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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI VERCELLI
in sintesi, pagina 2
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
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« La località di Nebbione nel Medioevo fu feudo degli Avogadro di Carisio, un ramo dei quali ne prese il nome. Essi nel 1404 si sottomisero ai Savoia: nel 1568 il feudo fu alienato alla famiglia Caresana. Del castello, attestato sin dal 1100, restano rilevanti strutture: un fabbricato risale all’epoca barocca ed è essenzialmente una residenza patrizia di campagna; al di là di un cortile un altro fabbricato ha origini più antiche, come è provato da una torricella, dai resti del fossato, dalle tracce del vecchio ponte levatoio e dalle mura scarpate» - «Il castello di Nebbione è costituito da due parti totalmente differenti tra di loro. Una metà è una residenza signorile di campagna, mentre l'altra è una fortificazione con torre sovrastante l'ingresso. ...».
http://archeocarta.org/carisio-vc-resti-medievali - http://web.tiscali.it/teses/places/vc/nebbione.html
Olcenengo (resti del castello degli Avogadro)
«La notizia più antica riguardante Olcenengo risale a una disposizione sinodale del 964, in cui è nominata la parrocchia di Auzeningo. ... Verso la fine dell’XI secolo il territorio vercellese fu terrorizzato dalle scorrerie degli Ungari. Questi barbari preferivano razziare nei paesi senza difesa, per le campagne e nei cascinali. Giunsero anche a Vercelli il 13 dicembre 899 saccheggiandola e uccidendo il vescovo e tutto il clero. Nei paesi attorno a Vercelli la gente aveva paura e non osava più portare i neonati nel Duomo per farli battezzare. Più tardi, cessato il pericolo delle scorrerie, il vescovo Ingone, col sinodo del 964, volle ristabilire l’ordine che c’era prima, perciò impose che i parroci delle chiese di Pezzana, Prarolo, Quinto, Calvignasco (Larizzate), Casalrosso e Olcenengo dovessero battezzare i bambini nella chiesa e battistero di Sant’Eusebio, cioè nella cattedrale di Vercelli. Dal documento sinodale sappiamo quindi che nel 964 esistevano sia il paese che la parrocchia di Olcenengo. Più tardi, il papa Adriano IV, con bolla del 27 dicembre 1156, e il papa Lucio III, nel 1182, riconfermarono alla Chiesa e al vescovo di Vercelli la chiesa di San Quirico e Giulitta di Olcenengo, con le sue decime e pertinenze. Infatti, nell’estimo delle chiese e dei benefìci della diocesi del 1298 è segnato: “Ecclesia de Olzenengo, Cappella castri de Olzenengo, subsunt Capitulo Vercellensi”. L’indicazione ci fa sapere che a Olcenengo in quel tempo (1298) esisteva già il castello nel quale c’era una cappella dedicata a San Giovanni Battista. Ma la roccaforte non è legata a episodi di guerre o di violenze. Apparteneva alla famiglia degli Avogadro di Quinto, che la occuparono pacificamente tenendosi sempre ai margini delle lotte. Dal 1930, la famiglia di Pietro Avogadro di Quinto, che occupava il castello, si specificò meglio come avogadro di Olcenengo. Sembra che il castello fosse collegato a quello di Quinto, una giustificazione la si trova nel fatto che entrambi i castelli fossero di fazione guelfa, sotto gli Avogadro. Nel 1404 il luogo passò sotto i Savoia. Quando gli Avogadro di Olcenengo si spensero nel 1596, i Savoia investirono del castello e del piccolo feudo Eusebio Arona. Poi, con l’estinzione degli Arona la proprietà, nel 1722, passò ai signori Ricca. Ora il castello ha pochi ambienti adibiti a casa colonica».
http://www.comuneolcenengo.it/conoscere_olcenengo/edifici_e_monumenti.html
Oldenico (castello dei Biandrate)
«l paese, circondato da vari corsi d'acqua (Sesia, Cervo, Marchiazza), è una sorta di penisola. Le sue origini si collocano fra il IX e il X secolo. L'imperatore Federico I Barbarossa con diploma del 17 ottobre 1152 donò il luogo alla Chiesa di Vercelli. Oldenico passò poi sotto la giurisdizione dei conti di Biandrate e dal 1179 sotto quella del comune di Vercelli, di cui seguì le vicende politiche. In parti del territorio ebbero beni e diritti anche varie famiglie nobili, come i Tizzoni e gli Arborio. Nel XVII secolo gli Arborio di Gattinara ebbero il titolo di conti di Oldenico. Per tutto il Medioevo il paese, situato in una posizione strategica importante, fu al centro delle guerre combattute fra Nòvara e Vercelli per il dominio del fiume Sesia. Nel XVI secolo subì gravi vessazioni durante le lotte tra spagnoli e francesi. Dell'antico Castello risalente al periodo dei conti di Biandrate non rimane molto: il cortile interno, parte del muro esterno e la facciata (ben conservata), che denota la sua primitiva struttura muraria fatta di pietre del Sesia posate a lisca di pesce e alternate a manufatti in cotto».
http://www.lamedelsesia.vc.it/Pp_Oldenico.asp
«Pertengo è un centro abitato di antica origine, come testimoniano i numerosi reperti archeologici di epoca romana rinvenuti alla fine del secolo scorso, il cui nome dovrebbe significare "proprietà di Pert". Il paese è citato per la prima volta in un diploma di Federico Barbarossa del 1152, con il quale concedeva il territorio ai vescovi di Vercelli; successivamente appartenne al Comune di Vercelli, all'abate della Torre, ai Tizzoni e ai Turinetti di Cambiago. Il castello viene citato per la prima volta in un documento del XVII secolo; secondo alcuni studiosi esso venne costruito su una fortificazione preesistente dai Tizzoni nel 1613 come residenza di campagna».
http://www.comune.pertengo.vc.it/Home/Guida-al-paese?IDPagina=11514
Pezzana (fattoria fortificata di Crocetta)
«La Crocetta è una fattoria fortificata facente parte del Comune di Pezzana e si trova lungo la via per Prarolo. è un edificio a pianta rettangolare e, lungo gli spigoli del lato settentrionale vi sono due torri cilindriche, costruite in mattoni. All'apparenza sembrano piuttosto recenti, probabilmente risalente al XVII secolo o successivi. La funzione di questa fortificazione è, attualmente, un mistero. Poco probabile è l'aspetto decorativo, potrebbe essere sorta su di una precedente costruzione la quale avrebbe subito alcune trasformazioni» - «[è stato scoperto] un documento ottocentesco (Cascine Castelletto. Archivio di Stato di Vercelli, Dis. Ospedale di S. Andrea, n. 227. Pezzana.) ove la Crocetta è denominata Cascina Castelletto (scheda 341), con lo stesso toponimo dell’altra, situata ai limiti settentrionali del territorio di Caresana. Questa più antica denominazione avvalorerebbe l’ipotesi di una fortificazione del sito anteriore al secolo XVII».
http://web.tiscali.it/teses/places/vc/pezzana.html - http://web.tiscali.it/archeovercelli2/LUOGHI%20IV.pdf
«L'antichità del territorio è confermata da notevoli ritrovamenti archeologici. Esiste un documento, del 1231, in cui si cita la chiesa di S. Lorenzo: questo è il più antico documento trovato che attesti l'esistenza del complesso. La struttura interna della fortificazione apparteneva agli Avogadro ed ai Cagnoli-Centoris (feudatari ghibellini). Infatti, all'interno del castello era stato costruito, per volere degli Avogadro, un fortilizio indipendente. La lite fra le due fazioni fu inevitabile, tanto più che gli Avogadro detestavano i Cagnoli-Centoris in quanto questi sostenevano i Tizzoni. Gli Avogadro erano inoltre protettori della Chiesa Romana in guerra ed in passato avevano ceduto il castello al clero. Nel 1399 il castello subisce ma resiste gli attacchi degli uomini di Facino Cane, ma nel 1402 viene occupato ed incendiato dall'esercito visconteo. Consolidato lo Stato Piemontese con la dominazione dei Savoia, nel 1431 il castello torna agli Avogadro ed ai Cagnoli. Con l'estinzione del ramo degli Avogadro di Pezzana, passo agli Avogadro di Valdengo e di Collobiano. Nel 1620 il duca Carlo Emanuele assegnò il titolo comitale ad Agostino Siccardi da Pigna. Con l'arrivo delle truppe spagnole, intorno al 1650 il castello viene distrutto ed è ormai visibile solo su di una mappa del XIX secolo. Sulle fondamenta della cappella castrense è stata costruita un'abitazione che conserva mura del vecchio castello. Pare inoltre che alcuni ambienti sotterranei sarebbero ancora conservati sotto ai fabbricati costruiti sull'area dove un tempo sorgeva il castello. Lungo la strada per Prarolo vi è una cascina particolare, denominata Crocetta».
http://web.tiscali.it/teses/places/vc/pezzana.html
«L'attestazione della presenza di abitati medievali e di fortificazioni in questa località è dovuta allo storico serravallese Bellini, del secolo XVII. Le frazioni Piane e Mazzone erano denominate "torrione" e "castello" e, ancora nel 1617, erano visibili molti ruderi e costruzioni medievali (Conti 1931, p. 49). Il Conti ricorda anche il ritrovamento di "vasi e monete romane dell'alto impero" che fanno ritenere il luogo, molto prossimo a Naula, abitato fin dall'antichità e certo prima che vi si stabilissero le famiglie di Naula (Ordano 1991) che non accettarono di abitare il borgo franco di Serravalle (1255). La tradizione vuole che essi fossero i discendenti degli arimanni del luogo, uomini liberi non soggetti ad alcuna signoria. La ricognizione sul terreno ha permesso di individuare un sito dove ancora affiora un tratto di muro antico, sia pure rimaneggiato, e dove si vuole che esistessero altre strutture ormai scomparse. Sarebbe necessaria una ben più approfondita ricerca nella zona per chiarire meglio l'entità e la datazione delle tracce e dei resti che, comunque, hanno interesse eminentemente archeologico. Insieme con il sito di Naula che, dal secolo scorso ancora attende una sistematica verifica archeologica (Conti 1931, pp. 49 sgg.), le frazioni di Piane e Mazzone, meriterebbero una accurata ricognizione».
http://www.archeovercelli.it/fortifac.html#anchor472084
«Le prime notizie certe sul castello di Prarolo risalgono al 1398, quando già si parlava di onerose riparazioni da effettuare all’immobile; pertanto l’edificio già esisteva in tale data. Addirittura, date le caratteristiche strutturali, la torre quadrangolare dovrebbe risalire almeno al secolo precedente. Nella seconda metà del secolo XV l’abbazia di S. Stefano, detta anche abbazia di Prarolo, venne sottratta ai benedettini e da allora fu data in appannaggio ad un abate commendatario nominato dai Savoia in accordo con il Papa. I commendatari appartenevano a potenti famiglie, quali quella dei Borromeo di Milano che fornì il più illustre degli abati di Prarolo: il cardinale Federico, nipote di san Carlo, che nel 1628 fece ricostruire la chiesa parrocchiale di Prarolo. In seguito alla nazionalizzazione di gran parte dei beni ecclesiastici, nel 1801 la tenuta agricola Castello di Prarolo fu acquistata dall’Ospedale S. Andrea di Vercelli e ora è di proprietà dell’ASL 11. Il castello è caratterizzato da una torre angolare cilindrica e da una quadrangolare, indipendente, con caditoie e due torricelle soprelevate. La torre quadrangolare costituiva l’accesso del castello tramite un ponte levatoio di cui sono ancora bene evidenti le tracce. L’interno della torre, a lungo usato per scopi agricoli, non risulta interessato dall’ampio rimaneggiamento che, a metà del XVIII secolo, ha dato al castello di Prarolo il suo aspetto attuale. Nel novembre 2011 un sopralluogo ai locali interni della torre quadrangolare ha permesso di fare una prima valutazione dello stato di conservazione degli affreschi quattrocenteschi recentemente segnalati dal prof. Giovanni Ferraris. A parte tracce minori, sulla parete della torre rivolta a sud sono state evidenziate due aree affrescate attualmente separate da un varco di accesso all’ultimo piano della torre, ma originariamente appartenenti ad un unico affresco avente una base di oltre 2 metri ed una altezza di poco inferiore al metro. La parte di sinistra, meglio conservata, rappresenta una Madonna seduta con un ampio manto rosso e in grembo Gesù bambino che si sta sporgendo verso un devoto che appena si intravvede. ...».
http://archeocarta.org/prarolo-vc-castello
a c. di Federica Sesia
«La località, la cui supposta origine romana non è suffragata da elementi concreti, compare nei documenti solo nel 1210 (Panero 1985, p. 20) e le prime notizie del castello risalgono al 1268 (Avonto 1980, p. 265), quando la fortificazione già rivestiva un notevole ruolo come roccaforte ghibellina ai confini fra il Vercellese e il Monferrato. I primi signori di Rive di cui si trovino indicazioni documentarie sono i Tizzoni, potente famiglia vercellese che deteneva diritti feudali anche nelle località di Desana, Crescentino e Balzola. Giacomo Tizzoni di Rive "capeggiò i ghibellini vercellesi e nel 1275 li riportò a Vercelli, cacciando gli Avogadro e la loro parte" (Ordano 1985, p. 207). I Tizzoni poterono quindi rientrare in possesso del castello di Rive, che era stato espugnato, insieme a quello di Balzola, dai guelfi novaresi, vercellesi e milanesi. Il castello appare notevolmente trasformato da "abbellimenti" del secolo scorso, in particolare spiccano le merlature e le aperture delle due torri e la terrazza situata fra di esse sopra l'ingresso. Ancora nel Quattrocento il complesso era circondato da un profondo fossato alimentato dalla roggia Molinara ed era dotato di torri e di ponti levatoi (Ordano 1966). Una cappella dedicata a S. Carlo si trova tuttora a piano terra, a fianco del portone di accesso (Ordano 1985, p. 208). La pianta, pressapoco ottagonale, del recinto ricalca quella preesistente, della quale si ha testimonianza in un documento del 1702, a proposito di una torre pericolante che venne demolita in quell'anno (Avonto 1980, p. 270). Il pozzo, situato al centro del cortile, è stato scoperto in seguito alle recenti opere di restauro (Avonto 1980, p. 271), che hanno posto rimedio alla pesante situazione dell'edificio riscontrata negli anni Settanta (Conti 1977, p. 180), ma con qualche intervento discutibile, soprattutto per quanto riguarda il trattamento degli esterni. L'interesse del sito, anche dal punto di vista archeologico, permane notevole».
