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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI TRENTO
in sintesi, pagina 1
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«Situati lungo l'attuale via Santa Caterina, i palazzi de’ Pizzini sono due imponenti costruzioni che richiamano l'epopea dei velluti e della seta. I Pizzini, originari di Castellano, giunsero ad Ala verso la fine del Cinquecento per svolgervi l'attività di "molinarj". Successivamente, grazie alla fiorente attività tessile, la famiglia visse un lungo periodo di splendore che diede origine al progetto dei due palazzi. La più antica delle due strutture, quella che si affaccia verso via Nuova, risale alla seconda metà del XVII secolo ed è attualmente sede del Museo del Pianoforte Antico e dell'Accademia Internazionale di interpretazione musicale su strumenti d’epoca. Il secondo palazzo de’ Pizzini, anticamente unito al primo da un passatizio, è uno dei più autorevoli esempi di architettura barocca della Vallagarina. Vi soggiornarono tra i tanti Francesco I e Maria Teresa d'Austria, numerosi altri imperatori e principi, oltre ad intellettuali ed artisti tra i quali W A. Mozart, nei suoi numerosi viaggi e soggiorni italiani. ... Palazzo Angelini e palazzo de Gresti rappresentano ancora oggi le vestigia di un passato ricco di fascino e di significati storici legati in particolare all'epoca dei velluti, quando Ala assunse al titolo di vera e propria "città". La struttura attuale di Palazzo Angelini risale al '600 anche se il nucleo originario risale al XV secolo quando la struttura formava un unico complesso abitativo con l'adiacente palazzo de Gresti e l'edificio fronteggiante, ornato dalla settecentesca fontana del Mosè. Due lapidi ricordano che il palazzo ospitò importanti personaggi in viaggio tra l'Italia e l'Europa: Carlo V (1541- 1543), Massimiliano Il (1548), Carlo VI (1711). Giuseppe II, durante una visita alle fabbriche di velluti Angelini esaudì le richieste dei vellutai, diminuendo la tassa di esportazione e concesse ad Ala il titolo di "città". Palazzo de' Gresti, lungo l'antica via Carrera, è invece un esempio interessante dì architettura tardo-barocca con un facciata dai lineamenti essenziali impreziosita da un maestoso portale settecentesco. Gli interni riassumono i tratti di un passato nobiliare con legni intarsiati, stucchi, ricche decorazioni e le pitture di Gresti. Il palazzo, sede nel '600 e nel '700 della giurisdizione civile del Vicariato e residenza del Capitano di Giustizia, era collegato alle prigioni attraverso un passaggio che attraversava via Carrera».
http://www.comune.ala.tn.it/Citta/Conoscere-Ala/I-Palazzi-amati-da-Mozart - ...I-Palazzi-della-nobilta-alense
«Con la torre di Santa Margherita ci troviamo di fronte a quanto rimane di un ospizio fortificato del Duecento, un tempo costituito da dormitori per monaci e pellegrini, da maso e stalle, da servizi cucina e magazzino e dalla chiesa. La torre fungeva quale elemento di difesa per questo insieme di edifici isolati ed esposti a tutti i pericoli dell´epoca, come ladri, incursioni barbariche, incendi. Già verso il Trecento, comunque, l´ospizio in quanto tale venne soppresso e in seguito la struttura fu incorporata ai beni del Seminario vescovile di Trento. Come spesso accadde nell´Ottocento, gli edifici vennero smantellati per far posto a nuove strutture, mentre la torre sopravvisse grazie alla sua trasformazione in campanile, quello che oggi vediamo staccato dal corpo centrale della grande chiesa. La struttura in pietra va assottigliandosi verso l´alto, facendo risaltare la primitiva porticina d´accesso, che risulta sopraelevata al piano del suolo».
Aldeno (Castello delle Flecche, torre civica)
«Adagiato nella valle dell'Adige, il paese sembra sia stato abitato già durante il Neolitico Medio; tuttavia notizie certe si hanno circa la romanizzazione del territorio in epoca imperiale, quando la Val Lagarina era percorsa dalla Via Claudia Augusta Padana. Aldeno fece poi probabilmente parte dei domini del Ducato longobardo di Trento; ma certamente il tratto più caratteristico della storia di Aldeno resta l'appartenenza al Comun Comunale, sorta di consorzio che venne a riunire, al fine di gestire al meglio il grande patrimonio di terre incolte e boschi comuni, i villaggi precedentemente inclusi nella comunità della Pieve Lagarina; tale "istituzione" ebbe vita incredibilmente lunga e fu soppressa solo all'inizio dell'Ottocento. Ancora oggi tale periodo storico viene rivissuto attraverso l'iniziativa "Il Comun Comunale: i giochi e la regola" dove si può assistere, tra maggio e giugno, a cortei storici in costume dell'epoca, a concerti, balletti e rappresentazioni storiche in palazzi, castelli medioevali e corti contadine. Tra i monumenti più antichi sono da segnalare il Castello delle Flecche, cinquecentesca dimora della famiglia aldenese Brolio; la Torre Civica, unico elemento superstite della chiesa di S. Zeno (XVI-XVII secolo) demolita nel Settecento e al centro del paese, la chiesa parrocchiale di S. Modesto (1776) nella cui piazza adiacente ogni lunedì mattina si svolge un piccolo ma pittoresco mercato».
http://www.comune.aldeno.tn.it/vivereAldeno-14-Cenni_storici.html
Arco (Castello di Arco o Castellino)
a cura di Luca Baradello
Arsio (casa Corazzi, resti del castello o Castel Fava o Castello Superiore di Cloz)
«Ogni paese ha un piccolo gioiello da mostrare, un palazzo, una chiesa o un antico castello. Ci fermiamo ad Arsio, un piccolo centro abitato nei pressi di Brez, che conserva due preziosi palazzi nobiliari cinquecenteschi: Castel Freieck o palazzo de Manincor detto anche “Casa Corazza” e Castel S. Giovanni» - «Il castel d'Arsio originario si trovava a monte delle Lavine blancje che sovrastano l'abitato di Traversara: è quello l'antico maniero, di cui restano solo poche tracce, citato nel documento del 1181. Nel secolo successivo, scomparsi gli antichi signori di Cloz, i d'Arsio furono investiti anche del castello di Cloz, chiamato castel Fava o castello superiore di Arsio, per distinguerlo dal castello inferiore o castello di s. Anna, dal nome della santa alla quale è dedicata la cappella attigua. Nel 1334, infatti, Nicolò d'Arsio aveva ottenuto l'autorizzazione da parte di Enrico re di Boemia e conte del Tirolo per la costruzione di un nuovo castello sul Doss alto, una piccola altura a sud ovest del villaggio di Arsio sulla destra della Novella. Dei tre castelli d'Arsio, il primo, anche in conseguenza del terreno franoso su cui era stato edificato, fu il primo ad essere abbandonato. Non si hanno notizie certe di quando ciò avvenne, ma il fatto che sia stato costruito un nuovo maniero può far pensare che il vecchio castello fosse inadeguato e cadente; non è da scartare, tuttavia, visti i tempi ed i personaggi in lizza, un evento militare. Infatti, nei primi anni del Quattrocento, in seguito ad un'errata alleanza con Enrico di Rottenburg, Federico conte del Tirolo, per punire Ulrico d'Arsio e parenti che si erano schierati contro di lui, distrusse i due castelli di Arsio, castel Fava e castel S. Anna e solo nel 1428 permise la ricostruzione di castel s. Anna. Da quel momento il castello superiore di Cloz andò inesorabilmente in rovina né fu mai ricostruito ed abitato. Nel 1561 Cristoforo d'Arsio acquistò pure castel Vasio, sull'altra sponda della Novella, in territorio vescovile: questo fu il quarto castello degli Arsio».
http://trentinomotoadventure.com/2012... - http://www.comune.brez.tn.it/index.php?macroarea=3&idpag=32&id=1164
Baselga di Pinè (Castel Belvedere o de la Mot, ruderi)
«Uno dei castelli più misteriosi del Trentino si chiama Castel Belvedere, o Castel de la Mot. Intendiamoci: nessun ponte levatoio, mura merlate, vessilli e finestre a bifora che fanno bella mostra di sé, almeno oggi, ma solo qualche accenno di muro in solida pietra, resto della cinta murata medievale, e il basamento quadrato, 7m x 7, della torre che, dicono, era altissima. Il castello fu abbandonato verso la metà del '300 e deve il suo nome alla posizione spettacolare su cui sorge: un dosso, detto appunto "De La Mot" (e questo la dice lunga sulla genesi del castello se avete letto i miei precedenti interventi sulle motte castellane) a mt. 1040 c.a. slm nel comune di Baselga di Pinè. La posizione, dicevo, è spettacolare e la vista dalla cima della torre era a 360° . Il castello era un crocevia ottico per segnalazioni e sorveglianza delle vie che da Trento portavano verso la pianura veneta e le valli contigue. Attraverso vari metodi, segnali di fumo, falò, specchi... Castel Belvedere poteva "dialogare" con una decina di fortilizi così che, pur senza il telefono, un allarme o un messaggio potevano raggiungere in breve distanze eccezionali visto che gli altri castelli, a loro volta, potevano comunicare con i "colleghi" di zone sempre più lontane. ... Castel Belvedere, dicevo, è misterioso: la sua atmosfera, quella del bosco in cui sorge, è intrisa di vicende oscure, di guerre, imprigionamenti, vescovi ivi nascosti e... castellani decapitati. Mi riferisco qui alla leggenda del tiranno Jacopino di Roccabruna che aveva talmente angariato i contadini con tasse di ogni tipo nonché la pretesa di prestazioni "in natura" delle contadinelle più avvenenti, sposate o meno, che un giorno gli esasperati popolani gli fecero un agguato e, mentre era a cavallo, gli tagliarono d'un sol colpo la testa. Il castellano senza testa sul suo destriero nero si dice si veda ancora vagare in quei boschi nelle notti tempestose... Al di là delle leggende, il castello fu conteso da varie fazioni dal 1250 al 1357. Fino al 1250 era feudo del Principe Vescovo di Trento che lo affidò alla famiglia Roccabruna di Fornace. Poi, quando il Principato Vescovile Tridentino entrò nelle mire ambiziose e senza scrupoli dei Conti del Tirolo, Castel Belvedere che restò fedele al vescovo, servì per ben tre volte da rifugio allo stesso (Egnone dei Conti di Appiano) il quale, nel 1255, proprio da Belvedere lanciò la terribile scomunica ecclesiastica ai suoi nemici. Comunque, pare che nel 1257 i tirolesi avessero avuto il sopravvento e spodestato l'antica famiglia Roccabruna (a cui apparteneva anche il tiranno Jacopino). Seguì un periodo misterioso nel quale non si accennò più, in nessun documento, di Castel Belvedere, fino a che, nel 1349, una spedizione armata di un esercito padovano dei Signori da Carrara invase la Valsugana e vari castelli locali distruggendoli o impossessandosene. Fu questa la sorte dei castelli di: Selva, Pergine, Roccabruna di Nogarè e Belvedere appunto. .... Immediatamente sotto il dosso del castello c'è tuttora un fabbricato eccezionale: il maso Burgstall, ovvero le antiche stalle del castello che ancora sono rimaste in piedi al centro di un bellissimo paesaggio agreste e boschivo. Il maso, detto "della Purga" per evidente deformazione italianizzante del nome originale, pare sia costituito in parte con le pietre dell'antico castello. Oltre ai cavalli vi soggiornavano gli stallieri ed i vari ragazzi di stalla».
