francia e Spagna, la fortezza di Bornate, presidiata dai Francesi, fu espugnata e smantellata. Una descrizione dei ruderi, così come si potevano vedere nel 1938, fu pubblicata dal Piolo (Piolo s. d., pp. 168-169), ed essa sembra coincidere con la pianta schematica che il Conti attribuisce al castello di Serravalle (Conti 1977, p. 186): "è fondato sulla viva roccia, che scende in alcune parti a strapiombo sull'abitato. Domina le tre valli che vede aprirsi innanzi come un ventaglio: quella del Sesia, del Sessera e dello Strona. Luogo quindi di sicura difesa. Ora non è che un ammasso di rovine, ricoperte per opera del colono [...] che ha reso coltiva l'area già un tempo occupata dal turrito castello. A differenza del castello di Vintebbio, che è costruito essenzialmente con pietre del fiume Sesia, quello di Bornate invece venne edificato con sassi di natura porfirica tolti dalle rocce lì appresso. I muri che rimangono hanno uno spessore che varia da un massimo di m 1,50 ad un minimo di m 0,50 [...] Non vi è alcun segno dell'esistenza del fosso. Si scorgono alcuni resti delle mura di cinta, i ruderi della torre di vedetta a levante, segni di due torri d'angolo rotonde e nulla più" (si veda anche Avonto 1980, pp. 120-121). La ricognizione a terra ha rilevato solo pochissime tracce di murature, ormai quasi del tutto coperte dalla tenace opera agricola, ancor meno ha rivelato l'aerofotografia, se non la bellissima posizione del sito e ciò che forse resta di una torre, utilizzata come capanno. L'interesse dell'area è quindi, ormai, essenzialmente archeologico».

http://www.archeovercelli.it/fortifac.html#anchor469080


Buronzo (castello)

redazionale

  


Busonengo (resti del castello)

Dal sito ik2uvr.malpensa.net   La chiesa di Busonengo, foto di Antonio Aina, dal sito www.panoramio.com

«La località è citata nei documenti dal 1023 (Panero 1985, p. 13). Il toponimo presenta la tipica desinenza in -engo, considerata di origine germanica. Le terre di Busonengo erano, probabilmente già dalla fine del XII secolo, sotto la giurisdizione degli Avogadro ed anteriormente, con ogni probabilità, della Chiesa vercellese. I possessi degli Avogadro a Busonengo sono ricordati nell'atto di divisione dei beni di Ruffino Avogadro di Collobiano fra i due figli del 1265; queste terre, insieme a molte altre, toccarono a Giovanni Avogadro di Collobiano (Avonto 1980, p. 362). La chiesa di S. Cristoforo è ricordata in un atto del 1259 riferito dal Dionisotti, che accenna pure alla presenza di un castello nel luogo. La parrocchiale, dedicata a S. Giacomo, dipendeva dalla chiesa di Collobiano. La comunità di Busonengo, autonoma nel secolo XVII, nel 1701 fu unita a Villarboit (Dionisotti 1898, p. 65). Il piccolissimo abitato, situato sulla strada Vercelli-Biella, è costituito principalmente da fabbricati agricoli, fra i quali è un edificio, situato presso la chiesa, che ingloba una struttura a forma di torre. Essa presenta, sia all'esterno che all'interno, una grande porta ad arco, posteriormente murata, che dava accesso ad una grande corte. Si tratta dell'unica traccia riferibile ad un edificio fortificato. L'interesse del sito è quindi soprattutto di tipo archeologico».

http://www.archeovercelli.it/fortifad.html#anchor506413


Caresana (castello)

Veduta aerea del castello di Caresana, foto di R. Malerba, dal sito www.academia.edu   Dal sito web.tiscali.it/vercellarchivi/st5.pdf

«...Caresana era forse caratterizzata da un abitato a maglie larghe, attorniato da vaste superfici incolte. Nei primi decenni del XII secolo sono documentati sedimi nella località in Caselle, "sita in villa Carixiane": in un caso con una casa circondata da campi nei pressi della Marcova e del Lamporo (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, pp. 86, 92, 99, 130). Alcuni decenni dopo, nel 1166, la località "in Caselle" non era più ricordata all'interno dell'abitato, ma "extra villam Carixiane" (Le carte cit., p. 238). Dove non si tratti di un'indicazione legata a una diversa percezione del territorio, si potrebbe ritenere che la localizzazione di Caresana fosse stata modificata dai precedenti interventi insediativi. Gli assetti del villaggio furono, infatti, probabilmente modificati dal 1136, quando l'abitato subì un primo intervento di riordino, con la creazione di una villanova o burgum novum che si affiancò al centro preesistente (Le carte cit., pp. 131-132; Panero 1988, p. 28). Nel XII secolo è inoltre documentata l'esistenza di un castello deposito, all'interno del quale trovavano spazio numerose abitazioni e caneve degli abitanti del luogo (Settia 2001, pp. 24, 27). Il castello fu almeno in parte distrutto nei primi decenni del Duecento ("castrum Carexiane fuit destructum"), quando i domini di Caresana costruirono una torre, forse in pietra ("de lapidibus": ABC Vercelli, Motta dei Conti, Atti di lite diversi dal 1226 al 1566, fascicolo senza data relativo agli anni Trenta del Duecento). Nel 1340 esso fu ricordato come "castellacium", nel 1345 come "castrum vetus" (ABC Vercelli, AP, cart. 37, 1340, dicembre 11; cart. 39 [22 novembre 1345]). Le trasformazioni più cospicue avvennero però fra il 1228 e il 1255: nel 1228 i canonici di Sant'Eusebio stabilirono una divisione territoriale con la comunità e fondarono il villaggio di Gazzo, completato due anni dopo (ABC Vercelli, Statuti e patti, cart. 90 [22 aprile 1228]).

È probabile che il borgo nuovo dei canonici avesse contribuito a un parziale spopolamento di Caresana (Panero 1988, p. 36). Nel 1255, al fine di ridiscutere le precedenti convenzioni con i canonici, il comune di Caresana si accordò con quello di Vercelli, ricevendo franchigie da quest'ultimo: i patti si accompagnarono a un consistente intervento edilizio, con l'abbandono dell'antico abitato e l'erezione di un borgo nuovo, al quale si può con tutta probabilità ricondurre l'assetto ortogonale dell'attuale pianta di Caresana (Panero 1988, pp. 56-59). La costruzione del nuovo abitato nel 1255 implicò verosimilmente la ridefinizione delle strutture del castello, inglobato nel borgo e trasformato, probabilmente in epoca successiva, in ricetto (Marzi 2001, pp. 39-41). L'erezione del ricetto è documentata con sicurezza nel 1417: la comunità e il capitolo si accordarono per impiegare numerosi sedimi dei canonici nell'edificazione di un fortalicium dove gli uomini di Caresana potessero "se et eorum bona reducere pro tuicione". I patti prevedevano che i religiosi potessero fruire del ricetto, partecipando però alle spese: essi dovevano aiutare il comune a innalzare il torionum, i fossati, la porta del ponte e i bastimenta (ABC Vercelli, AP, cart. 60 [14 aprile 1417]). La struttura fortificata fu divisa, forse in seguito, in due parti, così come appare in una carta seicentesca, una sezione, la rocca, di spettanza dei signori locali, e l'altra della comunità (Settia 2001, pp. 26-27. Per la mappa Bussi 1985, p. 77). L'odierno assetto insediativo è inoltre caratterizzato da una pletora di cascine che costella le campagne dell'abitato. L'insediamento disperso a Caresana risponde alla necessità di una migliore valorizzazione agricola dei fondi, le cui prime tracce possono essere fatte risalire almeno dalla seconda metà del XII secolo. ...».

http://www.centrocasalis.it/print/scheda/caresana (a c. di Riccardo Rao)


Carisio (castello)

Foto di mpvicenza, dal sito www.flickr.com   Foto di mpvicenza, dal sito www.flickr.com   Dal sito www.academia.edu

«Il comune di Carisio, attestato con certezza almeno a partire dal 1134 quando era divenuto già da circa 8 anni un feudo della famiglia Avogadro, deriverebbe il suo nome dalla gens romana Carisia, che fu proprietaria del fondo in epoca romana. Nel Medioevo fece parte del comitato di Vercelli e il feudo appartenne ai de Carisio. All’inizio dell’XI secolo Roberto di Carisio subì la confisca dei beni da parte dell’imperatore Enrico II per aver parteggiato per Arduino d’Ivrea; nel 1014 l’imperatore diede questi beni alla chiesa di Vercelli e il vescovo infeudò il Castello ai Soleri (o Solaro), che poi mantennero il feudo coi Ratari e gli Avogadro. Dopo il 1373 i signori di Carisio si sottomisero al conte di Savoia e il luogo entrò a fare parte del capitanato di Santhià. Il castello di Carisio era un “castello consortile”, cioè un complesso di palazzi fortificati, con un ricetto attestato in una investitura del 1533. Il ricetto era situato tangente alla rocca, di cui costituiva il confine nord-orientale. Quanto rimane oggi risale alla ricostruzione del castello dopo l’occupazione e la distruzione ad opera delle milizie viscontee di Facino Cane, tra il 1399 e il 1402. Dopo vari passaggi il feudo passò ai Caresana, conti di Nebbione, che lo mantennero fino alla fine del Settecento. ... Il castello di Carisio, situato sull’altura ai margini dell’abitato, aveva una doppia cerchia di mura. Rimane solo qualche tratto di muro in ciottoloni. I resti del ricetto si trovano in due fasce di cellule parallele affacciate su di un asse viario centrale (via Castello), sicuramente affiancatosi alla rocca in epoca tarda; conservano ancora parecchi elementi di interesse: il più importante è la torre-porta all’estremo sud, che mostra ancora le aperture dell’ingresso carraio e pedonale, un tempo servite da ponti levatoi. A fianco, in direzione nord ovest, si sviluppa una parte delle poderose mura del XV secolo che costituirono la cinta esterna del ricetto, con una torre quadrata di cortina».

http://archeocarta.org/carisio-vc-resti-medievali/


Carpeneto (castello)

Carpeneto, dal sito www.gulliver.it   Carpeneto, dal sito www.geocities.com/patrania/

«Di Carpeneto si ha notizia per la prima volta nel 1179 (Panero 1985, p. 14), quando viene citata, insieme con Bianzé, come località autonoma e come confine dei possedimenti di Leri. La presenza di una fortificazione è attestata dal 1299, ma di essa nulla oggi è visibile. Solo un'area dell'abitato conserva la denominazione di "castello" nella tradizionale toponomastica locale».

http://www.archeovercelli.it/fortifah.html#anchor292524


Casanova Elvo (castello)

Dal sito www.castellodicasanova.it   Dal sito www.teses.net   Dal sito www.comune.casanovaelvo.vc.it

«Il primo documento storico in cui si parla del castello di Casanova, risale al 1170 ed è un atto di vendita datato 11 marzo in cui si attesta che i fratelli Umberto, Rainero e Ottone, conti di Biandrate, vendono, per la somma di 700 lire pavesi, il castello di Casanova (castrum Casenove) con tutto quanto essi possiedono in questa località, ai fratelli Dongiovanni e Palatino Avogadro del fu Gualone, per soddisfare i debiti contratti da Corrado, congiunto dei suddetti conti di Biandrate, verso gli Avogadro. I Biandrate, infatti, fedeli all’imperatore Federico Barbarossa, avevano subito una pesante sconfitta, nel 1168 (durante la lotta tra l’imperatore ed i Comuni), da parte dei Vercellesi e dei Novaresi, entrati a far parte della Lega Lombarda; sconfitta che avevano arrecato loro gravi danni economici e militari. Il castello attuale, in discreto stato di conservazione, nonostante le manomissioni, sorge su una pianta quadrangolare. Varcato il portone d’ingresso, si accede ad un vasto cortile interno, sulla sinistra del quale, si erge il vero e proprio castello, mentre sulla destra si possono scorgere la torre cilindrica in laterizio, che ancora conserva al suo interno una bella scala a chiocciola, in mattoni, interrotta dalla parte superiore dalla torre stessa. Essa, pensiamo, è un probabile avanzo di un altro edificio fortificato. Dallo stesso lato sono presenti i magazzini ed i rustici dell’azienda agricola, che oggi ha sede nell’antico fortilizio. Osserva l’Ordano che il castello “è stato più volte rimaneggiato; come appare dal sovrapporsi di diversi tipi di muratura e dalla sopraelevazione della prima e più antica linea di merli. Questi ultimi a coda di rondine, sono ancora chiaramente visibili, benché murati". Secondo lo studioso, il fortilizio venne quasi certamente edificato verso la fine del XIII secolo, quando i signori del luogo, decisero di rafforzare la struttura. La parte più bella del castello è certamente l’alta e possente torre quadrata d’ingresso, situata a mezzogiorno, costruita con ogni probabilità nel XV secolo, quando i signori del luogo pensarono di dover far fronte a numerosi invasori, i quali con ogni probabilità credevano di poter entrare nell’abitato senza trovarvi alcuna resistenza. Il mastio è dotato di apparato a sporgere, nel quale fanno spicco le interessanti mensole delle caditoie, parte in mattoni e parte in pietra, di pregevole stile quattrocentesco. L’interno del castello, pur interessante, è stato ampiamente rimaneggiato; resta l’elegante volta a vela quattrocentesca, inerente allo spazio locale, adibito a cucina. L’antico fortilizio, ridotto ad abitazione, appartiene attualmente al dott. Antonio Bossola» [ora è di proprietà di Giulia Uboldi de Capei Bossola].