http://www.guidacomuni.it/storia.asp?ID=2115
Roasio (resti della torre del castello)
«L'unica attestazione materiale riferibile ad una fortificazione è presente a Roasio S. Maurizio. Nel 1225 Alberto e Pietro, figli di Roboaldo, signori di Rovasenda, di Roasio e di Roasino, cedettero i loro diritti su Roasio e Roasino a Bongiovanni Piazza, il quale diede loro in cambio i diritti su Rovasenda. Roasio fu occupata da Gian Galeazzo Visconti e da questi concessa a Manfredo Barbavara nel 1402. Nel 1421 entrò in possesso dei Savoia (Dionisotti 1898, p. 56). Su di un colle situato ai limiti dell'abitato di Roasio S. Maurizio, a qualche centinaio di metri a nord della chiesa parrocchiale omonima, sono visibili per un' altezza di alcuni metri, i resti murari di una forte torre a pianta quadrata (m 4,50 di lato), costruita con pietre ben squadrate agli angoli e con corsi regolari di ciottoli a spina di pesce, sottolineati da linee tracciate nella malta, ottimamente conservata. Il piccolo pianoro doveva poi verosimilmente essere contornato da un recinto, del quale non sono visibili resti, ma che è in qualche modo richiamato dal terrazzamento contornante l'altura e dalla parcellazione catastale. Il tipo di muratura è genericamente databile in zona al XII-XIII secolo. Il sito, totalmente in abbandono, non permette di valutare in modo rassicurante lo stato di conservazione del rudere, evidentemente in lento disfacimento. è comunque tuttora notevole l'interesse archeologico dell'area».
http://www.comune.roasio.vc.it/Home/Guidaalpaese/tabid/23465/Default.aspx?IDPagina=9947
«Robiallo compare per la prima volta nel 1217 nell'atto di cessione dei conti di Biandrate al Comune di Vercelli: toto castro Rubialli cum suburbio eius et cum curte eius (Mor 1933, XXIV, p. 51). Non sappiamo quando sia stato costruito, ma è da credere che possa risalire almeno alla fine del secolo XII, o asgli inizi del XIII, e che vi si fossero stabiliti un abitato e una corte. La sua posizione, su di uno spiazzo ai piedi del monte Fenera, risponde ad un'esigenza ben precisa: bloccare la Valduggia (Mor 1971, p. 52) verso i confini novaresi. Il Mor ritiene che l'abitato, sottinteso dai termini suburbio e curte, denominato anche villa in un documento del 1219 (Mor 1960, p. 84), fosse ristretto alle immediate vicinanze del castello e si fosse sviluppato attorno ad esso dopo la sua costruzione, non avendo pertinenze territoriali e avendo giurisdizione limitata al castrum. Nel novembre 1218 i Novaresi dovettero assediare Robiallo, che si arrese o fu preso a dicembre, poiché il 22 dello stesso mese Ardizzone Avogadro, in apposito atto, promette al Comune di Vercelli di restituire l'indennizzo ricevuto per l'armatura perduta a Robiallo, nel caso che ne venisse nuovamente in possesso (Mor 1933, XXXIII, p. 82). Il castello assume in quegli anni particolare rilevanza nelle guerre fra i due comuni e i due rami del consortile nobiliare dei Biandrate, e esso compare, infatti, in molti documenti di investitura e di accordo, dal 1224 al 1273. Un atto del 1260 pattuisce, ad esempio, le spese di custodia del castello di Robiallo per l'anno successivo che il comune, previa esenzione dal fodro, deve ai Biandrate, e ricorda la presenza di un castellanum e di dieci servientes in castro Rubialli, a carico dei Vercellesi (Mor 1933 LI, p. 128).
Nel 1264 la fortezza viene nuovamente espugnata dai Novaresi, guidati da Filippo della Torre, non venne però, probabilmente, distrutta che nella seconda metà del XIV secolo, quando dalla Valsesia furono definitivamente scacciati i Biandrate. Ancora nel 1304, infatti, si tramanda l'occupazione di Robiallo da parte di Dolcino, le cui milizie si aggiunsero al presidio armato dei conti (Ravelli 1924, p. 84). Il Ravelli, nei primi decenni del Novecento, riscontrava la presenza di "traccia di un antico fabbricato, fra cui un basamento quadrilatero fa supporre una torre". Attualmente su quei resti insiste una rustica costruzione agricola e sono molto scarse le tracce visibili da terra. L'aerofotografia in questo caso può essere di aiuto per una migliore comprensione del sito, che conserva un notevole interesse archeologico e può rappresentare un'occasione di ricerca su di una fortificazione che, dopo l'abbandono, non ha subìto rilevanti interventi. Il perimetro potrebbe essere pressoché quadrilatero e comprendere tutta la superficie dell'altura, naturalmente adatta alla difesa. Il dongione risulterebbe, in questo caso, posizionato presso uno degli spigoli e, certamente, abitazioni e magazzini dovrebbero trovarsi all'interno e all'esterno del recinto. Tuttavia non è individuabile, ad un primo esame, l'ingresso, e solo alcune tracce sorreggono l'ipotesi di un recinto esteso all'intero perimetro dell'altura. La località, dunque, dovrebbe essere indagata in modo più approfondito a terra, e meriterebbe una serie di sorvoli in vari momenti stagionali e vegetazionali».
http://web.tiscali.it/archeovercelli2/LUOGHI%20I.pdf
Roccapietra (resti del castello d'Arian)
«Le poche rovine rimaste si trovano sul lato occidentale del Laghetto di S. Agostino su un colle a quota 535 metri fra il Poggio Pianale e il Poggio Cerei. Storicamente non si sa niente su questo castello. Studiosi di cose valsesiane in passato hanno avanzato alcune ipotesi. Partendo dal nome hanno sostenuto trattarsi di un insediamento di Ariani nel 1300. Altri hanno considerato questa ipotesi talmente assurda da non meritare di essere presa in considerazione. Sotto alle rovine, sulla sponda del lago, è visibile un pozzo che serviva come rifornimento d'acqua per il castello» - «Un altro castello, il più antico, è quello edificato poco sopra il lago di Sant' Agostino tra il monte Pianale ed il poggio Cerei. è noto come Castello di Arian e non è possibile risalire con certezza alla data della sua costruzione e a chi l'ha costruito. Di questo castello rimangono soltanto poche tracce di mura, la cisterna per l'acqua piovana, qualche resto della strada che scendeva a valle ed un pozzo che dal piano del lago forniva acqua al castello per mezzo di un cunicolo. Molte sono le ipotesi fatte circa la sua origine; per via del suo nome la tradizione lo fa risalire ad un possibile insediamento di ariani del IV secolo. In tal modo si giustifica anche il nome dato al laghetto e alla cappella, poiché proprio Sant' Agostino aveva avuto parte nel disperdere questi pericolosi eretici annidati in Valsesia. Tuttavia appare una spiegazione piuttosto improbabile e si ritiene più possibile l'ipotesi che si tratti eventualmente di un gruppo di eretici medievali, magari dolciniani, che furono ricoverati dai Conti di Biandrate nei loro castelli nel XIV secolo per avere il loro appoggio nel cercare di mantenere un dominio che stavano per perdere».
http://www.qui-montagna.it/CASTELLO%20D'ARIAN.html - http://roccapietra.altervista.org/castelli.htm
Roccapietra (resti del castello dei Barbavara)
«In Valsesia, fra gli abitati di Varallo e di Rocca Pietra, sorge una montagna isolata. La sua posizione è tale da dominare la sottostante valle, nonché le strade provenienti dal Lago d'Orta attraverso Civiasco e Cilimo. La montagna è composta da tre cime. Quella centrale, la più estesa ed evidente, è quotata 656 metri e per buona parte è circondata da strapiombi rocciosi. è su questa sommità che, attorno agli anni 1050, i conti di Biandrate costruirono un castello al quale fu assegnato il nome di S. Stefano. A mezzo di questo fortilizio, autentico "nido di uccelli rapaci", i conti di Bìandrate esercitarono, per più di trecento anni, il loro potere sulla Valsesia, con tutta l’arroganza e la prepotenza di cui erano capaci. Fra il 1372 e il 1374 i valsesiani si liberarono dal dominio feudale che li aveva oppressi. I conti di Bìandrate furono scacciati dalla valle e dichiarati nemici del popolo valsesiano. I loro castelli furono distrutti sia come rappresaglia per le angherie subite, sia per impedire nuovi insediamenti feudali. La libertà dei valsesiani durò quasi trent’anni. Nel 1402 Francesco Barbavara ebbe in feudo la Valsesia. Il Castello di S. Stefano fu ricostruito ed il Barbavara si comportò, nei riguardi dei suoi sudditi, alla stessa stregua dei precedenti feudatari, tanto che in quel di Varallo e di Rocca Pietra, ancora adesso, il nome di Barbavara suona male. Dopo 13 anni nel 1415 i valsesìani si liberarono definitivamente dal feudalesimo. Il Barbavara si vide costretto a lasciare precipitosamente la Valsesia ed il castello venne nuovamente distrutto. Questo è quanto storicamente accertato. Però sul castello e sulle sue vicissitudini esistono alcune leggende. ...
Attualmente del castello, ormai conosciuto col nome di Castello di Barbavara, restano solo i ruderi. La sua costruzione ha richiesto un impegno economico e tecnico non indifferente. Il materiale necessario è stato trasportato sul posto dalla valle superando un dislivello di oltre 200 metri. Inoltre la cima non è pianeggiante, ma presenta una differenza di quota di 15 metri. Da qui la necessità di impostare i vari locali su piani diversi, presumibilmente tre, collegandoli con rampe o scale. Ancora visibile il portale d’ingresso. Sul muro verso Rocca Pietra sono evidenti due feritoie. Visibile una piccola cappella con abside. Un discorso a parte merita la cisterna per la raccolta dell'acqua. Il soffitto era a volta di cui si vede ancora la parte più bassa. La pianta è rettangolare. Sui lati minori esistono due aperture che potevano servire per il carico dell’acqua, oppure per il suo prelievo a mezzo di un pozzo e di un sifone. Quello che resta non consente di avanzare altre ipotesi. ...».
http://www.qui-montagna.it/CASTELLO%20DI%20BARBAVARA.html
Ronsecco (resti delle fortificazioni, Castellazzo)
«...Nel diploma del 7 maggio 999, riguardante la donazione di alcuni territori alla Chiesa di Vercelli da parte di Ottone III, e in alcuni documenti imperiali analoghi dell'XI-XII secolo, Ronsecco è citata soprattutto nella forma Ronchum Sicum (Ordano 1985, p. 209). Il nome di Ronsecco è poi ricordato in un diploma del 17 ottobre 1152 dell'imperatore Federico Barbarossa in favore del vescovo Uguccione. Quest'ultimo, nel 1160, fece spostare il centro di Biella dal piano all'altura del Piazzo e, quasi certamente, fu sempre lui a spostare Ronsecco nell'attuale luogo (Settia 1984, p. 333; Ordano 1985, p. 210). Nel XII secolo la famiglia Bondonni (o Bondonis) era una delle piú importanti di Vercelli; il 18 giugno 1181 Guala, divenuto vescovo alla fine del 1170, cedette Ronsecco al proprio genitore Jacopo Bondonis (Dattrino 1992). Sotto la signoria dei Bondonni, che durò fino al 1560, furono edificati due castelli: il primo probabilmente tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo; il secondo, di cui sono visbili i resti, forse verso la fine del XIV secolo (Ordano 1985, p. 212). Nel 1467, durante la guerra di Gattinara, fra i Savoia e Galeazzo Maria Sforza, i due castelli furono al centro di importanti operazioni militari (Ordano 1966). Dopo la famiglia Bondonni si succedettero nella signorìa del luogo le famiglie Ghisleri, Braida, Parato e, in seguito, nel 1724, i Lafranchi di Chieri. Nel 1701 la località di Ronsecco fu creata comune e in seguito fece parte dei beni della mensa arcivescovile di Vercelli (Dattrino 1992). Del piú antico dei due castelli non è rimasta ormai alcuna traccia, mentre del secondo, edificato accanto al piú antico, sono ancora visibili le vestigia della base del suo muro di cinta. Il complesso si sviluppava secondo una pianta quadrata (Ordano 1966; Ordano 1985, p. 212), le strutture superiori sono andate distrutte ed in parte sostituite da recenti costruzioni. Poco distante da Ronsecco è situata, inoltre, la cascina Castellazzo, forse appartenuta ai Tizzoni, nella quale si trova l'antico oratorio pubblico di Santa Teresa (Archivio della Curia arcivescovile di Vercelli, visite pastorali). Castellazzo di Ronsecco. Il toponimo "castellazzo", assai significativo, è rimasto alla cascina che si trova sulla riva della roggia Mussa. Ancora nel catasto attuale una piccola area del cascinale conserva la denominazione "castello", facendo apparire chiaramente la presenza di una fortificazione nel luogo, successivamente abbandonata e in disuso, la quale diede alla zona la tipica denominazione di "castellazzo". Nessun documento noto fa riferimento a questa località fortificata, che tuttavia ha lasciato traccia nelle leggende locali, avvedutamente raccolte dall'Ordano (Ordano 1966; Ordano 1985, p. 212). Esse fanno menzione del "castellazzo» come luogo abitato da gente malvagia, distrutto poi dai Tricerresi con l'aiuto dei soldati di Vercelli. La fortificazione del "castellazzo" si inserisce quindi nella questione costituita dalla probabile contemporanea presenza di almeno due luoghi fortificati in territorio di Ronsecco, fatto che porterebbe a ipotizzare l'esistenza di una pluralità di diritti sulla zona, peraltro non attestata dalle fonti. L'area conserva interesse esclusivamente archeologico».
