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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI TRAPANI
in sintesi
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Alcamo (castello dei conti di Modica)
a cura di Vita Russo
Amabilina (torre Badda in contrada san Silvestro)
«La torre, posta in un chianu abbandonato lungo il corso del fiume Sossio, prende nome dalla famiglia di Girolamo, soprannominata Badda. L'edificio, realizzato in conci di tufo squadrati negli spigoli e pietrame misto a cocci di argilla terra di fiume nelle pareti, ha pianta rettangolare ed il tipico portale ad arco a tutto sesto, sul quale si apre una piccola finestra, che serviva a dare luce all'ambiente interno. Al di sopra dell'apertura vi è la caditoia, di cui rimangono soltanto le mensole. Può essere datata alla metà del XVII secolo come aggiunte apportatevi verso la fine dell'Ottocento».
http://www.navigaschola.it/leggi-scoprimarsala.asp?id=10
Balata di Baida (castello di Baida)
«Sorge su un antico insediamento, probabilmente di origine araba, come il toponimo Bayda lascerebbe pensare e i ritrovamenti ceramici della zona confermerebbero. I primi documenti da cui si hanno notizie certe di questo castello risalgono, però, ad epoca più recente, ovvero all’anno 1393, allorché le terre di Baida vennero concesse dal re Martino d’Aragona ad Allegranza Abate, vedova di Matteo Moncada (o Montecateno). Nella sua opera Erice il Castronovo riferisce, fra l’altro, che nel 1742 la baronia di Baida era la prima e la più illustre delle tre baronie appartenenti a Monte San Giuliano. Questa baronia godeva del “mero e misto imperio” e il barone, essendo feudatario, aveva, fra l’altro, il dovere di mantenere dieci cavalli per l’eventuale servizio militare e ogni anno, il 15 di agosto, solennità dell’Assunta, doveva recarsi a Monte San Giuliano (Erice) ed offrire un grosso cero alla Vergine Santissima, titolare di quella Madre Chiesa. Attualmente poco rimane dell’assetto originario del maniero. Le quattro torri ottagonali, che sorgevano agli angoli esterni, sono crollate, mentre rimangono solo parte della facciata (un bel prospetto integro e sormontato da merli) con cella campanaria e un bel portale con decorazione a bugne di diamante ed arco ribassato in pietra di tipo gotico catalano. Su questo portale una lapide ricorda la venuta del re Ferdinando di Borbone nel 1801. Questa epigrafe, tuttavia, contiene un formale errore di storia: questo re Ferdinando di Borbone, infatti (come detto più sopra), nel 1801 non era “re delle Due Sicilie”, bensì “IV di Napoli e III di Sicilia”. Il regno delle Due Sicilie, infatti, sarebbe nato 14 anni dopo (nel 1815) per disposizione del Congresso di Vienna e in seguito all’abolizione del regno di Napoli. Egli medesimo, infatti, nello stesso anno diventò “Ferdinando I, re delle Due Sicilie”. Il regno delle Due Sicilie, pertanto, non avrebbe mai avuto un “re Ferdinando III”, ma, dopo di lui, solo Francesco I, Ferdinando II e Francesco II. Alcuni locali di questo castello con volta a botte sono ormai ridotti a ruderi ed invasi dalla vegetazione. Sul lato sinistro del castello, all’interno della corte, sorge la chiesetta dedicata a S. Anna, ancora oggi regolarmente officiata. Sull’altare, purtroppo, non troneggia più la grande pala di Elia Interguglielmi (1746-1834) riproducente Santa Anna con la figlia Maria. Essa, infatti, è stata sottratta dai ladri ed è stata sostituita con una tela ad olio di Giovanni Battista Di Liberti (anno 1997), copia di una Santa Anna esposta su un altare laterale nel duomo di Erice. ...».
http://www.chiesascopellobalatadibaida.it/index_file/Page542.htm (a cura di Michele A. Crociata)
«Piccola frazione del comune di Erice, posta ai piedi di una collina, a metri 237 s.l.m. e a 20 km dalla vetta di Erice, conta 600 abitanti. L’economia è prevalentemente agricola e costituisce la principale risorsa dei ballatesi. Il piccolo centro abitato di Ballata nacque circa 350 anni addietro, all’ombra di un castello costruito tra il 1100 e il 1200, il cui nucleo più antico ed importante è una torre centrale normanna... Il “Baglio”, che chiude a difesa il castello, fu costruito nell’anno 1603, come dimostra una data incisa su una pietra dello stipite di una porta dell’interno. Subito dopo quella data, s’iniziò a formare il primo embrione di vita, con stanziamenti definitivi e progressivi con gli anni. La famiglia proprietaria del Castello e del Feudo limitrofo apparteneva al “nobile casato degli Staiti”, ai quali- con matrimoni ed eredità- si sono succeduti i “Platamone”, i “Maurigi” ed attualmente la famiglia “Zagarella” ne tiene l’eredità per successione matrilineare. Un attento visitatore che arriva da Torretta, o da Tangi, o da Pianoneve non può sottrarsi dall’osservare questo venerando “Maniero”, che sovrasta maestosamente l’abitato di Ballata. La parte centrale del Baglio ci evidenzia l’imponenza della grande “corte”, al centro di essa è situato un pozzo sorgivo e tutt’intorno si affacciano gli usci delle abitazioni e dei magazzini. Sul lato nord-ovest si può ammirare la parte padronale che sorge sulla torre normanna; sul muro di essa notiamo una insegna araldica in terracotta smaltata, nonché il blasone nobiliare della “famiglia”. Sul lato nord è riscontrabile una torretta cilindrica interamente ricostruita agli inizi degli anni sessanta; sul tetto uno stendardo di piccole dimensioni in ferro. La facciata principale del castello è esposta a nord-ovest. Nella prima sopraelevazione si affaccia un balcone che ci conferma il periodo di quella costruzione squisitamente spagnola; il balcone è in ferro battuto semplice, ma austero nella sua sobrietà. ...».
http://www.comune.erice.tp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=647:ballata&Itemid=298
«La torre di San Teodoro faceva parte, unitamente a quella di Sibiliana ed alla torre del castello, del sistema difensivo del Regno di Sicilia. In tale funzione fu preceduta dall' altra torre vicina,oggi abita a ristorante, che era stata costruita dalla famiglia Lino a protezione della tonnara ivi esistente. Negli ultimi anni del XV secolo, quando il pericolo musulmano si fece più pressante, il viceré Giovanni Lanuzza impose ad Antonio Vincenzo Grignani,a cui era stata rilasciata licenza di impiantare una salina nella contrada Birgi,di fare la guardia nella torre s. Teodoro. Il Grignani obbiettò che la torre non apparteneva a lui,ma ai proprietari della tonnara e nel 1495 fu sciolto dell' obbligo di pagarne i custodi. Nel 1502 ,essendogli stato rinnovato l' ordine,Antonio Vincenzo Grignani, si dichiarò pronto ad obbedire,ma fece notare nuovamente che non spettava a lui pagare i guardiani ma a Giovanni lu Lino, a cui informa pubblica intimò assumersi quell'onore. La contro versa fu sciolta in maniera definitiva nel 1524 dal funzionario regio Michele Jurato, il quale trovò un atto del 1457 rogato dal notaio Roberto de Asinara di Trapani,in forza del quale il proprietario della torre era tenuto al pagamento delle guardie. Nel 1557 - ci informa l'ingegnere militare Tiburzio Spannocchi - i guardiani della torre erano pagati dal padrone della tonnara, che a quel tempo era Iacopo Galvano, alias Staiti. Nel XVII secolo, forse perché l'antico edificio non si prestava all'uso dei cannoli, fu costruita una nuova torre più massiccia ma meno alta dell'altra l' onore del pagamento dei guardiani fu assunto dal comune. La torre svolse egregiamente la sua funzione militare fino ai primi decenni del XIX secolo, poi nel 1866 fu cancellata dell' elenco delle opere militari e probabilmente ceduta a privati. L'antica torre è un bello e svettante edificio a gradoni alla cui sommità e istallato un semaforo. Il Camilliani nel 1584 definì la torre “ di buonissima capacità, non meno grande che forte, ordinata ed artificiosamente condotta fine, dove si tiene la guardia tanto necessaria, così per l'arbitrio della tonnara ,quanto per la sicurtà del commercio quotidiano di quel lito”. La nuova torre, invece, si presenta complessivamente come un grosso parallelepipedo, rastremato verso l'alto e tozzo nell'insieme . Le murature a sacco sono definite negli angoli con conci di tufo squadrati. Il lato della torre espose verso il mare mostra una scala esterna in pietra di Trapani che conduce al piano superiore sulla cui porta si trova la caditoia; gli altri due lati della torre sono quasi completamente ciechi. In tre angoli della parte superiore della torre sono poste delle mensole, sorreggono un piano di piccole dimensioni, usato come base d'appoggio per cannoni».
http://www.navigaschola.it/leggi-scoprimarsala.asp?id=12
Bonagia (torre della Tonnara o torre Bonagia)
«Valderice è un antico piccolo borgo del Trapanese, le cui origini remote risalgono alla migrazione verso il fondovalle degli abitanti di Erice in epoca romana, quando le cessate ostilità con i Cartaginesi resero la costa più sicura. Al fiorente centro agricolo si affiancò, nel Seicento, una tonnara in località Bonagìa, protetta da una bella torre di tipo "camillianeo", in tutto simile ad altre torri del Trapanese, tra cui per esempio la torre 'Mpisu (impiccato), dominante sulla tonnara del Secco. Come quelle, è in muratura di pietra intonacata, a pianta quadrata con alta scarpa, copertura piana con guardiole quadrate ai due vertici opposti, ampia cisterna per la raccolta dell'acqua piovana. Camillo Camilliani, figlio dello scultore fiorentino Francesco, fu probabilmente allievo del Montorsoli a Messina. Le prime notizie certe risalgono al 1574, quando il Camilliani fu chiamato a Palermo per sovrintendere ai lavori per la sistemazione della fontana antistante il Palazzo Pretorio. Nel 1583 ricevette dal governo viceregio spagnolo l'incarico di una ricognizione delle difese costiere della Sicilia, da cui scaturì una relazione in tre parti distinte, di cui i manoscritti originali sono presso la Biblioteca comunale di Palermo, intitolate rispettivamente Descrittione dell'isola di Sicilia ..., Descrittione delle torri marittime del Regno..., e Descrittione delle marine di tutto il Regno.... La seconda è corredata di progetti e disposizioni per la costruzione di nuove torri nei luoghi da lui ritenuti idonei alla difesa; è possibile quindi risalire ai manufatti a lui attribuibili o derivati dai suoi progetti. La secentesca tonnara di Bonagìa comprendeva gli impianti per la lavorazione del pesce, recentemente restaurati e convertiti in struttura alberghiera. La torre invece ospita il Museo della Tonnara, nel quale sono custoditi barche, arnesi da lavoro, e oggetti legati al rito della “mattanza”. Alle spalle del complesso uno spiazzo all'aperto accoglie barche e ancore cadute in disuso».
http://www.sullacrestadellonda.it/tonnare/tonnara_bonagia.htm
Bonifato (castello di monte Bonifato)
«Sul monte Bonifato, svetta, isolata e leggendaria, l’ultima torre del castello dei Ventimiglia. La notizia più antica risale al 1182 e riguarda la descrizione dei limiti della “divisa di Bonifato, che comprendeva 600 salme di seminativi” mettendo in evidenza come il territorio circostante fosse tutto coltivato a cereali. La prima notizia del castello si ha, nel 1337 quando Pietro II lo concedeva al Peralta, ma già prima, nel 1332 Federico III concedeva un privilegio agli abitanti di Bonifato, e solamente nel 1397 Enrico Ventimiglia, figlio di Guarniero, dichiarava di aver costruito il castello di Bonifato. Il castello, quindi, risale al XIV secolo ed è errata la denominazione di torre saracena che si dava fino a poco tempo fa. Del castello, se si esclude la torre, oggi rimangono solamente dei ruderi. Solamente un innesto murario ancora visibile, sul lato Nord-Est della torre, indica l’andamento settentrionale della cortina muraria difensiva del fortilizio. Lo schema planimetrico del castello è assimilabile al triangolo o, ancora meglio, ad un trapezio rettangolare, dove tre lati collegati ad angolo retto si uniscono al quarto molto inclinato. La torre, esistente, era posta sull’estremità Nord-Ovest dell’impianto difensivo. Da lì si sviluppavano i due lati perpendicolari che si affacciavano sul fronte Nord ed Ovest, dove una leggera pendenza accoglieva l’abitato medievale, ancora visibile con rilevanti cumuli di pietra. Il lato Sud, quello più inaccessibile per via di uno strapiombo roccioso, era collegato al muro inclinato ad Est. Il castello, se paragonato ad altri dello stesso periodo, era stato costruito con dimensioni abbastanza ridotte, probabilmente fu pensato per resistere a brevi assedi militari o per segnalare rapidamente, con segnali di fumo, possibili incursioni nemiche provenienti dal mare. L’ubicazione della torre rimasta, pensata come mastio del presidio militare, domina l’intero Golfo di Castellammare e parte dell’entroterra meridionale».
http://www.turismo.trapani.it/it/4546/castello-dei-ventimiglia.html
Calatabarbaro-Segesta (resti del castello di Calatabarbaro)
«Dopo il definitivo abbandono dell'antica città di Segesta a partire dalla seconda metà del VII secolo, l'area sommitale del monte Barbaro venne rioccupata, agli inizi del XII secolo, da una popolazione islamica con la fondazione di un villaggio e la costruzione di una moschea. Intorno alla fine del XII inizi del XIII secolo, una dimora feudale fu costruita nel punto più alto del sito, nonché, nelle sue immediate vicinanze, una chiesa triabsidata. Durante la prima fase di costruzione del dongione furono inglobate e riutilizzate strutture preesistenti: muri 'tardoromani' e ambienti del periodo islamico dell'abitato (inizi del XII secolo). Pochi decenni dopo la sua fondazione (1220-1250 ca.), l'edificio venne ristrutturato (forse in seguito ad un incendio) ed ingrandito con la costruzione di ambienti nuovi (lato ovest). Intorno alla metà del XIII secolo, prima il villaggio e poi il castello vennero abbandonati e mai più rioccupati. Soltanto nel XV secolo alcuni abitanti di Calatafimi fecero costruire una piccola chiesa, sopra quella di epoca sveva. ... Il dongione (m 19,5 x 17,5 nella sua fase finale) fu costruito secondo un preciso progetto architettonico, con una scelta accurata e differenziata (a seconda dell'uso) delle pietre, dei rivestimenti e delle pavimentazioni. Esso era diviso in due piani e non doveva superare i dieci metri di altezza. Si accedeva al piano terra da un ingresso posto sul lato occidentale ed al piano superiore attraverso una scala lignea posta sul lato orientale. Le stanze dei due piani erano coperte con volte a botte ed erano articolate intorno ad un cortile centrale mattonato sul quale si affacciano gli ingressi del piano terreno e le bifore del primo piano. Il cortile presenta al centro un 'tombino' circolare dal quale si diparte una tubatura fittile che convogliava l'acqua piovana non verso l'esterno ma sicuramente verso la cisterna situata all'intemo del recinto castrale. L'analisi delle strutture murarie ha evidenziato due fasi edilizie oltre il recupero di muri antichi e dell'abitato musulmano. Tutte le murature del nucleo centrale del dongione (spessore m 1,10-1,15) sono costruite in conci di calcare di medie e grandi dimensioni sommariamente sbozzati, legati con malta e con l'uso costante di zeppe in laterizio, mentre i muri perimentrali degli ambienti occidentali si differenziano per lo spessore (m 1,20-1,25) e, soprattutto, per i due tipi di legante utilizzati alternativamente: malta e terra. Il castello, riscoperto grazie allo scavo archeologico condotto da A. Molinari del Dipartimento di archeologia e storia delle arti dell'Università di Siena, è stato inserito nel percorso di visita del parco di Segesta, dopo un graduale restauro finalizzato alla conservazione delle strutture monumentali. Proprietà attuale: pubblica (Demanio della Regione Siciliana). Uso attuale: parco archeologico».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=100
Calatafimi Segesta (resti del castello di Calatafimi)
«Il Castello ricordato da Idrisi, o meglio larga parte dei suoi resti, è posto alla sommità di un colle dominante da occidente l'abitato. La sua presenza è origine del nome dell'odierna Calatafimi (in arabo Kalat-al-Fimi). Le diverse teorie lo attribuiscono ora a Fimi (Diocles Phimes) ed ora ad Eufemio, ovvero fondono entrambi in un'unica persona, sembra comunque che Fimi fosse un Nobile con terre nell'agro Segestano, ricordato nelle Verrine di Cicerone, mentre Eufemio sarebbe stato un traditore o presunto tale che avrebbe aperto l'isola all'invasione Araba. Il tessuto edilizio di Calatafimi risente per larga parte della presenza araba, ed Edrisi nel 1154 nel Libro di Ruggero scrive: "...è castello antico, (anzi) primitivo e fortilizio niente sgradevole. Ha un borgo popolato, terreni arabili, alberati, ma poche acque scorrono nei dintorni.....". Nel XIII secolo il Castello forse fu restaurato sotto il regno di Federico II di Hohenstaufen di Svevia. Calatafimi nel 1282 visse le vicende del Vespro. ... Nei secoli seguenti Calatafimi fu parte della Contea di Modica. Ritornò al demanio nel 1802 e vi rimase sino al 1816, poi fu di Michele Carlo Stuart, duca di Alba, conte di Modica e barone di Calatafimi. Il Castello fu dimora dei governatori della città nel periodo in cui la stessa fu demaniale, poi sede delle compagnie d'armi e carcere giudiziario. Persa tale destinazione nel 1868 l'abbandono e le manomissioni conseguenti alla realizzazione delle vasche dell'acquedotto ne hanno segnato per più di un secolo il declino con conseguenti crolli di buona parte delle diverse fabbriche. Ne rimanevano fino a pochi anni fa, i resti delle due torri, i muri di mezzogiorno e di ponente, i locali già adibiti a carcere, alcuni magazzini. Più di recente è stato in parte restaurato».