http://www.comune.casanovaelvo.vc.it/Guidaalpaese... (da Luciano Pedrola, Casanova Elvo. Frammenti di storia)


Casalrosso (castello)

Una cascina delle campagne di Casalrosso, dal sito www.idealista.it   Casalrosso dal satellite, dal sito www.google.it/maps

«Casalrosso è presente in un documento del 964 (Panero 1985, p. 14), ma del castrum è fatta menzione per la prima volta solo nel 1173 (ACV, I, CCXCV, p. 338), insieme con la villa. Del castello nulla è più visibile, né è conosciuta esattamente la sua collocazione.  I documenti successivi sembrano chiarire meglio la localizzazione del sito e forniscono forse qualche indicazione sulla sua ampiezza. In un atto del 1177 (ACV, II, CCCXLIX, p. 45) leggiamo: primum sedimen tenet Otobonus Gratacellum, ab una parte coheret ei Albertus de putheo, ab alia fossatum castelli de Casalo Russo, a tertia via. Aliud sedimen tenet Ferraria, coheret ei ab una parte ecclesie Sancti Salvatori de Casalo Russo, ab alia Paganus Pancagnorius, a tertia fossatum, a quarta via; e più oltre: in castello de Casalo est una petia de terra cum arboribus fructuum super se habente, cui coheret ab una parte heredes Tiçonis; ed infine: In capite ville... riporta altre coerenze, dandoci la sensazione che i sedimi citati prima fossero in villa. Queste coerenze rappresentano l'unica indicazione in nostro possesso per localizzare il castello, che apparirebbe dotato di fossato e contornato da sedimi confinanti con la via, da identificarsi probabilmente con l'attuale strada comunale proveniente da Lignana e con la chiesa di San Salvatore, tuttora esistente, ma ampliata e rifatta nel 1815 (Orsenigo 1909, p. 257), o con terreni ad essa adiacenti. I precisi rapporti fra le coerenze tenderebbero a collocare il castello in un'area compresa fra la via attuale, la chiesa e il cavo della fontana a nord, che con ogni probabilità alimentava il fossato, in un'area quindi piuttosto ampia dell'abitato situata a nord est dello stesso. La presenza di un frutteto all'interno del castello potrebbe richiamare un tipo di recinto con abitazioni e coltivi all'interno, simile a quello che troviamo ad esempio a Caresana o a Rado, dove era pure presente la rocca o il dongione. Il fatto che si nominino eredi dei Tizzoni all'interno della fortificazione fa inoltre presumere che un ramo di questa importante famiglia avesse o avesse avuto diritti sul castello o su parti di esso. L'antichità della chiesa (1156, Orsenigo 1909, p. 256) e dell'attestazione del castrum e l'assenza di strutture visibili ad esso riferibili fanno sì che l'interesse del sito sia ormai unicamente di tipo archeologico».

http://www.guidacomuni.it/storia.asp?ID=2070


Castel Merlino (fattoria [grangia] fortificata)

Foto M. Borgia, dal sito www.tecnicocavour-vc.com   Castel Merlino negli anni 60, dal sito www.roberto-crosio.net

«L'antica grangia di Castel Merlino, in territorio del comune di Trino, alle sue estreme propaggini occidentali, è un complesso a cui corrisponde una tenuta di 300 ettari, coltivata per soli 4 ettari a prato stabile e per il resto a riso in rotazione con cereali e foraggi. Apparteneva anticamente, assieme a varie tenute della stessa ampiezza (particolarmente famosa quella di Leri, che fu del Cavour) alle "grange" o fattorie dell'abbazia di Lucedio dei monaci Cistercensi, per cui questa parte del territorio si chiama ancor oggi pianura delle grange. Le "grange" hanno nel Vercellese particolare importanza, essendo i prototipi delle grosse corti isolate oggi molto numerose nella zona, anche se i fabbricati sono stati completamente rinnovati nei secoli XVIII e XIX. Interessante a questo proposito lo studio del Donna sull'"Organizzazione agricola della Grangia cistercense". In queste aziende, passate in proprietà a privati, come in tutta la parte centrale del Vercellese, domina la conduzione ad affittanza e la tenuta può essere divisa tra due o più affittuari. Castel Merlino assieme a poche altre è invece condotta direttamente dal proprietario tramite un fattore. Essa presenta perciò piuttosto avanzato il processo di trasformazione e ammodernamento che interessa in maggiore o minore misura tutta la grande azienda risiera e che si esplica soprattutto nello sviluppo della meccanizzazione, dei sili, nella cura e nell'ampliamento della stalla, con preferenza per l'allevamento di bestiame da macello, e infine nelle migliorie apportate alle case dei salariati e in genere di quanti devono abitare nella cascina. Il complesso dei fabbricati copre, compresi gli spazi liberi non coltivati, circa 7 ettari di superficie. Lo si può considerare come un esempio tipico della grande cascina a corti multiple. I fabbricati si raggruppano attorno a tre spazi liberi centrali: 1) il cortile dei salariati, 2) il cortile delle stalle, 3) il cortile dei macchinari e dei magazzini. Il primo è quello di origine più antica, il terzo è il più recente. Si tratta cioè di un complesso che ha subìto continui sviluppi e trasformazioni. Le tre corti riflettono infatti tre fasi di sviluppo della risicoltura ...».

http://www.roberto-crosio.net/1_VERCELLESE/habitat_castelmerlino.htm


Clivolo (castello)

Clivolo oggi, dal sito www.academia.edu   Dal sito web.tiscali.it/vercellarchivi/st5.pdf

«Il toponimo deriverebbe dal latino clivulus: piccolo pendio o colle. L'abitato era già sede di una pieve nel secolo X (Panero 1985, p. 16) e numerosi e di una certa importanza furono i ritrovamenti archeologici nella zona della chiesa di S. Michele (Sommo 1987, pp. 414-418). Il castrum compare piú volte citato in un documento datato al secolo XIII, riguardante beni e affitti del monastero di S. Benedetto di Muleggio in territorio di Clivolo (Sella 1917, pp. 27-31). Da questa preziosa fonte apprendiamo che il recinto era attorniato da vigne (in capite vinee castri) e non era lontano dalla via per Maglione (pro pecia unaterre retro castrum cui coheret ab alia via Magloni); entro il perimetro vi erano magazzini (caneva que iacet in castro Clivoli) e case (caseta una quam tenet in castro). La villa doveva trovarsi fra il castrum e la chiesa di S. Michele e molte strade campestri attraversavano il territorio (via Blançati, via levornasca, via cilianasca). Toponimi significativi come ad boseam (attualmente Busasse) iuxta Meoletum (Meolio), ad montironum (attuale cascina Monturone), limitano il territorio, che non doveva essere molto esteso. Lo stesso documento testimonia la forte presenza dei Bondonni (de Bundono) fra le coerenze delle terre di Muleggio, per cui è possibile che una delle componenti signorili del luogo nel secolo XIII, oltre ai conti di Cavaglià, così come accade in Alice, fosse costituita dai Bondonni. I conti di Cavaglià, nel 1173, avevano giurisdizione su Cavaglià, Alice, Arelio, Erbario, Meolio, Clivolo, Logge e su una parte di Roppolo, come vassalli del vescovo di Vercelli (Avonto 1980, p. 202). Clivolo scompare improvvisamente dopo il 1270, anno in cui il Comune di Vercelli deliberò la costituzione del borgo franco di Borgo d'Alice (Borgo d'Ale), autortizzando gli abitanti delle località di Alice, Meolio, Erbario, Arelio e Clivolo a recuperare i materiali delle loro case (Ordano 1985, p. 76). Del castrum e della villa di Clivolo attualmente non restano tracce tangibili, sopravvive unicamente la chiesetta di S. Michele ed alcuni microtoponimi inequivocabili, come quello di "via del castello", nel catasto attuale».

http://www.archeovercelli.it/fortifai.html#anchor403961


Collobiano (castello)

Foto di alice/vu7ete5anta, dal sito http://fotoalbum.virgilio.it   Foto di Marco Jokrah, dal sito www.panoramio.com   Foto di alice/vu7ete5anta, dal sito http://fotoalbum.virgilio.it

«Viene citata per la prima volta in un atto di donazione del 1023 e furono i Briandate ad averne il possesso fino al 1170, quando fu trasferita insieme ad altre località alla famiglia degli Avogadro, forte di un momento di grande espansione politica di Vercelli. Dopo le sanguinose lotte tra ghibellini e guelfi, che videro questi ultimi sconfitti, nel 1325 passò sotto la signoria dei Visconti, ma già nella seconda metà dello stesso secolo fu oggetto di aspre contese fra i marchesi di Monferrato e gli stessi Visconti. Nel 1404 gli Avogadro furono costretti a fare atto di dedizione ad Amedeo VIII di Savoia e nel 1427 Filippo Maria Visconti cedette il Vercellese ai Savoia. Il castello, situato in posizione strategica vicino al fiume Sesia, è oggi adibito ad azienda agricola; fino al 1170 fu posseduto dagli Avogadro che ne fecero la loro roccaforte, essendo Simone, uno dei componenti della famiglia, a capo dei guelfi. Subì notevoli danni dopo la vittoria dei ghibellini e fu distrutto quasi completamente durante le battaglie fra i Visconti e la lega anti-viscontea nella seconda metà del XIV secolo. Rimaneggiato in epoche diverse si presenta nella parte più antica (1300) come castello-recinto con le torri ad angolo merlate a coda di rondine. A differenza di altri della zona questo castello vanta una rara torre ottagonale. Tra le altre testimonianze storico-architettoniche figura la parrocchiale di San Giorgio, a tre navate, di origine quattrocentesca, al cui interno sono presenti affreschi del XV secolo» - «Il castello è stato costruito nei pressi di un passaggio sulla strada che collegava Vercelli a Biella, luogo strategicamente importante. A partire dal 1170 i proprietari furono gli Avogadro, che detennero la signoria su Collobiano sino al 1690, quando passò ad Ottavio Maria, conte di Collobiano e della Motta. Alcuni autori sostengono che Napoleone dormì nel castello, prima del suo ingresso a Vercelli. L'edificiò subì due grandi trasformazioni, la prima nella seconda metà del Quattrocento, quando fu ricostruito, la seconda, nei primi anni del Settecento, quando venne fortificato e trasformato in presidio militare. la cinta muraria, risalente al XIII sec., la torre del XV sec. e la particolare torre ottagonale sono motivi di grande interesse storico e architettonico».

http://www.italiapedia.it/comune-di-collobiano_Storia-002-045 - http://www.panoramio.com/photo/68335018


Costanzana (resti del castello)

Foto di marcofederico, dal sito http://rete.comuni-italiani.it   Foto di N.Corbelletti, dal sito www.tecnicocavour-vc.com