http://www.archeovercelli.it/fortifah.html#anchor319981
a c. di Glenda Bollone e Federica Sesia
«La documentazione riguardante Salasco e il suo castello è piuttosto scarsa, data la non particolare importanza che il borgo ebbe nella storia del Vercellese. I signori di Salasco, nella seconda metà del XIII secolo, sono presenti nella vita politica del Comune di Vercelli, al quale sono sottomessi. Tra la seconda metà del XIII e l'inizio del XIV secolo risultano signori di Salasco i Margaria alias de Riciis, antica famiglia vercellese di parte guelfa. Anche il monastero di Muleggio possedeva terre nella zona di Salasco, concesse in affitto agli abitanti del luogo (Avonto 1980, pp. 184-185). Nel corso dei lunghi conflitti tra guelfi e ghibellini fra XIII e XIV secolo il luogo fu coinvolto e danneggiato a causa dell'appartenenza alla parte guelfa dei suoi signori. Nel 1335 Salasco, come molte altre località del Vercellese, passò sotto il dominio di Azzone Visconti, cui i Margaria si sottomisero per evitare danni ai loro possedimenti. La pace, seguita al dominio visconteo, si interruppe nel 1355 a causa della guerra tra i signori di Milano e la lega anti viscontea guidata dal marchese di Monferrato. I disordini si aggravarono dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti nel 1402, quando le truppe della lega invasero il Vercellese per impadronirsi dei territori soggetti ai signori di Milano. Nel 1404 i Margaria, nel timore di perdere i propri possedimenti, fecero atto di dedizione ad Amedeo VIII di Savoia (Avonto 1980, p. 186). Nel 1427 si ha il definitivo passaggio di Vercelli e del suo distretto, e quindi anche di Salasco, ai Savoia. Del castello di Salasco non si hanno notizie fino alla metà del XV secolo e si presume che, fin dalle origini, non dovesse trattarsi di una costruzione realizzata a scopi militari e difensivi, ma destinata a riparo e conservazione dei prodotti agricoli (Avonto 1980, p. 187). L'attuale castello si presenta in buono stato di conservazione ed è stato riadattato a casa di campagna sulla base dell'antica fortificazione (Ordano 1985, p. 225). L'edificio ha pianta quadrilatera, con quattro torri cilindriche agli angoli, di cui quella situata a sud est ricostruita (Avonto 1980, p. 187). La modifica piú rilevante è costituita dallo spostamento dell'ingresso che originariamente era posto a nord, mentre attualmente si trova a est (Conti 1977, p. 183).Il castello è oggi adibito ad azienda agricola».
http://www.archeovercelli.it/fortifaf.html#anchor38665
«Saletta è citata per la prima volta in un documento del marzo 1143, con il quale Corrado di Casorzo e i suoi due nipoti vendono a Gervasio Russo la quarta parte di Saletta e la metà di tutti i loro possedimenti nel suddetto territorio (Avonto 1980, p. 259). Successivamente Saletta è ricordata in un diploma di Federico I Barbarossa del 1152 (Ordano 1985, p. 226). Con atto del 28 aprile 1258 Saletta, come conseguenza di una divisione dei beni da parte di Martino, Guglielmo e Ranieri di Saletta, diviene possedimento di quest'ultimo. Secondo un documento del 22 novembre 1272, Ranieri, essendo entrato nella congregazione degli Umiliati, donò al monastero di S. Martino di Lagatesco tutti i beni di Saletta, compreso il castello. Il monastero, a sua volta, vendette tutti i possedimenti di Saletta all'abbazia di S. Andrea. Questo è anche il primo documento che attesti l'esistenza del castello di Saletta, anche se, probabilmente, la fortificazione esisteva già nel secolo precedente (Avonto 1980, p. 260). Secondo alcune dichiarazioni risalenti al 19 agosto e 1 settembre 1310, da parte di uomini di Saletta, l'abbazia di S. Andrea non era l'unica proprietaria di Saletta: essa, infatti, ne possedeva sette parti, mentre una parte era di proprietà della mansione dei cavalieri gerosolimitani di Morano (Avonto 1980, p. 260). Papa Sisto IV, con una bolla del 6 marzo 1481, concesse Saletta al marchese di Monferrato, con l'obbligo di un censo annuo di 100 scudi verso l'abbazia di S. Andrea. Il territorio passò successivamente ai duchi di Mantova e Monferrato e, infine, il duca Ferdinando investì la famiglia Ponzone di Milano dei beni di Saletta. Nel 1625 Ruggero Ponzone cedette Saletta al marchese Giovanni Francesco Mossi e nel 1829, in seguito all'estinzione della famiglia Mossi, Saletta passò, per successione ereditaria, ai Pallavicino (Ordano 1985, p. 228). L'antico castello di Saletta è oggi notevolmente trasformato. La torre quadrangolare, costruita sul lato meridionale dell'antico recinto, su cui è stata edificata una loggia, ha ormai perso le sue caratteristiche di opera fortificata. Sul lato occidentale si erge un'altra torre, a base quadrata, nella quale si aprono alcune finestre adattate a piombatoie. Il muro della parte settentrionale presenta dei caratteristici fregi a dente di sega (Ordano 1966; Conti 1977, p. 150; Ordano 1985, p. 227)».
http://www.academia.edu/12388290/LUOGHI_FORTIFICATI_FRA_DORA_BALTEA_SESIA_E_PO
«La più antica notizia riguardante il castello risale al 1268. Sia il Castello che il borgo furono coinvolti in vari fatti d’arme; durante gli scontri fra il marchese del Monferrato Giovanni Paleologo e Galeazzo Visconti fu danneggiato dalle milizie monferrine; nel 1553, quando le truppe di Brissac che saccheggiarono Vercelli si stavano ritirando, alcuni soldati depredarono Sali e il suo castello. Nel 1704 subì un nuovo saccheggio da parte dei francesi di Vandome che assediarono Vercelli. L’edificio, a pianta quadrangolare, era circondato da un fossato. Nel XVII secolo aveva ormai perso le sue funzioni difensive ed era ridotto a cascinale. Nel 1910 Eusebio Saviolo acquistò questa struttura e attuò importanti lavori di recupero, apportando anche profonde modifiche stilistiche: furono alzate le due torri angolari e rimaneggiati gli interni».
http://www.comune.salivercellese.vc.it/Home/Guidaalpaese/tabid/25662/Default.aspx?IDPagina=10273
Saluggia (palazzo Appiani, villa Incisa)
«Palazzo Appiani.
Situato al centro di quello che era il vecchio borgo medioevale, il palazzo
Appiani appartenne alla famiglia dei feudatari conti Mazzetti.
Con l'estinzione del casato, il palazzo venne ereditato dal conte Appiani di
Castelletto, cugino del conte Paolo Battista Mazzetti. Nel 1874 le figlie
Felicita e Delfina lo cedettero alle suore di San Vincenzo perché fosse
adibito ad educandato femminile; cento anni più tardi, l'ordine di San
Vincenzo ha ritirato le suore da Saluggia. Attualmente, è ancora la funzione
educativa a caratterizzare palazzo Appiani: la parte centrale è stata
ristrutturata e adibita ad appartamenti destinati agli anziani, mentre i
restanti locali sono spesso teatro di interessanti attività sociali. ...
Villa Incisa. Antico possedimento dei conti Mazzetti, passò in eredità
agli Incisa di Camerana. Non sono molte le informazioni a riguardo; ciò che
colpisce, pertanto, è soprattutto il fattore estetico. Custodita dal parco
secolare che la circonda, Villa Incisa presenta una massiccia quanto sobria
costruzione, sviluppo di un più antico edificio medioevale di cui conserva
un'unica torre».
http://www.canavese.it/paesi/saluggia/appiani.html - http://www.canavese.it/paesi/saluggia/incisa.html
«Del castello di Saluggia si possono ancora ammirare due delle torri che ne facevano parte, il corpo centrale ora adibito ad abitazioni private, e la parte restante, ora alloggi popolari. Verso la metà del Seicento, i conti Pastoris fecero costruire il nuovo palazzo, attualmente sede municipale. Si tratta di una costruzione concepita più per esigenze abitative che non per necessità di protezione. L'esterno è decorato con pannelli raffiguranti scene di caccia, e il palazzo è circondato da un profondo fossato. Si accede per un ponte in muratura dal quale sono visibili la cucina e parte del grande caminetto, mentre ai piani superiori, ora sede del consiglio municipale, si possono ammirare i soffitti a cassettone e le cornici delle volte affrescate. La sala del consiglio municipale è affrescata con quattordici quadri raffiguranti la guerra di successione del Monferrato».
http://www.canavese.it/paesi/saluggia/castello.html
«Le prime notizie sul territorio di San Damiano, posto a nord ovest di Carisio, risalgono al primo decennio del 1200, allorché è oggetto di un passaggio di proprietà dai conti di Cavaglià a tali fratelli Gabardino, cittadini di Vercelli (Ordano 1966). Pochi anni dopo, nel 1214, costoro lo cedettero a Guglielmo, abate della ricca abbazia benedettina di Fruttuaria a San Benigno Canavese, che costruì a poca distanza un monastero, quasi sicuramente sede di un priorato. La chiesa fino a pochi anni fa si riconosceva ancora nelle strutture a lisca di pesce della cascina Bassea, oggi demolita (Ordano 1985, p. 242). Successivamente il luogo divenne, verso la fine del Trecento o agli inizi del Quattrocento, di proprietà dei Tizzoni che lo tennero fino al 1429, data in cui lo cedettero a Giorgio di Albano. Riguardo alla data di costruzione delle fortificazioni di San Damiano non si possiedono invece fonti documentarie certe, ma esse sono ancora ben visibili in due parti del piccolo paese. La costruzione posta nella parte occidentale, costituita da due torri quadrangolari inframmezzate da un tratto di muro, risale al XIV secolo (Ordano 1966; Conti 1977, p.143) ed è ritenuta dall'Ordano il resto di un ricetto difeso da una roggia che ne segue il perimetro (Ordano 1966). Tale tesi non è però accettata dal Conti, che riterrebbe assai strana la tipologia di tale opera difensiva (Conti 1977, p.143). Ad epoca posteriore risale invece la costruzione posta all'angolo nord est dell'abitato; la sua edificazione sarebbe infatti posteriore all'acquisto del territorio di San Damiano da parte del già menzionato Giorgio di Albano, che quindi in un periodo successivo al 1429 fece costruire la rocca quadrilatera difesa agli angoli da due torrette cilindriche. All'epoca del suo uso a residenza di campagna (XVII - XVIII secolo) si devono gli affreschi che si vedono nella parte esterna esposta a est. Attualmente il complesso è adibito a cascinale di proprietà dei Valperga di Masino e mantiene ancora ben visibili le strutture fortificate».
http://www.archeovercelli.it/fortifag.html#anchor134809
San Genuario (castello dei Tizzoni)
«Il territorio di San Genuario,
oggi frazione di Crescentino, ebbe grande importanza strategica per la sua
posizione di confine tra i possedimenti dei Marchesi di Monferrato e quelli
della diocesi vercellese. Gauderio (o Gaudenzio o Gauderi), generale di
Ariperto II, sedicesimo re dei Longobardi, secondo un diploma del 9 ottobre
707, fondò un monastero benedettino e ne fu creato abate dal vescovo di
Vercelli Emiliano II. Il monastero era intitolato a San Michele di Lucedio e
fu il più antico insediamento monastico in quelle terre, seguito
dall’abbazia di Santa Maria di Lucedio fondata nel 1123. L’imperatore
Lotario I, nell’843, donò all’abbazia il corpo di San Genuario e da allora
l’abbazia, con la chiesa ed il villaggio, presero il suo nome. Dopo diverse
controversie con gli abitanti del borgofranco di Crescentino, sorto nella
seconda metà del 1200, e le guerre tra guelfi (S. Genuario) e ghibellini (Crescentino),
i monaci si ritirarono a Verrua fino al 1364, anno in cui, per mezzo
dell’abate Bartolomeo, si riappacificarono con i Crescentinesi. Per
intercessione del cugino, l’abate Antonio Tizzoni, Giacomo Tizzoni, conte di
Crescentino, il 5 settembre 1419 ottenne da papa Martino V la cessione di
metà del territorio di San Genuario a condizione che vi edificasse un
castello per la difesa del monastero. L’investitura avvenne il 23 aprile
1422. Il Tizzoni fece costruire il castello, circondato da fossato,
probabilmente sulle rovine di un’antica fortezza distrutta nel 1319 da
Riccardo Tizzoni e dai Crescentinesi.
La casata Tizzoni dominò fino al 1592, anno in cui il duca Carlo Emanuele I
di Savoia ricondusse il feudo in mano regia; nel 1601 il feudo passò alla
signoria del procuratore generale Molino di S. Marco, nobile veneziano, poi
al marchese Ascanio Bobba; nel 1722 al marchese Morozzo Della Rocca. Agli
inizi del XIX secolo i beni del Morozzo, compreso il castello, passarono al
banchiere Giani e da questo al cavalier Gonella.
Nei primi decenni del 1900 la famiglia Garella, proprietaria del castello, lo adibì a moderna azienda agricola, facendo edificare nel suo ampio cortile alcuni fabbricati tuttora esistenti che mostrano un forte contrasto con il resto del castello. Dopo ulteriori passaggi di proprietà, negli anni 1980 il castello passò all’attuale proprietario. Apparentemente il complesso sembra ben conservato: in passato non deve aver subito gravi attacchi e quindi, a differenza di altri castelli, ha mantenuto praticamente intatta la struttura esterna; la stessa cosa non si può dire della struttura interna. I grandi saloni, sparsi sui tre piani, furono tramezzati per ricavarne delle stanze, adibite, durante la seconda guerra mondiale, ad alloggi per gli sfollati. ... Il castello è una costruzione fortificata di modeste dimensioni che si presenta come un massiccio parallelepipedo con addossata un’unica torre cilindrica, il tutto coronato da apparato a sporgere. Su di un muro esterno è ancora distinguibile un’apertura, in seguito murata, molto alta e larga circa un metro, che potrebbe costituire un ingresso. La torre cilindrica, ben conservata, è unita alla rocca da un breve tratto di cortina e presenta una ininterrotta serie di beccatelli. I merli della torre sono stati murati e il camminamento che unisce la rocca alla torre è stato tramezzato. In un cascinale all’esterno del castello, su di una parete, si può vedere un affresco ormai quasi completamente rovinato da alcune finestre aperte successivamente. L’affresco è stato fissato, il tetto del castello rifatto e i solai, che stavano crollando, sono stati restaurati. ... Il castello è di proprietà privata, non visitabile».