http://www.castellammareonline.com/aramis/siti/cafimi.html (a cura di Camillo Galante)
Calataxibuni-Segesta (castello di Calataxibuni, non più esistente)
«Sul Poggio Fegotto ad est di Segesta, con il quale si identifica ipoteticamente il sito, si rileva la presenza di strutture interrate. Cronologia delle principali fasi storico-costruttive: non precisabile. Notizie storiche: 1363, territorio Calataxibuni. 1393, Calatagabuni, territorio adibito a pascolo. 1402, territorio Calathachubuni. Stato di consistenza: attestazione documentaria. L'antico territorio di Segesta era diviso nel medioevo tra quattro abitati fortificati dai toponimi contenenti il termine arabo qal'a (fortezza): Calatafimi, Calathamet, Calatabarbaro e Calatagabuni. Una prospezione sul Poggio Fegotto (321 m) ha verificato la presenza di un abitato rudimentale naturalmente fortificato dallo strapiombo delle pareti (Bresc 1984). Più che di un castello vero e proprio, doveva trattarsi di un insediamento fortificato, già protetto dalle caratteristiche del sito».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=102
Calathali (castello non più esistente)
«Il sito è ipoteticamente identificato in assenza di tracce visibili sul pizzo di Gallo, contrada Cautali di Poggioreale in provincia di Trapani (da Palermo, strada statale 624 per Sciacca; prima di Poggioreale, strada comunale a sinistra per contrada Cautali). Notizie storiche: 1182, nella divisa di Patellaro o Battalari esiste una viam que ducit de Battallaro a Kalathali, senza altra specificazione sulla località. Il toponimo in qal'a permette di supporre che Calathali fosse un fortilizio o un abitato fortificato. 1188, Iordanus di Calathali potrebbe essere il signore della località. 1305, tenimentitm terrarum. La contrada Cautali si estende ai piedi del pizzo di Gallo (644 m) che potrebbe corrispondere al sito della fortezza Gallo documentata come rifugio dei ribelli musulmani nel 1230 ca. F. Maurici propone di identificare Calathali, probabilmente scomparsa durante la guerra antimusulmana di Federico II, con questa fortezza documentata da fonte araba. è ipotesi più che attendibile vista la prossimità del pizzo di Gallo alla rocca di Entella, le cui drammatiche vicende del XIII secolo sono ormai ben note. Inoltre, solo un rilievo naturalmente difeso può giustificare un toponimo in qal'a. Possiamo supporre una funzione di rifugio temporaneo del sito nel XII secolo e nella prima metà del XIII secolo, forse come retaggio dell'epoca musulmana, anche se l'etimo arabo, senza altra attestazione documentaria, non attesta - da solo - un'origine pre-normanna. Descrizione: nessuna traccia di castello o di insediamento fortificato».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=103
Calathamet-Segesta (resti del castello di Calathamet)
«L'insediamento di Calathamet sorgeva in zona Ponte Bagni, su una collina dominante l'antico snodo viario che collegava in senso Est-Ovest Palermo con Trapani ed in senso Nord-Sud Castellammare del Golfo con l'entroterra belicino. Incerta è la data di fondazione del sito, così come incerta è la data dell'abbandono. è da ritenere che alla distruzione di Segesta ad opera di Agatocle gli abitanti si siano dispersi e quindi nuovamente raccolti in più agglomerati tra questi, l'odierna Calatafimi a Sud, Calathamet a Nord, e non è da escludere ad ovest una qualche presenza nella zona poi occupata dal Castello d'Inici o in prossimità di questo, ed ancora rioccupando la stessa Segesta. Diodoro Siculo, e Strabone ne parlano in riferimento alle "Aquae Segestanae" chiamandole anche Aquae Pincianae e Thermae Segestanae in riferimento alla presenza nei pressi delle fonti di acque sulfuree, calde e curative, addirittura a detta di Plinio il Vecchio "Nec vero omnes, quae sint calidae, medicatas esse credendum sicut in Segesta Siciliae" ovvero "nè invero è da credere che tutte le acque, che siano calde, siano così medicamentose come quelle di Segesta in Sicilia". Le stesse acque sono ricordate negli "Itinerari" Antonini e nelle Tabulae geografiche. Menzionato come Castello dei Bagni, Qal'at Hammah, ovvero Calathamet nell'XI secolo è un luogo fortificato, citato da Edrisi come una forte "rocca", e quindi da Ibn Gubayr come "grande paese" ed ancora le fonti letterarie ne parlano come "castrum", con chiesa (Santa Maria di Calathamet), un mercato, e popolazione araba di contadini, con ai piedi del sito dei bagni e dei mulini. D'altra parte la collocazione geografica , al centro di un vasto e fertile territorio, consentiva dal punto di vista produttivo una buona resa. Il Vito Amico nel Dizionario topografico dei Comuni Siciliani (Palermo 1855) lo definisce: "Casale Saracino oppresso da ruine, sotto Calatafimi, dove sono le acque termali di Segesta. Esisteva sotto i Normanni e leggesi dato dal conte Ruggiero al vescovo di Mazzara nel 1018 con diplomi di conferma di papa Pasquale II". Pur tuttavia nel XIII secolo non c'è più che un abitato residuale. Le campagne di prospezioni e di scavo effettuate nel tempo da più missioni franco-italiane tra gli anni 80' e 70' hanno permesso di riportare alla luce ed in parte di permettere con limitati interventi di restauro, la conservazione di quanto scavato. In particolare i rapporti di scavo pubblicati su importanti riviste nazionali ed internazionali parlano dell'individuazione di due parti; a Sud Est la zona castrale, a Nord Ovest un abitato rustico. In particolare è stato individuato un palazzo, con sale a volta. L'analisi stratigrafica ha permesso agli studiosi di determinare tre successive fasi nella storia dell'edificio. Le dimensioni di tale edificio sono di circa 16,80 x 19,20 ed è diviso in tre sale le quali erano all'epoca ricoperte con volte a botte. Una cappella ad unica navata addossata al palazzo, è costruita su una cisterna. Gli studiosi propendono per una costruzione al XII secolo sia del palazzo che della cappella di Calathamet, una successiva distruzione al tempo delle guerre federiciane, e una rioccupazione militare al XIV secolo».
http://www.castellammareonline.com/segesta/calathamet7.jpg
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Quando nel 1093 il conte Ruggero definì i confini della nuova diocesi di Mazara, la fortezza di Calatubo esisteva già, venendo infatti inclusa fra i castelli nel nuovo grande vescovado. Circa sessant'anni dopo, quando il geografo musulmano Edrisi descrive la Sicilia sotto il regno di Guglielmo il Buono, Calatubo è indicato come robusta fortezza e villaggio con un vasto territorio nel quale si estraggono le pietre da mulino; notizia, quest'ultima, confermata anche dalle recenti ricerche che hanno individuato le antiche cave lungo il torso del torrente Finocchio. Dopo l’abbandono del villaggio, durante il periodo della guerra antimusulmana condotta nell'isola da Federico II, il Castello, cessata la sua funzione militare, venne utilizzato come masseria e controllo di un vasto feudo, trasformazione documentata dalle strutture che si sovrapposero all'impianto originario quali: magazzini, stalle a quant'altro fosse stato utile al buon funzionamento di una vasta azienda agricola qual'era il feudo di Calatubo. Fino agli anni '60, il Castello era ancora in buono stato di conservazione e malgrado i pesanti interventi di ristrutturazione, che avevano parzialmente mutato l’aspetto originario, si erano mantenute in piedi le fabbriche. Poi l’oblio. La fortezza, ormai abbandonata, divenne un ovile. L'azione distruttiva degli animali, il terremoto del 1968 e l’assenza d'interventi condusse al crollo dei solai e infine delle murature. A ciò si aggiunse l’opera degli scavatori di frodo che s'intensificò nell'area intorno al Castello, interessati ai reperti archeologici che venivano alla luce nell'importante necropoli scoperta lungo le propaggini della rocca e che documentava la presenza di un centro antico risalente al VII secolo a.C. Quella del Castello di Calatubo è stata negli anni un'agonia lenta, una morte insolita, osservata ogni giorno da migliaia di muti spettatori che, transitando lungo l’autostrada Palermo‑Mazara, vedevano la fortezza sbriciolarsi lentamente; una morte inflitta dalla burocrazia che mai ha saputo trovare una soluzione al problema dell'acquisto e del recupero di un così importante bene culturale, ancora oggi di proprietà privata. Alla fine degli anni '90, prima degli ultimi terribili crolli delle torri del fronte di accesso, un attento studio dell'architetto Di Liberto dimostrava che fra quelle mura diroccate insistevano ancora resti di strutture arabe, normanne e di tutte le epoche successive. Un'ulteriore prova di come il recupero del Castello sia stata un'altra occasione mancata per la valorizzazione del nostro patrimonio artistico. Solo un rapido intervento di restauro potrebbe salvare dalla totale rovina questa straordinaria testimonianza dell'architettura medievale siciliana che si erge possente quale porta d'accesso della provincia di Trapani».
http://www.salvalartesicilia.it/focus/default.asp?argomento=sas05&page=doc047.htm
Campobello di Mazara (castello di Bellum Reparum o di Birribaida, non più esistente)
«L'identificazione di Belripayri con il toponimo Birribaida citato, alla fine del XIII secolo, per designare la foresta che si estendeva nell'area della foce dei fiumi Modione e Belice, ha permesso di individuare due probabili siti per il castello di Bellumrepar. La sua ubicazione nella riserva di caccia imperiale del basso Belice e il suo toponimo, tratto dalla chanson de geste arturiana in cui Belripayre è il castello della Fata Morgana, fanno ritenere che il castello fosse una residenza fortificata per i soggiorni venatori dell'imperatore. Nel 1239, il castrum Bellumreparum è annoverato fra i castra exempta. Nel 1355 ca., il castrum Berruparie è annoverato in un elenco di terre e castelli siciliani. Nella prima metà del XV secolo, Birribaida è annoverato fra i castelli situati in feudi disabitati. Nel 1558 il Fazello parla di rocca di Birribaida. Nessuna traccia del castello nella zona delle case Birribaida, mentre sul monte Cozzo o Santo Monte, alla periferia di Campobello di Mazara, sono state segnalate strutture interrate».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=98
Campobello di Mazara (palazzo Ducale)
«Il paese, nato come feudo di origine normanna, fu fondato da Giuseppe Di Napoli che lo acquistò dell'ultimo barone G. V. Maria, e lo tenne in possesso con il titolo di Duca. Il primo nucleo nasceva in vicinanza del castello baronale, e si presentava costituito da due lunghe file di case coloniche ai lati dell'attuale via Garibaldi. In seguito esso crebbe secondo lo schema viario a griglia, mutuato dai coevi modelli urbanistici feudali, con vie larghe e due assi di riferimento perpendicolari che attraversano tutto il paese. Il tessuto urbano a scacchiera regolare, non sempre ortogonale, presenta isolati fortemente allungati in direzione est-ovest, con molti cortili e giardinetti, accanto alle abitazioni o attorno ad esse. Fulcro del tessuto urbanistico, che non presenta spiccate identità, è la Piazza Garibaldi. Le più significative emergenze architettoniche sono costituite dal castello feudale (trasformato in palazzotto signorile di gusto barocco-manierista), e dalla chiesa Madre ricostruita nel 1825 su un precedente impianto seicentesco. I nuovi sviluppi urbanistici hanno marginalizzato il vecchio nucleo, tuttavia si prevede che Palazzo Accardi divenga la sede del museo contadino».
http://www.provincia.trapani.it/turismo/Campobello/Campobello2.htm
Castellammare del Golfo (castello)
a cura di Giuseppe Tropea
Castellammare del Golfo (torre Guidaloca)
«La torre e la baia prendono nome dal torrente,la cui foce è presente, in dialetto " Vitaloca", con derivazione dall'arabo Wadi - Vattali (fiumiciattolo). è evidente la storpiatura della traduzione italiana "Guialoca". La torre sorge sul margine di un pianoro rialzato che domina la rada e la foce del fiume. è ancora circondata da coltivazioni di frassini " da manna", da cui fino agli anni '50, si estraeva il caratteristico frutto. Il paesaggio, inoltre, esteso fino alla " Puntazza", dove è ancora visibile una antica cava di tufo è segnato dalla presenza di una masseria oggi intesa " baglio", purtroppo in disfacimento, insieme ad altri edifici di un certo interesse. Sotto il pianoro in cui sorge la torre, era disponibile e di uso comune una sorgente d'acqua. In prossimità dell'ingresso dell'attuale camping era pure una chiesetta. La torre esisteva certamente già prima del 1578, quando viene menzionata dallo Spanocchi, incaricato della ricognizione. Risultava munita di artiglieria, con tre uomini di guarnigione, ed era designata come torre di deputazione dal Camilliani, il cui mantenimento cioè rientrava nella tutela del regno. Sovrintendevano alla sua efficienza i Baroni Tarallo di Baida. Si raccontano diversi episodi di attacchi alla torre ed altri riguardanti la vita di sorveglianza. Probabilmente c'era una più antica torre che l'ha preceduta, posta sulla collina al centro della baia ed ora incorporata in un caseggiato. La torre attuale fu costruita a comodità degli ingabellatori e per sicurezza delle navi che venivano a caricare legna od altri prodotti. Successivamente fu adibita a scopo militare e poi abitativo. Da notare che anche nell'ultimo conflitto mondiale la baia di Guidaloca fu munita di sistemi difensivi in forma di bunker.
La torre, di linee semplici ed essenziali, si presenta fortunatamente in accettabile stato di conservazione. Ha sezione circolare, con zona basamentale leggermente scarpata, delimitata da marcapiano sagomato; il piano superiore è coronato da quattro piattaforme aggettanti in contro scarpa, con caditoie binate a filo-torre: particolarità mai riscontrata nelle torri di Sicilia, ma frequente in altre regioni, fatto che testimonia che il progettista se pur fu un architetto locale conosceva tecniche in uso altrove. La costruzione rispetto al disegno originario, è stata rialzata con l'aggiunta di un piano sopra la terrazza, documentato tra l'altro dalla diversità dei materiali di costruzione (muratura mista in pietra tenera per la parte originaria, in concetti di tufo per la sopraelevazione). L'interno ai vari livelli è costituito da un solo ambiente circolare con diametro di 5,40 m. ai primi due piani e 7,20 m. nel piano cui è praticato un foro per il passaggio che avveniva con scale per lo più retrattili. Nella torre è presente un camino con bocca ad archetto in conci riquadrati, mentre inesistente, come in altri casi, è la cisterna, data la vicinanza della sorgente precedentemente citata, ma anche delle acque stesse del fiume Guidaloca. La torre domina l'intera baia ed è collegata all'intero sistema di torri per le segnalazioni. è posta in posizione da essere visibile anche dal fondo della valle all'interno (Dagala Secca torrente Ramo d'Alloro), oltre che dal baglio di Scopello e dalle colline di Baida. ...».
http://www.metropolis93.org/torre_e_baia_di_guidaloca.htm (a cura di di G. V. Internicola)
CASTELLO Inici (castello di Inici)
«Il Castello di Inici fu al centro di una mitica città di Inico ed ancor oggi il suo passato resta sospeso tra storia e leggenda. Il maniero venne fatto erigere ai piedi del massiccio dell'Inici, e a monte del torrente Mendola, presumibilmente verso i primi anni del Settecento. Dopo la sua costruzione il castello vide la successione di più proprietari: Arabi, Normanni, Svevi ed Angioini. La torre della fortezza si pensa sia stata costruita in un secondo tempo, attorno alla seconda metà dell'Ottocento, da parte dei nuovi proprietari, i Cardillo, come a testimoniarne la presa di possesso. Purtroppo la bella torre è crollata nel 1998 e mai più ricostruita».
http://castelli.qviaggi.it/italia/sicilia/castello-di-inici/
Castelvetrano (castrum Bellumvider)
a c. di G. Salluzzo, M. La Barbera, P. Calamia
Castelvetrano (porta di Mare o di San Francesco, torre di Giglio)
«Porta di mare o di San Francesco d’Assisi. Edificata nel 1626, è chiamata più comunemente Porta dell’Immacolata ed è costituita da un arco a tutto sesto con bugne alternate, verrucate e lisce. Lateralmente, su un alto basamento, presenta due lesene che finiscono con due capitelli compositi collegati in alto da architrave, fregio e cornicione. Su di essi poggia un coronamento con pennacchi e due volute laterali di raccordo. I fornici sottostanti furono aggiunti successivamente; sulla facciata esterna è collocata una lapide marmorea che ribadisce la filiazione selinuntina di Castelvetrano. ... Uscendo dal Museo Civico e risalendo a sinistra la via Garibaldi, si osservi la quattrocentesca e merlata Torre di Giglio, unico esempio di casa-forte (utilizzata anche come prigione) rimasta in città».
http://castelvetrano.abstract.it/turismo/guida-alla-citta-bit-2010.pdf
Castelvetrano (torre del forte di Polluce)
«Era l'antico nome dell'attuale casa del viaggiatore, così chiamata per la presunta vicinanza di un tempio dedicato a Castore e Polluce non ancora identificato ma la cui ubicazione si presume sia in prossimità della cinta muraria meridionale. La sua datazione risale al XVI sec., durante la dominazione spagnola, quando furono edificate torri di avvistamento a protezione delle coste contro Turchi, pirati, inglesi e francesi in guerra contro la Spagna. La torre inizialmente composta dal solo piano terra con ingresso a Nord, due feritoie, a Nord e a Sud, ed una copertura a dammuso, viene descritta dall'architetto Camillo Camilliani nel 1583 come "non forte di muraglia e senza difesa da alcuna parte". Venne pertanto costruita una scala esterna lungo la parete settentrionale, con ponte levatoio. L'entrata così innalzata risultava più sicura e da essa si accedeva ad una scala interna che conduceva agli ambienti sottostanti e ad una terrazza munita di parapetti con feritoie e varchi per poter posizionare dei cannoni e di un torrino per la custodia delle munizioni e per i segnali di avvistamento. Dal 1625 al 1632 la torre divenne la "Taverna di lu forti" e quando il tetto del pian terreno cedette fu ricostruito un ingresso al piano terra per poter accedere agli altri ambienti. In seguito sul lato ovest della torre venne costruita una scala più grande che portava a nuovi vani con finestre ricavate dalla terrazza. Nel 1858 fu sede del servizio telegrafico, in seguito ospitò viaggiatori e studiosi e durante il secondo conflitto mondiale fu adibita ad alloggio militare.. Oggi ospita un antiquarium dove sono esposti vari reperti, grandi contenitori ceramici e un frammento di metopa arcaica raffigurante la contesa tra Eracle ed Apollo della cerva della collina di Cerinea, sacra ad Artemide».
http://www.siciliasud.it/parcoselinunte.html#11
«Castello Linciasa nella piana di Sanguigno, anche qui vi sono solo i resti di una costruzione, posta al centro della piana (loc. Rumena) di tipo difensivo, del periodo medievale, con feritoie ed altri sistemi di difesa, con ambienti ricavati in parte da un avallamento roccioso, con rilevanza di resti ceramici. Trazzera del pacecoto: nella stessa zona è visibile una via che a quanto pare le ruote di antichi carri hanno segnato con solchi indelebili per lungo tratto, sullo stesso percorso su cui in epoca più recente si stabilì la linea di collegamento tra la Cala di Buguto ed Erice» - «In direzione del ponte romano si rinvengono resti di un edificio, per i locali Castello Linciasa, adattato in epoche diverse, sulla via fenicia. Sorge su un poggio e potrebbe segnare una costruzione della villa,delimitata, stante alle località dei rinvenimenti, da due sorgenti, Jazzinu / Giarzini - poco sopra la chiesa di sant’Andrea di Bonagia - e Linciasella nei pressi del ponte romano».
http://www.prolocovalderice.it/scn%....pdf - http://www.trapaninostra.it/libri/Salvatore_Corso/San_Giuliano_Martire....pdf
Custonaci (torre della tonnara di Cofano)
«...Si tratta di una grande e massiccia torre a pianta quadrata stellata, con i quattro lati concavi (la lunghezza, da spigolo a spigolo, e di m 17,40) e alzato, su tale base, a forma di tronco di piramide con lieve inclinazione delle pareti. I quattro spigoli, fortemente sporgenti e ad angolo acuto, sono realizzati in conci di calcarenite ben sagomati. Le pareti esterne presentano, ancora, ampie porzioni di intonaco. Gli spessori murari sono di m 2,50 alla base, in corrispondenza del vano porta. Quest'ultima (m 2,10 x m 1) si apre, a piano terreno, al centro del prospetto est, quello che guarda verso il mare; e incorniciata da larghi conci lisci e in alto a destra è incisa la data 1791 (o 1794) forse, come già notato da Mazzarella e Zanca, l'anno di un restauro. L'anomalia apparente di una porta al piano terra e sul lato più esposto della torre si spiega grazie all'immagine ... che mostra la torre preceduta da un cortile cinto di mura. La porta è superiormente difesa da una caditoia su due mensole litiche con architrave monolitico, trave lignea di rinforzo e finestrella rettangolare al centro: sotto la caditoia si apre un vano finestra parzialmente tompagnato con muratura di qualità molto scadente. ... Il lato meridionale della torre è oggi circondato da un cortile chiuso da mura. Anche su questo fronte esisteva una garitta di cui resta solo il vano corrispondente nello spessore murario, sovrastato da una fila di sei feritoie. Il piano terra presenta all'interno un solo ambiente a pianta quadrata (lati di m 8,20), rialzato di cinque gradini rispetto al piano di campagna; sul pavimento si trova 1'apertura di una cisterna sottostante scavata nella roccia, coperta da volta ed in gran parte interrata e occupata da detriti. L'accesso dall'esterno al piano terreno della torre era ulteriormente protetto da una caditoia interna che, a mo' di camino, si sviluppa nello spessore delle murature sul lato est. ... La torre, databile fra 1556 e 1560, fatta eccezione per la singolarità delle pareti concave, presenta alcune affinità con la torre del caricatore di Agrigento (Porto Empedocle) costruita attorno al 1554: entrambe, in particolare, presentano la caratteristica forma tronco-piramidale».