http://www.ricercastorica.it/blog-associazione/castello-belvedere-pine-trento-leggenda-senza-testa.html (a c. di Fabio Garaventa)
a cura di Marta Tinor
Le foto degli amici di Castelli medievali
Bleggio Inferiore (Castel Restor)
«La torre duecentesca è quel che resta della fortezza posta dai d'Arco a controllo della strada che andava al Passo del Duron Assieme al castello di Spine (Castel di Riga) rappresentò una delle principali basi di penetrazione in Giudicarie Esteriori della nobile famiglia e nel contempo una delle roccaforti delle guerre contro i Campo e i Lodron. La prima notizia relativa a Castel Restór risale al 1265, anno in cui il principe vescovo di Trento Egnone di Appiano concesse in feudo a Federico d’Arco il Dosso della Vedova. Con quest’atto il presule permise di costruirvi un castello per proteggere dai pericoli esterni la popolazione della zona. La fortificazione, oggi nel comune del Bleggio, sorse in un territorio di fondamentale importanza per il collegamento tra il Banale, le Giudicarie, il Lomaso e il Basso Sarca. Durante gli anni di guerra tra Venezia e Milano il Trentino occidentale divenne teatro di continue e feroci battaglie. In questo contesto, Castel Restór venne dapprima occupato dal Gattamelata, capitano della Serenissima, più tardi espugnato e distrutto da Paride Lodrón. Una volta ricostruito, mantenne le sue funzioni difensive fino al XVIII secolo, quando venne trasformato in casino di caccia. Castel Restór doveva presentarsi originariamente con un impianto piuttosto simile alle altre fortificazioni dei conti d’Arco, quali Drena e Castellino: una torre quadrangolare circondata tutt’intorno da una cinta muraria curvilinea. Oggi si presenta allo stato di rudere, nonostante se ne possa ancora apprezzare la possente torre» - «Castel Restor, con la sua pallida torre di granito, domina l´intera conca delle Giudicarie Esteriori. Le prime notizie risalgono agli inizi del 1265, quando il principe vescovo di Trento Egnone donò a Federico d´Arco questo luogo, autorizzando la costruzione di una fortezza. Ricevendo il feudo Federico d´Arco si obbligò a ospitare e a dare asilo alla popolazione del Bleggio, se in pericolo. Nel 1298 il castello, pienamente funzionante, è sede giudiziaria nonché residenza di un vicario comitale. Più propriamente è, però, avamposto fortificato strategico e saliente occidentale dell´espansione dei d´Arco, contrastata dalla nobiltà giudicariese dei signori Campo e dei Lodron che, nella prima metà del XIV secolo, riescono ad occupare il castello. Nelle sue alterne vicende non manca di essere rifugio di soldataglie bandite, dedite a saccheggi, rapine e vessazioni, che saranno all´origine di leggende e racconti. Nel tardo Quattrocento e nel Cinquecento Restor, come Castel Spine, si configura come polo di gestione fondiaria saldamente in mano alla famiglia d´Arco, capace di controllare proficuamente servi, terreni, prodotti e derrate annualmente accumulati in spazi appositamente ricavati e arredati nell´area del castello».
http://www.visittrentino.info/it/cosa_fare/da_vedere/dettagli/dett/castel-restor - http://www.tiscover.com/it/guide...
Bondone (Castello San Giovanni)
«Castel San Giovanni sovrasta il lago di Idro delle Giudicarie e fu il punto di controllo del sistema viario tra il Chiese e il Garda. Sulla strada che porta da Baitoni a Bondone si trova il bastione naturale su cui fu costruito il castello S. Giovanni, proprietà per secoli della potente famiglia Lodron, che dominò la valle prima di espandersi nel resto del Trentino, in Austria e in Baviera. Con il passare del tempo e a causa degli eventi il castello è decaduto ma è rimasto a testimoniare un passato glorioso. La prima menzione documentaria relativa al castello di San Giovanni pare risalire al 1086 quando viene citato un castrum de summo lacu. La posizione su uno sperone roccioso a picco sulle acque del Lago d’Idro suggerisce l’identificazione del castrum proprio con il castello di San Giovanni. Posto a controllo dell’imboccatura delle Valli Giudicarie, delicata area di confine dei domini vescovili tridentini e feudo dei Lodrón, dal XIII secolo, rimase in mano alla potente casata ininterrottamente fino al Novecento, eccezion fatta per una breve occupazione da parte delle truppe milanesi del Piccinino nel XV secolo. Negli anni Cinquanta del XX secolo venne acquistato da nuovi proprietari che vi avviarono notevoli lavori di restauro. Come per altri castelli della Valle del Chiese amministrati dai Lodrón, l’elemento militare prevale nettamente su quello abitativo-residenziale. Ne è prova che con l’avvento della polvere da sparo, si provvide ad ammodernare il complesso, trasformato in una piccola fortezza rinascimentale. Costruito utilizzando il granito proveniente dalle lontane cave di Daone, il castello cadde in rovina per la continua spogliazione cui fu sottoposto da parte della popolazione, ansiosa di impadronirsi di pregevole materiale da costruzione. Oggi il castello di proprietà del Comune di Bondone si presenta in ottimo stato di conservazione: i recenti restauri hanno permesso di riportarne alla luce l’antica fisionomia. Come arrivare: raggiungibile solo a piedi attraverso la passeggiata su strada sterrata che parte dal parcheggio (15 minuti), o il sentiero che parte da Baitoni, in prossimità del parcheggio in loc. Miralago (20-30 minuti)».
Borgo Valsugana (Castel Telvana)
«Situato in posizione panoramica sopra la storica cittadina di Borgo Valsugana, Castel Telvana domina la valle in tutta la sua estensione. La storia di Castel Telvana si fonde con quella di Borgo Valsugana, l'antica Ausugum, poi Borgum Ausugi, importante roccaforte romana a presidio della Via Claudia Augusta Altinate. È raggiungibile percorrendo una suggestiva stradina medievale, detta sentiero dei castelli, che parte dal centro storico di Borgo, passa sulle pendici del monte Ciolino, per arrivare fino al retro del Castello da dove si può ammirare tutta la Valsugana. Il nucleo primitivo del Castello, risalente al XIII sec., si raggruppa attorno a una singolare torre di vedetta quadrata di appena 5 m. per lato, che tocca i 26 m. di altezza. Interessante la sua angolazione, analoga a quella della rocca superiore di Arco: le diagonali, infatti, sono una parallela e l´altra perpendicolare alla direzione della valle. Secondo un primo documento il Castello fu distrutto dai Franchi nel 590, mentre altre fonti ne parlano nel Tardo Medioevo. Nel 1665 venne bruciato e poi risistemato e destinato a residenza baronale. Due ordini di cortine lo proteggevano: una, alta, fungeva da appoggio alla guarnigione; l´altra, più bassa, era una postazione per le batterie di difesa. Non visitabile internamente».
http://www.visittrentino.info/it/cosa_fare/da_vedere/dettagli/dett/castel-telvana
Bosco di Civezzano (resti di Castel Bosco)
«La piccola frazione di Bosco di Civezzano, a una decina di km da TN a 800 mt slm, è dominata da un dosso che fu frequentato fin dalla tarda Età del Ferro. Ad una data imprecisata fra il sec. XI e l'inizio del XII, vi fu eretto un castello di modeste dimensioni che aveva la funzione di controllo stradale delle vie minerarie che furono sfruttate a fondo dai principi vescovi di Trento. Il castello, che si chiamava "Bosco", derivava probabilmente da quello della famiglia a cui fu affidato. Ma, forse, abbiamo anche qui a che fare con un dilemma non infrequente nella storia dei castelli medievali: il loro signore assunse il nome dal luogo da esso dominato o viceversa? Nel 1187 infatti, data del primo documento in cui si menziona Castel Bosco, lo si caratterizza come castello comunitario o consortile fra cui spiccava il nome di Pietro di Riprando di Civezzano, detto poi "di Bosco". Questi fece una mossa astuta: regalò la sua parte al vescovo di Trento il quale, di conseguenza, lo infeudò di tutto il castello che divenne così un castello "di famiglia", per quanto ancora saldamente collegato alla comunità di Bosco di Civezzano. Il castello rimase ai Da Bosco fino al 1260 quando per motivi ignoti viene affidato alla famiglia Roccabruna di Fornace (TN). Riguardo alla struttura di questo piccolo castello di montagna, pare che attorno ad una "platea" (piazza) comune, vi fossero vari edifici di servizio, uno di abitazione signorile ed una torre. Quando parliamo di "edifici" non si pensi al castello del principe azzurro ma a solo a qualche struttura di legno o, in certi punti, di buona pietra lavorata, atti ai servizi ordinari del castello, niente di sfarzoso. Del castello, oggi non si vede quasi più niente, se non qualche tratto di muro qua e là semisommersi dal bosco selvaggio. Si vede anche la base di una torre quadrangolare fatta in fortissimi blocchi di pietra squadrata di mt. 5x3 ed elevantesi mt. 1.80 dal terreno. Due lati sono legati a malta ed altri due a secco con blocchi lavorati. Si intuisce anche l'imposta di un locale a volta. Sondaggi di pulizia in superficie o nell' immediato sottobosco effettuati col metaldetector hanno restituito nei decenni scorsi un gran numero di punte di freccia e qualche moneta medievale del XII e XIII secolo nonché chiavi molto belle, ferri di cavallo e frammenti di brocche in ceramica grezza. Purtroppo il dosso è stato messo sottosopra, nei decenni scorsi, da veri e propri predatori che non ebbero nessun rispetto delle necessarie precauzioni e limitazioni: si trattava di avidi cercatori di tesori provenienti dal Veneto e dalla Lombardia, nonché anche nostrani, i quali così facendo hanno contribuito a gettare una pessima luce sull' uso scientifico e utile del metaldetector. Sulla base delle poche tracce rimaste sul terreno, è anche stato possibile disegnare un'ipotetica ricostruzione del castello quando era in piena efficienza. Ruderi e dosso, oggi, sono in totale abbandono».
http://www.ricercastorica.it/blog-associazione/castel-bosco-civezzano-trento-metal-detector.html
«La Rocca di Breguzzo sorge su di uno sperone di roccia che emerge isolato dalla ripida costa boscosa a nord ovest di Breguzzo. La vista è amplissima e spazia dalla Busa di Tione al Gruppo di Brenta, da Breguzzo e Bondo a Gavardina ed all'alta Valle del Chiese facendone una posizione ideale per il controllo del territorio e della sottostante strada romana detta ancor oggi sentér de la sémeda. Questa strada collegava la Valle del Chiese con la Busa di Tione e, quindi, con la Val Rendena e le Valli di Non e di Sole, con Riva del Garda attraverso il Passo del Durone e con Trento attraverso Stenico e Toblino per l'antica via detta di San Vigilio. Dalla Rocca si potevano agevolmente sorvegliare le fortificazioni della zona a partire da Castel Stenico, dal Castello di Zuclo (ricordato anche come Torre Romana) dalla Bastia di Baticler o Bastia di Tione, popolarmente bus de la bastia in quanto sita in caverna, fin verso Castel Romano. Tra questi luoghi, se in mani amiche, erano possibili scambi di segnali luminosi o, in caso contrario, il controllo a vista dei movimenti degli avversari o dell'arrivo di invasori. Comunque, in base a quanto si è detto, la Rocca aveva principalmente la funzione di quello che i tedeschi chiamano "Burgstrasse" ossia castello di strada, di particolare rilevanza in epoca tardo antica e medievale. Vi si saliva per un sentiero ripido, stretto e malagevole, con il fondo a tratti pavimentato con lastre di pietra per consolidarlo, che partiva dalla località "Capelina" di Breguzzo e passava per il "Maso". Sul piano sommitale, a 1.102 metri sul livello del mare, seminascoste da macerie, dal manto erboso e da una folta vegetazione arbustiva ed arborea, si possono intravedere le vestigia del fortilizio. L'edificio era a forma trapezoidale con i due lati minori misurati rispettivamente 8 e 15 metri mentre i lati maggiori sono entrambi di circa 37 metri. Nell'angolo di nord ovest le evidenti tracce del mastio il cui basamento è costituito da conci di granito, come le altre murature, dello spessore di circa 50 centimetri. Sotto il mastio si nota un locale profondo circa tre metri, ingombro di detriti; si racconta che ancora qualche decina di anni fa, gettando dei sassi nella botola, se ne sentiva per molto tempo il caratteristico rumore che fanno rotolando. Sarebbe stata questa una riprova della esistenza di un leggendario sistema di gallerie scavate nella viva roccia che avrebbero collegato la Rocca al sottostante dosso del Castello e questo con la zona allora di aperta campagna a sud del paese di Breguzzo. Qui all'inizio del secolo, durante gli scavi per la costruzione di una casa, sarebbero stati ritrovati i resti di una galleria in gran parte franata.