http://archeocarta.org/crescentino-vc-castello-e-chiesa-di-san-genuario
San Germano Vercellese (resti del castello)
«Nello Stato sabaudo 5. Germano ebbe la sventura di vedersi attribuire un ruolo strategico, sproporzionato al suo nucleo abitato, che venne incapsulato da grandi opere difensive e soverchiato dalle strutture che furono installate per dare ricetto a migliaia di soldati le poche centinaia di persone che abitavano il villaggio divennero un'entità trascurabile, di fronte alle masse di uomini che vi convenivano per le esigenze della fortezza, sia per moltiplicare la guarnigione, quando era necessario ai fini bellici, e sia per rinnovarne gli apprestamenti difensivi, che dovevano essere sempre adeguati al progresso della tecnica fortificatoria. Gran parte dei paesi del Vercellese e del Biellese l'urono chiamati a contribuire con denaro e con manodopera al mantenimento dell'efficienza della piazzaforte. Ad esempio, da Vercelli, il 12 agosto 1553, il commissario ducale Tommaso Valperga impose pesanti obbligazioni a Gattinara, Rovasenda, Buronzo, Mongrando, Verrone, Candelo, Valdengo, Ternengo e Cossato per i lavori da farsi alla controscarpa delle fortificazioni di S Germano; ognuna di queste comunità doveva provvedere alla costruzione di un settore di muro, doveva portare il "suo grano" ed entro «"il di de la Madona" doveva essere pronta con i suoi guastatori ("siano uomini e non putti") con "sape, badilli, ceste, barelle et pichi". Ancora il 14 ottobre il commissario ducale richiese a Candelo, Valdengo, Salussola, Cossato, Ternengo, Gattinara, Lozzolo, Recetto e Cassinale un altro contingente di guastatori per eseguire lavori di riparazione a S. Germano. Sempre Io stesso commissario ducale il 23 gennaio l554, per "la ruina accorsa alla muraglia del castello di S. Germano" chiese a vari paesi ìl solito invio di guastatori; e l' elencazione potrebbe continuare. La torre campanaria è l’unica testimonianza rimasta delle antiche fortificazioni, costituiva il mastio o torre d’angolo del castello; era completamente chiusa al piano terra e l’unica via d’accesso era la stretta poticella arcuata che appare a mezza altezza, la quale a mezzo di un piccolo ponte levatoio, di cui si intravedono ancora le tracce, era collegata con il resto della fortificazione per il cammino di ronda. L’ingresso al piano terra è recente, ottenuto in spaccatura di mura, e la torre era divisa all’interno in vari piani da solai in legno, non più individuabili, il coronamento è stato rifatto. Nel 1781 del castello e delle vecchie mura rimaneva solo una vecchia torre (o mastio del castello) e si decise di adibirla a campanile, e nel contempo anche una nuova campana venne rifusa grazie alle donazioni degli uomini pii sangermanesi, da allora la torre campanaria, soprannominata “Il campanun” scandisce il tempo della comunità sangermanese».
http://www.comune.sangermanovercellese.vc.it/Guidaalpaese/tabid/10187/Default.aspx?IDPagina=3579
San Giacomo Vercellese (resti di fortificazioni)
«La scelta operata dalla autorità locali nell'anno 1964 di mutare il nome del paese da Cascine San Giacomo in San Giacomo Vercellese, ha comportato la perdita del significato etimologico racchiuso nel toponimo precedente che era legato alle origini storiche di questo piccolo borgo rurale situato sulla strada provinciale Buronzo-Arborio. L'antico nucleo abitato era infatti formato dall'aggregazione si alcune cascine che gravitavano lungo la sponda sinistra del corso d'acqua principale, il torrente Rovasenda, nato sulle alture di Sostegno e Curino. Fino all'inizio del secolo XVII il paese non godette di alcuna autonomia politica: le vicende che lo interessarono furono sempre legate alla storia del feudo di Rovasenda, a cui di fatto apparteneva con la denominazione di Cascine di Rovasenda. Nel 1621 Carlo Emanuele I di Savoia concesse Cascine San Giacomo con il titolo comitale, unitamente ad Albano e Oldenico, al marchese Mercurino Carlo Antonio di Gattinara«» - «La zona "castellone", leggermente elevata, si trova in prossimità della chiesa, ivi sono presenti una muraglia ad angolo che giunge ad un'altezza di tre metri e mezzo con spessore di circa un metro e un tratto dello stesso muro, emergente a livello del terreno (Ordano 1985, p. 254). Le caratteristiche della costruzione fanno supporre che la fortificazione possa essere datata ad epoca assai anteriore al XV secolo».
http://www.comune.sangiacomovercellese.vc.it/ComStoria.asp - http://www.archeovercelli.it/fortifad.html#anchor503248
Santhià (palazzo del Capitano, Casa Turrita o torre di Teodolinda)
«Costeggiando la chiesa parrocchiale sul lato destro e proseguendo poi ancora a destra lungo via mons. Giovanni Ravetti, si giunge, attraversando il corso principale, in via De Rege Como. Proprio lungo questa strada è possibile ammirare il cosiddetto Palazzo del Capitano, caratterizzato da una finestra centrale elegantemente ornata a mattoni stampati a doppia scanalatura e torciglioni, il tutto inserito all’interno di una cornice quadrangolare in terracotta. Questa antica casa, ben restaurata, sembra essere la parte rimasta di una casaforte risalente alla fine del XV secolo. ... In uno dei cortili situati nella parte superiore di Corso Nuova Italia (la via centrale della città) si trova la “Casa turrita”, da tutti conosciuta come la “Torre di Teodolinda”. Ma i caratteri strutturali e il materiale impiegato permettono di stabilire che la costruzione non è anteriore al secolo XV e, pertanto, ogni riferimento alla regina dei Longobardi è da considerarsi frutto di fantasia. Nel 1630 fu verosimilmente questa struttura a ospitare la Corte ducale dei Savoia, trasferitasi a Santhià durante un’epidemia di peste scoppiata a Torino. In tale circostanza, Santhià fu risparmiata dal contagio, cosicché anche la Zecca e il Senato sabaudo si trasferirono nel nostro centro e vi rimasero fino a quando il contagio non si esaurì».
http://www.santhiaturismo.it/cosavedere/palazzo-capitano - http://www.santhiaturismo.it/cosavedere/casa-turrita
«la prima notizia che il paese possedeva un castello è riscontrabile in un diploma dell'imperatore Ottone III, datato all'anno 1000 (Settia 1984, p. 317; Panero 1985, p. 26 ), con il quale egli concedeva particolari privilegi, in castrum Sanctae Agathae et in burgo eius, al vescovo di Vercelli Leone, al seguito delle insistenze di quest'ultimo (Nigra 1876, pp. 17-18). Con tale atto, unitamente a quello del 999, che già le assegnava totum comitatum quae dicunt Sanctae Agathae cum omnibus castellis et villis, la Chiesa vercellese poneva così la sua giurisdizione su Santhià e sui luoghi limitrofi. Il vescovo dovette però attendere il 1017 per divenire proprietario del borgo, perché proprio nel castello si rinchiusero e resistettero i suoi nemici, anche dopo la morte di re Arduino (Avonto 1980, pp. 196 -197); doveva quindi il castello di Santhià già essere ben munito, per essere usato in tali importanti fatti d'arme. Nel castello, verso la metà del XIII secolo, prese temporanea dimora il vescovo di Vercelli Giacomo da Carnario, amico e confidente del cardinale Guala Bicchieri (Caligaris, p.14), con molti suoi partigiani, che qui si sentivano protetti nelle aspre lotte con il Comune di Vercelli, in un luogo posto sotto la loro giurisdizione. A due anni dalla morte del da Carnario, nel 1243, il Comune vercellese riusciva, promettendo di entrare nella lega anti imperiale, a impossessarsi, tramite acquisto mediato dal cardinale di Montelongo legato pontificio, di tutti i luoghi precedentemente posti sotto la giurisdizione della Chiesa di Vercelli, raggiungendo così uno scopo che si prefiggeva da anni. Il Comune occupò quindi il castello, che resistette alle forze di Pietro Bicchieri, incaricato dall'imperatore di devastare la zona per rappresaglia. Nel 1357 una lega anti viscontea cinse d'assedio anche Santhià, passata ai Visconti nel 1335, che però resistette egregiamente. Pochi anni dopo, nel 1373, Amedeo VI di Savoia, pare aiutato dagli stessi cittadini, si impossessò del paese (Avonto 1980, p.194), che gli fece dedizione il 19 febbraio 1373. Sottoposta alla dominazione sabauda Santhià venne trasformata in una piazzaforte di notevole importanza. Del castello nulla rimane e il luogo, denominato Borghetto, posto alla periferia est della città, dove doveva sorgere la fortificazione, è divenuto area di recente espansione urbana, tuttavia non si sono avute notizie di ritrovamenti durante gli scavi. Della cinta muraria che cingeva il borgo, citata ampiamente negli statuti del XIV secolo, sopravvivono invece alcuni tratti, posti nelle immediate vicinanze della chiesa parrocchiale e databili al XIII secolo (Ordano 1966), nei quali è ben visibile la merlatura a coda di rondine successivamente murata e alcuni tratti di muratura a lisca di pesce. ...».
http://www.archeovercelli.it/fortifag.html#anchor158704
«A Selve, frazione di Salasco, esiste un castello risalente al XV secolo. Come molti castelli del vercellese venne costruito con lo scopo di salvaguardare i prodotti agricoli. Non pare infatti che venne coinvolto in eventi militari ed, alla fine del 1100 passò all'Abbazia del Muleggio, che l'amministrò fino al 1729. Ancora visibili sono la porta d'ingresso, protetta da una torre quadrata ed una torre cilindrica sullo spigolo di nord-ovest, oltre a due torri quadrate agli angoli del lato est» [Il castello appare nel film Riso amaro di Giuseppe De Santis].
http://web.tiscalinet.it/teses/places/vc/selve.html
Serravalle Sesia (castello degli Avondo)
«Serravalle ha origine come borgo franco del Comune di Vercelli, fondato nel 1255, dopo l'erezione di quelli di Gattinara (1242) e di Borgosesia (1246). Venne popolato dagli abitanti di Vintebbio, Bornate e Naula (Avonto 1980, p. 117), soprattutto di quest'ultima località, di antica origine romana e sede di una pieve già nel X secolo. Non tutti però accettarono di trasferirsi nel nuovo borgo, i castellani di Vintebbio e di Bornate restarono nei loro manieri con una parte della popolazione e molti uomini di Naula fondarono un nuovo centro a Piane, non lontano dalla loro chiesa che, infatti, sopravvive tuttora (Ordano 1991). La descrizione del Bellini del borgo di Serravalle, così com'era nel XVII secolo (Avonto1980, p. 117-118), è l'unico documento delle fortificazioni erette dai Vercellesi e oggi non più esistenti, da esso si apprende, inoltre, che il castello fu costruito in epoca successiva al borgo, in un quartiere denominato Reisetto, che fa pensare alla presenza di una fortificazione comune preesistente in quella parte del recinto: l'angolo nord occidentale, utilizzato, anche nell'impianto del borgo di Gattinara, come castello. "Il Borgo è di forma quadrata[...] e circondato di fossa e muro che negli angoli aveva certe torrette e dentro esso muro tra esso e le case vi s'interpone il corridore, alquanto rilevato dal suolo del Borgo. Ha due porte di doppia muraglia, una volta a mezzo dì e l'altra a mezza notte, correndo dall'una all'altra una contrada grande, che divide il Borgo per mezzo, e la qual viene traversata da cinque altre contrade minori, che finiscono nel corridore a levante e ponente e formano con la maggior contrada cinque croci, tutte diritte e tirate a filo. La fossa poi è stata alquanto spianata dagli abitatori per seminarvi ortaglie e il corridore in qualche luogo da edifici occupato. E ho letto in qualche istrumento farsi menzione dei quattro quartieri di esso Borgo, distinti dalla croce delle contrade di mezzo, dei quali uno si chiamava il quartiere del Reisetto, che è quello dove fu poi fondato il castello, e un altro detto di Cavagliasca non sovvenendomi del nome degli altri due". La porta di levante, che non viene ricordata dal Bellini, non vi doveva essere, essendo il fiume prossimo al recinto da quel lato (Avonto 1980, p. 118). La fortezza venne dunque fatta erigere dai Savoia fra il 1462 e il 1467, per far fronte alle invasioni da parte del Ducato di Milano e dei Valsesiani (Ravelli 1924, I, pp. 39-40; Avonto 1980, p. 118). Nel 1617 fu smantellata dagli Spagnoli. Il conte Marco Antonio Solomone diede inizio, nel 1580, all'attività di fabbricazione della carta in Serravalle, nel 1800 la Cartiera e l'annessa proprietà del castello rovinato, venne acquistata dagli Avondo, che riedificarono il castello in stile, nella forma attuale, che nulla ha in comune con l'originaria fortificazione, munita, a quanto pare, di cinque torri e di profondo fossato (Ravelli 1924, I, pp. 39-40). La pianta che il Conti attribuisce a Bornate (Conti 1977, p. 187) è tratta dal Piolo (Piolo s. d., p. 168), e sembrerebbe riferibile, invece, al castello del XV secolo. Il sito del castello è ancora attualmente sede della Cartiera, non si può che segnalare l'edificio attuale quale esempio del gusto neogotico ottocentesco e per l' interesse archeologico che l'area può ancora conservare».
http://www.guidacomuni.it/storia.asp?LUNG=3000&pag=1&ID=2137
Stroppiana (resti del castello)
«È menzionata per la prima volta in un diploma imperiale del 1014 in cui viene sancita la confisca dei beni a un certo Aribertus de Stripiana. Diverse famiglie si avvicendarono nel dominio su di essa: i Brembano (nei secoli XII e XIII), i De Blandrate, i Longosco e i Della Motta. Il castello, se pur citato per la prima volta in un documento del 1394 (come castrum plenum), sembra risalire a epoca anteriore; fu ricostruito sui resti di quello antico che aveva un recinto con il loggiato posto a uno degli spigoli, ma già a cavallo tra il XVI e il XVII secolo i consignori ne cedettero alcune parti alla popolazione che vi si rifugiava nei periodi bellici. Non venne tuttavia mai utilizzato come fortificazione. Nonostante l’importanza archeologica del sito, il castello versa in stato di totale degrado dal 1741, come risulta dalle mappe catastali di quell’anno. La sua storia successiva non mostra avvenimenti di particolare rilievo e segue quella dei territori circostanti. Il suo patrimonio di valore storico-architettonico è rappresentato soprattutto da edifici di carattere religioso, tra cui figurano: la parrocchiale di San Michele, che presenta un’interessante facciata barocca; la chiesa di Santa Marta, anch’essa dalla facciata barocca, e la cappella del Santo Sepolcro, al cui interno è presente un gruppo scultoreo in terracotta. Infine, degni di nota sono il palazzo del comune e il monumento ai caduti. Il castello, invece, è oggi in totale degrado».