Custonaci (torre San Giovanni di Cofano)
«In una posizione strategica con un’ampia veduta verso il mare e posta su un pendio scosceso, sulle falde del Monte Cofano si alza imponente la Torre di San Giovanni. Costruito ad opera dei Camiliani nel giugno del 1595, l’edificio faceva parte di un sistema di torri progettato a difesa delle coste della Sicilia maggiormente esposte agli attacchi nemici. La torre di San Giovanni comunicava perfettamente con le tonnare di Bonagia e di Monte San Giuliano e in caso di avvistamenti nemici, i militari che presiedevano la torre segnalavano il pericolo con lo sventolio di bandiere e con lo sparo di armi da fuoco. L’edificio è a pianta quadrata ed è accessibile dalla parte posteriore attraverso una scaletta esterna; all’interno trova posto un camino e una cisterna che serviva per la raccolta dell’acqua piovana. La copertura è con volta a botte di piccoli conci di tufo e sui lati si aprono due finestre perfettamente conservate. Attraverso una scala in muratura si accede alla terrazza, luogo di segnalazione per i “torrari” e posto perfetto da cui oggi si può ammirare un affascinante e naturalistico panorama».
http://www.prolococustonaci.it/new/index.asp?contiene=pagina&cat_id=5&scat_id=12&idpag=32
Erice (castello normanno o di Venere, torri di Pepoli)
«Descrizione storica. Edrisi, 1150 d.C., ricorda l’abitato con il toponimo di “Gabal Hamid”. Il geografo descrive il sito come ”montagna enorme, superba… difendevole, ripida; al sommo d’essa stendesi un terreno pianeggiante da seminare, abbonda d’acqua. Havvi una fortezza che non si custodisce, nè alcuno vi bada…”. Tuttavia gli anni di abbandono hanno poco dopo termine. Nel 1185 Ibn Giubayr ricorda la fortezza come “… fortilizio dei Rum al quale si passa dalla montagna per un ponte… I Cristiani… hanno munito benissimo questo formidabile fortilizio…”. Nel XIII sec. il castello di Erice risulta demaniale e, circa un secolo dopo, si ricorda in qualità di “Mons sancti Juliani cum castro mediterraneo alias dictu mons Trapani”. Terra e castello risultano ancora in mano al demanio per i secoli XV-XVIII. Descrizione topografica e architettonica. Il castello di Erice venne costruito su di una rupe, punto più elevato del monte. La rupe, precedentemente alla costruzione del forte, ospitava un celebre santuario dedicato a Venere, oggi scomparso. Il sito sin da tempi antichi risultava accessibile solo tramite un ponte mobile e la porzione più interna del sistema fortificato venne preceduta da un complesso a corte, fiancheggiato da torri, oggi denominato “Torri del Baglio”, un tempo bassa corte avanzata e vero baglio (bailey) del castello. L’attuale separazione tra “Torri del Baglio” e “Castello di Venere” è conseguenza di interventi di restauro ottocenteschi. In origine le due porzioni formavano un unico complesso fortificato. La “basse court” o baglio ha pianta rettangolare allungata fiancheggiata da tre torri fortemente restaurate o ricostruite alla fine del XIX sec. Si accede alla porzione più interna del castello, il “castello di Venere”, attraverso una porta ad ogiva sormontata dallo stemma degli Asburgo di Spagna. Sempre sul medesimo prospetto si osserva la presenza d una bifora, una caditoia e merlature ghibelline, anch’esse probabilmente frutto dei medesimi restauri che hanno interessato le torri del baglio. La porzione più interna della fortezza consta di una cinta muraria irregolare, dentro la quale sorgono alcuni edifici. Il complesso edilizio più importante poggia sul lato della cinta che guarda verso l’antico abitato. Scavi avvenuti nella prima metà del XX sec. hanno messo in luce i resti di una chiesetta, forse la cappella gentilizia del complesso; altri ambienti insistono presso la corte centrale».
http://www.medioevosicilia.eu/markIII/castello-di-erice/ (a cura di Giuseppe Tropea)
«La cinta muraria è antichissima, un’opera di ingegneria militare a difesa della città. Proprio per la loro maestosità, le leggende vogliono che a costruire le mura furono i Ciclopi; realizzate probabilmente dal popolo Sicano-Elimo nell'VIII secolo a.c., e successivamente fortificate dai Fenici-Cartaginesi nell'VI secolo a.c., fino al 1800 hanno svolto la loro antica funzione di difesa. I romani raddoppiarono la cinta muraria costruendo una seconda cinta esterna ad una cinquantina di metri di distanza da quella più antica, ma oggi queste mura sono quasi del tutto scomparse. Le mura si snodano con imponenti cortine murarie, intervallate, a distanza regolare, da torri avanzate. Delle originarie 25 torri ancora visibili nel XVIII secolo, oggi ne restano 16. Dell'antica circonferenza muraria ne sopravvivono ancora circa 700 metri, che si adatta via via al diverso rilievo del terreno (dai 682 metri di Porta Spada ai 727 di Porta Trapani). Lungo le cortine fra torre e torre si aprivano diverse "posterle" piccole porte, in modo da favorire l'entrata e l'uscita degli abitanti in tempo di pace e per assicurare rapidi rifornimenti durante gli assedi. Oggi ne rimangono 6 in buono stato di conservazione. Notevoli per dimensione sono i massi di base, appena lavorati, di epoca elima sui quali poggiano i filari con massi squadrati di epoca cartaginese. In questi massi si osservano frequentemente incise, specialmente nell’interno ed in prossimità di alcune posterle, le lettere “beth”, “ain” e “phe” dell’alfabeto fenicio, scoperte nel 1882. Non è chiaro cosa significhino, potrebbero essere segni dello scalpellino che fornì l’opera, o segni di attribuzione dei pezzi alle varie torri. Un cultore di civiltà semitiche ha fornito, di recente, una suggestiva interpretazione. Queste lettere, ha scritto questo studioso, nei linguaggi semitici assumono talvolta uno speciale significato. “Ain” significa “occhio”, “phe” significa “bocca” e “beth” equivale a “casa”. Queste lettere potrebbero dunque racchiudere un monito: le mura hanno “occhi” per vedere il nemico, “bocca” per mangiarselo in casi di aggressione e sono la “casa” sicura per gli abitanti. Nei livelli superiori ai filari a massi squadrati la costruzione è realizzata con massi di piccole dimensioni. Questa parte superiore appartiene a rifacimenti successivi dato che le mura furono utilizzate fino al medioevo.
I numerosi restauri e rifacimenti di epoca romana e medievale hanno alquanto modificato quello che doveva essere l’aspetto originario delle mura, che si presentano meglio conservate specialmente nelle prime torri e cortine immediatamente adiacenti la Porta Spada. Specialmente verso Porta Carmine, cominciano ad essere più visibili gli interventi di epoca medievale, segnati dalle piccole dimensioni del materiale messo in opera; i restauri lasciarono inalterate le posterle ma rimaneggiarono largamente le porte, lasciando nella tipologia degli archi il segno dell’epoca. Porta Trapani sembra essere stata addirittura ricostruita in epoca medievale; lo schema a tenaglia dentro il quale si apre è una caratteristica delle fortificazioni del tempo. Porta Spada che anticamente si chiamava Porta Patula, durante la guerra del Vespro vide il massacro degli angioini da parte delle spade degli ericini; questo evento finì per intestarne la porta. Porta Carmine, le cui mura conservano il migliore stato di conservazione, è sovrastata da una nicchia con una statua di Sant'Alberto, mozzata da giochi di ragazzi alla fine degli anni quaranta del secolo scorso. Oltre alle citate Porte una quarta, Porta Castellammare, si apre nel versante nord; sicuramente non era carrabile in quanto una sporgenza rocciosa impediva il passaggio a carri. Oggi si scorgono solamente parte degli stipiti».
http://ericelamontagnaincantata.blogspot.it/p/monumenti.html
Erice (rocca del quartiere spagnolo)
«Questa robusta costruzione sorge su uno sperone che si affaccia sul versante nord della montagna. Fu iniziata nel XVII secolo per ospitare una guarnigione di soldati spagnoli ma non fu mai ultimata. Sul motivo dell'abbandono della caserma da parte degli spagnoli, non ci sono motivi chiari ma molte leggende, come quella che vuole che nell'edificio si aggiri il fantasma di un soldato spagnolo impiccato. L’edificazione della caserma sembra che sia stata voluta e finanziata dagli stessi abitanti ericini, infastiditi dal fatto che dovevano ospitare nelle proprie abitazioni i soldati spagnoli che insidiavano le donne del luogo. Di recente l’immobile è stato oggetto di un consistente intervento di consolidamento e restauro. è stato realizzato inoltre un edificio novo adiacente la vecchia costruzione, sopra un anfratto che ha completamente stravolto l’aspetto originario del sito. è probabile che tale anfratto sia stato utilizzato in tempi passati, in quanto degli scavi hanno riportato alla luce dei depositi votivi con lucerne ed altri oggetti in terracotta deposti sotto il taglio di rocce e delimitate da un basso recinto murario. Si ritiene dunque che la spianata che si apre davanti il Quartiere sia stata anticamente un’area sacra».
http://ericelamontagnaincantata.blogspot.it/p/monumenti.html
«La Chiesa Madre, il cui interno è a tre navate, fu eretta all'inizio del '300 assieme all'isolato e poderoso campanile ornato di merli e chiuso nella tipologia quadrangolare di torre di avvistamento di ben 28 metri di altezza con scala interna e bifore gotiche. Quest'ultimo fatto erigere da Federico III alcuni anni prima della Chiesa Madre, fu in tempo di pace adattato a torre campanaria».
http://www.golfodicastellammare.net/tutto-il-resto-sicilia/erice-3.html
Favignana (castello di San Giacomo)
«Il castello di S. Giacomo venne edificato ex novo per volontà di Ruggero I d’Altavilla. Secondo alcuni studiosi, che poterono esaminare una lapide collocata nel muro di cinta (di cui attualmente non vi è più traccia), la costruzione del castello risale intorno al 1074-1101. L’edificio, munito anche di una chiesetta dedicata, venne riedificato sulla base del nucleo costruito in epoca normanna nel 1498 dal signore di Favignana Andrea Rizzo, durante il regno aragonese di Ferdinando II il cattolico. Il castello di S. Giacomo è coevo a quello di S. Caterina e, secondo le ipotesi della storiografia locale, furono i Turchi, che per secoli avevano infestato i porti e le spiagge siciliane, ad indurre re Ferdinando il cattolico ad ordinare al signore di Favignana Andrea Riccio di fortificare l’isola e di rimettere in efficienza i castelli di S. Caterina, S. Giacomo e, forse, anche quello di S. Leonardo. Le fonti storiografiche locali ci tramandano questa descrizione del fortilizio: “Il fabbricato principale è di forma quadrata e rappresenta il maschio, addossati ad esso stanno gli altri fabbricati minori dei quali due triangolari, situati ai lati opposti, formano le punte più lunghe della stella. La parte inferiore del castello incavata nella roccia, giace sotto il suolo stradale, ed è separata dai terreni adiacenti, da un fossato che gli gira attorno seguendo il perimetro. La parte del castello sotto il suolo doveva servire per deposito di munizioni, per alloggio degli ufficiali e delle truppe, che erano così garantiti da qualsiasi attacco che potevano ricevere dal mare, mentre quella elevata e visibile del maschio, era in ogni senso munita da feritoie e spiragli. Due ponti levatoi univano il castello all’isola. Il primo, sito ove oggi è l’ingresso al carcere, univa l’esterno con l’avancorpo del castello; il secondo metteva questi ambienti in comunicazione col maschio. Il primo ponte è stato trasformato in un pavimento che costituisce anche il tetto della cucina del penitenziario, mentre il secondo è stato sostituito da un corridoio gettato su di un grande arco, che unisce il castello ai nuovi locali costruiti per l’adattamento di esso a casa di pena. La chiesa principale dell’isola votata a S. Giacomo era entro la periferia del forte, e propriamente dove adesso trovasi l’officina dei falegnami. La cella campanaria, della quale non esiste che la base, si ergeva sui locali ora adibiti ad uffici di direzione dello stabilimento. Tale chiesa, quando non fu più in grado di ospitare tutti i fedeli, fu sostituita dalla nuova chiesa Matrice dell’Immacolata Concezione, costruita nel 1704, proprio nell’attuale piazza Matrice.
Sotto il governo dei Borboni il castello di S. Giacomo venne adattato a bagno penale e siccome il forte non sarebbe stato capace di contenere gran numero di servi di pena, si sentì la necessità di scavare nella roccia dalla parte opposta al castello a livello del pavimento del fossato quanti ambienti fosse possibile ricavarne. Sul limite estremo di tali nuovi dormitori, venne eretto un muro perimetrale di cinta che permetteva di vigilare l’esterno, mentre sul limite interno si alzò un muro all’altezza del petto d’uomo. I dormitori incavati nella roccia ricevevano aria e luce solamente dai fossati ed erano quindi tetri e molto umidi, poiché il tufo è molto idrofilo. In questi locali erano ammassati i condannati ai lavori forzati. In proseguo di tempo si ritenne opportuno rendere più igienici ed areati tali dormitori, e si praticarono dei lucernari. Oggi al castello si accede dal portone centrale del carcere, mentre ve n’è un altro alle spalle del carcere, usato per far entrare i parenti dei detenuti per le visite. Il carcere è circondato da un alto muro di cinta, varcato il quale, superato il portone, si è introdotti in un vialetto che conduce alla struttura antica del castello di S. Giacomo,che è circondato da una recinzione e da una sorta di fossato che gira tutt’intorno al perimetro del castello. Il fossato, alto circa una decina di metri, corrisponde alla descrizione fornita dalla storiografia locale. Alle base del fossato trovano posto le celle dei detenuti . Sono presenti alcune lapidi commemorative in memoria di alcuni patrioti che furono detenuti a S. Giacomo al tempo dei Borboni. Si accede al castello tramite un corridoio pensile coperto che collega l’ingresso del castello con una piccola palazzina adiacente, nella quale sono organizzati gli uffici del personale di guardia. Il castello, a differenza di quello di S. Caterina, si presenta ben conservato, ciò lo si alla collocazione del castello in una struttura carceraria che purtroppo al momento non lo rende accessibile ai visitatori. Comunque è importante segnalare che sono in corso i lavori della costruzione del nuovo carcere per poter “liberare” il forte di S. Giacomo dalle mura del carcere».
http://www.egadivacanze.it/informazioni/favignana/i-castelli/il-castello-di-s-giacomo.html
Favignana (forte San Leonardo)
«Il castello o forte di S. Leonardo, fu ottenuto dall’ampliamento di una delle torri di avvistamento costruite dai Saraceni durante la loro dominazione (810), che il re normanno Ruggero fece trasformare in un castello. Come i restanti castelli di Favignana (S. Caterina, S. Giacomo) fu munito di una chiesetta o cappella; la piccola chiesa di S. Leonardo venne costruita in prossimità dell’omonimo castello. Fu adibita dai Pallavicino a deposito di materiale da pesca e, successivamente, ceduta da questi ultimi a un certo Leonardo Bertolino, che la trasformò elevandovi una casa. Dopo l’Unità d’Italia il Comune di Favignana volle demolire il suddetto castello per ottenervi uno scalo di alaggio. In precedenza il castello di S. Leonardo era proprietà demaniale, ma nel 1849 fu consegnato al comune di Favignana, avendo perduto tutte le caratteristiche della primitiva funzione militare e civile. Fu così che nel 1873 il Comune di Favignana chiese al Governo di abbatterlo per ottenervi uno spazio per poter tirare a secco le barche e stendervi le reti da pesca. Nel 1876 venne consentita la vendita del castello di S. Leonardo a Ignazio Florio. Il castello venne demolito ed in quel punto fu edificata la palazzina su progetto dell’architetto palermitano Damiani Almeyda: l’attuale Palazzo Florio».
http://www.egadivacanze.it/informazioni/favignana/i-castelli/il-castello-di-s-leonardo.html
Favignana (forte di Santa Caterina)
a cura di Giuseppe Tropea
Gibellina (castello non più esistente)
«La fondazione di Gibellina può farsi risalire al lontano 1300 quando nella località Busecchio cominciarono a sorgere le prime case attorno al Castello, fatto costruire da Manfredi Chiaramonte e dal figlio Andrea. Anche se il nome deriva dall’Arabo “Gibel”, il Fazello, storico antico e degno di credibilità, scrive: “Gibellina, ubi arx a Monfrido Claramonte erecta adhuc extat”. Nel 1392, dopo la condanna a morte di Andrea Chiaramonte, la baronia passa a Guglielmo Moncada e poi a Guarneri Ventimiglia, signore di Alcamo. Dopo alterne vicende nel 1548 la baronia viene acquistata da Antonino Morso e resterà in possesso di questa famiglia sino all’abolizione della feudalità (1812). Nel 1619 Filippo III eleva il feudo al rango di marchesato e il 17 maggio 1642 Francesco Morso ottiene da Filippo IV il privilegio “novam populationem faciendi” per la fondazione di Poggioreale e per sé il titolo di principe. La vecchia Gibellina chiude la sua storia la notte del 15 gennaio 1968 quando il rovinoso sisma fece della città un cumulo indiscriminato di macerie. è stata la città che ha pagato il più alto contributo di vite umane. Dove sorgeva ieri Gibellina, oggi è zona sacra, luogo di preghiera e di meditazione. Gli abitanti, provati ma non avviliti, dopo tredici anni trascorsi nel villaggio SS.mo Crocifisso in contrada Rampinzeri e in quello di Maria SS. delle Grazie, oggi si sono radunati nella Gibellina nuova, sorta nella zona di Salinella».