«Il toponimo di Costanzana, che deriverebbe dal personale romano Constantius, è citato per la prima volta in una donazione dell'imperatore Federico I del 1152 a favore del vescovo di Vercelli. La Chiesa vercellese concede successivamente investiture del luogo a vari piccoli domini del vicino centro di Trino, dai quali un certo Vercellino Ianuense, cittadino vercellese, ben presto pare acquisti la signorìa dell'intera località che passa agli eredi, detti poi de Constanzana. Nel 1204 alcuni atti relativi ad acquisti di beni nel luogo sono stilati in castro Costanzanae, attestando per la prima volta la presenza del castello, probabilmente esistente da qualche decennio (Avonto 1980, p. 256). Nel 1223 il canonico di S. Eusebio Salimbene de Torcello acquistò dai signori di Costanzana ogni loro diritto e possedimento in castro villa et territorio Constanzane, per conto del cardinale Guala Bicchieri, dal quale per donazione, con riserva di usufrutto, passarono all'abbazia di S. Andrea nel 1224 e, agli effetti del testamento, nel 1227 alla morte del Bicchieri, entrarono a far parte definitivamente dei dominî abbaziali. Nel 1244, durante le lotte di fazione fra guelfi e ghibellini vercellesi, sappiamo che i castelli di Costanzana, S. Germano, Alice e Viverone, tenuti dall'abbazia, vennero ceduti ai ribelli Bicchieri, famiglia ghibellina in lotta con il Comune dominato dai guelfi, dall'abate Tommaso Gallo, che fornì anche materiali e aiuti per fortificare e munire i detti castelli contro Vercelli. Del castello, certamente non di poco conto, si hanno notizie ancora alla fine del XV e agli inizi del XVI secolo, quando già aveva perduto la funzione difensiva e militare per l'adattamento dei fabbricati ad uso agricolo. Un documento del 1506 attesta che in quel tempo il castello era ancora munito di fossato e di ponte levatoio e la sua custodia era affidata ad agenti dell'abbazia di S. Andrea (Avonto 1980, p. 259). Pochissimo resta oggi di questa importante fortificazione (Ordano 1966; Conti 1977, p. 149; Ordano 1985, p. 114), se non poche tracce dei muri di cortina a base scarpata, una torricella cilindrica, e il nome della "via del castello" nella toponomastica locale. L'interesse del sito è quindi ormai soprattutto archeologico».

http://www.archeovercelli.it/fortifae.html#anchor442144


Crescentino (torre Civica)

Dal sito http://mostrelibriluoghi.blogspot.com   Dal sito www.comune.crescentino.vc.it

«Osservando il tessuto urbano della città di Crescentino è facile individuare il vecchio nucleo risalente alla sua fondazione. Nel 1242 il Comune di Vercelli volle creare nel nostro territorio un borgofranco soprattutto per motivi difensivi, che fosse protetto da confini naturali, il fiume Po e la Dora Baltea, investito fin da subito di un importante funzione strategica che durò per tutto il successivo periodo di dominio dei conti Tizzoni (1315/1613). Gli edifici distintivi del piccolo borgo erano la chiesa e il palazzo del Comune oltre ai mulini e ai forni. Molti documenti d’archivio testimoniano la loro presenza. Ad esempio, nelle belle stampe del Theatrum statuum Sabaudiae che risalgono al 1682 li si identificano molto bene: entrando dalla porta per Vercelli, a nord, si accede in una piazza con a destra una possente torre e a sinistra la Parrocchia. ... Sulla piazza Vische, l’imponente struttura della Torre Civica, con una base quadrata, è costruita con mattoni a vista. Ricopre un’area di 50,41 mq, è alta 30,70 metri; la sua struttura presenta caratteristiche trecentesche, archi a doppia apertura degli otto finestroni con profilo leggermente ogivale, che si trovano soltanto nella parte più alta della torre. Al suo interno, solo al piano inferiore c’è la volta in muratura; salendo i solai non sono più massicci ma costituiti da travi e assi in legno. Man mano che si procede verso l’alto, le scale di legno sono sempre più strette e portano al locale dove si trova una campana del peso di 25 quintali, donata a Crescentino nel 1958 dal parroco di San Grisante, don Giuseppe Bianco. Invece, la famosa campana che diede il via all’insurrezione armata del febbraio 1529, contro i conti Tizzoni, è attualmente conservata nel palazzo municipale. L’antica torre apparteneva al palazzo signorile della potente dinastia dei Tizzoni, incendiato durante la rivolta».

http://www.comune.crescentino.vc.it/index.php/curiosita-su-crescentino.html - ...la-torre-civica.html


CROVA (resti del castello)

Dal sito web.tiscali.it/teses/places/vc/crova   Dal sito web.tiscali.it/teses/places/vc/crova

«Localizzazione: Comune di Crova, nel centro abitato. Crova è compresa nell'elenco delle pievi della diocesi vercellese del secolo X (Panero 1985, p. 16), è quindi una località molto antica. Una salvaguardia, concessa nel 1142 da papa Innocenzo II all'abate di S. Stefano Aldone, attesta che la metà della villa di Crova apparteneva all'antica abbazia di Vercelli. Feudatari del luogo furono anche i Bulgaro e i Dal Pozzo; nel 1218 ebbe giurisdizione su Crova l'abbazia di S. Andrea, ma, ancora nel 1398, una metà del castello era di pertinenza dell'abbazia di S. Stefano (Ferraris 1992, p. 96). Successivamente il luogo passò al Comune di Vercelli e nel 1379 entrò a far parte dei territori dei Savoia. Crova venne infeudata nel 1565 a Federico Ferrero, i cui discendenti la cedettero nel 1609 agli Spatis. Anche se è molto probabile che una piccola fortificazione di tipo rurale esistesse fin dal XII o XIII secolo, sebbene non attestata dai documenti, attualmente nulla rimane nel luogo che ricordi tale possibile presenza, fatta eccezione per una casa, che conserva la denominazione di "castello" e nessun altro segno di essere stata adibita a tale uso».

http://www.archeovercelli.it/fortifag.html#anchor125227


Darola (castello)

Dal sito www.architesi.polito.it   Dal sito web.tiscali.it/teses/places

«Collocata a nord di Lucedio, questa cascina vanta antichissime origini. Donata nel 933 (quando ancora era riconosciuta con il nome di corte Auriola) dai re d'Italia Ugo e Lotario ai marchesi del Monferrato, questi ultimi la cedettero in proprietà a Lucedio nel 1123: divenne così una delle 6 grange possedute dall'abbazia. Dal punto di vista strutturale rappresenta un eccellente esempio di cascina a corte chiusa; ammirevole anche l'interessante e ancora ben conservata testimonianza architettonica del processo di fortificazione che interessò Darola nel XV secolo: la torre quadrilatera con porta carraia originale, impiegata per accedere da un cortile ad un altro» - «Azienda agricola di proprietà del principe marchese Domenico Pallavicino di Genova il cui stemma campeggia sulla facciata. Sorta intorno ad un cortile centrale fortificato cinto da mura e fossati, la grangia di Darola è parte del nucleo territoriale originario degli Aleramici, marchesi del Monferrato. L’ingresso ha il timpano classicheggiante e lo stemma di famiglia. A partire dal 1822, con la vendita ai privati e lo smembramento della proprietà, anche la tenuta Darola entra a far parte della gestione patrimoniale delle grandi famiglie nobiliari dei Benso di Cavour, dei Gozzani di San Giorgio, dei Solaro del Borgo fino ai principi marchesi Pallavicino di Genova, gli attuali proprietari, che tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, in sintonia con la razionalità della cultura architettonica del tempo, hanno trasformato l'antica grangia in una grande e moderna tenuta agricola. Una torre ben conservata con beccatelli, porta e pusterla, risalente alla fine del XIV secolo, svetta in quello che un tempo fu il podere fortificato, oggi circondato da imponenti fabbricati rurali tardo ottocenteschi che si distinguono per le grandi arcate regolari e i timpani classicheggianti con la data di costruzione. Nel secondo cortile di fine Ottocento, circondato da edifici rustici, sorge la chiesetta di San Giacomo, un'intitolazione che è forse retaggio di un luogo di sosta sul cammino di pellegrinaggio verso Santiago di Compostela. Il fatto che esistesse un castello ha contribuito ad alimentare la leggenda di collegamenti sotterranei con il Principato di Lucedio e con il Santuario di Madonna delle Vigne».

http://www.atlvalsesiavercelli.it/la_grange.php - http://ontanomagico.altervista.org/itinerario-grange-luoghi.htm#darola


Desana (castello)

Dal sito https://castlesintheworld.wordpress.com   Dal sito www.tenutacastello.com   Dal sito www.tenutacastello.com

«Le prime notizie che si hanno sul castello di Desana risalgono al secolo X al tempo di Arduino marchese d’Ivrea. Dice, infatti, il Cusano che Aurelio, dietro suggerimento di Berta, sua consorte, donò al suo cancelliere Cuniberto, che era prevosto della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio di Vercelli, la corte di Desana con castello e cappella in esso esistente e tutto ciò spettava a quel possedimento. Il castello di cui si parla, era stato costruito probabilmente dai vescovi di Vercelli allo scopo di difendere il distretto di Vercelli. Caduti Arduino e Cuniberto, Desana e il distretto tornarono alla chiesa vercellese in forza del diploma dell’imperatore Ottone III. Sottrattasi Vercelli con Distretto alla giurisdizione civile del vescovo verso l’anno 1145, Desana e il suo castello passarono sotto il dominio civile di Vercelli e ne seguirono le sorti. Anticamente la chiesa che serviva agli uffici religiosi dei pochi abitanti del luogo,si trovava nel concentrico del castello, ed era dedicata a Maria Vergine e dipendeva dal Capitolo Eusebiano cui pagava le decime. Di Desana e del castello non si hanno più notizie precise fino al 1317 quando Ugolino Gonzaga, capitano al servizio del marchese del Monferrato, nelle guerre tra il marchese e il visconte di Milano, occupò coi suoi soldati Desana e vi svernò per molti giorni devastando ogni cosa, per cui il paese restò disabitato e il castello distrutto. Desana rimase in questo stato fino a quando passò ai Tizzoni. Nel secolo XV presso il marchese del Monferrato, Teodoro Paleologo, giunse ad alto grado di favore e di carica Lodovico Tizzone, creato, senatore, Consigliere e Gran Cancelliere del Marchesato dallo stesso Paleologo. Lodovico Tizzone, considerato che il territorio di Desana, posto tra i possedimenti del Marchese del Monferrato, poteva diventare luogo chiuso e forte, espose al Marchese Teodoro il desiderio di avere il posto impegnandosi di restaurarlo, rifacendo le mura e popolandolo. Il marchese rinunciò a tutti i suoi diritti sul borgo di Desana e inviò una lettera al Podestà di Vercelli per indurlo a concedere al suo cancelliere Ludovico Tizzone, l’intera proprietà e l’assoluto dominio di Desana. Ciò avvenne il 15 settembre 1411. Lodovico Tizzone fortificò la rocca e la cinse di mura, restaurò i caseggiati diroccati attraendo con privilegi gli abitanti delle terre vicine. ...».

http://www.tenutacastello.com/IT/castello_desana/storia-del-castello


Erbario (resti di fortificazioni)

Foto di Giuseppe Avataneo, dal sito www.viaromeacanavesana.it   Erbario oggi, dal sito www.archeovercelli.it   Resti della chiesa di San Dalmazzo di Erbario (XI secolo), dal sito www.teses.net

«La località compare per la prima volta nel 999 (Panero 1985, p. 16). Documenti del XIII e XIV secolo attestano la presenza di un castrum Erbarii e di un ricetto con fossato (Ordano 1985, p. 80; Viglino Davico 1979, p. 64). Anche di questa località, spopolata, ma pare solo in parte, per la formazione del borgo franco di Borgo d'Alice nel 1270, non rimangono tracce visibili».

http://www.archeovercelli.it/fortifai.html#anchor410335


Fontanetto Po (castello, palazzi)

Foto di Augusto Debernardi, dal sito www.comune.fontanettopo.vc.it   Casa Bava, dal sito www.parcodelpoalessandriavercelli.it

«...In età longobarda il territorio dell'odierna Fontanetto fu certamente abitato, come testimoniano i reperti archeologici, ora conservati al Museo di Antichità di Torino, rinvenuti nel 1886 durante gli scavi per la costruzione della ferrovia Chivasso-Casale. In quell’occasione furono recuperate tombe appartenenti ad una necropoli longobarda risalente al VI-VII sec. Nel 1011, Fontanetto fu concessa all’abbazia di Fruttuaria che ne divise la giurisdizione con la Chiesa di Vercelli e nel 1242 la località fu eretta a “borgofranco” dal Comune di Vercelli, che, tuttavia, prima della fine del XIII secolo, ne perse il controllo a favore di Teodoro Paleologo, marchese del Monferrato. Quest’ultimo, cogliendo il momento favorevole dei dissidi fra fazioni all’interno delle mura vercellesi, occupò il borgo, lo cinse di mura ed eresse il luogo alla dignità di Comune. Il 2 luglio 1323 fu stabilita la costruzione del borgo di Fontanetto, così descritto dalle carte dell’epoca: il borgo era circondato da mura e aveva due porte, una verso il Po e l’altra verso S. Genuario, congiunte da una via diritta (l’attuale via Viotti) tangente la chiesa parrocchiale e il cimitero, che doveva essere larga due trabucchi e dotata di portici aperti in modo che la si potesse percorrere liberamente a piedi o a cavallo. Allo stesso progetto urbanistico trecentesco risalgono le due vie laterali che tagliano in due punti l’attuale via Viotti: via Apostoli-Fratelli Negri e via Marconi-XX Settembre. Intorno alle mura, infine, si snodava un’ulteriore via di circonvallazione. Dopo più di due secoli di controllo da parte dei marchesi del Monferrato, alla morte di Giangiacomo Paleologo senza eredi maschi nel 1535, Fontanetto, insieme a tutti i possedimenti del Marchesato, fu sottoposta al dominio dei duchi di Mantova prima, alla famiglia Guerrera poi e successivamente, come terra di nessuno, alle scorrerie degli eserciti savoiardi, francesi e spagnoli, fino all’annessione, all’inizio del XVIII sec. allo stato sabaudo.