Tornando alla pianta della fortificazione, si notano, oltre al mastio, i locali adibiti ad abitazione e deposito mentre non vi sono più tracce di tratti di muro specialmente sul lato est che è quello dove il terreno precipita quasi verticalmente verso la valle formata dal torrente Amò. Nel complesso la costruzione si allunga secondo l'andamento orografico, protetta ad est dal precipizio e ad ovest dalla ripida montagna. La Rocca doveva far parte di un piccolo ma ben congegnato sistema militare che faceva perno su di lei ma si protendeva in direzione nord con la Bastia o Rocchetta, presso l'attuale bacino della centrale elettrica, e poi avanti ancora in comune di Tione, con la Via di Alta Guardia popolarmente sentér dele guardie alte che serve la località Cengli di Alta Guardia postatra i prati di "Castel" a monte ed il sentér de la semeda a valle. L'esistenza di questo sistema appare evidente in tal une delle battaglie sostenute dai Lodron per non essere cacciati dalla Rocca. Questo complesso controllava da monte il sentér de la semeda che però, in tempi antichi, era anche sorvegliato dal basso dalle posizioni del dosso del Castello, vicino al paese di Breguzzo, e di guardie. Oltre agli scopi militari, pare che la Rocca sia stata anche utilizzata, specialmente nei lunghi periodi in cui è stata in possesso dei Lodron che si erano abituati a considerarla come una loro dipendenza, come sede di villeggiatura estiva e base per le partite di caccia. Gli uomini dei Lodron risiedevano con le loro famiglie a Breguzzo ed a Bondo e non è da escludere che molti fossero anche di questi paesi. Probabilmente i Lodron, con la loro corte di armigeri e di servi, sono stati tra i maggiori "datori di lavoro" nella nostra zona in epoca tardo medievale. La località, oggi come in passato, viene ufficialmente denominata La Rocca mentre il popolo, in modo più preciso, la chiama castèl de la ròca distinguendo il castello, come fortilizio, dalla rocca come oggetto geografico ossia come lo spuntone roccioso su cui sorge il castello. Per i Romani "castellum" era un'opera fortificata di ridotte dimensioni spesso corrispondente ad una "statio", stazione o posto di guardia stradale. Il primo documento scritto alla Rocca di Breguzzo risale al 1230 e concerne l'investitura della stessa ai conti d'Arco da parte del Principe Vescovo di Trento che della Rocca è sempre stato l'assoluto Signore».
http://www.comune.breguzzo.tn.it/storia_04.php
Brentonico (Castel Sajori, ruderi)
«Castel Saiori Brentonico è affacciato sulla Valle dell´Adige. Il castello faceva parte, insieme alla fortezza di Serravalle a Castel Chizzola, di un temibile sistema difensivo; lo affiancava il Castello di Dosso Maggiore, più specifica protezione dell´Altipiano di Brentonico. Difficile la lettura degli ambienti, ad esclusione dell´immancabile perimetro del mastio nel punto più elevato della fortificazione e i resti della vicina cisterna. Di proprietà dei potenti Castelbarco, andò in mano ai Veneziani, agli Asburgo, e via via fino all´avanzata dell´esercito francese di Vendome. Durante la Prima Guerra Mondiale venne smantellato per la costruzione di nuovi baluardi. Ruderi. Accesso: a piedi (1 ora) da Saccone o da Ere, frazioni di Brentonico».
Brentonico (Castello di Dosso Maggiore, ruderi)
«Per quanto riguarda l´origine del Castello di Dosso Maggiore le ipotesi relative sono inesauribili. Il castello è ancora visibile assieme a Castel Saiori sull´Altipiano di Brentonico. I pochi ruderi riportano indietro alle citazioni di Paolo Diacono, evocatore dell´invasione dei Franchi (590) e dei Longobardi; ma ancora prima c´è chi pensa alla "arx" pre romana, al castelliere retico. Le date si fanno certe attorno al XIII secolo quando, sotto gli immancabili Castelbarco, iniziò a ricalcare le vicende comuni a quest´area meridionale del Principato. Da segnalare la sua felice posizione di feudo sotto i nobili Madruzzo. Accesso: a piedi in 10 min. da Brentonico, seguendo un sentiero che parte dal campo sportivo».
Bresimo (Castello di Altaguardia, ruderi)
«Dai suoi 1280 metri , il Castello di Altaguardia, il più alto dei castelli trentini, offre sicuramente il panorama più bello e suggestivo sul lato nord della Val di Non. I pochi ruderi rimasti dell’antica fortezza donano allo scosceso crinale su cui il castello si arrocca un’aura magica e romantica al tempo stesso. Il Castello di Altaguardia deve il suo nome proprio alla sua posizione strategica sulla costa ovest del “Monte Pin” da cui svolgeva una funzione di controllo sul fondo valle. Il castello medievale, la cui testimonianza più antica risale al 1218, sebbene le sue origini si perdano nel X secolo, fu costruito sulle rovine di un castelliere preistorico divenuto poi probabilmente torre romana di avvistamento. Inizialmente di proprietà della famiglia Livo, passò ben presto nelle mani dei Thun dai quali, nel corso dei secoli, fu utilizzato più come simbolo di prestigio che come vera e propria residenza. Colpito da numerosi incendi e rivolte contadine (da ricordare in particolare le devastazioni del 1407), il castello venne definitivamente abbandonato a partire dal XVIII secolo cadendo inesorabilmente in degrado. Recentemente riscoperto, il Castello d’Altaguardia è stato restaurato ed oggi è raggiungibile, in circa 45 minuti, attraverso un comodo sentiero imboccabile presso il Rio Castello sulla strada che porta a Bresimo, poco prima della frazione di Baselga. Prima di arrivare al castello si scorge Castel Basso, l’antico maso dei Thun, oggi ristrutturato e sede di un moderno centro di formazione eco-sostenibile» - «Il castello di Altaguardia si trova nella valle di Bresimo, un tempo importante via d'alta quota che collegava la valle di Non con la valle d’Ultimo. Le prime notizie indirette sul maniero risalgono al 1272 quando il principe vescovo Egnone concede in feudo il dosso di Fravigo a Remperto di Altaguardia e Livo affinché lo edifichi con la costruzione di magazzini ed ambienti destinati ad uso agricolo; si tratta probabilmente di un complesso rurale sorto alle dipendenze del castello soprastante. I signori di Altaguardia oltre al fortilizio detengono il controllo sulle miniere della Valle di Sole e riscuotono proventi anche nel territorio di Livo; tuttavia il loro dominio si estingue sul finire del Trecento ed il castello passa ad Antonio di Sant’Ippolito. Come altre fortificazioni della Valle di Non, durante l’insurrezione contadina del 1407, il castello di Altaguardia viene attaccato ed incendiato e benché lo stesso vescovo Giorgio di Liechtenstein ne avesse proibito la ricostruzione, a partire dal 1420 figura tra i possedimenti dei Thun che ivi risiedono. Del castello oggi si conservano solo alcuni ruderi: una torre quadrangolare, una cisterna, un forno, una serie di ambienti con funzioni di servizio e residenziali che si snodano all’interno di più cortine murarie concentriche. ».
http://www.comune.bresimo.tn.it/Territorio... - http://www.trentinocultura.net/iniziative/vacanza_castello_altaguardia_2013_h.asp
«Il monumentale Maso Curio, documentato agli inizi del XIV secolo, testimone della pregevole architettura rurale rendenese, ci apre all'ampia ed omonima zona agricola. L'intero fabbricato ha volutamente mantenuto la sua originaria funzione legata all'allevamento del bestiame praticato ancor oggi secondo le modalità tradizionali. Un campionario di estremo interesse delle tradizionali tecniche di lavorazione del legno ravvisabile nell'enorme struttura che ha saputo resistere nel tempo più del cemento. L'edificio presenta uno zoccolo in muratura sormontato da una armoniosa struttura in legno, con un rustico porticato sostenuto da gigantesche colonne di larice poggiate su pietre di granito. Il tetto è a capanna, coperto di scandole, mentre i pavimenti delle stalle e del porticato sono in acciottolato. A fianco della struttura principale si trova la casina per la conservazione del latte, la casera e due fontanelle. Sotto il porticato si aprono le porte delle stalle, ancor oggi utilizzate per il ricovero del bestiame, l'ultima a destra era invece l'ingresso della dimora. Al primo piano c'è il "tablà", munito di apposito foro nel pavimento "la finera" per far scendere il fieno direttamente nella stalla. Nel sottotetto si allarga il "plisat" dove si conserva il foraggio ed il grano. Il Maso è stato più volte oggetto di restauri conservativi. L'affresco sacro della facciata orientale, ormai logorato dal tempo, riporta la data della ricostruzione 1537 e rappresenta Sant'Antonio Abate, protettore degli animali e Santa Barbara protettrice dagli incendi, qui rappresentata con il maso che brucia colpito dalla folgore. Le colonne di larice che reggono il portico e parecchie travi del medesimo recano, infatti, le tracce del fuoco e i tagli delle accette che vi hanno asportato le parti compromesse dalle fiamme».