http://www.diocesimazara.it/pls/mazaradelvallo/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=22349
Marausa (ruderi della torre dei Francescani)
«Da non confondere con la Torre di Mezzo, questa torre del secolo XVI - posta a 15 km da Trapani e a 3 dal lido di Marausa - appariva come un piccolo castello; i suoi ruderi si possono ancora intravedere fra l'Autostrada A29 e il vecchio passaggio a livello sulla strada per Tritoni. L'edificio, che un tempo apparteneva alla famiglia Burgio, la piu ricca della Val di Mazara, è via via decaduto negli ultimi 60 anni, sino a crollare del tutto».
http://www.lidomarausa.com/storia/eventi2.htm
Marausa (torre di Santo Stefano di Alcagrossa o torre di Mezzo)
«Nel corso del ‘500 le incursioni dei pirati barbareschi e saraceni erano il più grave pericolo per gli abitanti delle città siciliane della costa e del primo entroterra. Si ricorse pertanto ai ripari: l’architetto fiorentino Camillo Casigliani, nel 1584, per conto del Viceré di Sicilia mise a punto un nuovo piano di fortificazioni per difendere le coste dalle incursioni dei Barbari, elaborando una strategia che prevedeva la costruzione di un sistema di torri di avvistamento lungo tutto il perimetro dell’isola. Ne furono costruite più di 150. La loro funzione era quella di segnalare, di giorno con gli specchi e di notte con i fuochi, l’arrivo delle feluche dei predoni turchi per con-sentire l’abbandono dei centri abitati da parte della popolazione. Lungo il litorale di Marausa si trova una torre di guardia del XVI secolo, la cui denominazione è “Torre di Santo Stefano di Alcagrossa”, perché sovrasta i bassi fondali marini, dove si scorgono le grosse alghe che danno il nome alla contrada e alla torre stessa. La torre di Marausa viene anche detta “Torre di Mezzo”, per la sua posizione geografica che la vede situata tra la torre di Nubia e quella di San Teodoro. Funzionante fin dal 1619, dapprima torre di avvistamento, divenne poi torre di deputazione durante la seconda guerra mondiale fu adibita ad uso militare. è stata anche sede della Guardia di Finanza. La torre era stata ripulita, rivalutata e concessa ad una associazione di promozione culturale che vi organizzava mani-festazioni varie, quali mostre pittoriche e artistiche, convegni e veniva utilizzata, anche, per intrattenere turisti e villeggianti, che in estate si riversano dalle contrade vicine e dalla città. Oggi la torre si trova in uno stato di abbandono ricoperta da erbacce. Ci auguriamo che molto presto possa essere nuovamente rivalutata per poter organizzare varie manifestazione e restituirla alla fruizione della collettività».
http://www.marausatp.it/marausa/Torre%20di%20mezzo/torremezzo.htm
Marettimo (castello di Punta Troia)
«Il Castello di Punta Troia è uno dei monumenti più antichi di Marettimo. Originariamente era una torre saracena. Attorno al 1140 Ruggero II, re di Sicilia, trasformò la torre in un vero castello. Il sito nel tempo è stato anche un rifugio di pirati e corsari. Con la Rivoluzione francese il "Real Castello del Maretimo" divenne un terribile prigione, soprattutto per prigionieri politici: nel 1793, il Castello contava ben 52 prigionieri politici, ammassati in una prigione ricavata in una vecchia cisterna detta "la Fossa". Le condizioni della prigione vennero descritte nelle sue Memorie da Guglielmo Pepe, che vi fu rinchiuso dal 1802 al 1803. Nel 1844 il re Ferdinando II, dopo averlo ispezionato, decise di chiudere la prigione. Durante le “grandi” guerre venne adibito a punto di avvistamento militare e, per un breve periodo, ha ospitato anche una stazione telegrafica. Per quasi un secolo è poi rimasto abbandonato al suo destino, minacciando di crollare da un momento all'altro. Ma l'intervento dei mesi scorsi, predisposto dal Comune di Favignana grazie ad un finanziamento dell'Unione Europea, ha permesso di salvare l'antica fortezza. Facendola finalmente rinascere».
http://www.castellodimarettimo.it/
«Fu Carlo V che in seguito ad un suo soggiorno a Marsala, con atto stipulato il 25 marzo 1549 nella Chiesa Madre, affidò l’incarico del progetto della costruzione dei bastioni all’ingegnere Piero Prato. Il progetto prevedeva il ripristino e l’allargamento delle mura e la realizzazione di quattro bastioni. Furono impiegati per la costruzione 10.000 scudi, provenienti per metà dalla Regia Corte e per metà da una raccolta popolare. I bastioni furono costruiti per creare una difesa dalle scorrerie corsare di Dragutte, già penetrate nella città e dalle navi turche di Solimano che avevano base operativa a Tunisi. Bastione S. Francesco. La sua costruzione fu affidata nel 1551 ad Andrea Milazzo, il quale utilizzò la pietra molto solida estratta dalla contrada Favara. Giunge a noi quasi per intero. Il Bastione San Francesco ha un'altezza di 8,90 metri, è formato da 19 filari di conci di tufo tutti uguali e da un cordone in tufo sporgente di 30 cm. Oggi sul bastione, parte della Villa Comunale, vi è un bellissimo giardino. I quattro grossi stemmi di marmo che vi sono murati provengono dalla demolizione di Porta Mazara. I primi due, l’uno con una testa di Apollo con la scritta S.P.Q.L. e l’altro con il nome greco di Marsala LILYBAITAN, rappresentano gli antichi stemmi di Lilibeo; il terzo è l'antico stemma di Marsala raffigurante la Madonna della Grotta; il quarto è lo stemma dei Borboni di Spagna. Bastione Velasco. Il Bastione Velasco, tra le vie Sibilla e Bottino, a poca distanza da Porta Garibaldi, fu realizzato nel 1563 dal Capitano d'Armi Bernardino Velasco da cui prese poi il nome. Di esso è visibile solo una parte perché l'altra è nascosta da edifici moderni. Nel parapetto che si affaccia su via Sibilla sono visibili alcuni elementi dei ripari che consentivano ai difensori di sparare mantenendosi al riparo. Restaurato nel 1997, è ora un belvedere arricchito da un giardino. Bastione S. Antonio. Iniziato per ordine di Giovanni Pignoso, Capitano d’armi di Marsala e sospeso per un attacco dei turchi che tentarono di violare le mura della città, fu realizzato, grazie alle maestranze dei muratori che completarono l’opera verso il 1555. L’11 novembre 1662 fu distrutto, insieme all’adiacente Convento della Grazia, da un fulmine che colpì un vicino deposito bellico. A noi è pervenuta solo una parte del fianco di nord-est, visibile solo all’interno di un cortile privato in via Edoardo Alagna. Bastione S. Giacomo. Di esso si hanno poche notizie. I documenti relativi andarono distrutti ma appare ancora integro nelle mappe catastali del 1898. Di forma pentagonale, ha le facce inclinate al tiro nemico, è andato per la maggior parte distrutto nel 1900 per far spazio alla costruzione di via Amendola, vicino all’attuale carcere. Oggi resta la camicia che lo circondava, realizzata a spessore costante per tutta l'altezza, ed é ancora circondato dal fossato che ha una profondità di 12 metri».
http://www.marsalaturismo.com/index.php?mn=1:90:0:0
«Nell'angolo orientale della città, dove i due bracci del fossato punico si incontrano, in posizione elevata rispetto al pendio degradante cittadino, con un grande piano antistante libero da costruzioni rivolto verso la città, sorse il castello medievale. Fondato forse solo come recinto fortificato in età normanna (ma non si può escludere che in tal punti vi fosse una fortezza bizantina), venne rinforzato in età sveva, come attestano l'impianto pseudo-trapezoidale ed alcuni elementi stilistici, quali i costoloni di un ambiente della torre circolare, tipici dell'architettura federiciana. Una lettera del 1239 inviata da Lodi da Federico II di Svevia, dove si invita il giustiziere ultra Salsum (al di là del Salso) a non effettuare alcuna ristrutturazione nei castelli di Trapani, Marsala, Mazara e Sciacca, e ad affidare a cittadini fidelibus nostris la manutenzione degli stessi per impedirne la rovina, dimostra l'esistenza del Castello agli inizi del secolo XIII. Il piano del castello era una estesa piazza verso cui confluivano due vie che lambivano le mura orientali ed altre tre vie che si inserivano nel tessuto urbano della città medievale, congiungendosi con il tessuto antico. Una di queste, a sud-ovest, l'attuale via Punica, collegava il piano con la sede dell'antica cattedrale. Prospiciente quest'ultima via era visibile fino a pochi anni fa, nell'angolo opposto al cantonale dell'abside della chiesa di San Matteo, un'apertura con mostra di bottega quattro-cinquecentesca - oggi nascosta dall'intonaco e forse non ancora manomessa - a dimostrare la vocazione mercantile della zona intorno alla cattedrale. Dal Castello, oggi occupato da costruzioni ottocentesche lungo il fossato punico, era parte integrante l'odierna piazzetta Sant'Oliva. Tale nome deriva dalla tradizionale ubicazione della prigione in cui la santa, venerata anche dagli Arabi, fu rinchiusa prima della sua riduzione in cattività a Tunisi, dove venne martirizzata e sepolta forse nel luogo ove sorge la Grande Moschea (Djamaa ez Zitouma, La moschea dell'ulivo). Ciò confermerebbe la presenza nella zona del castello di una fortezza oggi scomparsa o riorganizzata in età bizantina e/o normanno-sveva. Tuttavia è bene sottolineare che i dati dello scavo di vico Infermeria, sebbene parziali e limitati alla superficie, hanno evidenziato, in questa zona, in un periodo definito "altomedievale", la presenza di aree industriali all'aperto, cui fece seguito la costruzione di alcuni ambienti utilitaristici relativi ad abitazioni povere, addossate al muro di cinta lungo il fossato, databili a partire dalla seconda metà del secolo XII. Una di esse poteva essere una bottega artigiana che fabbricava lucerne, rimasta in uso almeno fino all'inizio del XIII secolo, quando, forse per ragioni di sicurezza, vengono abbandonate o abbattute le costruzioni addossate al muro cittadino, creando così di fatto quel vuoto intorno alla fortificazione medievale rimasto invariato almeno fino alla metà del XVIII o agli inizi del XIX. Oggi, il castello medievale lilybetano ospita la casa circondariale di Marsala ...».
http://sicilie.it/sicilia/Marsala%20-%20Castello%20di%20Marsala
«Definita dal marchese di Villabianca la più nobile ed elegante tra le porte della città, “…perché fatta di nobile fabbrica, con cupola, colonne, e balaustrata di gustosa fattura…”, la Porta fu eretta nel 1685 per sostituire quella preesistente “non degna di una città così bella coma Marsala”. Appare tuttavia evidente l’architettura tardo cinquecentesca ricca di motivi manieristici (bugne trasversali, nicchie vuote). Sotto il cornicione che segna il passaggio al piano superiore, una grossa iscrizione in latino affida a Dio la custodia dell’entrata e dell’uscita dalla città. Singolare, sulla balaustra superiore, un’aquila coronata, simbolo di casa Asburgo di Spagna, sotto la quale una grossa lapide ricorda con un’iscrizione l’anno di costruzione. La Porta, all’epoca della sua costruzione detta “di Mare”, assieme a Porta Nuova, Porta Mazara e Porticella (le ultime due andate distrutte), faceva parte del quadrilatero che delimitava il centro cittadino. Di qui fecero il loro ingresso in città i garibaldini appena sbarcati l’11 maggio 1860 e, dopo l’Unità d’Italia, per ricordare l’epopea iniziata proprio a Marsala, la Porta è stata intitolata a Garibaldi. Attraversare Porta Garibaldi significa entrare nel cuore di Marsala ed essere immediatamente catapultati nei colori e negli odori tipici della tradizione marsalese».
http://www.marsalaturismo.com/index.php?mn=1:141:0:0
«è una delle quattro porte antiche che delimitavano il centro cittadino, posta alla fine di via XI Maggio. Si presenta molto semplice nella sua decorazione con la sobrietà tipica del classicismo cinquecentesco, pur riprendendo il modello dell’arco trionfale romano ad un fornice, ai lati del quale vi sono due nicchie vuote. La porta risale alla fine del XVIII secolo quando, constatato il pericolo di crollo di quella preesistente e risalente al XVI secolo, si decise di costruirne una nuova. All’interno del fornice due lapidi ricordano rispettivamente il messaggio inviato dal re d’Italia Vittorio Emanuele III al momento dell’entrata nella prima guerra mondiale il 24 maggio 1915, e il proclama della vittoria del generale Armando Diaz al termine della stessa guerra. Accanto a Porta Nuova, sul lato della piazza, è possibile ammirare un antico palazzo signorile, dove si trova ancora oggi una targa che ricorda la notte ivi trascorsa da Giuseppe Garibaldi l’11 maggio del 1860».
http://www.marsalaturismo.com/index.php?mn=1:140:0:0
«La torre Polizzi è un basso e tozzo edificio costruito con la usuale tecnica dei muri a sacco e degli spigoli in conci interi, rinforzati alla base da una bassa zoccolatura. Edificata probabilmente nel XVII secolo, la torre ha subito pesanti rimaneggiamenti tra 800 e 900 con l'inserimento di un balconcino e l'apertura di alcune finestre».
http://www.navigaschola.it/leggi-scoprimarsala.asp?id=13
Mazara del Vallo (resti del castello: l'Arco normanno)
«L'Arco normanno di Mazara del Vallo era la porta di accesso a forma di arco ogivale del castello fatto costruire da Ruggero I d'Altavilla, dopo la liberazione nel 1072 della città dalla dominazione araba, e demolito nel 1880 per la costruzione di un giardino pubblico, l'attuale villa Jolanda. L'Arco normanno domina l'antistante piazza Mokarta (così chiamata in onore del guerriero musulmano Mokarta, nipote del re di Tunisi che nel 1075 tentò la riconquista della città) ed è considerato il simbolo più significativo di Mazara. Nel castello soggiornarono oltre al Gran Conte Ruggero, anche Federico III di Aragona e la regina Eleonora d'Angiò nel 1318, nonché Pietro II di Sicilia, il re Martino I di Sicilia e per ultimo il re Alfonso II di Napoli nel 1495. Nel XVI secolo le sale e i sotterranei del castello vennero adibite a carcere».
http://it.wikipedia.org/wiki/Arco_normanno_%28Mazara_del_Vallo%29
«Pochi ne conoscono l'esistenza, ma nel territorio di Salemi (Tp), a pochi chilometri dalla città, è venuto alla luce negli anni scorsi un sito preistorico di rilevante interesse archeologico. Siamo nella contrada di Mokarta, caratterizzata da un paesaggio collinare che come vedremo ha favorito, in età preistorica, il sorgere di un grande villaggio e della relativa necropoli. Le prime indagini, compiute negli anni Settanta, hanno messo in luce sulla collinetta “Cresta di Gallo” una necropoli, costituita da circa un centinaio di tombe scavate nella roccia. ... Una ulteriore e più piccola necropoli è stata rinvenuta anche nella parte sud-occidentale della collina, sulla cui sommità sono ancora visibili le vestigia del castello d'età arabo-normanna, poco indagate e conosciute, ancora avvolte dal mistero. ... Molto suggestivo è stato, in questo contesto, il ritrovamento, in prossimità dell'ingresso, dello scheletro di una giovane donna con un vaso tra le mani che probabilmente rimase schiacciata dal crollo mentre stava scappando. Una rioccupazione del sito avvenne con ogni probabilità in epoca medievale con la costruzione del castello di cui si è detto sopra e di cui rimangono pochi e confusi resti: gli archeologi hanno evidenziato delle strutture in prossimità di esso, con una funzione da specificare ma che si possono mettere in relazione con quest'ultimo. ...».
http://www.lapuntadelbelice.it/mokarta_155.html
Monte Grifo (castello d'incerta localizzazione)
«L'ubicazione è ignota; è inoltre incerto se si trattava di un castello o di un piccolo abitato fortificato. Localizzazione storica: Val di Mazara. Notizie storiche: 1358 (ago. 9), lettere agli abitanti di Mazara, Marsala, Partanna, Misilindi-Belice (Bilichij) e Monte Grifo, perché prestino la debita obbedienza al nobile Giorgio de Graffeo nominato capitano di guerra di queste località, con la cognizione delle cause criminali e con facoltà di farsi sostituire da idonee persone; 1358, re Federico IV volendo ricompensare i fedeli che insieme a Giorgio da Graffeo lavorarono per ricuperare Mazara, Marsala, Misilindino e Monte Grifo dalle mani dei ribelli e nemici, affida al detto Giorgio la divisione, in favore dei nominati fedeli, dei beni sequestrati ai ribelli a Mazara, Marsala e nei luoghi di Misilindino e Monte Grifo. Stato di consistenza: attestazione documentaria».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=70
Mozia (fortificazioni fenicio-puniche)
«Il sistema difensivo del’isola di Mozia data la natura del terreno, e la circostanza che ogni punto della stessa poteva consentire al nemico di attaccare, non poteva non consistere in possenti mura, imponenti case, torri avanzate e bastioni collocati nelle immediate vicinanze delle porte e degli altri accessi alla città. La cinta muraria eretta lungo tutto il perimetro dell’isola a ridosso del mare, risultava essere lunga circa tre chilometri e alta all’incirca tre metri. I metodi costruttivi impiegati per la realizzazione del sistema difensivo variano a secondo del periodo in cui si procedette alla sua realizzazione; alcune mura, infatti, appartengono ad un periodo remoto della storia di Mozia, altre presentano uno stile di architettura più avanzato, mentre altre ancora sono state erette in un periodo recente. Esaminate attentamente, possiamo affermare che le fortificazioni dell’isola di Mozia appartengono a quattro fasi costruttive , di seguito descritte: -Prima fase: bastioni e torri composti da blocchi di pietra o roccia uniti tra loro senza cemento, ma con gli interstizi colmi di pezzetti di pietra e terra; -Seconda fase: Pareti composte da pietre di piccole dimensioni e roccia unite per mezzo di fango; caratterizzate esternamente da una superficie liscia. Queste mura primitive sono state ulteriormente rinforzate per mezzo di mura isodomiche erette di fronte ad esse, il cui spazio intermedio è stato riempito con cemento di pietruzze e fango; -Terza fase: Mura di arenaria composte in alcuni casi da blocchi grandi, in altri casi da piccoli pezzi -Quarta fase: Mura costruite con blocchi ben squadrati di arenaria di una qualità dura e pregiata, disposti a strati, senza cemento, con bordi smussati accuratamente. Questa tipologia costruttiva è visibile nelle mura situate lungo i versanti nord e nord-est dell'isola, nonché nella torre orientale risalente alla fine del V secolo a.C., dotata di una scala, che conduceva al livello del cammino di ronda, composta da due rampe separate da un pianerottolo dove si possono ancora ammirare gli incassi entro cui era innestata la porta».