Palazzi d'epoca. Palazzo Ovis: in via Viotti, adiacente alla chiesa della Ss. Trinità, era di proprietà della Confraternita della Ss. Trinità e servì forse per un certo tempo come ospizio per i pellegrini di passaggio verso Roma e la Terra Santa. Il prospetto su via Viotti con le due finestre in cotto a sesto acuto decorate, al centro dell’arco, dal monogramma di S. Bernardino, doveva ospitare l’antica farmacia. Ex convento delle Orsoline: accanto alla chiesa della Ss. Trinità, con ingresso in via XX Settembre, sorge il seicentesco Collegio delle Orsoline impiantatesi a Fontanetto dal 1560. L’edificio è oggi adibito a foresteria, centro mostre e convegni. Palazzo Barone Vita: in via Fratelli Negri è una grande costruzione settecentesca in mattone, dotata di torre oggi tronca e modificata nella parte superiore. Casa Bava: in via Marconi verso l’incrocio con corso Duca d’Aosta, conserva tre finestre simmetriche in stile gotico e un arco dello stesso stile nel portone principale. Fu la prima abitazione delle Orsoline prima del trasferimento nel Convento di via XX Settembre».

http://www.comune.fontanettopo.vc.it/archivio/pagine/Cenni_storici.asp - Municipio_e_palazzi_d_epoca.asp


Formigliana (castello)

Formigliana, dal sito www.comune.formigliana.vc.it   Dal sito ik2uvr.malpensa.net

«Le origini di Formigliana sono quasi certamente romane ed il toponimo deriverebbe dall'appartenenza del luogo ad un Firmius o Firminius (Casalis 1840, p. 757; Bruzza 1874, p. XCI). I ritrovamenti avvenuti nel secolo scorso presso la cascina Lista, a nord ovest di Formigliana, confermerebbero la presenza di un abitato antico di una certa importanza (Viale 1971, p. 52). La prima fonte documentaria nella quale viene nominata la località è dell'anno 882 (Panero 1985, p. 16), e precisamente un diploma imperiale di Carlo il Grosso, dove Firminiana corte iuris nostri fa parte di alcune donazioni che l'imperatore fece alla Chiesa vercellese (Casalis 1840, p. 757); il documento è, però, da alcuni studiosi ritenuto una falsificazione (Ordano 1966). Passata dalla giurisdizione imperiale a quella del vescovo di Vercelli, Formigliana divenne successivamente feudo degli Avogadro, che ne rimasero proprietari fino alla fine del XVIII secolo (Ordano 1966). La località non ebbe particolare rilievo negli avvenimenti militari e, se vi fu eretta una fortificazione, essa non dovette avere molta importanza. La presenza di un castello in paese è documentata molto tardi, nel XVIII secolo, ed è stato possibile stabilirne l'ubicazione grazie ad un disegno inedito conservato presso l'Archivio di Stato di Vercelli. Nel documento, datato 1751, compare una costruzione denominata "castello", situata presso la chiesa, su di un rialzo prospiciente le ghiaie del vecchio corso del Cervo. Doveva quindi essere questa l'area dove sorgeva una fortificazione, che nel 1700 appare già essere da tempo trasformata e dell'uso originario conserva, se non l'aspetto, almeno il toponimo. Attraverso l'analisi della foto aerea e dei riferimenti topografici, si è localizzato il sito in una zona posta immediatamente a sud della chiesa; attualmente sul terreno non è più riconoscibile il fabbricato, ancora in piedi nel secolo XVIII. Il luogo riveste un interesse esclusivamente di tipo archeologico».

http://www.guidacomuni.it/storia.asp?ID=2059


Gattinara (centro storico)

Dal sito http://ontheroadinitaly.style.it   Dal sito www.gattinara-inpiazza.it

«Il centro storico di Gattinara mostra evidente, ancora oggi, la maglia rigorosa che ne testimonia la pianificazione urbanistica, studiata in occasione della fondazione del borgofranco nel 1242: in quel contesto, infatti, il comune di Vercelli appronta uno schema che prevede, lungo gli assi viari principali, allineamenti di lotti lunghi e stretti, il cui lato minore verso la strada è occupato dall’abitazione, mentre lo spazio retrostante è destinato ad usi agricoli e produttivi. Oggi, tuttavia, di tale aspetto medievale del borgo non sopravvive molto, poiché tra XVI e XVIII secolo – con la crescita della popolazione – un deciso rinnovamento ha interessato tanto i prospetti delle case affacciate sulle vie, quanto la disposizione dei cortili interni. Molti sono i palazzi che tuttora mostrano caratteristiche architettoniche significative risalenti a tali trasformazioni: sui corsi principali sono interessanti i portici, sorretti sia da colonne in pietra che da pilastri, che un tempo proteggevano le merci e l’ingresso delle botteghe, mentre molte case conservano ancora, appena sotto l’imposta dei tetti, graziosi allineamenti di loggette sostenute da colonnine lapidee. Proprio questi particolari rendono simili le forme del centro storico di Gattinara a quelle di molti insediamenti valsesiani, profondamente influenzati, da un punto di vista architettonico, dai modelli provenienti dalla Lombardia. I cortili sono in genere stretti e caratterizzati da forme irregolari, derivanti dal continuo aggiungersi di nuclei abitativi, che solo in alcuni casi hanno lasciato spazio alla realizzazione di piccoli porticati: interessanti, ove conservati, sono i ballatoi in legno o in granito, ornati – questi – da mensoloni lavorati».

https://it.wikipedia.org/wiki/Gattinara#Centro_storico


Gattinara (palazzo dei marchesi Arborio Gattinara)

Foto di mpvicenza, dal sito www.flickr.com   Dal sito http://ontheroadinitaly.style.it

«Il primo nucleo del palazzo è verosimilmente edificato intorno al 1450, negli anni in cui la famiglia Arborio si irrobustisce ed inizia la sua veloce ascesa sociale, che nel secolo successivo – grazie alla figura del suo esponente più illustre, il cardinale Mercurino – la porterà ad occupare un ruolo di indiscussa supremazia nel tessuto sociale cittadino. Già Mercurino si occupò fattivamente della sua dimora, presso la quale fece lavorare nel 1523 frescanti di scuola novarese – Pietro da Novara, Angelo Canta e Daniele de Bosis. Non rimane nulla di questi interventi, poiché – ad eccezione di alcuni dettagli architettonici cinquecenteschi ancora visibili nel cortile principale – l’odierno palazzo denota un aspetto pienamente sei-settecentesco. Sul grande cortile, ornato da arconi di portici sormontati da cornicioni e scanditi da lesene, si affacciavano gli ambienti di maggior prestigio, compresa la lunga galleria – oggi non più esistente – che occupava il piano superiore della manica orientale, e che gli antichi inventari ci descrivono ricca di quadri ed arredi. Dopo la cessione da parte della famiglia Arborio Gattinara, in età napoleonica, e il suo frazionamento tra privati, il palazzo ha subito distruzioni e rimaneggiamenti: fortunatamente l’Associazione Culturale di Gattinara ha potuto riscattare alcuni locali di notevole pregio, facendone la propria sede. Tra i vani al pianterreno, oltre ad uno studiolo sulle pareti del quale sono riapparse le tracce di un grande affresco che raffigurava il blasone cardinalizio di Mercurino, spicca l’ampio salone, coperto da soffitto a cassettoni e ornato con scene bibliche, incastonate in tondi riccamente ornati. Al primo piano sussistono i resti della antica cappella nobiliare, ornata da piccole scene della vita di Cristo dipinte tra le membrature del soffitto, mentre l’attigua saletta mostra le vivaci allegorie delle quattro stagioni, incorniciate da una ricchissima decorazione ad affresco della volta. L’ultimo salone, dotato di soffitto ligneo a cassettoni, è animato dalle allegorie dei continenti, anch'esse inquadrate in un complesso partito ornamentale costituito da elementi architettonici. Poco si sa di questi affreschi: ignoto l’autore, si può solo tentare di inquadrarli in un orizzonte cronologico che, in assenza di studi più accurati, si deve giocoforza mantenere aperto ai secoli XVII e XVIII».

https://it.wikipedia.org/wiki/Gattinara#Palazzo_dei_marchesi_Arborio_Gattinara


Gattinara (rovine dei castelli di Balard, Castellazzo, del Borgo, Locenello)

Resti del castello di Locenello, foto di Gianni Manfredini, dal sito www.gattinara-online.com   Gattinara vista dai resti del castello di San Lorenzo, dal sito www.storienaturali.com

«Castello di Balard. Un caposaldo delle fortificazioni gattinaresi venne costruito nel XV secolo presso la Sesia (Conti 1977, p. 49). Di esso nulla sappiamo e non ne rimangono più tracce. Venne probabilmente distrutto dagli Spagnoli, insieme con il castello del borgo, nel 1616. Castellazzo di Gattinara. Presso il luogo ove sorse il borgo franco di Gattinara esisteva la villa omonima con relativo castello. Su di un'altura a nord-ovest sono ancora visibili i ruderi della chiesa di S. Giovanni, un tempo situata all'interno del recinto (Ferretti 1982, p. 407). La località venne certamente abbandonata nel 1242, anno dell'erezione del borgo franco. Castello del Borgo. Nel secolo XIV fu ampliata la cerchia muraria del borgo di Gattinara, comprendendo aree a nord, ovest e sud del vecchio recinto. Nell'angolo nord-ovest di tale nuova cerchia venne costruito un castello (Ferretti 1982, p. 419 e p. 421) analogamente a quanto avvenuto a Serravalle. Distrutto dagli Spagnoli all'inizio del XVII secolo, se ne possono vedere ancora le rovine nella tavola del Theatrum Sabaudiae dedicata a Gattinara. Castello di Locenello. Locenello compare nei documenti medievali solo nel 1243 (Panero 1985, p. 17). Era una delle località che diedero origine al borgo franco di Gattinara. Un castello piuttosto ampio conteneva la chiesa di S. Maria "oggi tutto allo stato di ruderi molto degradati" (Ferretti 1982, p. 407). La ricognizione del luogo, coperto da fitta vegetazione, non ha dato risultati per quanto concerne il recinto, ma ha individuato i ruderi della chiesa, effettivamente in cattivo stato di conservazione. Occorreranno ulteriori verifiche per chiarire l'andamento della pianta del recinto, racchiudente l'edificio religioso».

http://www.archeovercelli.it/fortifac.html#anchor478311


Gattinara (rovine del castello di Rado)

Resti della torre del castrum, foto di R. Malerba, dal sito web.tiscali.it/archeovercelli2/CASTRUM   Dal sito www.teses.net   Dal sito web.tiscali.it/archeovercelli2/CASTRUM

«Per il castello non abbiamo precisi riferimenti riguardo agli anni della fondazione e dell’eventuale decastellamento, oltre a non sapere da parte di chi fu edificato; la sua costruzione si può fare risalire al X-XI secolo 37, anche se non è del tutto da escludere un periodo più recente, intorno al XI-XII secolo. La prima testimonianza, come già detto, è del 1185 e successivamente il castrum compare nei documenti come parte costituente il feudo, in date topiche o in atti relativi a costruzioni interne, fino al 1256. Una seconda considerazione preliminare è la molteplicità di proprietari all’interno del castello (quasi parallela e corrispondente all’estrema frammentazione del feudo e delle parti comuni) che ci impedisce di avere una visione globale del manufatto. Al possesso della torre sono legati diritti e prerogative signorili quali "onore, districto, fodro e banno" e "giurisdizione" (ovvero diritti giurisdizionali e fiscali) oltre all’interessante menzione di "guaitis et scaraguaitis" (ovvero obblighi dovuti di servizio di guardia e sentinella) che testimonierebbe una rilevanza militare della costruzione a metà del XIII secolo. Il castello si trova in posizione strategica sopra la scarpata che scende al fiume Sesia; infatti un sedime "apud castellum" è detto "super Ripam" e vigne e sedimi sono "subtus castellum" e "subtus castrum". Il perimetro è circondato da mura: a est e a sud coerenze sono "a mane murus castelani" e "versus meridie usque muro castri de Rado", a queste potevano o meno addossarsi costruzioni. Su di un lato si apriva la porta che dava sulla piazza principale del villaggio, qui, sotto l’olmo che le dà il nome, sono rogati molti atti; sulla piazza si trovano sedimi e abitazioni. La collocazione della porta può, in parte, essere dedotta dalle coerenze di un sedime nel castello sito "prope portam", questo ha da una parte direttamente il fossato e dall’altra "via qua iter ad ipsum castrum" e più precisamente "via qua intratur per suprascriptus castrum et in ipsum" che fa supporre che l’accesso fosse attraverso una costruzione (o addirittura una fortificazione).