http://www.caderzone.net/lang/IT/pagine/dettaglio/territorio,10/maso_curio,14.html
Caderzone (palazzo Lodron-Bertelli)
«Passeggiando nel centro storico si scoprono angoli suggestivi: le ripide stradine lastricate in acciottolato di fiume, le piazze con le caretteristiche fontane di pietra, gli ampi avvolti al pianterreno delle case, i portali in granito, i balconi in legno pieni di fiori. Anche le case ci parlano e narrano vecchie storie e leggende. I vicoli che partono dalla chiesa e si dirigono verso la parte alta del paese ci conducono nell'area storica denominata «alle torri«, dove sorge lo storico Palazzo Lodron-Bertelli. Il Palazzo Lodron-Bertelli risale agli inizi del XIV secolo, ed è coevo a «Maso Curio« con cui condivide le tecniche costruttive e le espressioni architettoniche. Queste due costruzioni sono il punto di riferimento più remoto per la lettura e la comprensione della storia dell'architettura rustico-rurale della Val Rendena. Sul lato a valle di questo possente Palazzo don Gian Giacomo Bertelli nel 1677 nel locale dell'armeria realizzò la cappella gentilizia dedicata a Sant'Antonio Abate in onore del padre Antonio. L'iscrizione sopra la porta d'ingresso lo ricorda: Sacellum Fam.Cmtis Bertelli / Divio Antonio Patavino / Dicatum Anno Domini 1677. All'interno del piccolo vano spicca l'altare di legno dorato, fatto fare da Gian Giacomo, curato di Sopracqua, nel 1677. Alla sinistra troviamo la Madonna del dito (così chiamata perché tiene un lembo del mantello col dito), a destra il volto di Cristo incoronato di spine. Il 4 novembre 1976 un furioso incendio distrusse completamente la parte lignea delle scuderie, preservando fortunatamente la parte più significativa e rara, costituita da un pilastro di circa 60 cm di diametro, appoggiato su una pietra-plinto in tonalite e ad un grande trave in castagno (45 cm circa) che sorregge tutto il solaio ligneo del portico esposto a sud. Le ex-scuderie del Palazzo Lodron Bertelli. Nel corso di questi ultimi anni le ex-scuderie del Palazzo Lodron Bertelli sono state interessate da un grande lavoro di restauro che, data la maestria con cui è stato eseguito, le ha riportate agli antichi fasti, dando al paese una meravigliosa sala polifunzionale. Proprio per la sua polifunzionalità e vicinanza alla zona del nuovo centro termale (dista infatti da questo pochi metri) tale edificio è destinato a svolgere un ruolo di primo piano sia per quanto riguarda l'aspetto urbanistico sia per l'aspetto prettamente organizzativo. Le ex-scuderie già destinate a «Casa comunale della cultura« sono costituite da un'ampia sala superiore, utilizzabile come centro convegni e, nella parte inferiore dell'edificio, da più sale congiunte caratterizzate da mirabili avvolti in granito che ospitano il Museo della Malga. Quest'iniziativa si inserisce ottimamente nell'ottica del complesso termale in quanto il cliente, oltre a godere dei benefici delle cure, potrà arricchire il proprio bagaglio culturale con nuove conoscenze. Lasciando il Palazzo Lodron-Bertelli si segue via Prati scendendo tra rustiche case affrescate e costeggiando il lavatoio detto il lavandino al re a richiamare la parola rio (ruscello)».
http://www.caderzone.net/lang/EN/pagine/dettaglio/territory,10/in_paese,12.html
«Sul Dosso del Castelaz, sono presenti ruderi del castello medioevale eretto intorno ad una torre d’avvistamento romana, nell’area sono stati rinvenuti reperti romani ( monete) e tardo romani. A controllo della strada proveniente da Dres, che passa sotto lo spuntone roccioso, si trova il Ponte romano detto della Pila, ormai quasi sempre sommerso dal lago artificiale di S. Giustina. La favorevole posizione dello sperone roccioso, non perse mai la sua importanza strategica nel passato, così nell’Alto Medioevo ebbe la ventura di divenire sede di uno dei castelli più fieri ed imprendibili dell’Anaunia, retto dalla famiglia dei Conti di Cagnò. Il castello oggi quasi raso al suolo dall’incuria, dal continuo deposito di inerti e dalla crescita selvaggia di arbusti, presenta comunque una possibilità di lettura, sufficiente a capirne l’antica struttura. Un rilievo metrico eseguito il 28 dicembre1995 ha permesso di individuare alcune tra le murature portanti, negli anni seguenti la parte ad est ha subito diversi riempimenti con materiali inerti di risulta, che hanno modificato l’aspetto originario verso il ponte. Il confronto della pianta rilevata, con l’incisione di Johanna von Isser Grossrubatscher indica l’ipotesi di una torre mastio nel primo corpo a sud, confermabile anche dal disegno del Grubhofer pubblicato in “Der Adel des Nonsberges” da C. Ausserer nel 1899; dove si vede bene lo sperone roccioso, l’arco bugnato in pietra del portale a nord-est ed il moncone del mastio. Solo dopo una ripulitura dell’area si potrà confermare la presenza di muri di vario spessore, che daranno esatta posizionatura e ruolo agli edifici interni ed esterni. Il contesto rilevato allo stato attuale indica due corpi distinti e la cisterna esterna ad essi. Ciò conferma il documento del 1365 “Viene investito dei vecchi feudi e della torre del castello Francesco di Filippo”. Dal testo si capisce che l’edificio era in due parti distinte (Cod. Cles. II)”. Quello del 1391 invece fa dedurre che esisteva una sola torre, contro le affermazioni di molti che vogliono la presenza di due torri: “il castello era diviso in due parti (Francesca ebbe il palazzo e Leonardo la torre)”».
http://www.visitvaldinon.it/documenti/Depliand/GiriInArte/giridarte.pdf
Calavino (castello di Toblino)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Noto per le leggende romantiche e per le oziose vacanze della corte vescovile, Castel Toblino rappresenta un raro esempio in Trentino di fortificazione lacustre. Fu probabile castelliere preistorico, quindi romano, su un isolotto del lago, che, causa l'abbassamento delle acque, divenne penisola. Una lapide, importante per la sua rarità epigrafica (murata nel portico del castello) attesta che qui, nel III secolo, esisteva un tempietto dedicato al culto dei Fati (relativo alla tribù dei Tublinates?). Ben presto l'originaria funzione religiosa, venne sostituita da quella militare-strategica. Nel XIII secolo i Signori di Toblino vengono esautorati dai Signori di Campo, dell'omonimo castello giudicariese. In seguito, il castello fu incamerato dalla Chiesa di Trento (1459) e il cardinale Bernardo Clesio lo fece rifabbricare (1536 - 37) secondo il gusto proprio delle residenze castellane del Rinascimento: vi lavorarono anche alcuni fra gli artisti operanti nel Magno Palazzo del Castello del Buonconsiglio a Trento. Gli elementi cinquecenteschi predominanti sono dovuti alla successiva trasformazione (porticato e loggiato del cortile, archi a tutto sesto) voluta da Gian Gaudenzio Madruzzo. Dell'impostazione medievale s'individua la muratura a ponente (3 m. di spessore) e la torretta a nord - ovest dell'attuale perimetro. La torre cilindrica, quasi emblema del castello, si sviluppa per un'altezza di 20 metri, tanto da essere considerata un vero mastio, a rafforzamento del recinto che chiudeva la sommità dello scoglio fortificato. Nel 1703 subì la sfortunata sorte di tutti i castelli della Valle del Sarca posti lungo la direttrice delle truppe di Vendôme; nel 1848 fu caposaldo degli sfortunati Corpi Franchi; infine, per via di matrimoni, arrivò ai Wolkenstein. Lanciato turisticamente agli inizi di questo secolo, sfruttando il richiamo del Vino Santo e una leggenda di amori proibiti che vide protagonista l'ultimo erede dei Madruzzo, Carlo Emanuele, ha impressionato i viaggiatori d'ogni tempo. Descrissero tale atmosfera incantata personaggi della letteratura come Antonio Fogazzaro, Ada Negri, il poeta tedesco Scheffel».
http://www.comune.calavino.tn.it/territorio/castel-toblino
«Castel Caldes è una casa-torre eretta nel 1230 per volontà della famiglia Cagnò e trasformata in residenza a metà del Quattrocento. Nel 1464, infatti, il castello venne donato alla famiglia Thun che fece incorporare l’antico mastio ad un complesso residenziale a pianta quadrata. Agli inizi del Seicento l’edificio venne ulteriormente ampliato aggiungendo la piccola torre a nord. Passato in mano ad una famiglia locale nell’Ottocento, oggi Castel Caldes è proprietà della Provincia Autonoma di Trento, che si è occupata del suo restauro, e d'estate ospita spettacoli ed eventi culturali. Situato nell’omonima borgata in Val di Sole, Castel Caldes ha l'aspetto di una grande casa signorile più che di una fortezza. La sua architettura risente delle influenze tardogotiche delle residenze nobiliari fortificate delle zone alpine, nonché delle modifiche apportate nel corso dei secoli, che hanno via via eliminato la cinta murata, il cavalcavia per il ponte levatoio e i baluardi esterni. Si tratta comunque di un castello di grande importanza proprio perché il suo particolare aspetto architettonico testimonia l’incontro di tre culture diverse (veneta, lombarda, tedesca). Gli interni di Castel Caldes, a seguito dell’opera di restauro, appaiono oggi in tutta la bellezza di pareti con affreschi e rivestimenti in legno e soffitti a volte, tra cui si distinguono la stanza del conte e la sala da ballo. Nella stanza affrescata detta "la prigione di Olinda", al piano superiore della torre, si narra sia stata segregata dal padre la leggendaria castellana Olinda, per impedirle di sposare il menestrello di cui era innamorata. Pare, inoltre, che gli affreschi di questa stanzina siano proprio opera della sfortunata fanciulla. Degna di nota anche la chiesetta della Beata Vergine Maria risalente al Cinquecento. Apertura: Castel Caldes è aperto al pubblico in occasione di eventi organizzati dal Comune di Caldes. Contattare il Comune e l'APT Val di Sole, Pejo e Rabbi per il programma aggiornato degli eventi».
http://www.dolomiti.it/it/trentino/caldes/approfondimenti/castel-caldes/
Le foto degli amici di Castelli medievali
«L'origine esatta di Castel Pietra non è databile ma già nel XII secolo alcuni documenti citano "la Pietra", appellativo dato dagli abitanti del luogo al castello. Il nome richiama i macigni caduti in tempi remoti dal sovrastante Cengio Rosso, sui quali il maniero è stato costruito ed ampliato nei secoli, come avvenne per la parte gotica nel XIV secolo. Diversi stili convergono nella struttura, ma è evidente al primo sguardo che la finalità è la difesa ed il controllo del territorio. L'importanza storica di Castel Pietra deriva soprattutto dalla posizione strategica: qui il fiume Adige formava una grande ansa e la Strada Imperiale passava nel punto più stretto della Vallagarina. Per molti anni e fino alla sconfitta definitiva di Venezia nei primi anni del XVI secolo il castello si è trovato al confine tra il Tirolo e la Repubblica di Venezia. La famosa battaglia di Calliano del 10 agosto 1487 in cui le truppe veneziane comandate dal generale Sanseverino furono pesantemente sconfitte fu solo una di una lunga serie di combattimenti che vide Castel Pietra come protagonista. Il "murazzo", un possente muro che dal castello arrivava fino alla riva del fiume, bloccava il passaggio e solo dopo aver pagato il dazio si poteva passare dall'enorme portone che si trovava nel mezzo del muro. Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, Castel Pietra fu teatro di importanti battaglie combattute tra i francesi di Napoleone e gli austriaci. Nel 1796 Napoleone Bonaparte fece trasportare alcuni cannoni a metà del Cengio Rosso e le truppe austriache non poterono fare altro che arrendersi, non potendo difendersi da un bombardamento dall'alto. Durante la Grande Guerra Castel Pietra fu severamente danneggiato nel lato est da alcune cannonate italiane sparate dal vicino fronte. Anche i bombardamenti della II Guerra Mondiale portarono distruzione: le bombe destinate alla vicina ferrovia colpirono invece un rifugio pieno di sfollati ubicato all'interno delle mura. Fortunatamente la solida struttura salvò le persone che avevano cercato riparo al suo interno nonostante un parziale crollo».