http://www.byitaly.org/it/Sicilia/Trapani/Marsala/Fortificazioni_dellIsola_di_Mozia
«Immersa tra le acque cristalline delle Saline che fanno capo al territorio di Paceco, sorge la Torre di Nubia, risalente al 1620. Come tutte le torri di avvistamento che si possono scorgere, lungo i litorali di questo lembo di Sicilia occidentale, essa aveva il compito di segnalare l’arrivo dei predoni Saraceni, in modo da permettere alla gente di abbandonare i centri abitati e mettersi in salvo nelle campagne. La comunicazione segnaletica tra la Torre di Nubia e quelle nelle campagne tra Paceco e Castelvetrano, avveniva attraverso dei fuochi, chiamati fani. Il nome della torre è dato dal luogo che la ospita, anche se questa veniva denominata con l’appellativo di torre Castro, dal nome del Conte di Castro, viceré fino al 1622. La torre mostra la stessa forma architettonica di tutte le altre torri di avvistamento presenti sul litorale costiero, infatti, l’architetto dell’epoca è il medesimo, il Camilliani. La torre di Nubia, presenta una scalinata esterna in muratura, dalla quale si gode un superbo panorama. Essa si erge su tre livelli: su quello inferiore c’è una cisterna, il primo e il secondo livello sono formati da un ambiente unico, nella soffitta del secondo piano vi è una botola che permette attraverso una scala, l’entrata alla terrazza. Il colore dorato dell’edificio, diventa ancor più scintillante grazie alle saline, che la circondano. Le saline occupano il territorio che da Trapani arriva a Marsala, esse dal 1991 sono riserva naturale ed orientata, in cui vengono messi in atto interventi agricoli e colturali che permettono di sfruttare questa ricchezza che la natura ci dona, rispettando sempre l’ambiente naturale. ...».
http://www.agroericino.com/paceco/torre-di-nubia-e-museo-del-sale/
Pantelleria (castello Barbacane)
«Il castello Barbacane situato nel centro della città di Pantelleria, nei pressi dell’antico accesso al porto di Pantelleria, oggi interrato, si ipotizza sia stato costruito dai bizantini, anche se la sua presenza è attestata dopo il XIII secolo. Al 1553 risalgono i lavori di edificazione del bastione situato sul lato prospiciente il mare e il bastione a nord-est, che ingloba la torre circolare, mentre tra il XVI e il XVII secolo si procedette alla realizzazione del corpo di fabbrica a sud-ovest. I primi interventi ristrutturativi vennero eseguiti nella seconda metà del XIX, finalizzati alla trasformazione della struttura difensiva in un carcere, dimesso solo nel 1975. Tra il 1946 e il 1947, in occasione dei lavori di costruzione della strada limitrofa al porto, fu necessario l’abbattimento di una cospicua parte del bastione di nord-ovest, nonché la demolizione della soprastante torre di cui restano oggi solo le tracce. Il castello Barbacane, un tempo circondato dal mare e dotato di un ponte levatoio, costituiva un baluardo a protezione dei traffici marittimi dell'isola, e rappresentava l'elemento predominante della città murata. Realizzata in pietra lavica, la fortezza presenta un nucleo centrale sviluppato intorno ad un cortile centrale di forma trapezoidale, composto da quattro piani di cui uno quasi completamente interrato. Oltrepassato l'ingresso impreziosito da un arco tipicamente in stile arabo-normanno, sovrastato da un arco a tutto sesto, si accede al primo cortile sormontato da un camminamento di ronda, cui segue un corpo di guardia, e un secondo cortile intorno al quale si aprono una serie di stanze e un passaggio che conduce al bastione di nord-ovest; una delle stanze consente di raggiungere la torre circolare, e le vecchie segrete. Dal cortile si possono raggiungere i piani superiori del castello, grazie ad una scalinata; di cui al primo troviamo l’antico "carcere per galantuomini", e una stanza adibita ad armeria, mentre al secondo piano si aprono degli ambienti a corridoio, di cui quello maggiore per dimensioni ha una volta marcata da una serie di archi in pietra da taglio. Segue una seconda scalinata che conduce alla “casa del Governatore”, caratterizzata da cinque ambienti di cui alcuni destinati ad alloggio delle truppe».
http://www.byitaly.org/it/Sicilia/Trapani/Pantelleria/Castello_Barbacane_di_Pantelleria
Partanna (castello dei principi Grifeo)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«In origine il Maniero non aveva l'aspetto che oggi presenta al visitatore in arrivo dall'autostrada A29 Palermo-Mazara del Vallo. Da quando il Gran Conte Ruggero il Normanno espugnò Partanna nel 1076 ponendo fine al locale dominio musulmano, la Fortezza è diventata residenza e simbolo del potere della famiglia Grifeo. Circa nove secoli di storia durante i quali il Maniero non ha mai mutato il suo compito. Si è trasformato, allargato, è divenuto più complesso, ma ha sempre rappresentato la supremazia della famiglia nella cittadina e nei territori circostanti. ... All'inizio della dominazione araba, il piccolo complesso urbano di allora (che ha dato origine all'attuale cittadina) fu dotato di due torri di guardia: una trasformata in campanile della chiesa del SS. Crocifisso (dove oggi si trovano i resti della Chiesa del Purgatorio) e l'altra inglobata nel castello edificato poco dopo. Le origini della struttura, come della cittadina, sono ben più antiche. Bisogna risalire alla preistoria, come testimoniano le tombe a grotticella dell'Età del Bronzo rinvenute nella Contrada Grotte. La roccaforte fu prima insediamento sicano nel X secolo a. C. Poi greca e romana. Oggi questa è fra le fortezze meglio conservate della Sicilia Occidentale. Ha pianta rettangolare a corpo triplo con cortile interno, coperture a tetto a falde con travi lignee e tegole, murature in conci di tufo, in pietra e taio, pavimenti in ceramica e terracotta. Una volta dominava l'intero abitato, ma il successivo sviluppo dell'area urbanizzata ne ha sminuito la collocazione primaria, in quanto gli edifici di abitazione hanno ricoperto altre aree a quote più elevate. Nella sua veste architettonica di oggi, fu edificato verso il 1400 avendo come base di partenza la struttura medievale del Castello. Il tutto è stato poi rimaneggiato nel XVII secolo. Nel XX secolo fu una delle rare costruzioni a resistere durante il terribile e distruttivo terremoto della Valle del Belice (1968). In quest'area geografica della Sicilia, il sisma ha letteralmente cancellato interi paesi. A Partanna, oltre a tantissime abitazioni, sono state rase al suolo o distrutte in parte, la chiesa del Carmine, quelle di San Nicolò, di San Francesco, il chiostro di San Benedetto, la Chiesa Madre e altre ancora. Il paese è stato ricostruito e oggi rimangono poche ferite nel territorio. La chiesa del Carmine e la chiesa Madre sono state restaurate, anche se sono visibili i segni lasciati dal terremoto, soprattutto nelle decorazioni artistiche.
Tornando a descrivere il Castello, una volta che si è entrati nel cortile attraverso la cancellata del perimetro esterno, sul portale interno che immette nel salone centrale o "Sala del Trono", si può ammirare lo stemma dei Grifeo, opera di Francesco Laurana artista che ha vissuto dal 1420 al 1503. Laurana ha qui soggiornato nel 1468 ed è stato l'autore delle statue che ornavano la vasta area a giardino del Maniero, opere uniche scomparse ormai da tempo. Si trattava di 13 sculture, una raffigurante Giovanni I Grifeo, capostipite della Famiglia in Sicilia. Analizzando il lato Nord è da ammirare il portale bugnato di ispirazione manieristica. Fu commissionato dal Principe Domenico Grifeo nel 1658 proprio come scenario principale per il nascente Corso principale di Partanna, l'attuale via Vittorio Emanuele, che si sarebbe inoltrato nel cuore di Partanna, dallo stesso Castello alla Chiesa della Madonna delle Grazie. All'interno della cosiddetta "Sala del Trono" da ammirare è l'affresco (immagine a destra) che narra le origini siciliane della Famiglia Grifeo. Le figure e il testo che compare sullo scudo di Giovanni I Grifeo, raccontano le origini dell’intitolazione del Feudo: lo stesso Giovanni I salvò il Gran Conte Ruggero durante un duello contro il condottiero arabo Mogat. L’investitura ufficiale con il titolo di Barone fu confermata nel 1137 in favore di Giovanni II Grifeo ad opera di Re Ruggero II. Sempre nel Salone centrale, compare un piccolo sportello che si apre in un ambiente angusto che si vorrebbe identificare con la "Cella della monaca" dove, pare, vivesse rinchiusa per voto una religiosa appartenente alla Famiglia. In verità, la leggendaria Cella e quindi i resti della monaca o della sua presenza, non sono mai stati ritrovati. Nelle cantine si trovano delle enormi botti che servivano per la conservazione del vino e, fino a qualche anno fa, due carrozze. Sempre a livello dei sotterranei, vari ambienti e celle, una fossa scavata nella roccia per conservare il grano e un lungo cunicolo che passando sotto le mura della fortezza, porta verso l'esterno. il percorso sotterraneo è ancora da esplorare completamente. Nasconderà qualche segreto, o qualche cimelio di Famiglia? Lo sanno solo alla Soprintendenza regionale. Adesso il maniero è oggetto di un intervento di riqualificazione da parte della Regione Sicilia che ha intenzione di trasformarlo in un museo del vino e, per fortuna, con una parte importante dedicata all'archeologia. Partanna ne ha di storia da raccontare. Attendiamo da anni la conclusione dei lavori. L'ultimo momento di gloria risale al 1941 quando il Castello fu visitato dal Principe ereditario di Casa Savoia, Umberto».
http://www.grifeo.it/castello.htm
«Le prime testimonianze scritte narrano di un certo Antonio Ponte che, nei primi del Cinquecento, riedificò un villaggio con annesso Castello e descrivono un'abbondante sorgiva con acqua incanalata e un vivaio di pesci. Nel 1575 il Castello avrebbe ospitato una piccola sezione della Santa Inquisizione. A metà del secolo successivo divenne proprietà dei Gesuiti di Salemi che provvidero al restauro della struttura e alla costruzione di una cappella. Dopo l'espulsione nel 1767 dei religiosi, le terre di Bigini furono concesse in enfiteusi ai contadini di Castelvetrano. Nel XIX secolo il castello/convento passò al barone Favara di Partanna, che nel 1882 lo vendette al Comune di Castelvetrano. Oggi l'edificio, in rovina, appartiene a privati ed è adibito a ricovero per gli animali, mentre l'adiacente Vasca Selinuntina è del Comune di Castelvetrano. L'imponente mole della Torre appare sventrata, anche se la facciata principale è miracolosamente sopravvissuta alla rovina. Gli altri elementi dell'edificio sono totalmente rasi al suolo o in gravissime condizioni statiche. Poco distante dalla Torre Bigini una squallida copertura in cemento armato nasconde la Vasca Selinuntina. Scoperta durante scavi archeologici dal Salinas nel 1882, è un raro manufatto costituito da blocchi di pietra arenaria finemente intagliati e di forma circolare, che insieme ad altre opere di canalizzazione rinvenute, attesterebbe che il rifornimento idrico della città greca di Selinunte avveniva da queste sorgenti. Con la fine della greca Selinunte anche la funzionalità della canalizzazione si perse. La costruzione dell'acquedotto di epoca moderna si deve al volere del Signore di Castelvetrano, don Carlo d'Aragona. La condotta è segnalata da mire (cippi di tufo), che recano la sigla CC, "Civites Castriveterani", e che hanno permesso di ricostruire il tracciato lungo circa 7 km. Dell'acquedotto sono ancora visibili due ponti e la splendida "fontana della Ninfa", sita a Castelvetrano».
http://www.salvalartesicilia.it/focus/default.asp?argomento=saBelice10&page=doc025.htm
Petrosino (torre Galvaga o Triglia)
«La torre, anche detta Triglia, fu edificata nel 1582. È massiccia, squadrata, a pianta quadrangolare ed ha due elevazioni con due vani per ogni piano. Eseguita in conci di tufo, misura m 7x7 ed è alta 12 m circa. Il motivo decorativo a bugnato radiante, il robusto cornicione, molto accentuato, sono espressione di quel gusto eclettico tendente a far rivivere, nel secolo XIX, lontane tradizioni medievali. I merli, in parte ancora esistenti, conferiscono inoltre alla torre un aspetto severo e munito. L'interno è inaccessibile perché in parte diruto».
http://www.apt.trapani.it/it/1570/torre-galvaga.html
«Una struttura edilizia legata alla produzione agricola del fondo a cui apparteneva. La torre si trova in contrada Gazzarella, ora territorio del comune di Petrosino, è iscritta in catasto al foglio di mappa 344 part. 437. La sua data di edificazione si presuppone essere fatta successiva all'enfiteutizzazione del territorio avvenuta nel 1632. Il locale, di pianta rettangolare, si presenta solo di piano terra, con il tetto a botte, la scala per accedere ai terrazzi era inserita all'interno del muro. La struttura portante, molto solida, ricalca perfettamente le costruzioni del periodo in esame, con piloni laterali in conci di tufo perfettamente squadrati e mura con pietrame impostato a sacco e legato con terriccio e pozzolana. Alla torre, inserita nel chiano Montenero (denominato così in quanto, come risulta nella consulta di Sicilia, anni 1851-55, busta 826 presso l'archivio comunale di Marsala, il sacerdote don Giovanni Montenero ne venne in possesso sia della torre che di parte del terreno circostante con atto del 27 agosto 1794 del notaio Giuseppe Evangelista; siccome nelle zone in esame si era soliti denominare la zona o il chiano col nome della persona più eminente che ivi abitava sicuramente tale nome deriva da quanto detto), vi si arriva dalla litoranea che da Marsala porta a Petrosino, tramite una carrozzata in discreto stato di conservazione. Arrivati al chiano si distingue subito la sagoma della torre, circondata da case e magazzinetti, per il suo aspetto superbo. All'esterno si notano subito i balconi quadrangolari che ne distinguono il portale, e l'abbogghiatura, una specie di zoccolo a rilievo in conci di tufo. La torre ha subìto poche trasformazioni dal punto di vista strutturale. Al suo fianco sono stati aggiunti diversi corpi di fabbrica, nel corso dei secoli, ma mai hanno toccato la struttura originaria della torre né tantomeno il pozzo e l'abbeveratoio, due elementi importanti ai fini della sua identificazione e classificazione. Infatti tutte le torri di questo periodo presentano tali elementi che servivano per dare acqua ai contadini che lavoravano nella zona e ad abbeverare le greggi che a quel tempo erano numerosi. All'interno della torre è stato ricavato solo un piccolo solaio con la creazione di un muro che la taglia quasi a metà, ma ciò non comporta nulla di irreparabile. è da notare una data, incisa su un cordolino in muratura a rilievo, 1777, ciò fa presupporre che in questa data la torre continuasse ad essere abitata».
http://digilander.libero.it/GiusTumbarello/Petrosino/Torre%20montenero.htm
«Tra il 1453, anno di caduta di Costantinopoli sotto l'attacco turco e il 1553 furono costruite in Sicilia trentasette torri per ordine del governo spagnolo come punti di vedetta e avvistamento contro le scorrerie dei pirati saraceni. Per mezzo di esse, con segnali ottici, era possibile trasmettere in brevissimo tempo il segnale di allarme lungo tutta la Sicilia. La Torre Sibiliana, posta su un piccolo promontorio, è una delle tante torri utilizzata nel sistema difensivo dell'allora Regno. La torre nacque con funzioni di torre "lanterna" allo scopo di far segnali ma assolveva anche compiti economici, dato che veniva utilizzata anche per segnalare il passaggio dei tonni che venivano poi convogliati nella vicina tonnara. Di forma quadrangolare, con spesse mura, ha una altezza di dodici metri. È stata edifìcata con cantonali in pietra tufacea squadrata e pareti in pietrame grezzo. Alla sommità presenta un parapetto alto circa un metro e mezzo sul quale si notano a rilievo due piccoli balconi dai quali era possibile lanciare sugli assalitori ogni sorta di materiali, dai liquidi bollenti alIe pietre, permettendo al contempo ai difensori di godere di un certo riparo».
http://sicilia.indettaglio.it/ita/comuni/tp/petrosino/turismo/turismo.html
Pietra di Belice (resti del castello della Pietra o di Pietra Belice)
«Il “Castello della Pietra”, situato in contrada Zangara nel comune di Castelvetrano, in provincia di Trapani, è una piccola roccaforte naturale costituita da una spianata completamente circondata da precipizi inaccessibili. L’unico accesso per poter salire nella spianata è situato nella parte settentrionale dove la parete è più bassa e un po’ meno scoscesa. La spianata ha forma romboidale e si allunga da Nord a Sud per circa 250 m. e da Est ad Ovest per circa 150 m., la sua superficie è di circa 4000 mq. Nella zona a nord vi sono le testimonianze più evidenti della presenza umana, si tratta di brevi tratti di muri e di ampi vani scavati nella roccia appartenenti probabilmente ad una costruzione araba.. Nella parte Sud di questo promontorio sono presenti delle cisterne di età araba con bocca circolare. Grazie alla sua posizione geografica la località ha da sempre offerto un ottimo posto dal punto di vista strategico sia per la buona difendibilità sia per l’ottima visibilità su tutta la valle. La località prende il nome di “Castello della Pietra” grazie ad un vero a proprio castello eretto, in epoca araba, sull’estremità settentrionale del promontorio. ... Sicuramente questo presidio di genti elime ha avuto dei contatti con la vicina città greca Selinunte, dal momento in cui Castello della Pietra divenne presidio selenuntino probabilmente segui le sorti della metropoli greca, questa venne distrutta, per la seconda volta, dai cartaginesi nel 250 a.C. e continuò ad esistere come piccolo borgo in epoca romana e bizantina sino all’827 d.C. quando vi si installarono gli Arabi. I ritrovamenti ceramici suggeriscono una temporanea occupazione del Castello della Pietra tra il 1355 e il 1377. Dal sedicesimo secolo Castello della Pietra entrò a far parte del territorio dei Signori di Castelvetrano, e con buona probabilità fecero realizzare la recinzione della forra che venne sfruttata come riserva di caccia almeno fino ai primi anni del ventesimo secolo. Oggi, oltre all’interesse storico ed archeologico, l’area necessita di essere tutelata e valorizzata anche per le peculiarità geologiche e la particolare vegetazione a macchia mediterranea in cui si distingue una Roverella antichissima».
http://museidelbelice.altervista.org/blog/castello-della-pietra/
«Prende nome da una delle famiglie Giacalone, nota col soprannome di Culetta. L'edificio, di forma quadrangolare, si sviluppa principalmente in altezza e presenta elementi strutturali e forma di un certo rilievo, quali la porta di ingresso e le finestre archiviate, la caditoia poggiante su mensole lavorate e un elegante coronamento alla sommità della costruzione. Da un'apertura strombata verso l'interno si accede agli ambienti del piano terra in cui si trovano il camino, ricavato nello spessore del muro, e una rampa di scale in pietra dura che inizia a circa un metro di altezza dal pavimento. Il piano superiore, a cui si sale tramite una scala esterna, è diviso in tre piccoli vani, già abiti a locali di abitazione. L'ambiente di primo piano è collegato, tramite un'apertura, ad un edificio adiacente affiancato alla torre in epoca successiva. Il complesso potrebbe essere stato costruito nel XVIII secolo, come testimonia la data 1751 il Consiglio Comunale, accogliendo le richieste degli abitanti della zona, ha deciso di procedere al restauro dell'antico edificio, che minacciava di crollare».