La porta si trova quindi sul lato del fossato, della cui esistenza abbiamo notizia solo dai predetti tre documenti; si può avanzare l’ipotesi che questo fosse scavato solo sul lato ovest e/o nord, infatti, mentre a est la Ripa è difesa naturale, sul lato sud ci sono edifici coerenti direttamente con la torre. L’ipotesi di un ingresso sul lato ovest può essere avvalorata inoltre dalla vicinanza della cappella castrense, che nell’immaginario medievale accorderebbe una più sicura protezione alla porta. La parte più interessante del castello è l’area fortificata interna detta "domingnonus/dominglonus" situata nell’angolo sud-est, ovvero il dongione, comprendente una torre e un’abitazione; in esso sono riunite funzioni sia residenziali che difensive, ma con una soluzione diversa dal donjon-palais francese che fonde i due elementi in un unico torrione. Di esso si parla fino a due documenti del 1248 e del 1256 58 che riportano la formula, ormai stereotipata, "turionum unum cum domenglonum" , ma utili alla sua ricostruzione ideale sono quattro precedenti documenti del 1217 e 1240. La costruzione più importante è la torre, che ha la preminenza nelle descrizioni e a cui sembrano principalmente legati i diritti signorili; si può ritenere che sia da assimilare a questa torre la "torraciam illi de castello". È posta nell’estremo angolo e ha il lato est coincidente con il perimetro delle mura e presumibilmente anche il lato sud, coerenziando direttamente con due sedimi. A fianco della torre si parla poi di "hedificiis", specificati come "solaria" e come "domuset solaria", probabilmente un solo edificio a più piani, con una parte in muratura e piani in legno, più che costruzioni distinte. ...».

http://web.tiscali.it/archeovercelli2/CASTRUM%20RADI.pdf  (da Paolo M. Galimberti, I documenti, in AA.VV., Castrum Radi, Vercelli 2009)


Gattinara (rovine del castello di San Lorenzo)

Foto di Chiara Corradini, dal sito www.facebook.com/pages/Castello-Di-San-Lorenzo-Gattinara   Foto di Chiara Corradini, dal sito www.facebook.com/pages/Castello-Di-San-Lorenzo-Gattinara   Foto di Chiara Corradini, dal sito www.facebook.com/pages/Castello-Di-San-Lorenzo-Gattinara

«La località di S. Lorenzo ebbe grande importanza tattica, nella politica del Comune di Vercelli, volta alla sottomissione dei Biandrate, al contenimento del marchesato di Romagnano e all'aggiramento ad occidente del Comune di Novara, trovandosi, inoltre, in posizione tale da controllare la strada per la Valsesia e l'Ossola. La costruzione di una rocca sul monte S. Lorenzo venne decisa dal Comune di Vercelli nel 1187, mediante la stipulazione di un accordo con il vescovo Alberto, proprietario del territorio (Ordano 1966). Il castello venne costruito in circa tre anni, e gli statuti comunali prescrivevano che fosse abitato dal castellano con tutta la famiglia e con una piccola guarnigione permanente (Ordano 1985, pp. 130-131; Avonto 1984, p. 111). Sull'altura di S. Lorenzo doveva però già essere presente l'antica chiesa di S. Lorenzo al monte (Dionisotti 1871, p. 276 sgg.; Ferraris 1984, pp. 416-417) "da cui dipendevano, ancora nel 1148, diverse chiese del territorio" (Ferretti 1980, p. 15). Attorno ad essa doveva essersi formato un insediamento (Cenisio 1957, p. 18), abbandonato forse in seguito alla costituzione della nuova pieve di S. Pietro a Gattinara. Il Cenisio, inoltre, basandosi non si sa su quali documenti, ritiene che il castello sia stato dal Comune di Vercelli "rimodernato e ampliato" nel 1187 (Cenisio 1957, p. 20). Indizi di insediamento sono stati, in effetti, rilevati in seguito ad occasionali ritrovamenti intorno al monte (Ferretti 1980) che, fra l'altro, avrebbero fornito dati sull'esistenza di un più ampio recinto, del quale sarebbero emersi gli avanzi di una torre porta, e di alcune costruzioni. Purtroppo a tali ritrovamenti non hanno fatto seguito ricerche accurate e sistematiche. Il recinto della rocca, costruito con grosse pietre squadrate, ha pianta poligonale che segue i contorni dell'altura. La porta d'ingresso, ad arco, è ancora ben conservata. All'interno sono visibili le fondazioni di una massiccia torre a pianta rettangolare (m 7 x 6,40 circa, spessore m 1,60) (Ferretti Reffo 1990, p. 85) e di altre costruzioni non più identificabili. Sul lato orientale, scosceso su nuda roccia, si apre l'abside della chiesetta, le cui murature perimetrali fanno parte del recinto (Conti 1977, p. 48). Non è ancor chiaro se si tratti dell'antica chiesa incastellata, o se essa sia stata edificata contemporaneamente al castello. Lo stato attuale dei ruderi permetterebbe uno studio accurato del complesso per una migliore conoscenza dei particolari architettonici e per una ricostruzione dell'insieme. Sarebbe inoltre auspicabile un intervento di sistemazione e protezione delle strutture conservate e della località, di notevole interesse archeologico».

http://www.guidacomuni.it/storia.asp?LUNG=3000&pag=1&ID=2061


Gattinara (torre delle Castelle o dei Castelli)

Dal sito www.facebook.com/torredellecastelle.gattinara   Dal sito www.facebook.com/torredellecastelle.gattinara

  

«La massiccia Torre delle Castelle, che dall’alto della collina domina Gattinara, è la parte più evidente di un importante complesso fortificato medievale che muniva in origine le sommità di questa collina e di quella accanto, entrambe oggi occupate da pregiati vigneti. Analisi accurate dei materiali hanno rivelato che la Torre risale all’XI secolo, mentre le cortine in muratura che la circondano furono innalzate durante l’occupazione viscontea in XIV. Verso il 1250 fu verosimilmente effettuato un radicale restauro, che conferì alla costruzione l’aspetto attuale. Risalgono al XII-XIII secolo le prime attestazioni documentarie di tale sistema fortificato, costituito pertanto da due recinti in muratura (le Castelle, appunto), occupati da costruzioni tra le quali svettava la torre; sul pianoro compreso tra le due fortificazioni sorgeva inoltre la chiesa di S. Giovanni alle Castelle, già regolarmente officiata nel 1217. Restano ignoti i motivi che spinsero alla costruzione di un tale sistema di presidio della zona, iniziativa strategica che è comunque da ricollegarsi ad una committenza di alto livello. Verso il 1525 lavori di ristrutturazione interessarono la chiesetta, che, ulteriormente restaurata in XVIII secolo, fu malauguratamente distrutta nel 1950 per lasciar posto alla attuale cappella della Madonna della Neve, edificata a cura della Sezione Alpini di Gattinara».

http://www.comune.gattinara.vc.it/ComSchedaTem.asp?Id=1289


Ghislarengo (resti del castello o ricetto)

Il ricetto, foto di Marco Ferrara Jokrah, dal sito www.panoramio.com   Il castello o ricetto di Ghislarengo in un quadro del sec XVIII (tratta da R.Ordano, Castelli e torri del Vercellese), dal sito www.roberto-crosio.net

«Antico feudo della Chiesa di Vercelli, l'abitato di Ghislarengo venne investito ai Bordonale e passò al Comune di Vercelli nel XIII secolo, nel 1335 passò sotto la giurisdizione dei Visconti. Ebbero ragioni su Ghislarengo anche i Rovasenda, il monastero di Castelletto Cervo e il monastero di Lenta, il quale divenne il maggior proprietario del luogo dopo il 1284, anno in cui i Bordonale trasmisero i lori diritti al cenobio femminile. Nel secolo XIII il Comune di Vercelli imponeva la conservazione dei fossati e degli spalti che, come in altri luoghi vicini, dovevano cingere l'abitato. Attorno alla metà del XIV secolo a Ghislarengo esisteva certamente un castello circondato da fossato, del quale fa menzione un documento del 1350 (Ordano 1966). Alcune mappe del '600 e '700, quando ormai il luogo era parte del marchesato di Gattinara, mostrano lo stato delle fortificazioni in quei secoli, disposte su di un leggero rialzo con pianta rettangolare. Alcuni tratti del lato meridionale del muro di cinta sono ancora visibili. Agli angoli erano poste quattro piccole torri cilindriche delle quali solo una sopravvive, sebbene assai rimaneggiata, nell'angolo sud-ovest. Tutto il perimetro era circondato da fossato e l'accesso era assicurato da una torre porta con ponte levatoio. All'interno, verso occidente, esisteva il palazzo marchionale, costruito probabilmente sulla preesistente rocca (Ordano 1985, p. 140; Viglino Davico 1979, p. 64) e lungo il muro e al centro erano le case e i magazzini. La chiesa parrocchiale, ampliamento seicentesco dell'antica chiesetta castrense, era racchiusa nel perimetro con l'area cimiteriale, occupante buona parte della zona settentrionale. Il campanile sarebbe stato costruito sui resti di una massiccia torre quadrangolare (Cenisio 1957, p. 33; Ordano 1966). Il complesso è interpretabile come castrum, suddiviso all'interno in due parti distinte, pertinenti alla comunità e al feudatario (Viglino Davico 1979, p. 64). Lo stato di conservazione non appare adeguato e il sopravvissuto è ormai compromesso da vari interventi urbanistici di sostituzione».

http://www.guidacomuni.it/storia.asp?ID=2062


Greggio (castello, fortificazioni)

Mura del ricetto, dal sito www.comune.greggio.vc.it   Mura del ricetto, dal sito www.comune.greggio.vc.it   Torretta Sud, foto di Marco Jokrah, dal sito www.panoramio.com

«Un documento del 1125 ricorda l’acquisto del castello di Greggio da parte dell’abbazia dei Santi Nazario e Celso di San Nazzaro Sesia, che si vuole sia stata fondatrice del borgo e da cui dipendeva anche l’originaria Parrocchiale di Santo Stefano. Greggio fu feudo della Chiesa di Vercelli nei secoli X-XI, poi dei Biandrate e successivamente fu soggetto al Comune di Vercelli che, nel XIII secolo, impose l’obbligo della manutenzione del fossato e degli spalti, attestando la presenza di una prima forma di fortificazione del luogo. Il borgo poi passò ai Visconti, in seguito ai Savoia (1373 e 1404) e nel 1513 l’imperatore Massimiliano I inserì Greggio nella contea di Gattinara, concessa a Mercurino Arborio di Gattinara. In una mappa del 1742 risulta all’estremità nord del borgo un nucleo a forma di trapezio con torri angolari, probabilmente il ricetto di pertinenza signorile. Il castello, che sorgeva verso nord-ovest e che doveva comunicare l’area fortificata, è stato completamente demolito e parti delle sue mura sono emerse recentemente, in occasione di lavori di sistemazione del terreno. La leggibilità di tutto il complesso è comunque piuttosto compromessa e controversa. Permangono avanzi di murature ben conservate in ciottoli disposti a spina di pesce a chiusura dei lati nord e sud dell’area a forma di trapezio; invece appare dubbio che le due torri cilindriche e il muro fra esse compreso rappresentino avanzi di fortificazioni medievali, perché costruite con mattoni. Al centro del perimetro un edificio a due piani conserva strutture murarie medievali e avanzi di una torre: presumibilmente era la residenza signorile».