http://www.castelpietra.info/il-castello/la-storia.html
CANALE DI TENNO (borgo medievale)
«Caratteristico paese medioevale, del quale si ha notizia dal 1211, è un autentico pezzo di medioevo sopravvissuto quasi intatto fino ai giorni nostri, costruito a misura d'uomo e ricco di storia per le sue viuzze e portici che narrano vicende d'altri tempi. All'interno del borgo è visitabile il Museo degli Attrezzi agricoli, che racchiude antichi attrezzi agricoli del luogo che venivano utilizzati per la viticoltura, l'allevamento, la coltivazione dei campi e la vita domestica. Un altro centro di grande interesse culturale è la Casa degli Artisti, che venne dedicata al pittore Giacomo Vittone, che ne fu anche il propugnatore. Acquistata e ristrutturata nel 1965 è oggi gestita dai Comuni di Riva del Garda, Arco e Tenno. Nel borgo medioevale di Canale viene organizzata ogni anno una manifestazione denominata Rustico Medioevo, che ha lo scopo di recuperare la cultura, la storia, il folclore del borgo medioevale. Canale si arricchisce così per l'occasione di fiori alle finestre, stendardi, tavole dipinte, personaggi in costume, che si muovono per le viuzze del paese, mentre la luce è costituita dalle torce naturali e l'intero paese è trasformato in un teatro» - «Canale di Tenno è un agglomerato rurale di origine medievale (se ne ha notizia dal 1211) sopravvissuto quasi intatto nella sua struttura fino ai giorni nostri. Il borgo si fa apprezzare per la caratteristica architettura fatta di “volti” a botte, sottopassi, vicoletti, ballatoi affumicati dal tempo. Lungo la strada che da Canale conduce a Calvola, in una piazzola panoramica è collocato un gruppo di statue raffiguranti la “Vicinia”, a memoria della gestione collettiva dei beni tipica di questa comunità».
http://www.comune.tenno.tn.it/it/cultura/storia.asp - http://www.borghitalia.it/pg.base.php?id=4&cod_borgo=603
CASEZ (borgo, Castel Casez o Palazzo Concini)
«Affacciato sulla piazza dell’antico borgo gentilizio di Casez, il castello mantiene l’antico fascino. Castel Casez, che domina con la sua maestosità gli antichi edifici dell’antico borgo, non ha perso il suo fascino nonostante i pesanti rimaneggiamenti di fine Ottocento. L’edificio ha mantenuto infatti lo stile castellano, che si nota in particolare nella massiccia torre merlata con tetto a spioventi e nella cortina, merlata anch'essa, di cui è rimasta solo una vaga testimonianza. I primi proprietari furono i Bragherio o Bracherio di Coredo, che lo ricevettero in feudo nel XIII secolo, quando era soltanto una torre quadrata su di uno spiazzo. Poi, con i secoli, lo sviluppo fortificato si estese fino a coprire l’intera spianata. Fu residenza dei nobili de Concini e ancora oggi è proprietà privata. Gli antichi edifici dell’abitato, disposti intorno alla piazza principale, si caratterizzano per l’architettura gotica veneta intrecciata ad elementi tipicamente nordici. Sul lato ovest della piazza sorgono Case Bertoldi e Gerio, abbellite da eleganti portali, bifore di gusto rinascimentale ed affreschi. Poco distante, Casa de Concini, decorata da affreschi con soggetti sacri risalenti al XVIII secolo, e la statua marmorea scolpita nel 1741 e attribuibile a Pietro Antonio Barbacovi di Taio. Scendendo verso la parte bassa del paese si incontra Casa Sarcletti col suo bel portale datato 1526. La chiesetta gotica dedicata a S. Celestino è la preziosa custode di un ciclo affrescato, La Passione di Cristo del 1461, del Maestro Leonardo da Bressanone, lo stesso che operò nel suggestivo chiostro del Duomo di Bressanone. Non visitabile internamente. Si consiglia di contattare l'ApT Val di Non per eventuali occasioni di apertura al pubblico».
Castel Madruzzo (borgo, castello)
«Questo piccolo villaggio che ha dato nome a due celebri famiglie feudali trentine, è al centro di un bucolico paesaggio dominato dalle grigie rupi calcaree (Lias) quasi a picco, coronate dal castello di Madruzzo (sec. XII-XVI). ... II paese è concentrato in un anfiteatro del versante occidentale del Monte Bondone, tra la rupe del castello che lo ripara dai venti settentrionali e i campi a terrazzo che a sud scendono verso il fondo-valle. Grazie alla sua ambientazione a conchiglia è l'abitato più solatio e climaticamente favorito della valle. Lo spazio agricolo attorno a Castel Madruzzo stabilisce una stretta continuità con quello di Lasino. L'aggregato è compatto, formato da massicce dimore multipiane di pietra, precedute da un cortile cintato, con passo carraio in portale, talvolta con arcate al piano terreno, scale esterne, misurati apparati di ballatoi sotto la gronda. II reticolo stradale che divide i vari nuclei è semplice data la limitatezza dell'abitato. AI bordo nord del paese, presso le bastionate del dosso del castello, si indica la casa dove, secondo la tradizione si raccoglievano le decime. Si riconoscono alcuni elementi murari medioevali. Altri edifici di impronta signorile del XVI sec. con rustico annesso, si trovano a sud della chiesa. La connessione villaggio-castello appare assai stretta. Stando ai reperti archeologici, anche se frammentari, il dosso del castello è sito preistorico dell'età dei metalli e fu probabilmente sede del castelliere del villaggio. Fondazioni di edificio e suppellettili tardoromane vennero alla luce nel 1926, alcuni reperti romani furono trovati sulla "strada romana" e in altre località. È evidente quindi la matrice antica, sicuramente romana, di Madruzzo quale sede umana permanentemente abitata. Il paese, che aveva una personalità comunitaria e una propria Regola amministrata da un "maggiore", formava assieme alla comunità di Lasino un'entità comunale».
http://comune.lasino.it/Index.aspx?Sec=61
«Il nome di questa residenza nobile fortificata, sorta alla scadere del XVI secolo, deriva dal luogo nel quale sorse: i Thun possedevano il maso Vigna, dove un tempo si coltivavano viti. Uno degli esponenti del casato, Giovanni Cipriano Thun, amante della tranquillità, non andava d'accordo con il fratello Giorgio Sigismondo e, dopo l'ennesimo litigio, si ritirò al maso Vigna. La gente lo canzonò definendolo "él barón dél màs" (il barone del maso). Saputo questo Giovanni Cipriano decise di costruire un castello così sfarzoso, da superare per lusso e bellezza sia il castello avito, sia quello rinomato dei conti d'Arsio. La struttura della residenza aveva forma rettangolare, con quattro torri agli angoli con le cuspidi di rame, "ornata internamente con sfarzo e buon gusto, con logge sostenute da graziose colonne di pietra". La tradizione popolare ricorda i "balconi d'oro" e le feste danzanti nelle sale del maniero. Giovanni Cipriano verso il 1630 si trasferì in Boemia: suo nipote Cristoforo Simone installato nel castello di Castelfondo, trascorreva del tempo anche a castel Vigna. Alla morte di quest'ultimo i due manieri rimasero nelle mani di alcuni custodi e alla metà del Settecento gli arredi del complesso passarono nei manieri di Castelfondo e di Braghér. Gli abitanti riutilizzarono molte pietre per la costruzione delle case dei dintorni; anche la colonna della fontana della piazza principale di Fondo sembra provenire da questa residenza (GORFER A., Guida dei castelli del Trentino, Trento 19672, pp. 702-704)».
http://www.comune.castelfondo.tn.it/index.php/it/vivere_e_visitare/arte_e_cultura/i_castelli (a c. di Paolo Dalla Torre)
Castelfondo (castello di Castelfondo)
«Il maniero, immerso nel verde, sorge sul promontorio fra i precipizi del rio Robiola e del torrente Novella, prima del paese di Castelfondo. Il mastio rappresenta la parte più antica del complesso: addossati a quest'ultimo sorsero i vari corpi di fabbrica, protetti da una o più cerchie di mura: il castello era sede della più ampia giurisdizione tirolese della valle di Non, comprendente Melango (oggi Castelfondo), Raìna, Dovéna, Brez, Arsio, Traversara, la valle di Senales/Schnalstal, Ruffré, Dos, Amblàr, la valle di san Romedio e Tavón. Nel corso dei secoli il maniero subì ricostruzioni e modifiche: gli apprestamenti difensivi rendono conto del valore strategico del complesso, passato a diversi proprietari. Dai primi Castelfondo pervenne per via matrimoniale a Godescalco di Cagnò che nella seconda metà del XIII secolo lo vendette per 1800 marche veronesi a Mainardo II conte del Tirolo. Questi iniziò così l'occupazione di gran parte della valle di Non, riuscendo in breve a controllarne i vari passaggi: Palade, Mendola, Rocchetta, Molveno, Zambana vecchia-Fai della Paganella. All'inizio del Trecento Enrico III di Rottemburgo ottenne il castello e la relativa giurisdizione. Nel 1412 il maniero tornò nella persona di Federico IV duca d'Austria ai conti del Tirolo, che lo governarono per diversi anni con dei capitani, fino alla metà del secolo, quando lo ricevette come feudo pignoratizio Bernardo Fuchs von Fuchsberg. Nel 1471 Baldassare e Simone Thun ottennero il maniero di Castelfondo. Dal punto di vista architettonico va rilevato l'intervento promosso da Simone Thun allo scadere del XVI secolo, con la realizzazione nel cortile interno di un elegante porticato a quattro archi a tutto sesto, opera del maestro muratore Lorenzo di val d'Intelvi, compiuta nel 1492.
Fra gli eventi storici più significativi si ricordi l'assedio da parte dei contadini insorti nel 1525 durante la guerra rustica; nel febbraio 1670 un incendio causò gravi danni e nel gennaio del 1738 due roghi distrussero di nuovo il complesso e, in parte, il corposo archivio di famiglia. Il castello, abbandonato dai proprietari trasferitisi in Boemia, cadde lentamente in rovina, fino al passaggio ai conti Thun della linea di castel Braghér. Guidobaldo (1808-1865) e il figlio Galeazzo (1850-1931), Gran Maestro dell'Ordine di Malta dal 1905, lo restaurarono nel corso del XIX secolo, riportandolo a un nuovo splendore. Il maniero conserva una biblioteca, un archivio, diverse opere d'arte e una collezione di armi. Fra i diversi ambienti interni si possono ricordare la Camera del foro, la Stanza del camino, la Camera longa, la Camera di don Chisciotte, la Camera dei vescovi con ritratti dei presuli Thun e il Salone degli antenati. Sul dosso dove sorge il castello esisteva la chiesa parrocchiale della Natività della Beata Vergine Maria, citata già nel 1282 e sottoposta a restauro nel 1528. Nel 1945 sono stati scoperti sotto la calce dell'abside affreschi di pregevole fattura, sembra di più epoche. Un ciclo di pitture reca la firma di Kaspar Blabmirer, attivo qui nel 1433. Accanto alla chiesetta si innalza la torre circolare, alta circa 25 metri, merlata e coperta con tetto conico, costruita tra il 1468 e il 1470. È chiamata torre di santa Maria sul dosso di Castelfondo. Alla sua costruzione contribuirono gli abitanti del luogo, costretti con la forza dall'ordine del 1465 dell'arciduca d'Austria e conte del Tirolo Sigismondo, per punizione di un loro tentativo di sommossa».