http://www.navigaschola.it/leggi-scoprimarsala.asp?id=11
Salaparuta (ruderi del castello)
«Centro di origine araba denominato Menzil Salh (Casale della Signora), diventa nel secolo XV feudo dei Paruta, cui deve la rifondazione dell'abitato ai piedi del Castello medioevale. Distrutta, dal terremoto del Belìce del 1968, restano i Ruderi ed alcune parti del Castello e della Chiesa Madre. Il Castello, in epoca medievale appartenne alla famiglia di Errigo Abate, assai celebre in Trapani, dalla quale pervenne a Domenica Alvira de Aversa. Da lei prese il nome di "Sala di Madonna Alvira", che conservò sino al XV secolo. Nel 1392 ne divenne proprietario Antonio Montecateno (o Moncada) ed in seguito alla sua ribellione re Martino, confiscato il Castello, lo dona nel 1397 a Michele de Imbo. Questi verso il 1400 lo vendette a Ferrario de Ferreri e pochi anni dopo pervenne a Marco Plaia. Sul 1462 ne era signore Geronimo Paruta, nipote di quel Ruggiero Paruta che nel 1436 fu viceré di Sicilia, e da questa famiglia il Castello, nel 1500 circa, prese il nome di "Salaparuta". Successivamente la loro discendente Fiammetta Paruta nel 1561 lo portò in dote a Giuseppe Alliata di Villafranca e verso il 1605 pervenne al loro primogenito Francesco Alliata Paruta il quale, nel 1625, ottenne da re Filippo III di Sicilia, l'elevazione a ducato della baronia di Salaparuta. Nel 1727 vi morì Giuseppe Affiata Colonna, grande benemerito del paese ove, tra l'altro, edificò una chiesa ed un convento. Il Castello rimase alla famiglia sino al 1900 circa ed oggi è proprietà comunale, adibito a scuola ed altri usi fino al 1968. Sotto la signoria degli Alliata vi furono fatti molti restauri tra i quali, nel 1716, quelli della grande torre quadrata, mentre nel 1722 fu ricostruita quella più piccola e rotonda con merlatura bifora. Sopra un balconcino è ancora visibile uno stemma del XV secolo di casa Paruta. ...».
http://www.salvalartesicilia.it/focus/default.asp?argomento=sabelice08&page=doc022.htm
«Sorge in posizione elevata e strategicamente dominante, eretto sulla base di un'antica fortezza greco-romana poi utilizzata dagli arabi e dai normanni. Ai piedi del complesso monumentale di carattere spiccatamente arabo si incrociano gli antichi percorsi che da Palermo conducevano a Marsala, e da Mazara del Vallo a Trapani. Interessante per la datazione dell’opera è l’incisione "I.C.N.C R.I." - I(esus) C(ristus) N(azarenus) C(rucifixus) R(ex) I(udeorum) -, posta sulla faccia esterna dell’architrave della finestrella della torre cilindrica, che colloca l’edificazione del Castello dopo la sottomissione degli Arabi da parte dei Normanni nel 1070. I caratteri stilistici arabi della costruzione, fanno comunque supporre che i Normanni conquistatori si avvalsero delle maestranze arabe per la costruzione del castello. Altri elementi quali l’arco a sesto acuto, il notevole spessore murario, l’impianto tendenzialmente regolare e simmetrico, le volte a crociera con chiavi scultoree e costoloni modanati, le coperture dei vani con volte ad ombrello, la commistione geometrica del poligono-cerchio e nel caso specifico ottagono-cerchio, sono invece caratteristici dei castelli federiciani in Sicilia. Il castello di Salemi, nella forma unitaria e articolata giunta fino a noi, ha una corte quasi rettangolare cinta da muri su tre lati (nord-ovest, nord-est e sud-ovest) e da un edificio abitativo lungo il lato sud-est, un salone originariamente rettangolare tripartito in un secondo tempo; l'angolo nord è occupato da un corpo edificato ad un solo piano fuori terra, realizzato negli anni '30: il serbatoio idrico comunale. Il castello possiede tre torri angolari, una tonda (ovest) e due quadre (est, sud); una quarta torre (quadra?) esistente nell'angolo nord è probabilmente crollata nel secolo XVII. Nell'angolo tra la torre quadra maggiore (est) in pietra concia ed il muro esterno sud-est in opera incerta, si individua un tessuto murario che per la tecnica usata rimanda ad edifici di età normanna o islamica, pur non escludendo l'età bizantina. La configurazione è semplice ed unitaria, nonostante le sopraelevazioni dei due vani laterali del salone rettangolare abbiano sminuito la forza svettante delle due torri quadre che, in origine, superavano in altezza tutte le fabbriche vicine. In età aragonese, furono quasi certamente edificate le sopraelevazioni viste in precedenza ed almeno altre due, oggi scomparse, e cioè un corpo a due elevazioni lungo il muro nord-est ed un corpo di guardia aggiunto all'esterno del recinto.
Le torri quadre sono dei veri e propri prismi sovrapposti a sezione decrescente in pietra concia per circa metà dell'altezza e ad opera incerta nella parte superiore. La torre cilindrica, figurativamente composta da tre cilindri sovrapposti a sezione decrescente, è di opera incerta con due cinture in pietra concia che sottolineano i passaggi da una sezione all'altra, bucata solo da strette feritoie e da finestre rettangolari, a volte con feritoie nel davanzale. In sommità delle torri è un coronamento di merli rettangolari (in gran parte di restauro) con feritoie assiali. L'ingresso al castello è costituito da due archi acuti di diversa ampiezza, posti sullo stesso asse, separati da due fenditure entro cui scorreva la saracinesca; l'ingresso era difeso all'esterno da un corpo di guardia aggiunto nel XIV secolo, un vano rettangolare (m 7,30 x 3,30) con copertura lignea su mensole scultoree (restano in sito alcuni esemplari), demolito negli anni '60 nel corso dei lavori di restauro. Nel 1359 Riccardo Abbate, signore di Trapani, fedele ai Ventimiglia e a Federico III d'Aragona, chiamato da alcuni notabili, occupò la città di Salemi nel nome del re. Durante la notte, la città che lo aveva accolto al grido di "viva Federico!", a seguito di un equivoco e seguendo il partito chiaramontano, inneggiò al re Luigi di Napoli. Nel corso del tumulto che ne seguì, l'Abbate perse la vita mentre il partito dei Ventimiglia scacciò i chiaramontani; la città "nel corso di poche ore, accolse e caccio 1'uno e 1'altro re". Nel 1392 la regina Maria e i due Martini, soggiornarono nel castello nel corso del viaggio da Trapani a Palermo. Nel 1629, con una solenne cerimonia svoltasi sembra nelle sale del castello, la citta inviò al re Filippo III di Spagna alcuni delegati incaricati di offrire 14.000 scudi in cambio della promessa di salvaguardia della propria demanialità. Nel 1653 il castello fu acquisito dal sacerdote Bruno, quale garanzia di un prestito fatto all'universitas di Salemi. è in questo periodo che venne realizzato il balcone a petto con balaustra nella torre quadra sud ampliando il vano di una feritoia. Nel XIX secolo l'edificio subì un lento decadimento giacché proprietà privata passata ai Mazzarese-Fardella ed ai conti Pepoli di Trapani, troppo lontani per avere qualunque tipo di interesse verso il castello. La comunità locale, intentò un processo di rivendica del suo possesso che si concluse agli inizi dell'attuale secolo con il pagamento di un risarcimento ai privati proprietari. Nel corso dei secoli, il Castello di Salemi venne adibito agli usi più disparati: da vera e propria inespugnabile cittadella (secc. XII-XVI) a semplice punto di osservazione e di avvistamento (secc. XV-XVI); da deposito di paglia ed attrezzature agricole (secc. XVII-XIX) a sede della Biblioteca Comunale (1934-1968). Nel 1968 le strutture del castello furono gravemente danneggiate dal terremoto. Oggi dopo una lunga opera di restauro, è di nuovo perfettamente fruibile».
http://castelliere.blogspot.it/2011/12/il-castello-di-martedi-13-dicembre.html
San Vito Lo Capo (chiesa-fortezza)
«Nucleo generatore di San Vito Lo Capo è l’attuale Santuario, antica fortezza che nell’arco dei secoli ha subìto numerosi interventi edilizi. La prima costruzione, realizzata intorno al trecento, fu una piccola cappella dedicata a San Vito martire, patrono del borgo marinaro. Secondo una tradizione accettata e riportata da tutti gli agiografi e cultori di storia siciliana, il giovane Vito (di origini presumibilmente della Lucania), per sfuggire ai rigori della decima persecuzione ordinata da Diocleziano 303-304, e alle ire del padre Ila e del prefetto Valeriano, assieme al suo maestro Modesto e alla nutrice Crescenzia, scappato via mare da Mazara, col favore dei venti approdò sulla costa del feudo della Punta, in territorio di Monte Erice, dagli antichi chiamato Capo Egitarso. Qui cominciò a predicare la parola di Dio tra la gente del luogo, in una borgata poco distante dalla spiaggia, chiamata Conturrana. ...Col tempo crebbe la fama della chiesa e dei “miracoli” attribuiti al martire Vito e a Santa Crescenzia e così, per accogliere i numerosi fedeli che arrivavano in pellegrinaggio – e, soprattutto, per difenderli da ladri e banditi – l’originaria costruzione andò trasformandosi in una fortezza/alloggio. Tale realizzazione risale alla fine del Quattrocento. Fin dall’inizio, il Santuario fu fatto centro ad una grande devozione e la fama dei miracoli che il Santo qui operava, varcava anche i confini della Sicilia, richiamando in ogni stagione numerosissimi pellegrini. Anche gli stessi corsari, nemici dichiarati della fede cattolica, avevano rispetto per il Santo e per il suo tempio. Nel frattempo aumentavano i pericoli di incursioni di pirati barbareschi, così, lungo le coste dell’isola, cominciarono ad essere edificate numerose torri di avvistamento. Le torri principali di avvistamento erano tre, due sono ancora visibili e sono torre Scieri e torre Isolidda. La terza invece, torre Roccazzo, ubicata sul piano Soprano che si estende ad ovest del paese di San Vito (il luogo fu appositamente scelto perché l’unico atto a garantire la corrispondenza con le altre due torri), venne impietosamente demolita per far posto al semaforo militare nel 1935».
http://www.birgi.it/territorio/san-vito-lo-capo
San Vito Lo Capo (Torrazzo o torre Vecchia)
«In gita a San Vito Lo Capo, nel nostro viaggio in Sicilia, nei pressi del porto e a breve distanza dal faro - imponente con i suoi oltre quaranta metri d'altezza per una portata di circa venti miglia - incontriamo il "Torrazzo" (o "torre vecchia"). È un torrione a pianta circolare, in muratura di grosse pietre di arenaria a faccia vista, con base a scarpa, recentemente restaurato, di cui è andato perduto il coronamento. Non apparteneva alle fortificazioni costiere contro la pressione barbaresca, predisposte dall'architetto militare Camillo Camilliani (?-1603) su incarico del viceré Marco Antonio Colonna: lo si data, invece, a cavallo tra il 1400 e il 1500, eretto per iniziativa privata a difesa dell'adiacente tonnara, la più antica di San Vito, che veniva calata dove oggi sorge il porto peschereccio».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/torrazzo_san_vito.htm
San Vito Lo Capo (torre dell'Uzzo, torre Impisu o 'Mpisu o dell'Impiccato)
«Una visita la meritano anche le tante torri di cui è disseminato il territorio, alcune delle quali ottimamente restaurate dalla Soprintendenza. Nei pressi della Grotta dell'Uzzo si trova l'omonima torre, e poi a seguire andando da levante verso ponente si incontrano: la torre 'Mpisu (o 'Impisu, impiccato), torre 'Sceri ("Usceri"), Torrazzo, torre Isulidda. Le torri Uzzo, 'Mpisu (nome originale Jazzolino), ... rientrano nella pianificazione delle torri di avvistamento costiere realizzata nel 1583 dall'architetto fiorentino Camillo Camilliani, incaricato dal Viceré del tempo di organizzare le difese costiere dell'isola contro le incursioni dei corsari, e - ad eccezione della prima, cilindrica - hanno tutte una identica struttura a base quadrata, con pochi e semplici divisioni interne ed una capiente cisterna per raccogliere l'acqua piovana. Erano tre di regola i militari addetti alla guardia in ciascuna torre».
http://www.guidasicilia.it/itinerari-turistici-torri-grotte/prodotti/390407
San Vito Lo Capo (torre Isolidda o Isulidda)
«La torre Isulidda domina il golfo di Macari, nel territorio di San Vito Lo capo, a circa quaranta km da Trapani. Il comune di San Vito venne istituito nel 1952, quando la città fu affrancata da Erice, ma il paese risale al III secolo, sorto attorno alla cappella dedicata a San Vito, patrono della città, che lì fu martirizzato nel 299. L'area offre molte attrattive di interesse naturalistico e culturale. Per esempio a est del paese, oltre la punta di Solanto, sopravvivono i resti della Tonnara del Secco, una delle più importanti dell'Isola, sovrastata dalla Torre 'Mpisu, di impianto analogo alla torre Isulidda. ... La torre Isulidda, in posizione dominante sul golfo di Macari, arroccata su uno sperone di roccia a picco sul mare, è attribuibile all'architetto militare Camillo Camilliani che ne prescrive le caratteristiche nella sua opera Descrittione delle torri marittime del Regno... (ms presso la Biblioteca comunale di Palermo). Come tutte le torri "camillianee" è a pianta quadrata, con scarpa accentuata che misura all'esterno oltre nove metri e all'interno quasi sei, e copertura a terrazza, in muratura di pietra intonacata; il varco di accesso è collocato sul prospetto verso monte, al di sopra del cordolo, a suo tempo probabilmente raggiungibile mediante scala retraibile».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/sanvito_torre_isulidda.htm
San Vito Lo Capo (torre Sciri o dell'Usciere)
«Per completare la difesa del litorale della Sicilia, l'architetto Camillo Camillani nel 1583 ritenne indispensabile erigere una torre sulla punta Scieri, che chiude da ovest il golfo di Castellammare, nel territorio di San Vito Lo Capo. ... Secondo il modello del Camilliani, la torre - completata nel 1595 - ha pianta quadrata e poggia su un alto possente terrapieno, nel quale erano ricavati il deposito per le munizioni e la cisterna per la raccolta delle acque piovane. Al di sopra, due ambienti con volta a botte, costituivano l'alloggio della guarnigione. Una scaletta interna accedeva alla terrazza di copertura, sulla quale erano collocati i pezzi d'artiglieria . Si saliva alla torre per mezzo di una scala a pioli, che veniva ritirata in caso di pericolo. Era di grande importanza strategica perché assicurava il collegamento visivo con tra i golfi di Castellammare e di Cofano, essendo allineata con la torre Impiso e la torre Roccazzo, oggi inesistente. Decaduto l'utilizzo delle torri con l'adozione del telegrafo dopo il 1832, le torri furono abbandonate. La torre Scieri è parzialmente crollata dopo il 1925 e oggi quel che ne resta, peraltro efficacemente restaurato, è deturpato dall'adiacente casotto che ospita un fanale per uso nautico».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/torre_scieri.htm
Santa Ninfa ("castello" di Rampinzeri)
«La denominazione "castello", per ciò che riguarda la grande masseria di Rampinzeri, è impropria, non essendo questo munito di fortificazioni. Nell'accezione comune il grande baglio viene chiamato così a causa delle trasformazioni subite nell'800, che lo hanno reso castelletto neogotico dall'interessante bicromia, e dalla storia importante che tale costruzione svolge nella genesi di Santa Ninfa. Edificato sulle vestigia dell'edificio sorto ad inizio '600, il baglio subì numerose trasformazioni nel corso del '700 ed '800. Il vecchio Castello di Rampinzeri, in parte recentemente restaurato, ospita un elegante agriturismo specializzato in prodotti tipici, un piccolo spazio espositivo relativo agli strumenti della cultura agreste ed un considerevole club ippico. Esso sorge nell'omonimo feudo e già proprietà dei Giardina Bellacera, divenne nell'800 possedimento dell'antica famiglia De Stefani che ne mantiene la titolarità a tutt'oggi. Il nome "Rampinzeri", mutazione consonantica di Rabinseri, ha etimologicamente origini arabe: la radice "rahal" indica "casale", forse casale degli Angari, dal nome di una tribù africana che signoreggiava in zona. Di questo Castello si fa accenno nel romanzo del principe Giuseppe Tommasi di Lampedusa Il Gattopardo, dove viene impropriamente definito "fondaco". Tale riferimento trae origine dal fatto che il Principe Don Fabrizio Salina durante il suo trasferimento stagionale da Palermo a Santa Margherita Belice faceva tappa a Rampinzeri per riposarsi e ristorarsi insieme alla famiglia ed agli uomini del seguito. Infatti la strada regia trazzera del tempo passava proprio in prossimità del feudo, che a quel tempo era di proprietà del cav. Don Giuseppe De Stefani.
Edificato sulle basi di una costruzione più antica contemporanea all'incirca alla nascita del paese di Santa Ninfa, si può collocare tra la fine del secolo XVIII e l'inizio del XIX; verso il tardo Ottocento furono operati rimaneggiamenti in stile neogotico. Il casamento, che sorge su un'altura non eccessivamente elevata dominante tutta la vallata prospiciente, ha due cortili, introdotti da portali con piccolo tocco: uno minore interno ed uno maggiore esterno. Il primo è delimitato dall'abitazione patronale e gli altri corpi minori di servizio ed ha due portoni. Il cortile maggiore, dove di trova una grande cisterna per la raccolta dell'acqua piovana della capienza di circa 480 mc., accoglie abitazioni di servizio per le masserie ed una chiesetta neogotica, oggi parzialmente diroccata. Oltre al castello, su una collinetta minore c'è una "guardiola" dello stesso stile del casamento e con funzioni soltanto ornamentali munita di banderuola segnavento. Tutto il complesso fu denominato "Villa Fata" dal nome della montagnola retrostante che lo sovrasta e sulla quale venne costruita nel 1891 circa, una piccola casetta "Rossa" (dal colore dell'intonaco) che fungeva da osservatorio panoramico, pittorico e fotografico per Vincenzino junior, versatile pittore e valentissimo fotografo pioneristico. Al casamento era annesso un ampio giardino, esteso almeno un ettaro e mezzo, di tipo siciliano che risultava dall'incrocio di quello italiano e quello inglese».
http://www.virtualsicily.it/index.php?tabella=luoghi&c=348&page=luoghi
Scopello (torre Bennistra e le altre)
«Oltre al caratteristico borgo, con l'incluso baglio, Scopello è nota per l'antica tonnara. Essa risale al XV secolo. Venduta per la prima volta a privati nel 1442, è appartenuta nel corso dei secoli a famiglie nobiliari e ordini ecclesiastici. Dopo l'Unità d'Italia venne acquistata da Ignazio Florio nel 1874. Di grande importanza economica, la tonnara è stata attiva fino alla seconda metà del XX secolo. Sulle rocce sopra la tonnara sono visibili due torri, una del XIII secolo della quale rimangono solo le rovine, la seconda del XVI secolo fu progettata dall'ingegnere fiorentino Camillo Camilliani, mentre una terza torre (torre Bennistra del XVI secolo) sovrasta sia il borgo che la tonnara» - «La Torre Bennistra è una torre di difesa costiera che faceva parte del sistema di Torri costiere della Sicilia, e si trova nella località di Scopello, nei pressi della Riserva Naturale dello Zingaro in provincia di Trapani ricadendo nel territorio comunale di Castellammare del Golfo. Faceva parte del sistema difensivo di avvistamento di naviglio saracene ed era in collegamento visivo con la Torre di Capo Rama e con la Torre Alba di Terrasini ad est. Inoltre con la Torre dell’Usciere presso San Vito lo Capo sul lato ovest del Golfo di Castellammare».