http://archeocarta.org/greggio-vc-resti-del-ricetto


GuArdabosone (borgo medievale)

Dal sito www.comuneguardabosone.it   Dal sito http://immobiliare.mitula.it

«Le origini del borgo di Guardabosone si possono far risalire tra la fine dell'XI sec. e l'inizio dell'XII sec. L'origine etimologica del nome, secondo alcuni, deriva da Bosone, primo Signore di Trivero, erede dello stesso re Arduino d'Ivrea. Altri storici forniscono un'indicazione diversa: "Guarda", infatti, significa luogo di guardia, di controllo e di confine con la vicina Valsesia. "Bosone", invece, sarebbe da ricondurre al termine arcaico tedesco "bos" che, al tempo dei longobardi, indicava tutte le località di fondo valle. Quindi Guardabosone a significare località di guardia al fondo valle. Fin dal medioevo, attraverso la Valle Sessera e Guardabosone, transitava un'importante via di collegamento tra il Ducato di Savoia ed il Ducato di Milano. L'attività svolta era essenzialmente costituita da commercio, artigianato, agricoltura, pastorizia; una vita tranquilla in un clima di pace, fino al XVI sec. in cui divenne parte del Principato di Masserano e Marchesato di Crevacuore. In questo periodo fu spettatore spesso coinvolto nelle dispute tra i governanti del Biellese sabaudo e della Valsesia spagnola. Di questo passato Guardabosone conserva molte tracce che si possono ritrovare nel percorso di visita ... Si può ipotizzare che i due cortili siti tra Via Roma e Via Stretta e quello immediatamente a sud tra Via Stretta e Via Crosetto, costituissero il nucleo primitivo di Guardabosone, che nel 1227 aveva una popolazione di sette famiglie. Il cortile, che assume una valenza di spazio e di relazione, in questo contesto diventa cortile fortificato. Terrapieni ed edifici con massicce moli murarie li chiudono su ogni lato; gli androni, due o più, permettono l'uscita in punti diversi dell'abitato. Dotati di pozzo, e forse anche di forno, potevano, in caso di assedio, fungere da entità autosufficienti e indipendenti».

http://www.comuneguardabosone.it/index.php?option=com_content&view=article&id=49&Itemid=56 - ...63


Larizzate (castello)

Dal sito http://web.tiscali.it/teses/places/vc/larizzate.html   Dal sito http://web.tiscali.it/teses/places/vc/larizzate.html

«La località, anticamente detta anche Calliniascum, e già parrocchia nel secolo X (Orsenigo 1909, p. 257), è menzionata con il toponimo Larizzate in un documento del 1031 (Panero 1985, p. 17). Il suo castello, attestato dal 1201, doveva essere uno dei piú antichi e importanti della zona, per la posizione lungo la strada per il Monferrato e per la vicinanza a Vercelli (Ordano 1966). Da documenti della prima metà del XIII secolo si rileva il caratteristico frazionamento del castello in due parti, una possedimento laico, l'altra possesso ecclesiastico dei Benedettini dipendenti dall'abbazia di S. Benigno di Fruttuaria. La porzione del castello di proprietà degli Avogadro fu acquistata all'inizio del Duecento dalla famiglia Bondonni, la quale nel 1227 la vendette all'Ospedale S. Andrea (Ordano 1985, p. 149). Il resto del castello fu commenda secolare dei monaci benedettini fino all'anno1230 circa, quando per opera del cardinale Guala Bicchieri fu ceduta all'Ospedale Maggiore di Vercelli (Orsenigo 1909, p. 258). L'aspetto originario del castello è andato del tutto perduto. Già nel 1416 il commissario del duca di Milano concedeva all'Ospedale di S. Andrea la facoltà di refortificandi et reparandi... castrum Larizzate. Poi verso la metà del secolo XV il frate Giacomo Avogadro di Casanova, amministratore dell'ente, ricostruì il castello, dotandolo di sei torri e ponte levatoio. Oggi dell'edificio non resta che qualche rudere, qualche tratto di muro e due torri, di cui una rimaneggiata in epoche successive. L'interesse del sito è quindi ormai soprattutto di tipo archeologico».

http://www.archeovercelli.it/fortifaf.html#anchor35227


Lenta (castello-monastero)

Dal sito www.comune.lenta.vc.it   Dal sito www.comune.lenta.vc.it

«Un documento di investitura di feudo, castello e villa di Lenta a Palatino Avogadro, da parte di Ottone di Biandrate, attesta che il luogo era già fortificato nel 1178. La particolarità del “castello” di Lenta consiste nell’essere stato un “nucleo difeso” la cui porzione signorile è il monastero femminile benedettino di S. Pietro, fondato nel 1127 sotto l’auspicio di Alberto di Andrate. Verso la metà del Duecento è attestata la presenza di un “castrum” che racchiudeva anche una parte dell’abitato, per cui alcuni uomini di Lenta potevano essere denominati “de castro”. Ma anche il borgo doveva essere dotato di mura e circondato da fossato nel secolo XIII, essendo anche Lenta compresa fra le località fortificate che gli statuti del Comune di Vercelli imponevano fossero conservate in efficienza. Non vi è accordo tra gli studiosi se il nucleo fortificato possa essere considerato un borgo o una sorta di ricetto (di pertinenza signorile e religioso), perché risulta abitato stabilmente. Lenta poi passò agli Arboreo di Gattinara, ma il convento benedettino continuò ad avere giurisdizione sul castello/monastero. Secondo alcuni studiosi vi era una doppia giurisdizione delle religiose e dei signori laici; infatti nel 1404 i signori laici giurarono fedeltà ai Savoia, le monache al marchese del Monferrato, sottolineando la permanenza della divisione delle rispettive pertinenze. Con la traslazione del convento a Vercelli, nel 1570, iniziò la decadenza del complesso del castello. Lo stato dei fabbricati è oggi assai compromesso. Il “Castello” è di proprietà comunale, attualmente chiuso in attesa di restauri. Le mura racchiudono un nucleo a pianta quadrata, di lato circa m 85. Le mura sono di ciottoli posti a spina di pesce coronate da merlature in pietra, senza torri, tranne che nel castello. Oggi è ancora visibile la perimetrazione delle mura, tranne che sul fronte nord. L’interno del nucleo è articolato in cellule edilizie a tessitura minuta e compatta, ma molto rimaneggiate. Il Castello-monastero presenta il lato orientale meglio conservato con una torre quadra, alcune finestre nel muraglione e una torretta, pure quadrangolare. Resti di merlature bifide sono visibili lungo il lato settentrionale e un cortile interno (l’antico chiostro) e alcune sale al primo piano mostrano tuttora decorazioni quattrocentesche in cotto ed affreschi del XV-XVI secolo in cattivo stato di conservazione».

http://archeocarta.org/lenta-vc-castello-monastero/


Leri (grangia fortificata)

La tenuta oggi, dal sito http://vuotiaperdereblog.com   Foto di Marco Plassio, dal sito www.travelblog.it   La porta di entrata nella cascina, dal sito www.roberto-crosio.net

«Il luogo è menzionato con il toponimo Aleram nel diploma di Ottone III del 999 e con quello di Alerh in uno di Federico Barbarossa del 1159. Nel 1179 la grangia passa al monastero di S. Genuario, e nell'atto d’acquisto sono nominati il castrum e villa de loco Alerii, dunque si attesta l’esistenza di un borgo fortificato; nel 1822 la tenuta fu acquistata dal marchese Michele Benso di Cavour, padre di Camillo, ed i Cavour trasformarono Leri in una grande azienda modello, probabilmente eliminando o riattando edifici piú antichi. Leri ha sempre occupato un ruolo centrale nella vita dello statista: un sorta di rifugio fatto di riflessione e di quiete, ma anche sede di iniziative economiche e di attività agronomiche; Cavour si avvale nel 1843 dell'aiuto di Giacinto Corio, un grosso agricoltore di Livorno Ferraris, un valido affittuario e poi socio. I due soci lavoravano assieme, facendo prove di macchine, concimi, sementi, rotazioni, ingrassi del bestiame; e la loro attività si segue nelle lettere del Cavour al suo amministratore. Leri al momento è diventato un immenso rudere: muri fatiscenti, rovi ed erbacce ...».

http://ontanomagico.altervista.org/itinerario-grange-luoghi.htm#darola


Lignana (castello)

Foto di Antonio Aina, dal sito www.panoramio.com   Dal sito https://geolocation.ws

«La prima notizia del castello si ha nel 1417, in reazione alla dichiarazione di fedeltà dei Corradi, possessori del feudo omonimo, a Filippo Maria Visconti, ma il castello è certamente preesistente a tale data. Non essendo strategicamente importante non è mai stato coinvolto in episodi bellici, nonostante ciò, l’unico pezzo originale rimasto, con purtroppo la incoerente sopraelevazione, è la torre d'ingresso, che presenta ancora caditoie e feritoie, a difesa dei due ponti levatoio, carraio e pusterla, di cui si intravvedono gli scassi dei bolzoni di sollevamento. Lo stato di conservazione del castello non è certamente soddisfacente e le recenti costruzioni, che vi si sono addossate, contribuiscono alla generale dequalificazione degli elementi sopravvissuti. Il castello è attualmente un'azienda agricola».

http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_VC_Lignana.htm


Livorno Ferraris (palazzi)

Palazzo Ciocca, sede del Comune, dal sito www.comune.livornoferraris.vc.it   Palazzo Ferraris, dal sito www.piemonteoggi.it

«Il centro abitato del capoluogo è ricco di testimonianze architettoniche che costituiscono il patrimonio culturale che la storia, attraverso i secoli, ci ha trasmesso in eredità. Ecco snodarsi, in una teoria di portici medievali e settecenteschi, palazzi rinascimentali e barocchi che invitano i livornesi a riflettere sui tesori del passato e i turisti a sperimentarne il fascino. Palazzo Ciocca (sec. XIV-XIX), già castello di Coziano, quindi palazzo Montiglio, Della Valle, Bersani, Corio ed attualmente sede degli uffici comunali; Palazzo Ferraris (sec. XVI-XIX-XX), sede ufficiale del Consiglio Comunale e del Museo Sacrario Ferraris (casa natale dei fratelli Adamo e Galileo Ferraris) oltrechè della Biblioteca Civica e dell'Archivio Storico; Palazzo Tavallini (sec. XVIII), già Perucca della Torre; Palazzo Buzzi (sec. XVI-XVIII), già Perucca della Rocchetta, quindi Botto; Palazzo Celidonio (sec. XV-XVIII), già Tarachia de Giordani, quindi De Gregory di Balduch; Casa Parrocchiale (1666) con tipico loggiato rinascimentale; Palazzo Sismondi (sec XIX), fin de secle, inizialmente casa della giovane, quindi ricovero per donne anziane ed ora oratorio parrocchiale.Particolare interesse rivestono infine le tenute agricole del Murone (ritrovamenti archeologici di epoca romana), Colombara (tipica grangia fortificata con ingresso turrito e chiesa cinquecentesca, parrocchiale dal 1571) e Castell'Apertole (Palazzo Chiablese, chiesa di San Rocco con urna di Santa Cristina, mandria e case coloniche settecentesche)».

http://www.comune.livornoferraris.vc.it/index.php/il-patrimonio-artistico.html


Livorno Ferraris (torre)

Dal sito www.teses.net   Dal sito www.comune.livornoferraris.vc.it   Dal sito www.delcampe.it

«Livorno fu sede di pieve nel secolo X (Panero 1985, p. 17) e nel suo territorio fu ritrovata la colonna miliaria dei Tetrarchi, ora al Museo Leone di Vercelli (Roda 1985, p. 105). Fu probabilmente feudo della Chiesa vercellese nell' Alto Medioevo ed entrò presto nell'orbita politica del Comune di Vercelli, che ne confermò lo status di borgo franco, che già doveva detenere, il 27 agosto 1254. Passò poi ai marchesi del Monferrato, quindi, nel 1432, venne consegnato al duca Amedeo VIII di Savoia, che ne reinvestì gli stessi marchesi (Ordano 1966; Ordano 1985, pp. 162-163). Trovandosi in zona molto contesa, il borgo, sicuramente fortificato, subì alcuni saccheggi, specialmente nel XIV secolo. Delle antiche fortificazioni, tuttavia, non rimane che una torre d'ingresso, costruita in mattoni, sotto cui ancor oggi è aperta l'antica porta carraia per il pubblico passaggio. A fianco di questa porta doveva esistere una pusterla; ambedue erano munite di ponti levatoi, di cui si notano ancora i segni. Esistono delle pesanti chiusure in ferro alle finestre inferiori, poiché la torre è stata per lungo tempo adibita a carcere. Le finestre superiori sono invece, con ogni probabilità, originali. Una data inserita nelle murature (1388) potrebbe riferirsi alla costruzione o a un suo rifacimento (Ordano 1966; Conti 1977, p. 162)».