http://www.comune.castelfondo.tn.it/index.php/it/vivere_e_visitare/arte_e_cultura/i_castelli (a c. di Paolo Dalla Torre)
Castellalto (presso Telve, castello)
a cura di Emanuele Curzel
CASTELLANO (castello di Castellano)
«La prima citazione di un castello a Castellano risale al 1234, anno in cui il principe-vescovo costringe la comunità a distruggere la "corona di Castellano". Rimane il dubbio che quel castello sorgesse dove si trova oggi, come rimane il dubbio se sia stato effettivamente distrutto. Nel 1261 infatti troviamo Leonardo Castelbarco quale suo possessore, che difronte alle porte d'ingresso deve cedere a uomini fedeli al vescovo il castello. A inizio XIV secolo lo ritroviamo tra i possedimenti di Guglielmo Castelbarco. Alla sua morte il Castello, assieme a quello di Castelnuovo diventa il centro della famiglia Castelbarco di Castellano. Nel 1456 Giovanni Castelbarco, ultimo discendente, viene catturato e spogliato dei suoi beni. Il castello e la giurisdizione passano alla famiglia Lodron delle Giudicarie. Nel corso del '500 il castello vide la presenza di alcuni esponenti di questa famiglia, che vi risiedettero anche per diverso tempo. In questo periodo è da collocare la presenza della famosa contessa Dina e, se veritiera, la leggenda "El camp del zorz". A inizio '600 gli affreschi della sala grande furono rifatti, raffigurando la destra e la sinistra orografica della vallagarina. Da quegli anni però la famiglia di fatto si trasferì in Austria, e il castello venne affidato a dei custodi prima chiamati appositamente (Krendal, Major) e poi da famiglie del paese (Curti, Miorandi). I custodi risiedettero nel castello sino al 1918, quando a causa di un grave crollo dell'ala ovest, venne abbandonato. Venduto nel 1922 dalla famiglia Lodron a una famiglia del paese, ha subito vari crolli e danni nel corso dei successivi anni. Dagli anni Cinquanta però si avviarono i lavori di ricostruzione e restauro, svolto a più riprese e durati fino a tempi recenti, che hanno restituito all'antica residenza condizioni di solidità e di decoro. Oggi è residenza privata. L'aspetto che l'edificio aveva nel periodo immediatamente precedente ai crolli, che ne cancellarono ampie parti, è documentato da interessanti foto d'archivio presso la sala esposizioni della locale Pro Loco. L'esposizione concentra in particolare l'attenzione sul salone che si trovava nell'antico palazzo, dal quale proviene una nota serie d'affreschi con vedute di paesaggi lagarini salvati dalla distruzione ed oggi conservati presso il Museo Civico di Rovereto».
http://www.castellano.tn.it/pagine/daVedere/castello.html
CIVEZZANO (Castel Telvana, torre dei Canòpi)
«Due sono i castelli Telvana, uno a Civezzano e l’altro a Borgo Valsugana. ... Non lontano da Borgo Valsugana troviamo il Castello di Telvana, che domina il comune di Civezzano in Val di Cembra. Risale indicativamente al XIII secolo, oggi è sede del Municipio. Sorge lungo la via romana Claudia Augusta Altinate, si trova vicino al luogo di importanti ritrovamenti romanici e barbarici, tra cui la tomba Longobarda detta “Del Principe” per la ricchezza del corredo funebre. Probabilmente si tratta della “domus murata” di cui si trova citazione in alcuni documenti del Duecento, e diventata poi, a partire dal settecento, signorile villa. La struttura presenta chiare impronte medievali, quali i resti di merlature, lo spessore delle mura perimetrali del pianterreno, un corridoio segreto sotterraneo. Proprietari di Castel Telvana furono i signori di Civezzano, la famiglia di Roccabruna, ma anche i signori Thun. Sempre a Civezzano si trova la Torre dei Canòpi, sede del Giudice delle miniere. La zona di estrazione mineraria è il vicino monte Calisio. Apertura: il castello oggi è sede del Municipio e può essere visitato durante l'orario d'ufficio previo avviso telefonico al Comune».
http://www.trevenezie.it/it/castelli-telvana/
«Sulla cima di un promontorio, nel centro geografico della Val di Non, si trova il castello dei Signori di Cles. Il maniero si rispecchia oggi nelle acque del lago di Santa Giustina e in passato era posto sulla collina per sorvegliare il ponte in legno che collegava la borgata di Cles all'Alta Anaunia (ora inghiottito dalle acque del lago). La fortezza, sviluppatasi forse attorno ai resti di una torre di vedetta romana, era inizialmente appartenuta ad una consorteria di tipo comunitario, come fa intuire la presenza di più torri. Da questa cerchia emerse attorno all'anno mille la famiglia dei Signori di Castel Cles, il cui capostipite è Vitale de Clesio (documento del 1114) e il cui più illustre personaggio fu Bernardo Clesio, cardinale e principe vescovo di Trento, cancelliere supremo nonché presidente del Gran Consiglio segreto del re Ferdinando I. Grande umanista, esponente della cultura rinascimentale italiana, fu promotore di opere di costruzioni di diversi caselli, palazzi e chiese essendosi circondato di architetti e pittori fra i più importanti dell'epoca. All'inizio del Cinquecento e durante la Guerra Rustica del 1525, il castello subì gravi danni che portarono alla decisione di ristrutturare il maniero rendendolo consono, per volere dello stesso Bernardo Clesio, ai canoni rinascimentali. I lavori terminarono nel 1535, come ricorda la lapide presente sul muro di cinta del cortile. Altri lavori di rinnovamento vennero attuati nel 1597, diversi anni dopo la morte del cardinale (1539), dal nobile Aliprando. Quest'ultimo è ricordato nelle cronache per essere stato arrestato per un mese nelle stesse carceri del suo castello su ordine del re asburgico per impedire che con le sue futili spese portasse alla rovina il casato. Il castello aveva a quell'epoca tre torri; l'ala Nord ed una torre sono scomparse in un incendio doloso nel 1825. All'interno del palazzo baronale chiuso tra le torre dette "tor di qua" e "tor di la", è un gioiello rinascimentale la "Saletta delle Metamorfosi" affrescata dal pittore di corte Marcello Fogolino con scene tratte dalle Metamorfosi di Ovidio».
http://www.comune.cles.tn.it/Il-Territorio/Luoghi-e-punti-di-interesse/Castel-Cles
«Il Palazzo Assessorile è un edificio medievale, situato nel centro storico di Cles tra le due principali piazze pubbliche, Corso Dante e Piazza Granda. Il Palazzo Assessorile di Cles è citato per la prima volta nei documenti il 2 maggio 1356, anno in cui Iosio di Enrico di Sant’Ippolito, al tempo signore di Mechel, comperò da Giovanni di Arpone di Cles una casa-torre con cinta muraria. Tale struttura costituisce il nucleo originario del palazzo: costruita intorno al 1200, la torre, in pietra e provvista di feritoie, sorge sulle tracce archeologiche di un precedente analogo edificio, le cui fondamenta sono tutt’ora visibili attraverso le botole vetrate nella Sala della Colonna, al piano terra del palazzo. Inizialmente la torre era adibita a ponte di comunicazione visiva e a deposito per le derrate alimentari. Gravemente danneggiata dalle rivolte contadine del Quattrocento (1407 e 1477), che distrussero il castello dei Sant’Ippolito a Mechel, la casa-torre passò alla nobile famiglia de Cles, che la trasformò nella sede del Capitano delle Valli del Noce. Si deve a Giorgio de Cles la ristrutturazione complessiva dell’edificio e l’inglobamento della casa-torre nell’attuale struttura con i volumi e l’elevazione ora visibili. Per celebrare il prestigio di famiglia, al termine dei lavori venne affrescato sulla facciata lo stemma de Cles (due leoni rampanti l’uno nell’altro, argento e rosso), datato 1484. Nel 1538 il principe vescovo e cardinale Bernardo Clesio lasciò in eredità il Palazzo al nipote favorito, Ildebrando, cavaliere e nobile dell’impero, capitano delle Valli del Noce e, dal 1529, marito di Anna Wolkenstein. A tali proprietari si devono le decorazioni rinascimentali che caratterizzano ancora oggi le sale del Palazzo.
Nel corso del Seicento, il Palazzo passò per un breve periodo alla famiglia Thun, la quale lo cedette alla Magnifica Comunità di Cles il 30 dicembre 1677. Da questo momento in poi il Palazzo assunse funzioni amministrative e giudiziarie, come testimonia la lapide murata sopra il portale gotico nel 1679 ("...fu comperata dai clesiani acciò il foro assessorale fosse costantemente e per sempre nel borgo di Cles, perché prima non aveva un luogo fisso..."). Da qui deriva il nome di Palazzo Assessorile, in quanto sede degli uffici dei giudici delle Valli di Non e di Sole, detti appunto Assessori, e delle prigioni. L’Assessore delle Valli, un notabile esperto in legge, amministrava la giustizia per conto del Capitano ed indirettamente del principe vescovo, applicando gli statuti del 1407. In realtà soltanto in epoca napoleonica, e più precisamente nel 1814, il terzo piano venne ufficialmente adibito a carcere e tale rimase fino al 1975. La modifica costrinse ad erigere divisorie all’interno delle antiche stanze signorili e a rivestire le pareti dei locali con un doppio tavolato in legno di larice. Grazie a questo espediente gli affreschi del terzo piano, commissionati da Anna Wolkenstein a metà del Cinquecento, sono rimasti conservati fino all’accurato restauro del palazzo, concluso nel 2009. Nel corso del Novecento l’edificio ha perso la sua funzione giudiziaria, ereditata dall’antistante settecentesco Palazzo Dal Lago de Sternberg, oggi sede del tribunale, ed è diventato dapprima sede del municipio e del consiglio comunale, in seguito luogo per conferenze ed esposizioni d’arte».
http://www.comune.cles.tn.it/Aree-tematiche/Attivita-culturali/Palazzo-Assessorile
CLOZ (Castello di Sant'Anna o Castello Inferiore)
«Il castello di Sant'Anna fu probabilmente edificato da Nicolò d'Arsio dopo il 1334, ma della costruzione medievale restano poche tracce. Dopo l'incendio del 1821 venne infatti trasformato in casa rurale. Notevole è il portale rinascimentale della facciata e la cappella restaurata a metà del Seicento. Stato di conservazione: buono; è adibito ad abitazione privata; non visitabile» - «I ricordi più importanti dell'epoca feudale furono i castelli innalzati sui colli o in posizioni inaccessibili circondati da mura con una o più torri vigilate. A Cloz è rimasto qualche rudere del già nominato "Ciastelàc", detto anche "Castel Fava" o "Castello di Cloz" a seconda delle epoche, che si trova a monte di S. Stefano. A S. Maria c'è il edificio detto "Castelmozzo": secondo una tradizione vi era una torre in mezzo a un gruppo di case: se non era un castello, doveva essere stato almeno un luogo fortificato. Il potere dei nobili e l'esosità delle imposte causarono diverse rivolte dei popolani contro i signori: da ricordare quelle del 1407, del 1477 e la famosa guerra dei contadini del 1525, che seguì alla riforma protestante di Martin Lutero. I valligiani cercarono di assalire Trento, ma furono sconfitti e subirono una violenta reazione con processi sommari e condanne a morte o all’esilio. Lotte e contrasti con i paesi limitrofi, guerre e guerriglie fra feudatari e contro i feudatari, hanno caratterizzato il periodo feudale anche nel nostro paese. Documenti interessanti dell'epoca feudale danno conferma delle molte liti e discordie che Cloz ebbe con Romallo, Revò e Lauregno per questione di diritti, di confini, di strade. Con Lauregno, che per lungo tempo era parte della parrocchia e del territorio di Cloz, le liti riguardarono anche la ripartizione delle spese di manutenzione della chiesa e poi la divisione dei boschi e dei pascoli. La più antica pergamena risale al 1320 e riguarda una questione di confini; altre pergamene si susseguono su queste questioni fino al 1500. Un altro aspetto interessante del paese di Cloz durante il periodo medievale è la divisione del paese in due giurisdizioni: parte della villa di S. Stefano confinante con Arsio era soggetta ai conti del Tirolo, mentre il resto del paese era governato dal principe vescovo di Trento. Nasce probabilmente da questo fatto, oltre che alla divisione nelle due ville di S. Stefano e di S. Maria, l'origine del soprannome di "dopli" dato agli abitanti di Cloz».
http://www.castelli.cr-surfing.net/p808c.htm - http://www.comune.cloz.tn.it/paese/storia.asp
«Tra i palazzi meglio conservati osserviamo Casa Marta, edificio in stile veneziano (XVI sec.) oggi sede del Museo Etnografico della cultura contadina d’Anaunia e il Palazzo Arcivescovile, meglio conosciuto con il tetro nome di Palazzo Nero, un tempo sede del Tribunale di Giustizia. Questo edificio è ricordato per le sommosse contadine e per i processi di stregoneria le cui esecuzioni avvenivano nella piazza antistante. Oggi questo edificio dall’aspetto sinistro è di proprietà privata, pertanto è inibita la visita alla Sala del Giudizio, decorata con una serie di pregevoli affreschi in stile gotico. Le antiche case contadine che affollano il centro di Coredo rappresentano un tuffo nel mondo rurale di un tempo».