http://it.wikipedia.org/wiki/Scopello_%28Castellammare_del_Golfo%29 - http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Bennistra
a cura di Giuseppe Tropea
Torretta Granitola (torre Saurello)
«Nel 1394 inviata dall'Aragona una armata navale, guidata da Pietro Masa de Liza, in soccorso del Re Martino per sottomettere le città ribelli della Sicilia occidentale, consentì la fuga da parte degli abitanti dell'isola. Successivamente per ovviare a questo notevole inconveniente la politica reale favorì la ripopolazione delle città con stanziamento di somme per ripararne e costruirne le mura contro le minacce dei pirati barbareschi, impostando lungo la costa un sistema di avvistamento mediante torri di guardia. Nel secolo sedicesimo, per iniziativa del vice re Giovanni De Vega, tale sistema viene reso efficiente con la consulenza di famosi ingegneri militari. Nel nostro territorio le tre torri, Sorello, Torretta Granitola e Tre Fontane che facevano parte di questo sistema erano collegate tra loro con quella intermedia detta Casotto della guardia e con il Castellaccio e con le torri di Mazara e di Sciacca. Avevano la funzione di segnalare la presenza di navi sospette mediante segnali di fuoco e di fumo. Tale sistema era integrato da un avvistamento mobile affidato ai "Cavallari", guardiani a cavallo, che percorrevano continuamente il litorale. In primavera ed in estate quando il pericolo si faceva maggiore, i cavallari venivano portati da due a quattro. Interessanti relazioni sul territorio hanno lasciato Tiburzio Spanocchi che venne in Sicilia prima del 1578 e Camillo Camilliani che segnalava nei luoghi ove era opportuno o necessario costruire nuove torri. Notevoli sono le piante e i disegni del manoscritto dello Spanocchi, conservato nella Biblioteca di Madrid e lo sono certamente anche quelli del Camilliani recentemente ritrovati nell'archivio di Stato di Torino. In particolare due di queste torri caratterizzano e danno il nome alla zona: Torretta-Granitola, dai saraceni detta "Al Balat", mentre dall'umanista G. G. Adria "Granitolis"; la prima torre, detta anche "Torretta di Mazara" venne costruita con pietre tufacee informi e risulta a forma cilindrica, supportata da un basamento a forma di cono. è pavimentata in cotto, mentre una scala esterna in muratura immette al piano. La seconda, vicinissima al mare, è detta "Sorello", dal nome del promontorio "Saurello" oggi detto Granitola, e tramandata con il nome di "antico faro". è una costruzione snella, a forma di tronco di cono con la volta a botte anulare. La terrazza superiore presenta quattro tagli simmetrici a parapetto per l'impiego dell'artiglieria leggera. La torre ancora oggi é in ottima conservazione».
http://www.comune.campobellodimazara.tp.it//index.php?option=com_content&task=view&id=41&Itemid=34
Torretta Granitola (Torretta di Mazara)
«In questo contesto storico [conquiste e scorrerie dei Turchi] va collocata, intorno alla metà del XVI secolo (tra il 1553 ed il 1554), la costruzione delle due torri di Capo Granitola. Una, nota come "Torretta di Mazara" è più addentrata, ed ha la forma di un cilindro che si innesta su una base a tronco di cono. L'altra, chiamata dal Camilliani "Torre Saurello" (dall'antico nome del promontorio su cui sorge ha forma tronco-conica e di essa qualcuno ha anche ipotizzato la funzione, giù dal XV secolo, di faro, cui deve essersi poi addizionata quella di torre d'avvistamento. è legittimo domandarsi il perché di due torri d'avvistamento nella stessa località e a brevissima distanza l'una d'altra. Un'ipotesi da sottoporre a verifica potrebbe essere la seguente: forse la pre-esistente torre-faro, data la sua ubicazione, riusciva a corrispondere solo con il castello di Mazara (sul versante nord-occidentale) mentre le restava occlusa la visuale sul versante costiero nord-orientale (Torre di Tre Fontane e, proseguendo, Torre di Polluce, presso Selinunte). Per tale motivo, si sarebbe reso necessario l'imbasamento, in posizione più addentrata e leggermente più elevata, di una seconda torre -Torretta di Mazara - che potesse gettare lo sguardo verso nord-est (cioè verso la Torre di Tre Fontane) per ripetere i segnali trasmessi dal castello di Mazara a Torre Saurello. è probabile, inoltre, che la corrispondenza visiva tra la Torretta di Mazara e la Torre di Tre Fontane non fosse diretta ma mediata, nell'entroterra, da una terza postazione, identificabile con il "Casotto della Guardia". La ragnatela di comunicazioni si estendeva fin nell'entroterra raggiungendo, dalla Torre di Tre Fontane, il Castellaccio di Campobello, sito sul monte Cozzo (oggi Santo Monte), e almeno due torri "appadronate" possedute dalle famiglie Cusumano e Scuderi. In caso di avvistamento di navi nemiche, una torre costiera poteva ingaggiare uno scontro a fuoco a distanza per scoraggiare lo sbarco e, aspetto ben più strategico, era in grado di chiedere rinforzi allertando le altre torri rientranti nel suo campo visivo attraverso segnali che consistevano in fumi di giorno e fuochi di notte. Alle comunicazioni ottiche si aggiungevano quelle acustiche: il suono della brogna (conchiglia) e gli spari di mascolo (cannoncino). Apposite squadre di militari e civili, i torrari, custodivano le torri e maneggiavano l'artiglieria. Essi erano coadiuvati da un sistema di vigilanza mobile: soldati a cavallo, noti come cavallari, battevano le marine delle coste col precipuo scopo di allertare, in caso di pericolo, i soldati di stanza nei vari castelli (Mazara e Campobello). Un ruolo, per inciso, analogo a quello svolto in epoca recente - fino agli anni Settanta - dalla Guardia di Finanza, la quale, con le sue due brigate di Capo Granitola e Tre Fontane, controllava la costa, oggetto di sbarchi da parte d contrabbandieri di sigarette.
Si favoleggia, infine, sull'esistenza di un tunnel sotterraneo tra le due torri di Granitola con un ingresso a mare attraverso una grotta scavata nella roccia tufacea. E in effetti, nel costone roccioso ai piedi della torre si aprono delle caverne, di qualche metro di profondità, perfettamente squadrate... ma si tratta, probabilmente, delle cave (pirreredde) da cui fu estratto il tufo per la costruzione delle due torri. Al di là della leggenda, di certo rimane il nome che questi manufatti architettonici hanno impresso alla località: Torretta appunto. Trattandosi di costruzioni militari, le due torri risultano prive di qualsiasi ornamento esterno, l'unica eleganza architettonica è conferita loro dalla severità delle linee. In comune hanno la pianta circolare, caratteristica delle torri spagnole di "prima generazione" (quelle di seconda - tra le quali rientra la torre di Tre Fontane, 1585- hanno pianta quadrangolare), articolata su più elevazioni: la base, il piano abitabile e la terrazza (o astraco); Torre Saurello presenta anche un secondo piano. La base della Torretta di Mazara risulta priva di ingresso e potrebbe aver ospitato una cisterna d'acqua prima di un probabile riempimento occorso per consolidare la statica dell'intera struttura. Alla torre si accedeva, pertanto, da un'apertura del primo piano, raggiungibile grazie ad una scala di legno o di corda che veniva ritirata dopo l'uso. La scala esterna in muratura che oggi ritroviamo potrebbe essere stata aggiunta in epoca successiva. Anche alla terrazza, luogo della ronda, delle segnalazioni e della posa di qualche pezzo di artiglieria leggera (come testimoniato dai quattro tagli simmetrici a parapetto), si accedeva con scale retraibili».
http://www.capogranitola.it/turchi.html
«Come il Bastione Imperiale e il Bastione Impossibile, anche il Bastione Conca si inserisce nell'ampio progetto che, a partire dalla mappatura dello Spannocchi e del Camilliani, portò la corona spagnola a ridisegnare la cinta munita della città di Trapani. Ubicato nella porzione settentrionale del centro storico, a metà tra la spiaggia di Tramontana e la Torre Ligny, la costruzione fu avviata sotto il viceré Pignatelli, su progetto dell'ingegnere Ferramolino. Tuttavia, il completamento si ebbe solo durante il viceregno Gonzaga e comportò la sostituzone delle barriere con quelle in muratura che sono ancora oggi apprezzabili».
http://www.exploro.it/portal/content/?page=place-detail&id=48262
Trapani (bastione dell'Impossibile)
«Nell'estate del 2005 si è proceduto al recupero, al restauro ed alla conseguente fruizione, per i cittadini trapanesi, del Bastione dell'Impossibile, la cui costruzione viene fatta risalire alla prima parte del XVI secolo per difendere la città dalle incursioni dei turchi e dei pirati. Il bastione dell’Impossibile, così chiamato perché la sua imponenza rendeva impossibile un’agevole penetrazione dentro il recinto urbano da parte di forze nemiche, non era l’unico fortilizio della città: tra quelli ancora presenti a Trapani rimangono in piedi soltanto il bastione Sant'Anna, il bastione Conca e alcune parti dell'antico nucleo del Castello di Terra. Tutti gli altri invece sono stati completamente abbattuti e le loro aree sono oggi occupate da nuovi edifici. Ad oggi l'antico bastione non è visibile nella sua interezza sia perché il tempo ha alterato il suo aspetto originario sia perché molte parti sono andate definitivamente perdute. Inoltre, fino a pochi anni fa, alcune costruzioni si addossavano completamente al bastione e ne occultavano la visione. La muratura originaria del bastione è in conci di pietra arenaria di varia pezzatura, abbastanza compatta e di colore rossiccio. Nella muratura sono presenti, inoltre, diversi tipi di calcare tufaceo adoperato sia come muratura di consolidamento che di riempimento, nonché come materiale da costruzione. Essendo Trapani circondata su tre lati dal mare, la città si collegava alla terraferma soltanto ad est e poiché il centro abitato era situato ad ovest della cortina muraria, è molto probabile che l'accesso al bastione avvenisse da ovest. è ancora possibile vedere le parti superiori degli archi d'ingresso, ormai quasi del tutto interrati. Si sono conservati, inoltre, i resti di un piccolo edificio poco visibile che, non essendo riprodotto in nessun documento cartografico e in base ad un’osservazione dei materiali e dalla tecnica costruttiva usati, si pensa che non appartenga all'impianto originario, ma sia di fattura più recente. Sopra il bastione si conserva anche un parapetto, che proteggeva la milizia durante l'uso delle armi».
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.113272842020103.19018.111655708848483&type=3
Trapani (bastione Imperiale o di Sant'Anna)
«La sua realizzazione si deve al programma di potenziamento delle difese cittadine dalle continue incursioni dei pirati turchi, voluto da Carlo V e attuato dal Viceré Pignatelli nel sec. XVI. Gran parte delle strutture difensive furono progettate dall’ingegnere Ferramolino da Bergamo il quale, oltre che dal pericolo delle incursioni, si preoccupò di difendere la città dai nuovi strumenti di guerra: le armi da fuoco. Tra il XVII e il XVIII secolo furono eseguite ulteriori opere di difesa e vennero potenziate le mura che, esposte a tramontana, erano considerate più vulnerabili».
http://www.ecocasavacanze.it/it/cose-da-vedere-in-sicilia/trapani/bastione-sant-anna-trapani
Trapani (castello di mare o torre Colombara o torre Peliade)
«Il Castello della Colombaia sorge su un isolotto a difesa del Porto di Trapani. Rappresenta uno dei migliori esempi di architettura militare dell'isola. Una leggenda vuole la sua origine frutto dell'opera dei fuggiaschi troiani scampati alla distruzione di Ilio nel XIII secolo a.C. ed approdati sulle sponde della Sicilia, ma manca qualsiasi attendibilità storica a questa ipotesi. Prima fonte assolutamente storica che menziona in questo luogo un insediamento militare invece, è rappresentata da Diodoro Siculo: sarebbe lì sorta intorno al 260 a.C., voluta da Amilcare Barca, generale cartaginese padre di Annibale, una torre detta Peliade, al posto del preesistente faro. Il nome deriverebbe dall'aspetto conferito alla costa, vista da lontano, da parte di una bassa vegetazione erbacea, che pareva quasi ricoprire di peli la terra. Dal 167 a.C. l'isolotto è proprietà romana, grazie alla subitanea e sanguinaria conquista ad opera del console romano Numerio Fabio Buteone. La torre cadde poi in abbandono e divenne semplicemente nido di colombe, nella loro lunga rotta migratoria verso le coste dell'Africa. Da qui deriva il nome del Castello (della Colombaia). Verosimilmente in quel periodo la torre fu sede di riti pagani (Anagogie e Catagogie), legati al culto di Venere Ericina. Fino all'epoca della dominazione musulmana, la torre scompare dalle cronache storiche: sarebbero stati proprio gli Arabi a restaurarne l'uso come faro, accendendo un perenne fuoco sulla sua sommità, per la guida dei naviganti e la segnalazione delle costa. In epoca delle Crociate (1096-1274), così come in epoca di dominazione svevo-angiona, essa ritornò ad esercitare una preminente funzione difensiva.
Risale al 1320 (sotto la dominazione di Federico III d'Aragona), il restauro ulteriore della fortezza e l'erezione della torre ottagonale, che a tutt'oggi rimane. Nel 1408 il castello fu dotato di un pontile da parte di re Martino il Giovane, in occasione dello sbarco a Trapani della sua seconda moglie Maria. Il Castello accrebbe costantemente la propria potenza e dimensione nei secoli XV e XVI, in accordo col volere dei sovrani spagnoli di porre attenzione alla difesa della coste contro le incursioni arabe e piratesche. Dal 1550 la fortezza fu dotata di artiglieria e tre anni prima, anche di una guarnigione fissa. Fu inoltre scavato un fossato tra l'isolotto e le mura della città. Di nuovo nel 1586, per volere di Filippo III di Spagna, il Castello subisce ampliamenti, realizzati dall'architetto fiorentino Camillo Camilliani, che crearono un sistema difensivo a guardia delle coste costituito da ben una trentina di torri, sparse in vari punti della costa. Al 1607 risale il ponte del castello. Tuttavia dal '700 la fortezza iniziò a perdere il proprio valore difensivo e militare e dal 1821, assumendo funzioni di penitenziario per gli insorti dei moti indipendentisti italiani. Venne conseguentemente adoperata come carcere fino al 1965, anno in cui venne abbandonata, fino al restauro conservativo, compiuto dagli architetti Filippo Terranova e Giovanni Vultaggio, nel 1993. è particolarmente degna di nota la forma ottagonale del Castello, che lo ricollegano ad un'altra fortezza sveva, il Castel del Monte in Puglia. La fortezza della Colombaia presenta 4 piani, il più basso dei quali era adibito a cisterna, mentre l'ingresso si effettuava dal piano secondo. Allo stato attuale, pur recuperato architettonicamente, il monumento stenta a trovare un proprio utilizzo nella città».
http://www.ipalazzi.it/palazzo/p_3086.html
«è quasi certo che il primo nucleo della città di Trapani si sia sviluppato come base commerciale e marittima dell'abitato ericino fondato dagli Elimi. Questo nucleo doveva sorgere su un promontorio, corrispondente all'attuale rione San Pietro, diviso dall'entrata da un canale navigabile che univa il mare di tramontana con quello di Mezzogiorno. La colonizzazione punica portò poi all'ampliamento del centro abitato ed alla indipendenza sia amministrativa che politica da Erice. Trapani, per la sua particolare posizione geografica, fu un caposaldo nei traffici marittimi punici ed ebbe importanza strategica nei periodi di guerra. Fu in questo periodo che, per il conflitto tra i Cartaginesi ed i Romani, fu fortificata sia con cinte murarie che con la realizzazione del primo Castello di Terra e della Colombaia o Castello di Mare. La città assunse forma quadrangolare con un perimetro murario lungo più di un miglio, munito di torri e porte. Le torri erano cinque e così denominate: Torre Pali, Torre Vecchia, Torre di Porta Oscura, Torre del Castello di Mare e Torre del Castello di Terra. Al di sotto delle torri vi erano le porte della città. L'area occupata dalla città copriva quella degli attuali rioni San Pietro e San Nicola. Durante le dominazioni araba e normanna, pur restando Trapani una città che aveva un ruolo preminente per la sua posizione geografica, sia per i traffici commerciali che per la strategia militare, la sua espansione edilizia fu molto limitata. Alla fine del XIII secolo, Giacomo II d'Aragona decise di dare sviluppo alla città e, con l'editto del 1286, fece realizzare una nuova cinta muraria che, inglobando l'antico impianto quadrato, determinava una sostanziale espansione della città verso ovest e, in misura minore, verso nord. La città restò divisa in cinque quartieri: Casalicchio (poi detto San Pietro), Di Mezzo (poi San Nicola), che rappresentavano i quartieri più antichi, Rua Nuova (a nord), San Lorenzo e San Francesco (ad ovest). La cinta muraria aragonese fu dotata di undici nuove porte. Sempre a Giacomo II viene attribuito il potenziamento del Castello di Terra. Alla costruzione delle nuove mura non seguì, però, una immediata costruzione delle aree libere così determinatesi, a causa della difficile situazione socio-economica in cui Trapani si venne a trovare nel 1300. Soltanto nel 1400 si arriverà ad un decisivo sviluppo urbanistico-edilizio.