http://www.italiapedia.it/comune-di-stroppiana_Storia-002-142
«Anticamente il luogo, denominato Plancheta, dovette appartenere alla Chiesa di Vercelli ed è citato per la prima volta nel 1172 (Panero 1985, p. 19). "Nel 1195 un certo Uberto de Plancheta giurò l'abitazione in Vercelli, divenendone cittadino" (Ordano 1985, p. 265). Nel 1240 Uberto di Saletta e i suoi figli sono denominati signori di Saletta e Planca. A seguito di varie donazioni all'abbazia di S. Andrea da parte dei domini, nel 1309 due parti di Planchetta divennero proprietà della predetta abbazia, una alla mansione gerosolimitana di Morano ed una al conte Antonio di Langosco (Avonto 1980, p. 260). Il toponimo Torrione entra nell'uso corrente nel XV secolo, derivando dalla fortificazione esistente nel luogo o da un suo ampliamento (Avonto 1980, p. 255), poiché il castello (castrum Planchete) è attestato dal 1309 e la parte spettante ai Langosco è definita mota, sive recetum dicti comitis (Avonto 1980, p. 260), restituendo un quadro della situazione delle opere fortificate un poco piú complesso e articolato di quanto oggi possa apparire. è al XVII-XVIII secolo che dovrebbero risalire gran parte delle costruzioni militari che trasformarono, probabilmente, la parte centrale dell'antico castello in una moderna fortezza a pianta quadrangolare, dotata di batterie (ancora percorribili) e di un vasto fossato. In quell'epoca Torrione si trova infatti in un'area particolarmente delicata, sul confine fra il Monferrato e il Vercellese, e molto prossimo alle piazzaforti di Trino e di Casale, al centro di importanti eventi bellici. Delle fortificazioni originarie rimarrebbero le mura di base e il fossato (Ordano 1966; Conti 1977, p. 150), ampiamente ristrutturato per le nuove esigenze difensive; mentre il corpo centrale, con le batterie, le riservette e la piazza d'armi, appare come costruzione totalmente attribuibile al XVII-XVIII secolo. Il complesso, in completo abbandono, meriterebbe di essere studiato e rilevato quale esempio ancora ben conservato di architettura militare. Non appaiono per nulla soddisfacenti le attuali conoscenze sull'evoluzione del sito, del quale non sono documentate né le antiche né le più recenti trasformazioni».
http://www.archeovercelli.it/fortifae.html#anchor442144
«L’abitato fu fondato nel 1218 dal comune di Vercelli e affrancato secondo le modalità già attuate a Trino (1210): non esistono attestazioni documentarie prima di tale data (Panero, Due borghi franchi padani, p. 40), anche se è possibile ipotizzare una preesistenza insediativa, probabilmente un piccolo abitato (villarium) dipendente dal territorio di Trino (ivi, pp. 56-58), sostituito dalla fondazione a poca distanza del nuovo villaggio, su terre di proprietà del comune (ivi, pp. 137-138, che ipotizza l’ubicazione dell’insediamento più antico nella località indicata come Villaro dai catasti francesi, nella zona della via Cantone Villaro). In seguito all’iniziativa insediativa, la chiesa di San Giorgio, preesistente, rimase al di fuori del recinto del borgo (Ferraris, Borghi e borghi franchi, p. 157). In quest’affrancazione le motivazioni politiche si affiancano a quelle, probabilmente prioritarie, di conseguire un’adeguata valorizzazione agraria delle terre acquistate dal marchese di Monferrato nel 1202. Con l’istituzione del borgo franco per un verso veniva concentrata popolazione fedele e rafforzata la giurisdizione in una zona di confine, soggetta proprio in quegli anni a forti tensioni, per altro si ponevano a coltura i vasti spazi incolti della foresta di Lucedio (Panero, Due borghi franchi padani, pp. 57-58; Rao, La proprietà allodiale civica, pp. 384-385). La fondazione diede luogo a un insediamento con impianto preordinato, cinto da fossato, attraversato da una strata principale da cui si diramavano le vie (Panero, Due borghi franchi padani, pp. 138-144). Risale probabilmente agli ultimi secoli del medioevo, forse in corrispondenza con i tentativi di affermazione del Tizzoni sul villaggio, la costruzione del castello, documentato dal 1467 (AST, Paesi, Provincia di Vercelli, mazzo 36, doc. in data 1467, gennaio 13). ...
Nel territorio del villaggio, ai confini con Desana, Ronsecco e Santa Maria di Settime, era inoltre ubicato un fortalizio di proprietà dei Tizzoni, indicato nella documentazione come castellacium, forse a indizio di un processo di degrado. Esso non deve esse confuso con la fortificazione legata all’antico villarium preesistente alla fondazione del borgo nuovo, anch’essa indicata sin dal 1225 come castellacium (Panero, Due borghi franchi padani, p. 138). Attestato nel Trecento (AST, Materie ecclesiastiche, Abbazie, Vercelli, Sant’Andrea, mazzo 7, doc. in data 1374, maggio 29) e nel 1415, tale edificio era menzionato come “quoddam solum unius soliti fortalitii quod appellatur Castellacium” (Casalis, s.v. Tricerro, p. 257). Nel 1422, la stirpe, in una fase di disimpegno dalla presenza patrimoniale nel luogo, cedette i diritti sulle acque del Lamporo presso il “castellacium Tizionorum” (AST, Paesi, Provincia di Vercelli, mazzo 36). Tale struttura era detenuta dalla famiglia in feudo dal vescovo di Vercelli, come risulta da un rinnovo dell’anno 1500 (Le carte dell’archivio arcivescovile, p. 419). Il castello risulta rappresentato ancora in una mappa del Settecento come facente parte del territorio di Tricerro (AST, Paesi, Monferrato, Materie economiche, m. 17): la struttura fortificata era ubicata preso l’attuale cascina Castellazzo, oggi assimilata dal territorio di Ronsecco».
http://www.centrocasalis.it/print/scheda/tricerro
«L'interesse archeologico del sito di S. Michele e del recinto fortificato fu rivelato dagli studi e dai sondaggi di Silvino Borla degli anni '60 (Borla 1982). Se ne occupò successivamente l'Arslan in occasione del quarto Congresso di Antichità e d'Arte di Casale del 1969 (Arslan 1974), che poté datare il complesso, a mezzo di un apposito sondaggio stratigrafico e di opportuni confronti, fra il VII e il IX-X secolo. è solo dalle campagne di scavo, iniziate nel 1980 e tuttora in corso, intraprese dall'Istituto di Archeologia Medievale dell'Università di Torino in accordo con le Soprintendenze Archeologica e ai Beni Architettonici del Piemonte, che il recinto e l'insediamento di S. Michele hanno potuto essere oggetto di un continuativo progetto di ricerca archeologica, i cui risultati permettono ora di inserire il sito in una, cronologicamente molto ampia, problematica storico territoriale, rilevando una sostanziale continuità di occupazione del luogo dall'epoca romana al Medioevo (Negro Ponzi Mancini 1991). Una prima fase insediativa è rappresentata dalla presenza di edifici di epoca romana e tardo antica (I-VI sec. d.C.), allineati lungo l'asse viario Ticinum-Augusta Taurinorum, con la costruzione di un ampio edificio a fronte porticata, forse già difeso da una cinta muraria di tipologia romano-bizantina. Questa fase appare sigillata da uno strato argilloso, depositato da fenomeni alluvionali. Successive frequentazioni in epoca longobarda e carolingia (VII-VIII secolo) sono attestate da laterizi datati col metodo della termoluminescenza e il sito presenta edifici con alzati in legno e forse una cappella, che pare rilevabile dalla traccia lasciata da un piccolo edificio scomparso. Nel IX-X secolo sorge un insediamento interamente in legno e una chiesa cimiteriale in muratura con sepolture interne ed esterne; questa fase appare chiusa da una distruzione radicale, forse da un evento bellico.
Fra X e XI secolo l'area è occupata da un insediamento con varie attività produttive e botteghe e viene eretta una nuova e più ampia chiesa. Fra XII e XIII secolo l'impianto viene ristrutturato con torri esterne ed un piccolo edificio autonomo a protezione dell'ingresso, vengono costruiti vani di abitazione e servizio, addossati al recinto nella zona nord est. Nel XIII secolo il sito è ormai denominato castellacium nei documenti, termine che ne indica la decadenza. Le funzioni plebane della chiesa passano a S. Maria di Trino (S. Michele 1989; Negro Ponzi Mancini 1991, pp. 398-399). Il recinto fortificato segue un leggero rialzo del terreno ed era in antico in parte contornato da zone acquitrinose. Il muro presenta regolari contrafforti all'interno, che dovevano reggere un cammino di ronda in legno. Nella fase più recente appaiono le torri, il corpo di guardia all'ingresso e le abitazioni addossate al perimetro. Certamente il recinto di S. Michele rappresenta un tipo di fortificazione che, per la possibile origine tardo antica e per la particolare morfologia, mantenuta anche posteriormente, non trova finora confronti nell'area vercellese. Si tratta anche del primo caso di fortificazione che nel nostro territorio sia stata analizzata attraverso un ineccepibile e programmato intervento di scavo, con risultati di estremo interesse per la comprensione del fenomeno dell'incastellamento e delle dinamiche insediative locali fra Antichità e Medioevo».
http://www.academia.edu/12388290/LUOGHI_FORTIFICATI_FRA_DORA_BALTEA_SESIA_E_PO
Trino (Castelvecchio o Trino di Sotto, Borgo nuovo)
«Nell'attuale area urbana di Trino sono presenti due siti anticamente fortificati e una dimora signorile, in parte conservata, che viene denominata "castello". Castelvecchio o Trino di sotto. Tipo: castello. Localizzazione: Comune di Trino, nel centro abitato, zona vicolo Sincero e via Lanza. Superficie: non determinabile. Trino è località ricordata nell'elenco delle pievi del secolo X, ma il riferimento è alla chiesa di S. Michele, centro di un territorio che fu probabilmente densamente popolato in antico. "Trino di sotto", o villa, viene citata per la prima volta nel 1014 (Panero 1985, p. 23) in due diplomi di Enrico II, nei quali è fatto cenno al la donazione di varie terre da parte dei marchesi di Monferrato, in Tridino e nella corte Auriola, all'abbazia di Fruttuaria e alla confisca di beni a due domini, Sigefredus e Ingelbertus de Tridino, fautori del deposto re Arduino, per farne dono al vescovo di Vercelli Leone (Avonto 1980, p. 233). Con un atto del 1155 il vescovo Uguccione concesse al marchese Guglielmo di Monferrato l'investitura di quanto la Chiesa possedeva in castro et fundo Tridini. è stato dimostrato dal Panero (Panero 1979, p. 117 sgg.) che tale fortificazione e villa, di pertinenza vescovile, si trovava a sud della Stura e non è da confondersi con Tridinum novum. La precisa localizzazione è desumibile da un disegno della fine del secolo XVI, nel quale il castello è denominato "Palazzo vecchio del signore", nella zona di vicolo Sincero e di via Lanza, un tempo chiamata ruta militum (Panero 1979, p. 123, fig. 3).
Borgo nuovo di Trino. Tipo: castello. Localizzazione: Comune di Trino, nel centro abitato, zona via S. Francesco e via S. Michele. Superficie: non determinabile. Ben distinto dalla villa di Trino, sottoposta alla giurisdizione vescovile, il castrum qui dicitur burgum novum, era situato a nord della Stura, nel territorio della corte Auriola, posseduta dai marchesi di Monferrato e aquistata nel 1202 dal Comune di Vercelli. All'inizio del Settecento l'attuale chiesa di S. Francesco era ancora denominata S. Maria in castro, indicando l'appartenenza al borgo nuovo, del resto ricordata anche nel 1282 dalla denominazione sancta Maria de Burgonuovo (Panero 1979, p. 119). L'area di Trino fu lungamente contesa, sia dal Comune vercellese, sia dai marchesi di Monferrato, per la sua posizione che entrambi desideravano controllare. Nel 1210 il Comune di Vercelli costituì il borgo franco di Trino e nel 1214 venne definitivamente risolta la vertenza con i marchesi di Monferrato per i territori ceduti nel 1202. I marchesi ebbero l'investitura di Pontestura e un indennizzo di 3000 lire pavesi in cambio della rinuncia ad ogni pretesa su quanto essi avevano ceduto ai Vercellesi (Avonto 1980, p. 235)».
http://www.academia.edu/12388290/LUOGHI_FORTIFICATI_FRA_DORA_BALTEA_SESIA_E_PO
«Tipo: dimora signorile. Localizzazione: Comune di Trino, nel centro abitato, piazza Garibaldi.Superficie: non determinabile. Attestazione: XIV-XV secolo in base agli elementi architettonici e decorativi. L'assenza di elementi di fortificazione fanno del "castello" una semplice dimora signorile, priva di qualsiasi caratteristica difensiva. Il palazzo venne successivamente inglobato nelle fortificazioni cittadine del XVII secolo (Cavanna Manchovas 1984); a quest'ultima fase del complesso potrebbe essere attribuita la recente definizione di "castello»».
http://www.academia.edu/12388290/LUOGHI_FORTIFICATI_FRA_DORA_BALTEA_SESIA_E_PO
Tronzano Vercellese (fortificazioni)
«La presenza del “castello” e del “vicolo castelletto” ha permesso di precisare la situazione di Tronzano, dove sono presenti le tracce di due fortificazioni sostanziando l’espressione castella utilizzata nel documento del 1256. La presenza di castella a Tronzano, rilevata dai documenti del XIII secolo, è sostanziata da due toponimi che fanno tuttora parte della realtà urbana. Il Castello, ben visibile nel documento d’archivio del secolo XI, appare in forma di palazzo secentesco, anche se le sue origini devono essere fatte risalire al XII secolo almeno. Non lontano è situato il "vicolo Castelletto", cui è direttamente associabile una costruzione specifica, che attesterebbe l’esistenza di una seconda fortificazione minore. Entrambe le sopravvivenze si collocano all’esterno di un perimetro dai contorni tondeggianti che dovrebbe ricondurre all’area occupata dal borgofranco, certamente circondato da fossati e da altre opere difensive. Le due fortificazioni sarebbero inoltre perfettamente giustificabili dai due abitati preesistenti al borgofranco».