http://www.archeovercelli.it/fortifai.html#anchor391441


Lozzolo (castello)

Dal sito www.prolocolozzolo.it   Dal sito www.laprovinciadibiella.it   Dal sito http://iluoghidelcuore.it

«L’abitato sorge alla sinistra del torrente Marchiazza nel punto ove la sua corta valle sbocca nella pianura ed è il punto terminale di una breve strada che lo collega alla strada statale che da Gattinara sale a Biella. Il territorio appartenne ad re Arduino e poi a suo figlio Ardicino, ma costui, per essersi ribellato, come il padre, all’Impero e alla Chiesa, venne spogliato di tutti i suoi beni. Risale al 1° novembre dell’anno 1000 la più antica e documentabile memoria di “Forestum de Loceo“ (da lucus, selva) ed è relativa a una concessione conferita dall’imperatore Ottone II al vescovo Leone e alla Chiesa di Vercelli. Da un documento del 13 marzo 1211 si ha notizia dell’acquisto del “Villaggio di Loceno“ da parte del Comune di Vercelli,che,con atto del 13 maggio 1211, investì i fratelli Burla di Boca dei feudi di Loceno, Vintebbio e Navola. L’istituzione del borgofranco di Gatinaria, decretata dalla credenza di Vercelli il 30 aprile 1242, avrebbe dovuto riunire oltre che l’antichissimo Borgo della Plebe, sito sulla sommità del monte San Lorenzo, con le frazioni Sottomonte e Innosca, Rado con le frazioni di San Giorgio e San Sebastiano e anche Loceno, Mezzano e Locenello. Tuttavia una parte degli abitanti dei villaggi non aderì all’imposizione, e si riparò nel luogo più elevato del colle Loceno (dove ora sorge il Castello). Non è possibile documentare per quale preciso motivo ciò avvenne, ma certamente è stato questo fatto a creare implicitamente i presupposti per la fondazione del paese di Lozzolo quale entità a sé. Non è ben chiaro a quale giurisdizione sia stato assoggettato il territorio del villaggio, ma si ha notizia certa che nel XIII secolo il vescovo investì di Loceno i Sonomonte. Nel 1302, precisamente il 5 dicembre, il signore Bonifacio Sonomonte cedette per libero allodio, al nobile Simone Avogadro da Collobiano, tutto il castello, edifici,sedimi, tutte le terre colte ed inconte, vigne, pascoli, e acque, possedimenti e tutte le regioni di competenza, più la metà delle decime del paese e del territorio, compresi l’avvocazia e il giuspatronato della chiesa. Il 7 gennaio 1311 l’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo creò Simone Avogadro di Collobiano conte di San Giorgio Monferrato, Collobiano, Formigliana, Massazza e Lozzolo con ogni sorta di onori e prerogative. ... Non si conosce la data precisa della costruzione del Castello, ma della sua esistenza si ha notizia certa dell’atto di vendita del 5 dicembre 1302. Situato in posizione dominante è deturpato dalle costruzioni che gli sono cresciute accanto. Il lato nord con torretta angolare cilindrica è la parte che meglio conserva l’aspetto originale, nonostante si trovi in miserevole stato di conservazione. Nel XIV secolo il muro di cinta era più basso e munito di merlature a coda di rondine, parte delle quali sono ancora visibili. Il lato orientale è stato deturpato da finestre e balconi. La torre cilindrica dell’angolo sud-est è stata rifatta in epoca posteriore, dotata di loggetta panoramica e intonacata; sotto questa torre si trova l’antica cappella del castello, ormai ridotta a magazzino. L’interno, rifatto nella metà dell’Ottocento, è stato arricchito di un ampio salone e belle sale ornate e affrescate. ...».

http://www.comune.lozzolo.vc.it/index.php?module=xarpages&func=display&pid=5


Lucedio (monastero fortificato)

Dal sito www.ilmonferrato.info   Dal sito http://web.tiscali.it/teses/places/vc/lucedio.html

«L'abbazia di Lucedio fu fondata da Ranieri, marchese del Monferrato, che nel 1123 vi chiamò i Cistercensi, probabilmente in sostituzione dei Benedettini (Giordano 1979, p. 73). Il toponimo è già presente in una carta del 904 (Panero 1985, p. 17) e alcune tracce di occupazione di epoca romana (Borla 1982, 25, p. 92) fanno ritenere che il luogo fosse abitato anche prima della fondazione del monastero, così come in molti casi analoghi (Comba 1985, p. 372). Lucedio ebbe importanti donazioni dai marchesi del Monferrato, nel cui territorio sorgeva (Sincero 1897, p. 212; Giordano 1979, pp. 77-79), e la sua veloce espansione provocò ripetute controversie con la vicina abbazia di S. Genuario. Alle sei grange che costituivano la primitiva dotazione di Lucedio (Montarolo, Montarucco, Leri, Darola, Castelmerlino, Ramezzana) se ne aggiunsero molte altre, fra le quali Gazzo, Pobbietto, Palazzolo, Ronsecco, Sale, Bianzé (Giordano 1979, p. 82; Cavanna 1980), e l'abbazia assunse un ruolo fondamentale nella riorganizzazione agraria dell'ampia area boscosa che divideva un tempo l'alto dal basso Vercellese. La possibilità che l'abbazia fosse in antico fortificata, così come molte delle sue piú importanti grange, nelle quali la fortificazione poteva anche preesistere all'insediamento monastico, è puramente indiziaria. "Le attestazioni documentarie di castra monasterii appaiono però alquanto scarse rispetto alla diffusione che il fenomeno dovette avere nella realtà" (Settia 1984, p. 253). La questione si pone quindi come stimolo all'approfondimento delle conoscenze sugli insediamenti monastici del nostro territorio, con particolare riferimento alle strutture materiali di cui pochissimo ci è noto. Questi aspetti, raramente descritti dalle fonti coeve, sono di assai problematico chiarimento quando non esplicitamente menzionati con termini come castrum o villa, riconducibili alle strutture tipiche dell'insediamento rurale signorile, con le quali il monastero o la grangia spesso si identificano, come nei casi di Darola e Leri, ambedue grange di Lucedio situate a pochissima distanza dalla sede abbaziale. La casistica del rapporto fra monastero e castrum in Italia settentrionale è molto varia e permette di intravedere una realtà complessa, fino all'impossibilità di distinguere il ruolo prioritario dell'uno o dell'altro elemento (Settia 1984, p. 254), anche quando il monastero sorge su di un castello ormai in abbandono, come avviene alla fine dell'XI secolo in molte fondazioni cluniacensi.

La situazione del territorio in esame, con i monasteri di Lenta, San Nazzaro, Breme e S. Genuario, nei quali la presenza di una fortificazione è comunque in vario modo attestata, mentre non lo è per i casi di Lucedio e Muleggio, pur non permettendo facili generalizzazioni, consente di valutare con attenzione particolare la possibilità che, anche solo per ragioni contingenti di sicurezza, la fortificazione si esprimesse indubbiamente con idonei fossati e recinti e forse anche, come nel documentato caso di San Nazzaro Sesia (Luoghi 1991, I, p. 123), coinvolgendo strutture architettoniche ecclesiastiche, come chiesa e campanile. Sia per Lucedio che per Muleggio è certamente ipotizzabile una qualche forma di fortificazione o di chiusura, anche se queste non sono esplicitamente menzionate dalle fonti, ma sotto questo punto di vista molto resta da fare e, dopo le radicali trasformazioni subìte dagli edifici superstiti, le ricerche possono svilupparsi con contributi decisivi soprattutto da parte dell'archeologia. A Lucedio il toponimo "porta", conservato, in cartografie del XVIII e del XIX secolo, da alcuni appezzamenti adiacenti al monastero nella zona occidentale e meridionale, coincide con la posizione della trecentesca foresteria ora abbattuta (Borla 1982, 25, p. 92), segnalando la presenza di un elemento architettonico, spesso monumentale, tipico delle sedi monastiche racchiuse in recinto. L'impianto attuale conserva due corpi di fabbrica del XIII secolo, con parti della chiesa dedicata a S. Maria e il bel campanile, ma il complesso ha subìto notevoli rimaneggiamenti e guasti legati all'uso agricolo (Cavanna 1980, p. 266; Comoli Mandracci 1988, p. 71, fig. 53) che hanno obliterato strutture piú antiche e ampliato l'originario recinto nell'area a nord della roggia del mulino. Sono ancora distinguibili gli impianti della chiesa e del chiostro, dormitori e refettorio; cucina e magazzini sembrano collocabili a nord lungo il corso della roggia, dove era il mulino. Altri fabbricati lungo il lato occidentale dovevano ospitare, oltre all'ingresso, una corte piú piccola, destinata probabilmente alle famiglie dei massari e ai recinti per gli animali, così come avviene nelle grange meglio note (Comba 1985, pp. 372-377). La ricostruzione dell'impianto nelle sue varie fasi sarebbe auspicabile e dovrebbe avvenire attraverso una ricerca multidisciplinare complessiva di tipo soprattutto architettonico e archeologico, poiché il sito presenta un notevole interesse per la migliore conoscenza dell'insediamento monastico in territorio vercellese».

http://www.archeovercelli.it/fortifaf.html#anchor28596


Moncrivello (castelli di Miralda e di Uliaco)

Il colle su cui sorgeva il castello di Miralda vista dall'alto, dal sito www.archeovercelli.it   La chiesa di S. Martino di Uliaco, foto di Claudia Carra, dal sito www.viaromeacanavesana.it

«Il primo documento in cui è nominato il villaggio e il castello di Uliaco è un atto del 997, nel quale il vescovo di Vercelli Adelberto cedette ai figli del fu Restaldo di Uliaco due pezze di vigna situate in Uliaco, in cambio di altre terre in territorio di Cigliano e Clivolo (Panero 1978, p. 100). Una delle vigne iacet prope iam dicto castro Uliaco. Era dunque già presente un castrum e un centro abitato con propria giurisdizione a Uliaco sul finire del X secolo. Ottone III, con il diploma del 999, restituiva al vescovo di Vercelli le terre sottratte da Arduino d'Ivrea, confermando la giurisdizione vescovile su diverse terre del Vercellese, fra le quali Uliaco, che pertanto fin dal secolo X doveva essere possesso della Chiesa vercellese. Ebbero giurisdizione in Uliaco anche i Biandrate, che donarono i loro possessi al capitolo eusebiano alla fine del XII secolo. A partire dal 1170 il capitolo accrebbe i propri possessi in Uliaco mediante acquisti e donazioni e con l'investitura dei beni che nel luogo possedeva il monastero di San Nazzaro. Dalla prima metà del secolo XII la comunità di uomini liberi di Uliaco aveva dato vita ad un piccolo comune rurale per contrastare l'azione signorile di accorpamento fondiario. Tale comunità entrò nella sfera del Comune di Vercelli, che aveva acquisito dal vescovo la giurisdizione sul territorio. Vercelli si premunì nei confronti di Ivrea, che aveva in Uliaco e nella zona giurisdizione ecclesiastica, ottenendone, nel 1202, il riconoscimento dei propri diritti nelle località di Alice, Logge, Meolio, Arelio, Erbario e Uliaco. Nei documenti del Duecento il castrum di Uliaco si viene a identificare con "castello di Miralda" e i castellani sono detti domini de castro Miralde, località che diviene il fulcro del potere vescovile nella zona. Probabilmente il castrum di Uliaco e il "castello di Miralda", come ritiene il Panero, sono designazioni diverse della stessa fortificazione (Panero 1978, p. 104). Ne furono infeudati in parte i Bondonni nel 1182, che tentarono di contrastare la politica comunale di affrancamento, creando a Miralda un centro di potere fondiario. Nel 1261 il Comune di Vercelli, per sottrarre alle signorie locali le popolazioni di Uliaco, Villareggia e di altri centri vicini, deliberò la costruzione del burgum novum Durie, in terreni di proprietà della comunità di Uliaco. Il borgo franco ebbe però vita breve, ma dovette comunque provocare il graduale abbandono di Uliaco e Miralda. Nel 1428, quando Domenico Bondonni cedette i diritti sul territorio di Uliaco e Miralda, Uliaco è definito poderium, senza indicazione di centri abitati, e il castello di Miralda compare come dirrupto (Panero 1978, p. 109). Attualmente del castello non resta che la traccia di fortificazione circondante il colle, con la chiesa di S. Maria situata ad un'estremità e probabilmente compresa nel perimetro. Un poco piú a sud è visibile la chiesetta di S. Martino di Uliaco, in territorio di Villareggia. L'interesse del sito è soprattutto di tipo archeologico».