Nel XVI secolo, su disposizione di Carlo V, furono potenziate le ormai logore fortificazioni aragonesi. Infatti, le mutate esigenze belliche indussero gli spagnoli a ristrutturare o ricostruire le vecchie mura aragonesi e realizzare i bastioni. Il nuovo tracciato murario si adeguò sostanzialmente a quello precedente; soltanto dalla parte di terra, ad est, venne praticato un ampliamento con la realizzazione di una cortina muraria terrapienata, al cui esterno venne scavato un fossato. Ideatore di gran parte delle strutture difensive di Trapani fu l'ing. Ferramolino da Bergamo, inviato a Trapani dal viceré Pignatello. Tra il XVII ed il XVIII secolo vengono eseguiti ulteriori rafforzamenti alle strutture difensive di Trapani, dovute in buona parte alle disposizioni del viceré principe di Lignè, al quale si deve in particolare il potenziamento della parte nord-occidentale della città. Individuata come punto debole delle fortificazioni di Trapani la parte rivolta verso il mare di nord-ovest, il principe di Lignè fece costruire la mezzaluna di Sant'Anna, che così veniva a potenziare l'alloro esistente Bastione Imperiale, e la torre d'avvistamento all'estremità della città, che prese il nome dallo stesso principe. Il Regio Decreto del 16 aprile 1862, con il quale Trapani perdeva la qualifica di Piazza d'Armi, poneva il problema del riutilizzo delle fortificazioni. L'orientamento generale, poi attuatesi, fu quello dell'abbattimento delle mura e del riutilizzo delle aree sottostanti, date in proprietà al Comune dopo lunghe trattative con il Genio Militare. Le operazioni di demolizione non furono eseguite in maniera omogenea, ma privilegiarono quelle aree la cui utilizzazione era più appetibile, e cioè a sud, dove era imminente la ristrutturazione del porto, e ad est, dove l'abbattimento delle mura avrebbe favorito la lottizzazione delle zone di espansione. Quello che resta oggi della vecchia cinta muraria sono: la Colombaia, i resti del Castello di Terra, il Bastione dell'Impossibile, la cortina muraria settentrionale con il Bastione della Conca ed il Bastione dell'Imperiale. Per la realizzazione del primo tratto della litoranea nord, fu abbattuta la cortina muraria che univa il Castello di Terra all'attuale Piazza Mercato. Da tempo si parla del suo prolungamento sino a Largo delle Ninfe, ma a questo progetto ha posto il veto la Soprintendenze ai Beni Culturali per ovvi motivi di incompatibilità con le caratteristiche architettoniche ed ambientali della zona interessata».
http://digilander.libero.it/irfedtrapani/gescole.htm
Trapani (palazzo Ciambra o della Giudecca)
«Edificato nel sec. XVI dalla famiglia Ciambra – lo stemma è visibile sul portale – la sua architettura testimonia i legami che esistevano tra la penisola iberica e la città: le bugne a diamante sulle pareti della torre e i particolari della decorazione delle finestre e dei portali richiamano, infatti, lo stile plateresco. Il palazzo è detto “della Giudecca” perché fu costruito nell’antico ghetto dopo che gli ebrei vennero espulsi dalla città, a seguito dell’editto di Ferdinando il Cattolico (1492). Lo splendido palazzo, che oggi versa in un pessimo stato di conservazione, fu acquistato nel 1901 dal sindaco Eugenio Scio per conto del Comune di Trapani attraverso un fondo ministeriale concesso dall’onorevole Nunzio Nasi, allora Ministro della Pubblica Istruzione. Nel dopoguerra il Comune di Trapani cedette l’immobile ai proprietari di una tipografia locale per ripianare i debiti contratti durante il periodo bellico».
http://www.turismo.trapani.it/it/1465/palazzo-ciambra-giudecca.html
Trapani (porta delle Botteghelle)
«La Porta delle Botteghelle si trova a Trapani in via Cassaretto. Essa faceva parte della cinta muraria fatta edificare da Guglielmo d’Aragona nel XIII secolo, che si sviluppava lungo la direzione nord-ovest. Questa cinta muraria è nota con il nome di Mura di Tramontana e corre lungo il litorale Nord della città. Essa era contraddistinta da ben 11 porte. La Porta delle Botteghelle, ampliata e consolidata nel XIV secolo, dava l’accesso ad un piccolo cimitero posto al di fuori delle mura. La Porta delle Botteghelle diede anche il nome al quartiere che qui un tempo si estendeva. Nella stessa curvatura di tramontana vi era la Porta Felice o del Carmine, mentre diametralmente opposta sorgeva la porta Ossuna. Al di sopra delle Mura di Tramontana vi è una passeggiata dalle quali godere della vista del panorama costiero della città».
http://www.trivago.it/trapani-45840/castellorocca/porta-delle-botteghelle-1444483
Trapani (porta Oscura, torre dell'Orologio)
«Già in epoca cartaginese, la città si caratterizzava per la presenza di quattro torri d’avvistamento e di altrettante porte d’accesso: Torre Vecchia, Torre del Castello di Terra, Torre Pali, Torre di Porta Oscura o dell’Orologio. Durante le guerre puniche, il generale cartaginese Amilcare Barca costruì la quinta torre, il Castello della Colombaia, oggi detto Castello di Mare. Le quattro torri racchiudevano la città in un quadrilatero difeso da mura. L’attuale Porta Oscura si apre su Via Torrearsa. Fu ricostruita nel XIII secolo, probabilmente da Giacomo d’Aragona, ed è stata variamente modificata nel tempo. A forma quadrangolare, comprende l’omonima torre su cui spicca un orologio astronomico con quadranti del sole e della luna».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/trapani/torre-di-porta-oscura-torre-dell-orologio-trapani/
Trapani (resti del castello di terra)
«Il Castello di Terra venne fatto erigere nel 1186 in quello che oggi è il centro della città di Trapani, nei pressi di Piazza Vittorio Emanuele, dove si trova Villa Margherita e il suo parco pubblico. Attualmente dell'antico castello non restano che le vestigia delle salde mura sul lungomare Dante Alighieri, visibili passeggiando per il lungomare. Successivamente all'epoca punica, il maniero cambiò aspetto architettonico a partire dal 1300, quando fu interessato da una importante ristrutturazione. Adibito nel XIX secolo a caserma borbonica, fu poi abbattuto per erigervi al suo posto gli attuali edifici della Questura. In città al Castello di Terra si contrappone il Castello di Mare, noto anche col nome di Torre della Colombaia».
http://castelli.qviaggi.it/italia/sicilia/castello-di-terra/
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Durante il Cinquecento ed il Seicento le zone costiere della Sicilia furono teatro di incursioni da parte dei pirati barbareschi e turchi che depredavano le popolazioni e le riducevano in schiavitù ed in particolare la costa di Trapani era meta di queste scorrerie per la sua ricchezza in prodotti tipici quali il sale, il tonno ed il vino. Soltanto sul finire del XVI secolo fu affrontato il problema della difesa delle coste ad opera di due ingegneri militari, lo Spannocchi ed il Camillani, attraverso il restauro delle torri esistenti e la costruzione di nuove. Il proseguire delle incursioni e la loro recrudescenza indusse la regina Marianna, moglie di Carlo II e governatrice del Regno di Spagna e Sicilia, ad inviare nell' isola il viceré don Claudio La Moraldo, grande esperto nelle arti militari. Durante una seduta tenuta a Palermo l'11 gennaio 1670 il Parlamento stanziò la somma di 200.000 scudi allo scopo di fortificare le città marittime ed in tale occasione il viceré dimostrò una particolare attenzione verso Trapani. Giunto in città, La Moraldo fece riparare le fortezze esistenti compresa la Colombaia e ordinò la costruzione di una torre sugli scogli rocciosi che formano la prosecuzione della stretta lingua di terra chiamata anticamente Pietra Palazzo, il cui progetto fu affidato all' architetto Carlos De Grunembergh. Venne intitolata al principe di Lignè, da cui nel volgo popolare diventò Turrignì. Dall'iscrizione riportata nella lapide che si trova sul prospetto principale si legge chiaramente come l' anno di costruzione fu il 1671 e ciò è confermato anche dagli Annali della città di Trapani, manoscritto del parroco don Giuseppe Fardella. L'inaugurazione avvenne la prima domenica di ottobre del 1672. La torre era munita di quattro garitte in muratura e fu provvista anche di fanali, funzionando come torre di segnalazione marittima. L'importanza militare della torre è testimoniata dal Balluzio che la definì propugnaculum ad urbis tutelam.
Nel 1806 per ordine del governatore Gaspare Micheroux fu colmato ed appianato il braccio di terra che dalla porta Cappuccini conduceva alla torre, reso impraticabile per la continua estrazione della pietra. In seguito questo venne trasformato in una passeggiata con muretti e sedili in marmo ai lati chiamata La Carolina in onore della regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando I, toponimo rimasto nella omonima via. Fino al 1862 la torre fu un fortilizio munito di cannoni, in seguito venne usata come stazione semaforica. Rimase per lungo tempo abbandonata tranne che durante l'ultima guerra mondiale in cui fu usata dalla Marina Militare per la difesa antiaerea. Nel 1979 è stata restaurata su progetto dell'architetto Francesco Terranova e dal 1983 è sede del Museo Trapanese di Preistoria. Negli ultimi anni soltanto grazie all'opera di volontariato dei soci dell' Associazione La Preistoria è stata mantenuta l'apertura del museo e la sua fruizione anche alle scolaresche ed ai turisti. Inoltre è stato realizzato un vasto rinnovamento ed ampliamento delle collezioni esposte e del materiale iconografico e didascalico con la sua traduzione in lingua inglese. Parallelamente il museo ha ospitato, nella sua suggestiva cornice interna, diverse mostre personali e collettive pittoriche e convegni, stabilendo anche dei contatti con altre strutture ed enti in campo nazionale. Oltre al rilancio di questa istituzione importante per la città, potrebbe completarsi una riqualificazione di questa parte del centro storico attraverso interventi quali la realizzazione del belvedere di via Carolina, il ripristino del basolato lungo la strada di accesso e la sua chiusura al traffico durante la stagione estiva, creando una passeggiata continua che da via delle Sirene e la chiesa di San Liberale giunga allo Scalo d'Alaggio».
http://www.sicilie.it/sicilia/Trapani%20-%20Torre%20di%20Ligny
Trapani (torre Pali, torre Vecchia)
«Le cinque torri rappresentano le prime cinque torri che difendevano il nucleo della città: la Torre Pali, oggi scomparsa, che si trovava nel rione Casalicchio (San Pietro); la Torre Vecchia, incorporata nell'ex Palazzo Carosio all'angolo tra via Carosio e via delle Arti; la Torre di Porta Oscura che si trova dove oggi si erge la Torre dell'Orologio del Palazzo Cavarretta; la Torre del Castello di Terra, il maggiore presidio dell'antica cinta muraria visibile ancora oggi alle spalle degli uffici della questura; la Torre Peliade o del Castello di Mare detta anche "Colombaia" situata ancora oggi sull'isolotto omonimo all'imboccatura del porto. Gli archi che reggono le cinque torri possono essere interpretati in due modi: rappresentazione delle antiche porte di accesso alla città oppure rappresentazione dell'antico acquedotto che collegava il centro urbano alle sorgenti di campagna lungo il tratto di strada che prende oggi il nome di via Archi. La falce che sormonta le torri richiama immediatamente la forma falcata della penisola sulla quale si adagia la città di Trapani».
http://culturatrapani.altervista.org/trapani-2.html
«Sita a otto Km dalla città di Campobello di Mazara, della zona costiera di Tre Fontane si fa menzione nei documenti più antichi dell’Archivio Storico Diocesano per la presenza in essa di una torre di avvistamento in difesa antiturca e di una tonnara detta di ” Tre Fontane” dalla quale il Vescovo di Mazara percepiva la relativa decima. Era stato il conte Ruggero D’Altavilla, nell’istituire la Diocesi nel 1903, ad assegnare al vescovo le decime su tutte le tonnare e i porti della circoscrizione territoriale: ”cum omnibus decimis amnium quorumcumque fuerint” e il re Ruggero nel 1144 rinnovando il privilegio al Vescovo di Mazara scrive: ”…in perpetuum decimas omnium portuum et tymnariarum tue dioecesis”. La tonnara di Tre Fontane, come attesta il regio visitatore De Ciocchis, versava ogni anno al vescovo onze 82. Il Duca di Campobello, don Giuseppe di Napoli, nel secolo XVII vi aveva fatto costruire una chiesa, dedicata alla “Gran Signora di Tre Fontane”, per assicurare con una certa periodicità la celebrazione della Messa e la catechesi ai pescatori e ai contadini ivi residenti. La zona ,detta comunemente Tre Fontane, prende nome d’alcune venature di acqua, che sgorgano naturalmente e defluiscono in mare. “non saprei indovinare, scrive il Massa, perché si dicono tre, mentre assai più zampilli ivi si vedono; la condizione della cennata spiaggia é tale, che cavandosi sulla rena, schizzano presto fuori rivoli di acqua perfetta; sono poi queste acque si copiose, che può provvedersene un’armata. I Saraceni chiamarono la località fontes Abbas”. In questa zona così ricca di acque, annota il Camilliani, venne costruita la Torre di Tre Fontane attorno all’anno 1585; torre di avvistamento per la difesa degli abitanti dalle continue incursioni piratesche. Era stato il viceré Marco Antonio Colonna nell’anno 1579 a dare l’incarico all’ing. Tiburzio Spanocchi di redigere un progetto per la difesa di tutta la costa siciliana. Questi aveva proposto la realizzazione di 123 torri, da aggiungere alle 62 torri costiere già esistenti. In caso di incursione i torrari dovevavno suonare “la brogna” (specie di conchiglia funzionante da strumento acustico per avvisare i lontani) e con fumo e fuochi avvisare i custodi delle torri vicine o gli abitanti dell’entroterra perché venisse organizzata tempestivamente la difesa.
Nel libro rosso della città di Mazara, scrive Mario Tumbiolo, foglio 144, é registrata una una provvisione viceregia, dove sono dati i servizi per la costruzione e manutenzione delle torri sul litorale mazarese: ”A Capu Feto corrispondente a lo castello di Mazara si fa la guardia: la paga lo Episcopo di Mazara. A lo castello di Mazara corrispondenti cu la turri di Granituli si fa la guardia: la paga lo castellano di Mazara. A la turri di Granituli corrispondenti a Tri Funtani si fa la guardia: la paga la chita di Mazara. A Tri Funtani corrispondenti cu la turri di xacca si fa la guardia: la paga lu baruni di perrybaida”. Le razzie operate dai turchi avvenivano con una certa frequenza nei secoli XVII e XVIII, anche se l’attività corsara ebbe momenti più o meno intensi. Il bottino pregiato di tali scorrerie era costituito dagli schiavi (uomini, donne e bambini), il cui riscatto costituiva fonti di ricchezza. Talvolta erano gli stessi corsari a sollecitare i riscatti dei prigionieri raccolti nelle reggenze di Tunisi, Algeri e Tripoli. Per reclutare le ingenti somme necessarie venne istituita a Palermo l’arciconfraternita della Redenzione dei Cattivi, mentre a Trapani nel 1700 sorse una organizzazione a base mutualistica tra i marinai per garantirsi il riscatto in caso fossero caduti schiavi. Tra i fedeli si faceva a gara ogni anno per raccogliere il denaro per il riscatto degli schiavi e il contributo offerto in quegli anni dal vescovo di Mazara, mons. Ugo Papè, assommò ad oltre 1258 once, in cifra assoluta, il più cospicuo dopo quello del re Ferdinando III. è rimasta nel patrimonio dialettale l’espressione: ”Mi sentu pigghiatu di li turchi”, ad indicare un improvviso capovolgimento in fatti del tutto sconosciuti, mentre nella vicina Mazara un’antica filastrocca ripeteva: ”All’armi, all’armi, la campana sona li turchi sunnu iunti a la marina! Cu avi scarpi rutti si li sola Chi iè mi li solavu stamatina”. Per quanto riguarda specificatamente la Torredi Tra Fontane, la muratura è costituita di pietra tufacea grezza, con spigoli squadrati, priva d’intonaco. La torre possedeva a settentrione, un bel portale in tufo lavorato a rincassi susseguenti e, ad occidente, una finestra. La volta era impostata su un tamburo a sezione ellittica con contropareti. Tre soldati montavano di guardia giorno e notte, dei quali il primo rivestiva il grado di caporale con il compito di annotare in un diario i segnali d’avviso, i natanti in transito e quanto si svolgeva nel tratto di mare di competenza; il secondo era un artigliere e il terzo soldato semplice».
http://www.viviamare.it/tre-fontane
Valderice (bagli, torre Xiare)
«Terra feconda e ricca di risorse per posizione e clima, Valderice è un paese fortemente interessato a insediamenti di epoche diverse e costruzioni di vario tipo nate a scopo difensivo (torri), per motivi religiosi (chiese e cappelle), per la villeggiatura (ville e casine) ma, soprattutto con finalità economiche: la coltivazione in sede delle terre dei latifondisti del Monte S. Giuliano (l'antico nome di tutto il territorio compresa Erice), come testimoniano la presenza di orti, giardini (intesi anche come distese di limoni e aranci) e fondi variamente destinati (a seconda della natura del terreno e dell'esposizione) a frumento, oliveti e vigneti. I bagli sono al centro dell'economia rurale per molti secoli, quelli dei feudatari medievali, delle dominazioni arabo-normanne. Residenza stabile dei servi e dei contadini che di essi occupavano una minima parte e ne erano i custodi (i proprietari l'abitavano temporaneamente nei momenti cruciali dell'attività agricola se non delegavano a loro amministratori) costituivano delle cellule autosufficienti alla stessa stregua dei castelli o dei monasteri; accoglievano uomini, bestie, derrate e strumenti di lavoro; dall'aspetto di strutture fortilizi perché provvisti di mura e, in qualche caso, di torri di avvistamento, erano caratterizzati da una pianta quadrata comprendente, al centro, un cortile da cui, secondo fonti incerte, deriverebbe il nome di origine araba, mentre altri lo fanno risalire all'antica lingua dei normanni o al latino per designare il luogotenente del grande feudatario o l'umile servo a lui affidato. Buona parte di questi edifici (oggetto di indagini storiche, di studi architettonici e crescente interesse turistico) sono, oggi, in condizioni di abbandono, dirupi o, comunque, lontani dalla loro antica funzione; nei casi fortunati del loro recupero destinati a residenza privata, frammentati in più proprietà o elegantemente ristrutturati quali luoghi di ricezione alberghiera, o in fase di ricostruzione e ristrutturazione. La località Xiare (Sciare), ha una denominazione d'origine araba attribuita ai terreni particolarmente aridi e sassosi che, fino a pochi decenni fa, la caratterizzavano in vaste distese fino al mare punteggiate solo da rocce e da palme nane e, oggi," antropizzate" in maniera alquanto arbitraria. In questo territorio è possibile ammirare, in basso, sulla strada per lido Cortigliolo, un baglio fatiscente, in corso di recupero, con una torre di avvistamento, e, più in alto, in posizione panoramica, un grande baglio, quasi una fortezza, abitato e adibito a moderna azienda agricola. Luogo deputato alla villeggiatura fin dai tempi degli antichi romani, come proverebbero i ritrovamenti di una villa di un patrizio romano in contrada S. Andrea, è, soprattutto tra il Sette e l'Ottocento, che salubrità dell'aria, mitezza del clima e rigoglio di vegetazione congiunti alla volontà di sorvegliare da vicino i propri beni e riscuotere i loro frutti, portano le classi privilegiate, aristocrazia e facoltosa borghesia a lasciare il capoluogo nei mesi estivi e a passare la villeggiatura in splendide dimore».
http://www.prolocovalderice.it/valderice/storia.htm
«A pianta quadrangolare, ornata di merli a coda di rondine, la struttura sorge in un fondo appartenuto alla famiglia Bulgarella. Nel 1700 donna Vincenza Bulgarella la portò in dote al patrizio ericino Alberto Palizzolo. Gravemente danneggiata all'inizio del secolo scorso da un incendio, la torre versa in grave stato di abbandono e necessita di urgenti interventi di restauro conservativo».
«L’origine del paese risale ai primi del XVII secolo, in un periodo in cui in Sicilia, allora sotto il dominio spagnolo, furono incentivate le fondazioni di nuovi centri, soprattutto alla scopo di ripristinare la produzione agraria delle terre poste all’interno dell’isola. Il fondatore fu il nobile Vito Sicomo di Calatafimi, che iniziò ad edificare attorno ad un casale esistente già nel Medioevo. Il barone ottenne dal re Filippo III d’Aragona lo "jus populandi". Tale concessione, registrata in Palermo in data 17 aprile 1606, fu poi ratificata da Filippo III con decreto dell’11 marzo 1607, e divenne effettiva il 28 maggio dello stesso anno. Non è da ritenersi del tutto certo che il nome del Comune derivi dal fondatore. Probabilmente la denominazione di Vita è di origine araba. Ciò e supportato, peraltro, da Carmelo Trasselli, uno dei più attenti storici del nostro tempo. Ulteriore indizio potrebbe essere la documentazione storica di un antico centro in Algeria, chiamato appunto Vita. ... Ancora, colpita dal sisma del gennaio del 1968, Vita ha perso le opere più significative della sua storia: la chiesa madre ed il palazzo baronale fatto edificare nei primi del '600 da Vito Sicomo».
http://www.messenia.com/comuni/img/comune/allegato/storia510_46.pdf
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