http://web.tiscali.it/archeovercelli2/LUOGHI%20IV.pdf
«Troviamo la prima menzione del castrum di Vanzone nell'atto, di reciproca promessa fra i conti di Biandrate di non alienare i loro castelli, dell'11 agosto 1211 (Mor 1933, XIII, p. 50). Senza territorio e pertinenze, Vanzone è denominato villa in un documento del 1219 e burgus Vanzoni nel 1237 (Mor 1971, p. 57); vi si sviluppò, infatti, un centro abitato rilevabile anche dopo la distruzione delle fortificazioni e l'assorbimento del luogo nella comunità di Valduggia (Mor 1960, p. 84). Il Mor ritiene che il castello non fosse molto grande se nel 1263 era detto "castro turris", "cioé una torre contornata da un muro di difesa" (Mor 1971, p. 57). Nel 1247 il conte Uberto di Biandrate cedette a Novara le parti a lui spettanti del castello di Vanzone (Mor 1933, XLIII, p. 98) e, nello stesso anno, Guido, Guglielmo e Goffredo (Mor 1933, XLIV, p. 102) sono esortati dal Comune di Vercelli, cui si erano sottomessi, a tenere, in particolare, i loro castelli di Vanzone e Rocca. Nel 1260 i Vercellesi ottengono dai Biandrate di porre un castellano con servientes a Vanzone. Un interessante documento del 1 maggio 1260 costituisce, infatti, quietanza di un indennizzo di 40 lire pavesi pagate da Vercelli al conte Guglielmo per le cose di sua proprietà esistenti nel castello di Vanzone e perdute dal castellano del comune, tale Bartolomeo de Volta (Mor 1933, LII, p. 130). Evidentemente il castello era stato preso e depredato non molto tempo prima, ma certo non distrutto, poiché esso appare, ancora dieci anni dopo, nel 1273, fra i castelli nominati nella pace stipulata fra i rami dei conti di Biandrate (Mor 1933, LIV, p. 124). Dell'esistenza del castello era ancora diffusa la memoria nel secolo scorso, ne fa cenno il Dionisotti (Dionisotti 1871, p. 62), che ricorda che la fortificazione fu sostituita dalla chiesa intitolata a Maria Vergine, "detta volgarmente della Trinità". Il poggio, di conformazione tondeggiante, non mostra attualmente alcuna traccia di fortificazione, se non nella particolare conformazione, rilevabile anche dalla cartografia catastale. La chiesa potrebbe aver effettivamente sostituito il dongione, che si collocherebbe, probabilmente, lungo un ipotetico perimetro racchiudente l'altura. L'interesse del sito è, pertanto, ormai esclusivamente archeologico».
http://www.archeovercelli.it/fortifab.html#anchor154134
Varallo (castello, palazzo Racchetti)
«Non è ben chiaro se, per l'attestazione del castello di Varallo, ci si trovi in presenza di una tradizione storica divenuta popolare o se si tratti di una tradizione popolare raccolta dagli storici. Certo è che la citazione bibliografica proposta dal Panero (Panero 1985, p. 26), che non ci è riuscito di reperire, non sembra risolvere il problema di interpretazione, se non in forma ipotetica ed ampiamente dubitativa, nonostante la presenza di un castello appaia del tutto plausibile. L'attestazione, quindi, viene trattata qui solo in forma ipotetica, in mancanza di resti materiali visibili. Del castello di Varallo si trova notizia nel lavoro dell'Ottone (Ottone 1833, p. 68 nota 4), che identifica il sito con la Rocca di Uberto del diploma di Corrado II, e aggiunge che la rocca esisteva sull'altura dove è la chiesa collegiata di S. Gaudenzio, affermando, inoltre, l'esistenza di "una bella e grande stanza" al di sotto di essa. La notizia è ripresa dal Dionisotti (Dionisotti 1875, p. 74) che usa, nel descrivere la chiesa di S. Gaudenzio, l'espressione "vuolsi sia stata edificata verso il secolo XIII nel sito di un castello". Il Tonetti (Tonetti 1875, p. 136 nota 1) corresse l'identificazione della Rocca, assegnandola giustamente al monte presso Roccapietra. Da ultimo, il Ravelli (Ravelli 1924, I, p. 210), riporta la tradizione secondo la quale sulla rupe, prima della collegiata, "vuolsi esistesse un castello". Parrebbe dunque una tradizione di origine storica, perpetuata dagli storici stessi. Tuttavia, un documento del 1260 (Mor 1933, n. XLIX) risulta essere stato stilato in Varallo "ad caminata domini Uberti de Blandrate", fornendo la certezza che nel luogo esistesse una residenza signorile e provocando dubbi sul fatto che si trattasse soltanto di un palazzo (Mor 1977, p. 53) e non, perlomeno, di una residenza castellata. Il termine caminata (Settia 1984 c, p. 211), solitamente designante una parte del complesso del palatium, situato all'interno di una fortificazione, sembrerebbe indicare che, probabilmente, nel XIII secolo a Varallo doveva essere presente un edificio fortificato con annessa dimora signorile. Non sono dunque molti gli elementi per rendere meno incerta l'attribuzione e l'attestazione dell'edificio fortificato che emerge, purtroppo isolata, nel documento del 1260. Il "ponte de Varade" appare, comunque, in un documento del 1025, insieme all'alpe di Otro e alla rocca di Uberto (Mor 1933, IV, p. 8); il luogo era quindi probabilmente abitato e posto a guardia di un ponte di rilevante interesse economico già verso la fine del X secolo. Tale fatto fa ritenere plausibile che vi esistesse un presidio nell'XI secolo e che, successivamente, vi dimorasse un esponente della famiglia dei Biandrate. La questione, così come in vari altri casi consimili, non potrà che essere risolta dalla ricerca archeologica».
«Palazzo Racchetti. L’elegante edificio, di foggia settecentesca, si affaccia sul corso Umberto I, l’antica contrada San Cristoforo, di fianco alla piazza su cui si ergeva il palazzo pretorio, sede dell’amministrazione della giustizia. Le origini del fabbricato si fanno tradizionalmente risalire al secolo XIV. Dalla rappresentazione iconografica del borgo di Varallo. eseguita dai Manauft nel 1688. apprendiamo che all’epoca apparteneva alla famiglia Giordani di Fobello. Il palazzo passò in seguito ai Gibellino di Borgosesia, proprietari di alcune botteghe nella stessa contrada e, nel 1707, fu acquistato da Giovanni Battista Racchetti, discendente di una famiglia fobellese, che aveva sposato Margherita Castellani, figlia di Giovanni, feudatario di Solarolo. Alla sua morte la costruzione venne ereditata dal figlio Giovanni Benedetto, avvocato e personalità di grande spicco nella società varallese, il quale in mancanza di eredi lasciò tutte le sue sostanze alla Congregazione di carità di Varallo, che in tal modo divenne proprietaria del palazzo. L’edificio è stato sede del Tribunale di prefettura, del Municipio e di associazioni quali la Società operaia e molte altre. Dopo il trasferimento della sede municipale ha accolto alcune classi dell’Istituto professionale alberghiero e l’Ufficio di collocamento. Dal 1954 al 1989 ha ospitato la Biblioteca civica e dal 1978 al 1990 la sezione varallese dell’Archivio di Stato. Il palazzo, di proprietà del comune di Varallo, dopo il trasferimento in sedi provvisorie degli enti che ne occupavano i locali, è stato completamente ristrutturato a spese del Ministero per i beni culturali e ambientali ed è diventato sede della Biblioteca Civica».
http://www.archeovercelli.it/fortifab.html#anchor60427 - http://www.comune.varallo.vc.it/Home/Guidaalpaese/tabid/13591/Default...
«Con il nome di Broletto si indicava in epoca medioevale la piazza dove si tenevano le assemblee popolari, poi si finì per usare questo termine per identificare il palazzo municipale: di conseguenza, per Broletto di Vercelli intendiamo comunemente questo monumento di interesse storico situato nel cuore della città antica. è noto che una costruzione corredata da un torrione ospitava la sede del Comune di Vercelli già nel 1300 e che il palazzo era stato di proprietà della famiglia dei Vialardi. Nell'odierna piazza di Palazzo Vecchio, sorgeva quindi il palazzo comunale omonimo che mantenne la sua funzione amministrativa della città di Vercelli fino ai primi anni dell’Ottocento. Infatti, nel 1802 il Municipio venne trasferito nell’ex convento dei Barnabiti dove tuttora sono situati l’ufficio del Sindaco e gli altri uffici comunali. Nel corso dei secoli, tutti i palazzi, risalenti al Trecento, che circondavano il Broletto vennero concessi a privati cittadini che ne cambiarono in modo radicale la struttura e la foggia. Oggigiorno dell’originario Palazzo Vecchio si è mantenuta solamente la planimetria: una corte a forma trapezoidale, chiusa da costruzioni su ogni lato, con tre locali d’ingresso comunicanti rispettivamente con piazza D'Azeglio, via Gioberti e il terzo con la vicina piazza Cavour. Palazzo Vecchio lo troviamo raffigurato, in una illustrazione di fine Seicento, come un maniero fortificato con la tipica merlatura e l’attigua torre».
«Nel 1290, forse su alcune rovine preesistenti, fu edificato da Matteo Visconti l'attuale castello, che conserva, nonostante le riedificazioni dovute poi ai Savoia e i più recenti restauri, l'impianto quadrangolare originario, con torri quadrate agli angoli. Una notevole influenza sulla pianta del castello fu certamente esercitata dalle preesistenti mura comunali, alle quali la fortificazione venne addossata e collegata. La torre di nord est sorgeva sulla linea delle mura urbane e la torre più esterna di sud est servì probabilmente a raccordare il castello all'esiguo spazio triangolare esistente fra le mura urbane e la struttura interna recintata. Lungo questo lato orientale era pure presente una bassa torre, ora non più visibile, e riscontrabile nella tarsia cinquecentesca del coro ligneo di S. Andrea, realizzato dopo il 1511, nella quale è raffigurato in modo alquanto realistico il castello di Vercelli, visto dal lato orientale. La fedeltà del disegno conferma la presenza di una doppia cortina fra le due torri di levante, la più esterna delle quali si collega alle mura urbane. Gli ingressi erano tre, serviti da ponti levatoi, essendo il castello circondato su tre lati da un ampio fossato: uno, attualmente ancora in uso, sul lato meridionale, un altro, ora murato, sul lato di ponente, e da ultimo un piccolo ingresso nell'angolo sud orientale, che dava con ogni probabilità accesso alla strettoia fra le mura urbane e il recinto del castello. Addossate al lato di ponente e a quello meridionale erano, prima delle ricostruzioni ed ampliamenti posteriori al XVII secolo, alcuni fabbricati, fra i quali una cappella castrense, un palatium ed un corpo di guardia, ancora distinguibili nella veduta seicentesca del Theatrum Sabaudiae. Posteriormente la pianta interna venne radicalmente ristrutturata con la costruzione di corpi di fabbrica aderenti ai lati del quadrilatero, con eccezione per quello settentrionale, e con l'inserimento, più recente, della grande struttura meridionale, occupante buona parte dell'antica corte. Le vicende del monumento, che ospitò dapprima i podestà viscontei fino al 1427, anno in cui Filippo Maria Visconti cedette Vercelli ad Amedeo VIII di Savoia, poi gli stessi duchi, che ne fecero la loro residenza temporanea, ed infine i governatori della città, sono ampiamente analizzate negli studi locali. Ciò che in questa sede ci preme sottolineare è l'interesse del monumento, sia pure pesantemente snaturato, sia sotto il profilo architettonico che archeologico. Non va dimenticato infatti che qualsiasi sia la futura destinazione del complesso ora occupato dagli uffici del Tribunale, ogni progetto di riattamento dovrà tener conto delle esigenze di lettura storica e archeologica. L'interesse del castello visconteo vercellese, anche in riferimento alla storia della città, è tuttora notevole ed i ritrovamenti archeologici del secolo scorso nel fossato a nord permettono di ipotizzare l'effettiva presenza nell'area di notevoli resti antichi, fors'anche legati alla domus di S. Stefano. Non trascurabile infine l'interesse della lettura delle complesse fasi architettoniche attraversate dalle strutture in elevato, da operarsi in parallelo ad eventuali lavori di riattamento, per una documentazione complessiva delle fasi costruttive ed una ricostruzione cronologica dell'evoluzione del monumento».
http://www.archeovercelli.it/english2.html#INIZIO
Vercelli (centro storico, mura)
«Vercelli, capoluogo della Provincia di Vercelli, fu fondata dai Romani nel II secolo a.C. come centro fortificato con il nome di Vercellae, diventando un ricco municipio e un nodo stradale. Libero Comune nell'XI secolo, fece parte della Lega lombarda contro Federico Barbarossa, passando successivamente ai Visconti nel 1335 e ai Savoia nel 1427. Nel XVII secolo fu dominata dalla Spagna, nel 1704 fu occupata dai francesi, che ne smantellarono le fortificazioni, e nel 1814 tornò ai Savoia. Vercelli, la Vercellae dei latini, è uno dei più antichi centri urbani dell'Italia Settentrionale ed ebbe, prima in Piemonte, la struttura amministrativa e materiale della città-stato come centro protourbano già nel V secolo a.C.. Allora Vercelli, oppidum delle popolazioni celto-liguri stanziate in questa zona, poteva vantare un'organizzazione amministrativa e un territorio molto più ampio dell'attuale Provincia, basato sul modello delle colonie greche della Francia meridionale con le quali era in relazione. Il contatto con Roma e la sua civiltà in espansione portarono la città-stato, semplice centro di scambi situato in un'area strategica per posizione rispetto alle vie d'acqua e terrestri, ad assumere rapidamente alcuni dei costumi e delle magistrature romane, anche se rimaneva un agglomerato di villaggi costruiti in legno attorno ad un centro amministrativo e militare sul quale gravitavano alcuni nuclei tribali locali. è solo nel 43 a. C. che Vercelli emerge dalla protostoria con le prime attestazioni scritte: una lettera di Bruto a Cicerone e la stele bilingue scritta in leponzio e in caratteri latini anteriormente al 49 a.C., nella quale è nominato un magistrato monetario della città-stato. Con Augusto Vercelli, divenuta ormai municipium romano, si monumentalizza ed assume le caratteristiche della città romana, cancellando le tracce del centro più antico con nuove domus, templi, mercati, teatro, anfiteatro, porto fluviale, acquedotto e solide mura munite di un profondo e largo fossato. La sua popolazione poteva raggiungere nel I secolo d.C. le ventimila unità. Queste mura, di cui si è rinvenuto un tratto nei recenti scavi di via Q. Sella, sono le prime vere mura della città anche se, probabilmente, un tracciato più antico e molto più esiguo, dovette cingere l'oppidum protostorico. Questo primo circuito di mura dovette rimanere tale sino al Tardoantico, poiché se ne riscontrano i restauri e l'aggiunta di torri e di rafforzamenti esterni sino a quell'epoca. Successivamente furono abbandonate e demolite. Il tracciato completo non è noto ancora, ma non dovette essere di molto inferiore, nel perimetro complessivo, al successivo circuito di mura medievali.