«Castel Còredo è la dimora più
importante del paese, ed anche la più antica. Non si sa quando esattamente
siano state gettate le prima fondamenta, ma è certo che il castello fu
fabbricato verso la fine del XII secolo da Oluradino e Nicolò di Còredo.
Allora l'edificio, anzi il complesso di edifici, aveva un aspetto molto
diverso dall'attuale; oggi ci è noto perché in un albero genealogico della
famiglia Coret viene rappresentato il castello, diviso in due parti.
Nell'una si vedono una torre d'ingresso e un'altra torre più piccola con
tetto conico, posta sulla sinistra della torre principale; nell'altra sono
rappresentati tre fabbricati digradanti di cui il più basso, ed anche il più
grande, è rivolto verso l'antica chiesa parrocchiale. Il nome di "Coret"
della famiglia, che discende dagli antichi dinasti di Castel Còredo, è un
ritorno alle prime forme del nome del paese. Vedremo infatti che il nome
Còredo deriva da Coryletum, bosco di noccioli, almeno secondo le versioni
più accreditate. È da citare però l'opinione in merito di Giovanni Battista
Inama il quale, in un suo lavoro sulla famiglia e sul castello di Còredo,
registra un'altra ipotesi, e cioè che Còredo derivi da Coret, che nella
lingua etea o pelasgica significava « castello posto in alto»; se ne
potrebbe quindi congetturare, secondo l'Inama, che il castello sia sorto sui
ruderi di un'antichissima fortificazione pelasgica; altra deduzione sarebbe
che le valli trentine siano state abitate in tempi antichissimi da
popolazioni pelasgiche, ma tracce greche non sono finora mai state trovate.
Lasciamo perciò queste ipotesi, che ci porterebbero troppo lontano. La
famiglia dei Còredo fu tra le più importanti del Trentino; di essa si
distinguono tre rami. Il primo è quello che discende da Oluradino, fondatore
del castello; la linea di Oluradino si estinse nel 1474 con la morte di
Antonio di Còredo, Massaro delle Valli. Gli antichi documenti ci dicono come
i Còredo rivestissero importanti cariche ed intervenissero negli affari più
rilevanti del principato; essi presero parte molto attiva alle lotte
feudali, come abbiamo già accennato altrove. La linea Còredo Valèr deriva da
un Federico, nato intorno al 1256. Il ramo Valèr si estinse nel 1450 circa,
con la morte di Michele. ...
Il castello non fu sempre in mano ai Coret; esso ha subito non poche
vicissitudini nel corso della sua vita plurisecolare. Fabbricato, come
abbiamo visto, verso la fine del 1100, fu abitato prima dal ramo di
Oluradino, quindi dal ramo Valèr, dal 1326 fin verso il 1450, quando con
Michele si estingueva la discendenza. Alla morte di questi, nonché di
Antonio del ramo di Oluradino, il vescovo incamerò il castello e vi pose i
suoi capitani, ribattezzandolo Castello di San Vigilia; una parte
dell'edificio restò però sempre in possesso del ramo Braghèr. Intorno al
1460 il vescovo Giorgio II di Hack, quello stesso cui si deve il Palazzo
Nero, lo fece ricostruire e fortificare; nel 1477 il castello fu occupato
dai rustici, che non lo danneggiarono granché. Nel 1489 fu nuovamente
restaurato, ma i capitani vennero trasferiti a Denno ed il castello rimase
pressoché abbandonato. Nel 1611 scoppiò a Còredo un esteso incendio che
bruciò la chiesa parrocchiale ed il castello; mentre la prima venne
prontamente riassestata, il castello fu lasciato andare in rovina. Quel poco
che era rimasto dopo l'incendio fu portato via da visitatori occasionali, i
ragazzi fecero il resto; la stabilità stessa delle antiche mura fu messa in
pericolo perche il comune scavava nelle immediate vicinanze delle fondamenta
per cavarvi sabbia. Nel 1717 il principe vescovo Giovanni Michele di Spaur
infeudò del castello Giovanni Francesco e Sigismondo Nicolò dei Coret,
discendenti della linea Bragherio. Sigismondo iniziò immediatamente i lavori
di restauro, che furono portati a termine nel 1726; ce ne informa una
scritta sopra il portale d'ingresso:
Familiae Coreda de castro Coredi Sigismundus Nicolaus a Coredo de Castro
Coredi S.R.I. eques S.C. et C.M. consiliarius Excelsi regiminis Superioris
Austriae 1726. I restauri del 1726 tolsero definitivamente l'aspetto
feudale al castello, trasformandolo in un edificio a due piani, di aria
pacifica e quasi borghese, perfettamente in carattere con la destinazione
attribuitagli di residenza estiva della famiglia. Ultimo residuo di impronta
guerriera era una torre, che però è stata abbattuta nel secolo scorso.
Se attualmente Castel Còredo consta di un unico fabbricato, in origine i
fabbricati erano senz'altro di più e occupavano tutta la collina su cui
sorgevano; è noto infatti che per un certo periodo vi abitarono ben cinque
famiglie, ognuna importante e numerosa, e pertanto vi sarà stato bisogno di
spazio. Ne si deve scordare che il castello fu all'inizio un'opera
difensiva, come tutti gli altri castelli dell'epoca. Anche se ora non ne
rimane traccia, è presumibile che vi fosse una cortina che, oltre al
castello vero e proprio, avrà abbracciato la zona in cui è sorto il Palazzo
Nero (eretto, come sappiamo, nel luogo dove si trovavano case dei Coret) per
giungere fino all'attuale Canonica, che il popolo vuole sia stata la
portineria del castello. Nella Canonica un'intera parete è decorata di
affreschi gotici, molto rovinati dal tempo e dall'incuria; vi si può
tuttavia riconoscere una Crocefissione di severa concezione. Castel Còredo,
quale oggi si presenta, è un edificio a due piani, di forma più o meno
regolarmente quadrilatera e con tetto poco scosceso.
è intonacato di bianco ed ha
finestre bianche e rosse, come quelle di Castel Braghèr; intorno si estende
un parco secolare, racchiuso da un muro coperto di sempreverdi. Le antiche
mura sono riconoscibili solo a tratti, in specie al piano terreno e nelle
cantine; nei pressi dell'ingresso principale è stata trovata la prigione,
che richiama alla mente immagini fosche: nei suoi pressi qualche anno fa,
mentre si faceva 10 sterro per una piscina è stato rinvenuto uno scheletro
umano senza testa, evidentemente di persona decapitata. Dalle ricerche della
polizia scientifica 10 scheletro è risultato appartenere ad un uomo vissuto
circa quattrocento anni or sono. L'appartamento padronale è al primo piano e
di esso fa parte un grande salone che si sviluppa su due piani, con una
superficie di 100 metri quadri, in cui si trovano i ritratti di famiglia.
Nel castello sono conservati alcuni oggetti di notevole valore artistico ed
alcuni "ricordi " altrettanto interessanti. Fra i primi è da citare innanzi
tutto un bassorilievo in marmo bianco, rappresentante l'incoronazione della
Vergine con i santi Giorgio e Rocco; è una piccola perfetta opera d'arte
firmata da Giuseppe Hallier di Trento e datata al 25 luglio 1558. Altro
lavoro interessante è una testa di bambina dipinta da Bartolomeo Bezzi,
pittore ottocentesco trentino. ...».
http://www.coret.org/cc/res/castelcoredo.php
«L'edificio è stato denominato Palazzo Nero da tempo immemorabile, forse per il colore nerastro delle sue mura, ma più probabilmente per gli episodi tristemente famosi in esso avvenuti. Coredo nel secolo XV fu capoluogo del distretto; vi risiedeva l'assessore e vi era tenuta la corte di giustizia. Il tribunale aveva bisogno di una sede degna e perciò, intorno al 1460, venne fatto costruire dal principe vescovo Giorgio di Hack il Palazzo Assessorile, quello che ora è denominato Palazzo Nero. Tra il 1614 e il 1615 nel Palazzo Nero ci fu il processo contro le streghe, sette delle quali furono condannate e bruciate davanti al Palazzo. All'interno esistono ancora resti di prigioni, ma ciò che rende interessante questo edificio si trova nell'antica "sala del giudizio". Si tratta di un ciclo di affreschi fra i più notevoli della regione trentina. Essi raffigurano la leggenda di Genoveffa regina di Francia, ingiustamente accusata ma alla fine riconosciuta innocente. La leggenda che vuol dimostrare il trionfo della giustizia. Attualmente il Palazzo Nero è una casa d'abitazione».
http://www.comune.coredo.tn.it/com2010/index.asp?gr=17&pag=62
«è una fessura nella roccia, una "corona" (secondo il termine dialettale che sta a indicare una grande caverna); è un' emozionante muraglia di pietre alta una ventina di metri per trenta di lunghezza. Probabile riparo già in epoca preistorica (Età del Bronzo), trova le prime certe citazioni a partire dal XIII secolo. Questa poco frequente tipologia, nel Trentino, si caratterizza per uno scopo squisitamente militare, perchè permetteva di essere abbandonato senza incertezze non appena la situazione politica lo consentiva. L'abitabilità, divisa su tre piani e povera di agi, non fu continuativa; durò comunque fino non oltre il Cinquecento. Del castello oggi sono visibili solo i ruderi. Attualmente sono in corso d'opera dei lavori di restauro» - «...Dopo To della Bancia, si supera To dal'Or dove la vista può iniziare a spaziare sulla parte bassa della Val di Non. Il sentiero continua a salire nella neve ed in lontananza, poco sopra Vigo di Ton, si riesce a scorgere anche Castel Thun. Ancora poche centinaia di metri e sulla destra appare finalmente Castel Corona e ciò che resta dell'antica fortezza. Un muro di venti metri di altezza per trenta di lunghezza costeggia la parete rossastra della montagna: ecco come appare la mitica rocca difensiva di questa parte del Trentino. Facilmente riconoscibili nella struttura sono alcune feritoie e due finestrelle. A sinistra dell'imponente fortezza una lunga scala verticale permette a chi è coraggioso e fornito di imbrago ed attrezzatura da ferrata di salire al livello di Castel Corona per una visita ravvicinata...».