http://www.archeovercelli.it/aerea.html#anchor242947


Moncrivello (castello della duchessa Jolanda)

Dal sito www.art-wine.eu   Dal sito www.castellodimoncrivello.it   Dal sito www.duchessajolanda.it

«Il nome di Moncrivello appare nel diploma emanato da Federico I nel 1152 su istanza del papa Eugenio III a favore della chiesa di Vercelli nella persona del vescovo Uguccione, in cui si parla di “Moncravellum, Monscaprarum”. La parrocchia di Moncrivello è citata nelle bolle di papa Urbano III nel 1186 e di papa Onorio III nel 1216. Nell’alto Medioevo, sulla cima della collina di Moncrivello sorgeva, come potente rocca difensiva, il castello, le cui origini verosimilmente possono essere collocate intorno all’anno Mille, desumendolo dal tipo di architettura romanica. Passato nel 1243 ai Marchesi del Monferrato, nel Trecento fu riconquistato dai Vescovi di Vercelli e infeudato ai conti Fieschi fino al 1399, quando il popolo si sollevò, se ne impadronì con la forza e fece atto di dedizione ad Amedeo VIII di Savoia. Iniziava così l’età dell’oro del castello che fu dimora di ben tre duchesse di Savoia. La più illustre fu Jolanda di Valois, moglie di Amedeo IX e sorella del re di Francia Luigi XI, che trasformò l’antica fortezza in residenza signorile e ne fece il suo prediletto soggiorno. Furono aggiunti: lo scalone elicoidale, le finestre ornate con cornici in cotto, i merli dei muri di cinta, i soffitti a cassettoni, che si sono conservati fino a noi. La duchessa fece costruire il Naviglio di Ivrea, visionato da Leonardo da Vinci, prima via d’acqua navigabile sino a Vercelli, i cui redditi erano versati a beneficio del castello in cui morì nel 1478. Emanuele Filiberto volle premiare per le vittorie contro i Francesi il suo valoroso condottiero, capitano di ventura Cesare De Mayo di Napoli, con il castello ed il feudo di Moncrivello, che elevò a marchesato nel 1565. Nel 1692 il castello fu acquistato dalla famiglia del Carretto Gorzegno, di nobile stirpe Aleramica, cui rimase ininterrottamente in possesso fino al 1817 o 1825 quando la struttura fu parzialmente distrutta da un incendio e si ridusse alla torre, alle sale e alla grande cantina ancora esistenti; certo è che fino al 1815 il castello aveva tre porte con ponti levatoi e tutto il muro di cinta con parecchie torri.

Dopo un lungo abbandono, a partire dal 1972, la nuova proprietà ha intrapreso onerosi lavori di restauro conservativo del castello, già monumento nazionale nel 1908, entrato a far parte del patrimonio nazionale dei Beni Culturali dal 1980. Nel 1993 il vincolo fu esteso anche alla fascia adiacente del borgo medievale. Aperto al pubblico dal 1996, è sede di un’intensa attività culturale promossa dalla proprietà e dall’Associazione Culturale Duchessa Jolanda Onlus, di un’azienda agricola biologica e di un Bed & Breakfast. Il castello conserva alcune parti della struttura più antica: il poderoso “maschio” trecentesco, quadrangolare, con caditoie e finestra dalla graziosa cornice in cotto, attraversato da un passo carraio a volta gotica e la torre di ponente a pianta semicircolare, sovrastata da merli. L’edificio è difeso da una duplice cerchia di mura merlate con cammino di ronda. L’edificio ristrutturato nel Quattrocento, formato da un nucleo centrale raccordato alle due antiche torri, è a due piani collegati da una armoniosa scala elicoidale in mattoni, comprende i saloni per le manifestazioni a piano terreno e le sale sovrastanti, quasi tutte con soffitto a cassettoni e con un camino in cotto del XV secolo. La bella torre di “villa Moncrivello” era un edificio che faceva parte del castello che si estendeva fin là».

http://archeocarta.org/moncrivello-vc-castello


Monformoso (castello)

La cascina di Monteformoso, dal sito http://ceramic.altervista.org/MONFORMOSO.pdf   L'area degli scavi, dal sito http://ceramic.altervista.org/MONFORMOSO.pdf

«Del castello di Monformoso non resta più nulla in elevato. Solo la forma del colle su cui sorse e le tracce delle murature perimetrali visibili dall'alto, in particolari condizioni stagionali e vegetazionali, possono, con l'aiuto dei rari documenti d'archivio, fornire i dati per ricostruirne induttivamente l'aspetto e la forma. Il luogo di Monformoso pare fosse, nel XII secolo, possesso di un ramo dei Biandrate che aveva assunto il predicato "di Monformoso", successivamente, nel 1170, la giurisdizione sarebbe passata agli Avogadro (Sommo 1984, p. 52). è solo nel testo del documento di investitura del castrum, villam et districtum Montisformosi al Tommaso Langosco, conte di Stroppiana, del 1561, che è fatta esplicita menzione di una fortificazione, anche se vari indizi permettono di supporne l'esistenza fin dal XIII secolo. Fu proprio il Langosco che, acquistando i diritti su Monformoso e Villarboit per bonificare i terreni mediante la derivazione di un canale, provocò il graduale abbandono del castello e del borgo di Monformoso, privilegiando il vicino centro di Villarboit quale sede del nuovo tenimento. La lenta decadenza del luogo di Monformoso e del suo castello, al quale probabilmente si affiancava un piccolo borgo (Ferreri Sommo, 1984, p. 92), proseguì nel tempo fino al XIX secolo. Un documento del 1770 (Sommo 1984, p. 59, nota 85; Coppo d'Inverno 1982, p. 72, tav. X) mostra le rovine del castello che, verso la fine del secolo successivo, saranno completamente spogliate per recuperare terreni adatti al bosco ceduo. Il contorno del corpo di fabbrica è, infatti, ancora visibile in un rilevamento della zona del 1859 (Sommo 1984, p. 59, nota 86, fig. a p. 60). A nord del castello, separato da una via di accesso tagliata nell'altura, doveva essere dislocato il piccolo borgo fortificato, costituito da abitazioni disposte ordinatamente lungo un asse viario centrale. ...».

http://web.tiscali.it/archeovercelli2/LUOGHI%20I.pdf


Montonero (castello)

Dal sito www.sloways.eu   Foto di Daniele Patrignani, dal sito www.panoramio.com   Dal sito www.teses.net

«A Montonero esiste un castello risalente al XV secolo, che vanta una manutenzione decisamente buona. è stato costruito su di una precedente struttura, risalente a sua volta ai secoli XII o XIII, e fu modificato negli anni successivi fino a raggiungere l'aspetto attuale. Dopo essere appartenuto ai canonici vercellesi ed oggetto di liti tra quelli di S. Maria e di S. Eusebio, oggi è un complesso agricolo» - «La pianta del perimetro originale doveva essere quadrilatera con ingresso sul lato settentrionale, protetto da una massiccia torre quadrata. I resti di una torre circolare che occupano l'angolo sud orientale del recinto e sono attribuibili ad una fase successiva. In seguito, intorno alle mura, venne scavato un fossato e l'ingresso fu spostato sul lato occidentale del perimetro. Le torri, una quadrata e l'altra circolare, fiancheggianti il nuovo ingresso, sono databili intorno al XV secolo. In epoca posteriore vennero rialzati i muri di cinta, inglobando merli a coda di rondine. Attualmente il complesso è stato adibito ad uso agricolo. Storia: nel 945 il vescovo Attone donò ai canonici vercellesi il luogo di "Montonero". Le prime informazioni riguardo al castello, fatto costruire, con ogni probabilità, dai canonici di S. Eusebio, si hanno intorno alla metà del XII secolo. Si ritiene che la fortificazione facesse parte della "cintura" di castelli che il Comune di Vercelli, si era costituita per controllare tutte le strade di accesso alla città».

http://web.tiscalinet.it/teses/places/vc/montonero.html - http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_VC_Montonero.htm


Motta de' Conti (castello)

Dal sito www.comune.mottadeconti.vc.it   Dal sito web.tiscalinet.it/teses/places   Dal sito www.roberto-crosio.net

«Il castello, purtroppo in decadenza, è originale solo nelle sue strutture portanti, il resto è frutto di rimaneggiamenti posteriori. La parte più interessante è quella occidentale, a cui si accede passando sotto una torre quadrangolare. Il fabbricato posto a Nord della torre è stato sopraelevato sull'antica merlatura quadra, ancora visibile nella linea delle finestre collocate sotto il tetto. Da questo lato un tempo si aprivano finestre in cornici di terracotta, delle quali si possono ancora notare dei resti. ...» - «Il luogo compare molto tardi nei documenti, nonostante la presenza di reperti risalenti all'epoca romana (Viale 1971, p. 61). L'origine del castello di Motta dei Conti è soggetta a diverse interpretazioni. Il Casalis ne attribuisce la fondazione alla famiglia vercellese dei Cipelli, originari di Lodi, investiti in seguito del titolo di conti della Motta; ma questa famiglia compare nel nostro territorio solo nel XV secolo, fatto che implicherebbe una datazione del castello almeno al 1400. Di diversa opinione sono l'Ordano e l'Avonto, i quali ricordano che il castello fu eretto, a scopi offensivi, dai conti palatini di Lomello, nel secolo XIII, quando ebbero interessi presso questa sponda del fiume. Il Conti, infine, pur non confutando l'opinione dell'Ordano, avvalorata, oltre che dai documenti storici, dalle caratteristiche architettoniche (specialmente nella parte più antica, quella occidentale), preferisce attestare la fondazione del castello nell'epoca compresa fra quella ipotizzata dall'Ordano e quella indicata dal Casalis, cioè nel XIV secolo (Ordano 1966; Conti 1977, p. 169; Avonto 1980, p. 175; Ordano 1985, p. 179). Secondo il Panero, Motta potrebbe essere identificata con la villa nuper hedificata ab Henrico de Candia citra Sicidam, citata nel 1242 (Panero 1985, p. 18).

I primi signori del castello furono comunque i conti di Lomello, un ramo dei quali assunse il titolo di conti Langosco della Motta. In seguito a diverse vicissitudini e passaggi di feudo il castello divenne, nel XVII secolo, di proprietà della famiglia Cipelli. Il castello fu sottoposto a incendi, saccheggi e devastazioni, provocate, oltre che dagli Spagnoli, acquartierati presso la Villata di Candia, dall'altra parte della Sesia, dalle truppe nemiche o amiche che alloggiavano al suo interno. All'inizio del XVIII secolo subì l'ultimo attacco, per opera dei Francesi. Intorno all'edificio fortificato, costruito su di un'alzata di terra (da cui deriva il nome di motta), si sviluppò un villaggio, i cui abitanti trovarono nel luogo sopraelevato e protetto dal castello un ottimo riparo dalle frequenti inondazioni della Sesia e dagli altrettanto frequenti attacchi nemici. Al castello si affiancò una chiesa, che, per il gran numero di abitanti attirati dalla posizione, divenne parrocchiale, smembrata da quella di S. Emiliano di Villanova, dopo il 1390 (Avonto 1980, p. 276). Nonostante i ripetuti rimaneggiamenti le strutture essenziali del castello, originarie del XIII secolo, sono ancora visibili. La parte occidentale della fortificazione è sicuramente la più interessante per la presenza della torre d'ingresso a pianta quadrata, di un'antica merlatura guelfa sotto il tetto e di minuscoli avanzi di antiche finestre con cornici in cotto. Il castello, da tempo disabitato e in rovina, è stato recentemente oggetto di lavori di riattamento».

http://www.comune.mottadeconti.vc.it/Home/Guidaalpaese/tabid/29477... - http://www.guidacomuni.it/storia.asp?ID=2082


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