Fra il circuito di epoca romana e quello medievale la città ebbe, molto probabilmente, un sensibile restringimento, così come avvenne in molte altre città dell'Italia Settentrionale, dove in epoca longobarda il centro urbano occupa solo una piccola porzione del più antico centro romano. Intorno al 1100, costituito il comune medievale, Vercelli ha necessità di un nuovo e più ampio recinto fortificato che, a grandi linee, occupa uno spazio leggermente più ampio dell'aerea dell'antico centro romano. Le mura romane infatti, nel tratto noto, distano poche decine di metri dalle mura medievali, più esterne. Fra il 1300 e il 1500 i Visconti ed i Savoia trasformano la città in una piazzaforte dotandola del nuovo castello, della cittadella, e di nuove mura in linea con le necessità moderne. Esse occuperanno tuttavia il medesimo spazio delle mura medievali sovrapponendovisi in gran parte. Questi poderosi bastioni, visibili nell'incisione seicentesca del Theatrum Sabaudiae, furono successivamente demoliti dopo la conquista francese del 1704 ed i mattoni recuperati per la costruzione di nuove case. Ad esse si sostituirono le allee: i viali in elevato che contornano ancora oggi il centro storico. Da questa secolare successione di circuiti murari si può comprendere come l'attuale centro storico, compreso nella cerchia dei viali, sia un tessuto urbano in continua trasformazione dal V secolo a.C. ad oggi. In questo esiguo spazio si svolgono infatti duemilacinquecento anni di storia che conducono sino alla Vercelli attuale. In elevato le case che compongono il centro conservano moltissime parti di epoca medievale che furono fra il XVIII e XIX secolo coperte da nuove facciate in stile più aggiornato. Nel sottosuolo si stratificano i resti della città dalle sue fasi protostoriche e romane sino al nuovo impianto medievale, formato da isolati difendibili con case forti e palazzi turriti delle famiglie nobili che costituirono e portarono a notevole potenza il comune vercellese. Per questo l'attuale centro storico, pur ampiamente snaturato e trasformato da recenti manomissioni, conserva un grandissimo valore architettonico ed archeologico e meriterebbe ben maggiori attenzioni da parte della municipalità per tramandare intatto e per valorizzare il grande potenziale che ancora racchiude».
http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/altro/Vercellae.html
Vercelli (monastero fortificato di Muleggio)
«Il monastero di S. Pietro, successivamente di S. Benedetto di Muleggio, risulta fondato nel 1083, mentre una località con questo nome appare per la prima volta nel 1102 (Panero 1985, p. 18). Ai Benedettini neri succedettero i Vallombrosani, che appaiono in possesso del monastero nel 1230 (Sella 1917, III). L'abbazia ebbe il periodo di massima prosperità fra XII e XIII secolo, attraverso il possesso di molti beni terrieri, soprattutto a Selve, dove ebbe signoria sul castello (Mandelli 1858, III, p. 151). Decaduto e diroccato a causa delle continue guerre, il monastero venne restaurato e riedificato nel 1547 (Orsenigo 1909, p. 116). Dei fabbricati antichi è attualmente ancora visibile l'abside della chiesa, di struttura romanica, alla quale sono addossati edifici rustici, al centro di una corte rurale di impianto quadrilatero. Non abbiamo alcun indizio dell'antica conformazione dei fabbricati dell'abbazia, ma in modo del tutto analogo e per le stesse considerazioni fatte per il caso di Lucedio, pensiamo ipotizzabile una qualche forma di recinzione difensiva, trattandosi di una fondazione monastica sorta nelle campagne, lontano da ogni possibile protezione. L'impianto dell'attuale fabbricato agricolo, che non è escluso possa ricalcare in parte un antico perimetro, e il fatto che presso l'abbazia fosse presente un abitato o villa dipendente, fanno ritenere che i fabbricati del monastero possano avere svolto una funzione difensiva per abitanti e raccolti, quantunque non attestata dai documenti. Il sito conserva un notevole interesse architettonico e archeologico» - «Antica abbazia romanica dei Vallombrosani all'interno della cascina Muleggio di proprietà privata. Nel 2004 si è avuto il crollo del campanile per mancanza di manutenzione. Attualmente ha la copertura in parte inesistente e versa in evidente pericolo di crollo» [consultato nel 2015].
http://www.archeovercelli.it/fortifaf.html#anchor34212 - http://www.italianostra.org/wp-content/uploads/PIEMONTE1.pdf
Vercelli (palazzo Alciati, palazzo Centori)
«Palazzo Alciati. Fu
restaurato negli anni 1930 -1934 e rappresenta, con il Palazzo Centori, uno
dei meglio conservati esempi di casa d'abitazione di una nobile famiglia
vercellese dei secoli XV-XVI. La casa si articola attorno ad un cortile
porticato sul quale si aprono ambienti decorati con affreschi del primo
Cinquecento di notevole livello e qualità. Il loro stile appare infatti
largamente influenzato dalle recenti innovazioni di ambito romano più che
dalla tradizione locale, così come avviene anche in Palazzo Centori. I nove
ambienti originari, con soffitti lignei a cassettone, recano vari riquadri
decorati da motivi architettonici entro i quali si inseriscono le scene, il
tutto sormontato da ricchi fregi a motivi vegetali, grottesche e scene
mitologiche. Il bel camino situato nel salone a pianterreno reca lo stemma
araldico degli Alciati a bande azzurre e bianche con il motto "Tout a la
ventura". Lo splendido stato di conservazione del complesso e la sua
fruibilità sono assicurati dalle cure dell'Istituto di Belle Arti e dalla
destinazione dei locali, adibiti a sede del Museo C. Leone, il cui ingresso
si apre proprio sul magnifico cortile porticato» - «Palazzo Centori.
... Il volume dello stabile dei Centori è invece delimitato dal prospetto
principale sul corso e da due fianchi laterali, uno su via Giovenone,
l'altro sul suggestivo passaggio coperto del "Volto dei Centori", che lo
connette alla maglia urbana agganciandolo ai corpi limitrofi. Sono proprio
le sue vedute arretrate verso l'interno che consentono la percezione di
tutto l'insieme architettonico, generato da un'articolazione e da addizioni
su più corti. Esso rivela la sua consistenza medievale con inequivocabili e
suggestivi segni costruttivi, morfologici e stilistici, che si sono
sovrapposti e aggregati, nel corso della vicenda edilizia complessiva, in
periodi e con caratteristiche diverse: la particolare tessitura muraria a
vista, gli elementi spontanei tracciati dall'orditura del mattone, finestre
archiacute in cotto, delle quali una, di cui si dirà fra breve, molto
raffinata. Da questi angoli di visuale si rintracciano infine ben due torri:
quella possente e quadrata, inedita e forse la stessa del documento
dugentesco, e quella ottagonale trecentesca. ...
Per seguire il particolare tema del cotto, vanno specificamente segnalati
gli illuminati restauri condotti dalle famiglie proprietarie Cassi e
Pasquino-Govi sulle porzioni di casa Centori poste verso l'interno e
affacciate sul vicolo - passaggio a suo tempo interno, strada consortile e
non pubblica - in parte coperto dal "volto dei Centori". Essi hanno rimesso
in piena luce non pochi elementi strutturali dell'architettura, vani,
loggiati, rampe di scale nelle due torri già sopra menzionate, nonché
numerosi particolari decorativi di estremo interesse.
è forse la più bella bifora
vercellese conosciuta al momento, quella che si apre sulla prima corte,
accessibile dal "volto" e oggi visitabile per gentile concessione del sig.
Cassi; tale spazio - non coperto, a differenza del più famoso cortile
contiguo - da un lato confina con l'involucro di quest'ultimo e nell'alzato
degli altri due si presenta con logge architravate tardocinquecentesche. La
residua manica medievale, plausibilmente trecentesca come la torre posta a
baluardo, grazie al recente restauro oggi rivela una finestra adorna di
cotti così finemente lavorati e raffinati, sia nella tipologia decorativa
che nella partitura senza eccessi, da far pensare ad una datazione che
preceda la sovrabbondanza ornamentale quattrocentesca e si riferisca ad un
periodo del Trecento vercellese alquanto florido e colto. Tornando al
cortile di proprietà comunale, che della dimora Centori è oggi l'unica parte
pubblica, neppure di questa porzione si conoscono gli artefici, per quanto
essa sia un cammeo architettonico, certo appositamente commissionato ad
artisti di primaria importanza, per risultati sicuri e di alto profilo;
elegante luogo gentilizio, vano di rappresentanza con accentuato valore
simbolico, che, nell'accogliere e ospitare con amenità, subito doveva
accreditare un'immagine colta e prestigiosa della famiglia residente.
Eretto su due leggeri ordini di loggiato a tutto sesto, quello superiore ad archi ridotti e raddoppiati (mentre l'ultimo piano finestrato è una sopraelevazione posteriore), il vano è isolato in una sua atmosfera di rarefatta suggestione, scandito, con cromatismi caldi e raffinati, dalla ritmica alternanza di un apparato decorativo ricco ma né affastellato, né ridondante. Vi si stagliano le luminose linee dei profili in cotto, tesi a scorrere su archi e trabeazioni, sfilano i variegati capitelli, che armonizzano scudi araldici con eleganti elementi ornamentali, si succedono timpani dipinti e fasce pittoriche, si ordinano, con sequenze illustrative continue e ripetute, motivi iconografici e letterari del repertorio classico: finte modanature, medaglioni di Cesari con spunti ritrattistici, elementi di grottesca, temi e allegorie mitologiche, fra cui sorprendenti divinità marine e -per ovvia analogia etimologica- scene di centauri. Il cortile è stato sempre ricondotto alla cultura milanese pienamente bramantesca, nel momento in cui, sul finire del Quattrocento, Donato Bramante, tornato dal soggiorno romano, emancipa la tradizione lombarda dagli eccessi decorativi e la conduce sotto il segno del proprio nitore rinascimentale, né rigidamente spoglio, né monumentale. La sua impronta e la promozione della corte milanese crearono un eccellente gruppo di artisti, Bernardo Zenale, Bernardino Butinone e il suo miglior allievo, pittore e architetto, detto il Bramantino, contornati da comprimari validissimi e versatili. Senza poter attribuire la paternità del cortile ad un preciso e unico autore, la sua identità culturale dovrebbe comunque collocarsi in quella cerchia lombarda, nella cui produzione, in effetti, trovano precisi riscontri sia il modulo architettonico che molti degli elementi plastici e pittorici utilizzati nell'aulica pagina vercellese. ...» (a cura di Laura Berardi).
http://www.archeovercelli.it/english13.html#INIZIO - http://www.archeovercelli.it/centori.html
Vercelli (palazzo e torre dei Tizzoni)
«Casa fortificata della potente famiglia ghibellina dei Tizzoni; costruito nel XIII secolo ed affrescato alla fine del 500 da Guglielmo Caccia detto il Moncalvo con uno splendido ciclo dedicato alle muse e agli dei dell’antichità classica. Fu acquistato nel 1873 dall’Istituto di Belle Arti. Nel più interno dei cortili si trova un tratto di loggiato di stile rinascimentale a testimonianza dell’antichità dell’edificio. Fu proprietà della nobile famiglia Devolpe che vede tra i suoi discendenti S. Guglielmo. Lasciato in eredità all’ospizio dei Poveri per lunghissimo tempo fu adibito ad albergo» - «Un pezzo interessante di storia di Vercelli è rappresentato dalla torre dei Tizzoni che si trova nell’attuale Corso Libertà dalla parte di Porta Milano. Di forma ottagonale, è inglobata nel palazzo della metà del Quattrocento, appartenente alla nota famiglia ghibellina Tizzoni da cui prende ovviamente il nome. Alla fine del XIX secolo, alcune opere di restauro su disegno dell'architetto Locarni cambiarono l’aspetto della torre: venne rivestita di intonaco, rifatte la copertura e le bifore e ricavate altre tre aperture in basso. Caratteristiche le piombatoie e gli immensi finestroni decorati in cotto; sempre in cotto rimase decorata in modo integrale fino al 1935 quando venne rivestita in pietra. Internamente risaltano gli affreschi di G.Caccia, detto il Moncalvo, nella volta a vela del salone a piano terra raffiguranti alcune divinità classiche. Nel XVIII secolo la torre fu di proprietà della famiglia Mariani. Della casata Tizzoni abbiamo notizia delle loro origini molto antiche: si nomina un tribuno militare e poi, nel XII secolo, un suo nipote divenuto podestà di Vercelli. La famiglia Tizzoni fu storicamente sempre di fazione ghibellina e, quindi, accaniti avversari degli Avogadro. Vincitore in un scontro con la fazione guelfa degli Avogadro nel 1329 e protagonista di una leggenda che ruota attorno alla Torre, è Pietro Tizzoni. Si racconta che egli fece imprigionare nella torre del palazzo Maria Avogadro, famosa in città per il suo animo magnanimo, sperando di piegarla al suo volere. La donna, prigioniera della torre, chiamata anche Torre della brava figlia, riuscì a opporsi e, grazie alla sua fede, a far pentire l’audace Tizzoni».
http://www.fondoambiente.it/upload/oggetti/Vercelli_Palazzo_Tizzoni.pdf - http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti...
Vercelli (torre Avogadro o di S. Marco)
«La torre di San Marco è probabilmente l’antica torre della casa degli Avogadro, costruita a partire dal 19 agosto 1266, quando fu posta la prima pietra della chiesa di S. Marco. Si erge in Via Verdi e la sua tipologia costruttiva si discosta dalle altre torri vercellesi per la caratteristica cornice marcapiano, visibile a tre quarti dell’altezza complessiva e per gli spigoli che non sono vivi, ma smussati dalla sporgenza di una lesena; ha pianta ottagonale che rientra nella tipologia delle torri gentilizie vercellesi e manca delle caditoie, il che la colloca in una data più antica rispetto alle altre, ma più recente rispetto alla quadrangolare torre di città. Il fusto ottagonale della torre si presenta strutturata in mattoni di color rosso-bruno molto scuro; ogni facciata reca una doppia fila di fori (in cui si inserivano i sostegni dei ponteggi) lasciati dalle maestranze per eventuali futuri restauri. Alcune facciate sono segnate da strette feritoie disposte senza regolarità. Al di sopra della cornice marca-piano in cotto, in alcune facciate si apre un finestrone ogivale murato. La parte terminale è caratterizzata e alleggerita da alcuni finestroni rettangolari parzialmente tamponati con mattoni di colore più chiaro. La copertura è relativamente sporgente. Attualmente sia la chiesa, che fino al secolo scorso era adibita a mercato coperto, che la torre campanaria sono di proprietà comunale e le strutture dovrebbero essere presto adibite ad uso pubblico. Nei lavori ottocenteschi ne hanno trasformate alcune parti venne ritrovata intatta la sepoltura verticale di Simone Avogadro da Collobiano, condottiero e signore di Vercelli; l’armatura e la spada sono passati all’Armeria Reale cui furono donati dalla Città».
Vercelli (torre Comunale o di Città)
«Di austera e semplice forma quadrata la torre si vuole sia stata edificata nel secolo XIII. Potrebbe tuttavia avere origine più antica ed essere appartenuta alla famiglia Vialardi che cedette al Comune le proprie case per la creazione del broletto o palazzo comunale. L'altezza notevole la rendeva idonea all'uso di campanile per la campana del Comune che chiamava il popolo ed il senato all'arengo o avvisava in caso di pericolo. Alla base furono murate lapidi patriottiche nel 1925. Le campane sono scomparse e l'antico orologio del XIV secolo fu asportato nel 1931. Annessa alla torre sopravvive l'antica piazza del broletto, maldestramente riattata qualche anno addietro dal Comune senza valorizzarne l'antica struttura porticata ed i particolari architettonici. Qui erano le carceri e qui erano custoditi gli Statuti comunali. All'aperto nella piazza o nel salone si riuniva la Credenza del comune medievale per decidere della guerra, delle alleanze o della costituzione di nuove comunità quando Vercelli era, insieme con Milano e Venezia, una delle principali realtà territoriali dell' Italia Settentrionale» - «La Torre di Città è uno dei simboli di Vercelli, sia per la sua posizione a ridosso del Palazzo comunale, sia per la funzione di regolare la vita cittadina attraverso il rintocco delle campane e il grande orologio della fine del XIV secolo. L'aspetto della Torre è piuttosto spoglio, l'intonaco beige si alterna ai mattoni, la struttura è quadrangolare, con finestroni ad arco a tutto sesto disposti in ordine non regolare, di cui alcuni tamponati. A sovrastare la torre c'era una cupside, abbattuta da un fulmine nel 1821. Si dice sia la torre gentilizia più alta della città e sicuramente la più antica».
http://www.archeovercelli.it/english4.html#INIZIO - http://www.ipalazzi.it/palazzo/p_2407.html
«La slanciata torre dei Vialardi è un fabbricato posto tra via Giovanni Achille Cagna e via Francesco Antonio Vallotti, che fu dimora dell’omonima famiglia. La torre, unica superstite quasi inalterata nella casa dei Vialardi, venne edificata agli inizi del XV secolo e si erge elegante, snella e diritta con un fusto ottagonale, in cui si aprono due finestre al di sopra di altri edifici addossati alla sua base. La parte superiore è formata da un primo livello di piombatoie poco sporgenti sormontato da un secondo livello dotato di otto finestre bifore orlate di fregi in terracotta, qualcuna cieca e murata dal lato nord ed in cima una copertura a travata a tese larghe. Si hanno notizie del rifacimento del tetto nel XIX secolo (R. Ordano, Torri e castelli del Vercellese). Essa è, tra le torri vercellesi, probabilmente quella che ha meglio conservato il suo aspetto originario. Entrando nel piccolo cortile, con ingresso in Via Cagna, sono visibili, affioranti dalle pareti perimetrali, le arcate di quello che,in antico era un portico rinascimentale e, più in alto, si scorge la traccia di un fregio ad affresco (assegnabile alla fine del ‘400: R. Ordano, Torri e castelli del Vercellese) che decorava l’ambiente, con forse altre decorazioni. Questo è il luogo in cui i Vialardi risiedettero fin dagli inizi del 1200, quando vi trasferirono dalle loro proprietà site in Via Duomo, di fronte a Palazzo Pasta, poiché in esse, mediante acquisto, vi si installò il Comune. La famiglia dei Vialardi è fra le più antiche della città; infatti essa incominciò a fiorire verso la metà del XVI secolo e aveva anticamente la dimora nel XII secolo nella zona poi occupata dal primitivo palazzo comunale. Essa era una nobile famiglia di stirpe Manfredinga (F. Vigliano, Vercelli-famiglie nobili, pag 34), cioè di origine germanica e derivata dai Signori di Casalvolone. I Vialardi ebbero una notevole importanza nei secoli XII, XIII e XIV. ... Nel secolo XII la loro abitazione era nella attuale via del Duomo ed era una casa-forte con torre patrizia, edificata sui ruderi di antiche terme romane. Nel 1203, il Consiglio di Credenza acquistò dai Vialardi la medesima casa-forte per trasformarla in Palazzo del Comune. I proprietari si trasferirono allora nell’attuale Via Vallotti e, nel secolo XIV, alzarono la torre, ancora superstite, detta tuttora Torre dei Vialardi. ...».
https://lusignolo.wordpress.com/2012/03/15/vercelli-e-le-sue-torri/
«In pieno centro storico, nella piazza maggiore di Vercelli, Piazza Cavour, svetta tra i palazzi rinascimentali e barocchi l’imponente Torre dell'Angelo. Storicamente rilevante e famosa per la sua posizione centrale in città, la Torre dell'Angelo ha una conformazione antica di base quadrata da dove si eleva un corpo ottagonale di gusto tardo gotico chiuso da lunghe caditoie medioevali. Di fine Ottocento è invece l’opera di innalzamento con le grandi finestre ogivali in doppia fila e la merlatura che, il geometra Angelo Bosso, aggiunse in stile neo-goticizzante. Nella stampa del Theatrum Sabaudiae di fine Seicento, l’antica torre è raffigurata con una sfera sopra il tetto e senza merlature che le furono appunto annesse solo successivamente. La Torre si fa risalire al XIV secolo e, per far spazio alla sua mole, vennero demoliti una serie di edifici circostanti tra cui sembra anche la dimora della casata Tizzoni. Si ritiene che alcuni pezzi in muratura e i sotterranei siano di epoca romanica mentre le decorazioni in cotto sugli archi nei cortili sono databili al XV secolo. Ora di proprietà del Comune di Vercelli che ha provveduto agli interventi di restauro per rafforzare la struttura e per renderla visitabile».
«Il castello di Vettignè è un antico edificio di origine medievale del Vercellese, situato nell'omonima frazione di Santhià. A partire dagli anni Sessanta del Novecento il castello, a seguito dello spopolamento della frazione Vettignè, versa in uno stato abbandono pressoché totale. Il toponimo Vettignè deriva dal Vectigal che era il dazio che si pagava per ottenere il diritto di passaggio dal borgo, che all'epoca era il crocevia tra la Via Svizzera e la Via Francigena, detta anche Via Francesca. Il castello fu a lungo di proprietà della nobile famiglia dei Vialardi di Verrone, poi dei Dal Pozzo e passò al ramo Savoia-Aosta in seguito al matrimonio di Maria Vittoria Carlotta, l'ultima erede dei principi della Cisterna, con il principe Amedeo, duca di Aosta e re di Spagna. Il nucleo castellato fu edificato, forse su una struttura più antica, nel XV secolo. È interamente circondato da merli a coda di rondine, sorretti da lunghi beccatelli adornati da una fascia decorativa. La torre cilindrica, di altezza notevole, ricorda da vicino quella del castello di San Genuario a Crescentino. Tra il '500 ed il '600 furono costruite le abitazioni, i magazzini e la casa padronale che andarono a chiudere la corte centrale. Stando a una leggenda il sanguinario capitano di ventura Bonifazio, detto Facino Cane, che le fonti più accreditate ritengono nato a Casale Monferrato, sarebbe invece originario di Vettignè; proprio per questo il borgo di Vettignè e la stessa Santhià sarebbero stati gli unici centri della zona ad essere risparmiati dalla furia del condottiero».
http://www.santhiasullaviafrancigena.it/index.php?option=com_content&view=article&id=50&Itemid=55
«La località di Viancino di Crova è nominata per la prima volta nel 1299 (Panero 1985, p. 23) e fu posseduta da numerose nobili famiglie vercellesi, tra cui gli Avogadro, che tennero il feudo e il suo castello fino alla data di sottomissione ai Savoia, nel 1404. I primi documenti che attestano l'esistenza di un castello a Viancino risalgono alla fine del 1200 e agli inizi del 1300 e si riferiscono alle lunghe lotte tra guelfi e ghibellini, nelle quali furono coinvolti i signori di Viancino contro il potente Comune di Vercelli. Gli ultimi proprietari furono i marchesi Cusani di S. Germano. Attualmente del castello medievale non resta nulla, se non avanzi di mura scarpate sui quali è stata edificata una casa di campagna che conserva la denominazione "castello" (Ordano 1966; Ordano1985, p. 276). Fu parte del feudo di S. Germano e possesso dei Dal Pozzo nel 1152, all'inizio del milleduecento del S. Andrea e del comune di Vercelli. Fu poi dei Savoia dal 1389 per passare poi a vari famiglie tra cui i Margaria, i Ricci, i Raspa, gli Alciati e nel 1620 dei Tassoni-Estense».
http://www.webalice.it/garbif/viancino.htm
«L'antica "Valabotto". II paese si estende nel territorio dove il torrente Rovasenda confluisce con il Cervo, nel cuore dell'antica baraggia. Menzionato per la prima volta con il nome Valabotto in un documento del 1186, il suo toponimo deriva, secondo Alda Rossebastiano, da un termine germanico composto dai personali Wala e Boto. Fu feudo dei conti di Biandrate, verso il 1170 passò al consortile degli Avogadro (unitamente a Busonengo e Monformoso). Parte del feudo fu acquisito anche dalla famiglia de Raimondis, nota per aver dato due badesse al potente monastero benedettino di San Pietro di Lenta. Nel XIV secolo gli Avogadro (ramo di Massazza) figurano avere stabilmente beni nel luogo per i diritti anche di Giacomina de Raimondis, madre di Giovanni Avogadro di Massazza. Con il figlio di questo, Taddeo, ebbe origine il ramo di Villarboit. Tra il 1373 e il 1404 i signori e la comunità si sottomisero ai Savoia. In particolare nel 1404, unitamente a numerosi rappresentanti dei vari rami del consortile Avogadro, fece atto di vassallaggio Taddeo Avogadro di Villarboit. Il paese entrò a far parte del capitanato di Santhià. Tra il 1559 e il 1562 gli Avogadro di Villarboit cedettero i loro diritti feudali al conte Giovanni Tommaso. Langosco di Stroppiana, gran cancelliere del duca Emanuele Filiberto. Nel 1740 il feudo fu acquisito dai marchesi Falletti di Barolo per poi passare nel 1867 ai Solaroli di Briona. Il Castello risale, per la parte più antica, al XIV secolo; con la sua imponenza, anche se alquanto rimaneggiato, domina il resto dell'abitato. Interessante è la torre, la cui loggia superiore è però di epoca più recente» - «Il castello è posto su di una lieve altura, bene in vista dalle campagne circostanti; la sua architettura è semplice, priva d’alcun decoro, la torre quadrata che lo sovrasta lo rende più snello, la roggia che ne bagna tuttora il lato occidentale, nei tempi antichi doveva circondarlo come un fossato. Per potervi entrare esistono due passaggi e su di uno è presente lo stemma dei Marchesi Solaroli di Briona con il motto “Virtus fortuna favente”».
http://www.lamedelsesia.vc.it/Pp_Villarboit.asp - http://www.comune.villarboit.vc.it/elenco.aspx?c=2&sc=47
Villata (castello)
«Le origini di Villata sono antecedenti il XIII secolo se già nel 1225 si ha notizia di una Villanuova Casalegualonis, quindi di un aggregato di Casalvolone. La sua formazione è da attribuirsi al fatto che alcuni abitanti appartenenti al borgo dei "Casalgualone", stanchi delle continue scorrerie a cui erano soggetti per via della contesa di quel territorio tra Vercelli e Novara, avessero deciso di trasferirsi in una sede più tranquilla. In seguito il nuovo borgo prende il nome di Villata de Casalgualono (1315) e solo più tardi Villata. Nella seconda metà del XIII secolo, per il progressivo aumento della popolazione, venne istituita la parrocchia di San Barnaba. Con l'erezione di Casalvolone a borgo franco (1223), i Casalgualone di Casalvolone, insieme ai Buronzo, altro ramo della stessa famiglia e proprietari in Villata, sottraggono le terre all' incolto per accrescere i loro poteri giurisdizionali ed esigere le decime ed assumono l'appellativo di "de la Villata". Inizia probabilmente la costruzione del castello, di cui ha notizia in un documento del 1404, che proseguirà nel corso del XV secolo. Fin dal 1335, e pur con alterne vicende, Villata veniva riconosciuta tra le località del vercellese appartenenti allo Stato Visconteo anche se politicamente la signoria restava alla famiglia degli Avogadro. Nel 1427 quando Vercelli, con il suo territorio e i suoi castelli, viene ceduta da Filippo Maria Visconti ad Amedeo VIII di Savoia, Villata resta esclusa dalla cessione e continua ad appartenere al Ducato di Milano ed è formalmente riconosciuta come comune autonomo. Verso la metà del XVI secolo la signoria su Villata si consolida nelle mani dei Ferrero Fieschi, principi di Masserano, e a loro resterà fino al luglio del 1694 quando il feudo di Villata, così come quello di Casalvolone, viene venduto al giureconsulto avvocato Giovanni Battista Gibellini di Novara che ne manterrà i diritti fino alla abolizione dei privilegi feudali. Sotto il governo francese Villata perde la propria autonomia e, per pochi anni e' nuovamente aggregato al comune di Casalvolone. Con la restaurazione del 1814 ritorna infine comune autonomo della giudicatura di Borgo Vercelli. Il castello di Villata ha le caratteristiche di una grande costruzione fortificata a difesa dei raccolti e delle famiglie. L'impianto del castello è quadrilatero con un ingresso protetto da un'unica torre e una pustierla sul lato opposto. La torre, con porta e pustierla, era originariamente dotata di ponte levatoio, per varcare un fossato ora del tutto scomparso. L'insieme dell'edificio è ancora in buone condizioni».
http://www.comune.villata.vc.it/Cennistorici.php
a c. di Federica Sesia
©2015 ss.