http://www.comune.cunevo.tn.it/Territorio... - http://www.lifeintravel.it/castel-corona-antica-fortezza-val-di-non.html
a cura di Marta Tinor
Faedo (Castello di Monreale o di Königsberg)
«Questo castello fiabesco, solitaria sentinella in mezzo al verde dei boschi di Faedo, domina dall’alto l’entrata verso quelli che un tempo erano i territori di dominio tirolese. Era la sede della giustizia e del potere politico. Prima roccaforte dei conti di Appiano, dal XIV secolo il castello di Königsberg divenne sede dei dinasti nominati dai da Tirolo, assumendo quindi importanza rilevante per la politica e l’amministrazione locale. In un documento del 1326 si trova per la prima volta la dicitura Königsberg-Giovo. I dinasti di Königsberg esercitavano il loro potere su una zona che comprendeva i villaggi di Lavis, Pressano, Nave, San Michele e Faedo, Giovo, Lisignago, Cembra, Faver e Valda. L’intera giurisdizione costituiva un distretto per l’amministrazione della giustizia penale e civile. Il giudizio di Königsberg rivestiva un’importanza strategica perché costituiva la punta meridionale del dominio tirolese, ed era zona di passaggio obbligato per lo spostamento di genti e di beni in transito fra sud e nord. L'area fungeva inoltre da linea di demarcazione fra comunità di lingua tedesca e comunità di lingua italiana. Nei secoli seguenti il castello passò nelle mani degli Asburgo, nel XVII secolo dei Rubin de Cervin Albrizzi e nel XX secolo venne acquisito dall'imprenditore Karl Schmid di Merano. Dell'antico castello rimane oggi solo una grossa torre con pianta esagonale ed una cinta merlata; è quindi difficile capire la struttura originaria del castello dato che, nel corso della sua storia, esso è stato più volte profondamente restaurato. Al suo interno l'edificio custodisce anche una cappella privata. Il castello oggi è di proprietà privata, ospitando tra l'altro un'azienda agricola».
http://www.pianarotaliana.it/Scopri-ed-Esplora/Luoghi-di-cultura/Castello-di-Koenigsberg
«Nel territorio attorno al castello [di Segonzano] ci sono diverse torri popolarmente chiamate Toresela. Una, circondata dalle vigne vicino al paese di Faver, fu costruita in stile medioevale, nel 1911, dai nobili Tabarelli de Fatis, ma fino al 2007 un vicino cartello stradale recitava: “TORRESELLA - SEC. XV”! Non si sa bene chi l'avesse messo, ma il segnale stette lì per diversi anni. La prima foto si riferisce a questa torre. Un'altra toresela, più antica, si trova presso la chiesa di San Rocco, in Campagna Rasa a Cembra, come si vede nella seconda immagine, tratta dalle foto di Annalisa Micheli (Storia di Cembra, pag. 435). Una tradizione popolare afferma che le toresele ed il castello sono collegate da cunicoli e che in alcuni di tali passaggi sono ancora visibili gli strumenti di tortura usati anticamente dai baroni e dai conti. Di certo si sa che la toresela dei Tabarelli de Fatis era collegata alla vicina Villa Perlaia».
http://www.fabiovassallo.it/ita/valdicembra/castello.html
Fornace (Castel Fornace o Roccabruna)
«Castello di origine medievale e ricostruito in epoca rinascimentale, con l'aspetto di un bel palazzo signorile. Sede sin dal XI secolo della potente famiglia trentina dei Roccabruna, sorta con il capostipite Gandolfino di Fornace. Fu Giacomo di Roccabruna, nel 1462, a dare il via ai lavori della costruzione dell’attuale castello, poi proseguiti nel 1566 dai suoi pronipoti, che riedificarono l’edificio con forme rinascimentali. Il castello passò poi ai nobili Gaudenti e quindi ai conti Giovanelli che lo vendettero al Comune nel 1853. Da ammirare il portico e la loggia del cortile, nonché la facciata del palazzo, tutto da poco restaurato. Del castello di Fornace, situato al centro del paese in posizione dominante sul dosso di San Martino, rimane oggi solo una porzione dell’impianto originario: la cosiddetta porta-torre. Benché la famiglia dei Roccabruna, signori di Fornace trovi menzione già a partire dal 1189, il primo documento che si riferisce al castello risale al 1214 ed è relativo al giuramento di fedeltà al principe e alla conseguente reinfeudazione dei da Fornace. Il nome de Roccabruna compare unitamente quello da Fornace proprio a partire da tale data ed è attribuito ad un ramo della famiglia. I Roccabruna provvidero all’ampliamento dell’impianto fortificato primigenio ed avviarono un’ingente opera per la trasformazione del maniero in dimora residenziale, secondo il gusto rinascimentale. Il complesso tuttavia nell’Ottocento fu in parte demolito per far posto alla costruzione della chiesa parrocchiale e perse la caratteristiche dell’edificio fortificato. Apertura e visite: il castello oggi è sede del Municipio e può essere visitato durante l'orario d'ufficio previo avviso telefonico al Comune».
http://www.visittrentino.info/it/cosa_fare/da_vedere/dettagli/dett/castello-roccabruna
«A pochi km da Canale [di Tenno], nel capoluogo Tenno, è assolutamente da vedere il borgo di Frapporta, la cui cinta muraria, che fino al secolo scorso partiva dall’avamposto del castello, racchiude le case costruite sui terrazzamenti della valle del Magnone e sulla roccia di San Lorenzo, da dove si domina la pianura sottostante e il lago di Garda. All’esterno delle mura si innalza la torretta seicentesca e si trovano la vecchia fontana e un sepolcro romano. Una grande porta medioevale a ogiva immette nel borgo, dove sono ancora visibili i segni delle ferrate che ne proteggevano l’accesso. Da qui, fino al secolo scorso, si accedeva al castello, dimora del luogotenente vescovile. Le case di sasso, i portoni, gli slarghi, i vicoli e gli orti testimoniano, come a Canale, la tipologia dell’insediamento medievale. All’estremità meridionale del borgo di Frapporta troviamo la chiesetta di San Lorenzo (XII secolo), una delle più significative espressioni dell’arte romanica dell’intera regione. L’interno accoglie i primi esempi della pittura trentina e un "Giudizio Universale" datato 1384» - «Borgo medievale che comunicava direttamente con il sovrastante castello a cui si poteva salire soltanto dall’interno dell’abitato. Per accedere al villaggio fortificato era necessario superare l’antica porta ogivale che mostra ancora i robusti apprestamenti di chiusura. Le case appaiono disposte lungo la contrada che conduce al dosso di San Lorenzo, dove si trova l’omonima chiesa. Sono difese dalla rupe che si eleva dal sentiero di Gòla e dai ripidi terrazzamenti digradanti nella valle del Magnone. Le mura che chiudono l’abitato a nord-est sorreggono una torretta seicentesca. Nello spiazzo sottostante trovano posto la vecchia fontana e un sepolcro altomedievale venuto alla luce nella zona alta di Tenno».
http://www.borghitalia.it/pg.base.php?id=4&cod_borgo=603 - http://www.gardatrentino.it/it/Borgo-Frapporta-tenno
Isera (Castel Pradaglia, rovine)
«L'importanza strategica del sito, che verosimilmente ne determinò la continuità d'uso fino all'epoca bassomedievale, era determinata dalla sua posizione a ridosso dell'Adige, il cui controllo era evidentemente considerato di tale importanza, da necessitare anche di un secondo presidio, costituito dal villaggio di dosso Alto a Borgo Sacco, sviluppatosi contemporaneamente sulla sponda opposta del fiume. ... Significative nel sito anche le testimonianze di età romana. Già Paolo Orsi nel 1880 aveva segnalato il rinvenimento di monete romane e di una tomba entro il perimetro del castello; al Museo civico di Rovereto, poi, si conservano un peso da telaio, tessere musive, frammenti di ceramica comune e frammenti di tegole romane provenienti dal sito. Questi reperti non sono numerosi, soprattutto se paragonati a quelli riferibili all'insediamento della media età del Bronzo, tuttavia appaiono sufficienti a confermare la presenza sul dosso di un insediamento di età romana, forse di dimensioni molto limitate ma comunque di un certo impegno architettonico, considerata la presenza del mosaico. Incerto, invece, il rinvenimento di materiali di età altomedievale nel sito. Inizialmente feudo della famiglia Da Pradaglia, esauritasi alle fine del XII secolo, Castel Pradaglia divenne sede di gastaldia vescovile, e come tale è indicato dal 1197. In realtà diversi indizi testimoniano il fatto che varie persone possedessero edifici entro le sue mura: tra questi i Castelbarco (fino al 1198) e gli uomini delle comunità circonvicine (documenti del 1201-1216), tenuti a garantire la manutenzione e la custodia del castello. Nel 1210 ebbe la gastaldia di Pradaglia Jacopo da Lizzana, la cui successiva ribellione portò però all'assedio e alla riconquista nel 1234 del castello da parte delle forze vescovili. Dopo una temporanea assegnazione a Odelrico de Rambaldo, che doveva custodirlo con 9 uomini, i da Lizzana vi rientrarono. Nel terzo quarto del XIII secolo le vicende si fanno piuttosto confuse, e coinvolgono anche le figure di Sodegerio da Tito, podestà imperiale di Trento, del figlio di lui e dei Conti del Tirolo. Negli anni Settanta del Duecento il castello fu acquisito dai Castelbarco della linea di Rovione, che lo tennero per circa un secolo; in seguito passò al ramo di Lizzana. Nel 1416 si raggiunse un accordo per cederlo al duca Federico IV, ma in realtà fino circa alla metà del Quattrocento rimase sotto il controllo castrobarcense. Assediato ed espugnato dall'esercito veneziano, fu distrutto e consegnato alla Podesteria veneta di Rovereto. Da allora in poi il dosso e le sue pertinenze furono assegnati a diverse persone, che li convertirono ad uso agricolo. Il Comune di Isera ne ha promosso negli ultimi anni il progetto di recupero. Tra gli episodi storici più rilevanti si ricorda il celebre duello combattuto davanti al castello nel 1487, durante l'assedio tirolese di Rovereto, tra Antonio Maria Sanseverino – figlio del condottiero dei veneziani – e Giovanni conte di Sonnenberg».
http://www.destradigelagarina.it/dxadige_context.jsp?ID_LINK=112745&page=3&area=181
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il nucleo primitivo del castello di Ivano è il mastio, struttura difensiva costruita dai Longobardi durante le grandi invasioni barbariche avvenute in seguito alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Secondo lo storico settecentesco Giuseppe Andrea Montebello, siamo intorno al 590 quando i Longobardi, popolazione germanica orientale da poco insediatasi in Italia (568 circa), costruiscono in Valsugana nuove fortificazioni a lato della strada militare di epoca romana chiamata Claudia Augusta Altinate per difendersi dagli attacchi di Franchi e di Alemanni. Il dominio longobardo in Italia finisce nel 774, da allora la Valsugana passa sotto la dominazione dei Franchi e del loro re Carlo Magno, futuro imperatore del Sacro Romano Impero. Durante il regno di Berengario, pronipote di Carlo Magno, eletto re d'Italia nel 888, la valle assiste a una violenta invasione di Ungari che porta a un ulteriore rafforzamento delle strutture di difesa già preesistenti; si assiste così a un primo ampliamento della superficie del maniero di Ivano. Nel 1027, con la concessione dell'imperatore Corrado II il Salico al vescovo di Feltre del potere temporale sui territori della bassa Valsugana, Castel Ivano entra nella giurisdizione veneta. Il primo documento storico che riguarda il castello risale al 1187, in esso si parla del Signore di Ivano. Con la fine del dominio dei conti vescovi di Feltre avvenuto nel 1228, Castel Ivano e la bassa Valsugana vengono contesi per quasi due secoli tra vari Signori tra cui Ezzelino da Romano, i da Camino, gli Scaligeri di Verona, i Carraresi, Gian Galeazzo Visconti. Nel 1375 circa, durante il dominio dei Carraresi, sulla torre di Castel Ivano viene impresso lo stemma della casata caratterizzato dalle quattro ruote e dalle due assi di un carro tuttora presente.
Nel 1413 la bassa Valsugana viene annessa alla Contea del Tirolo ed entra nell'orbita della Casa d'Austria degli Asburgo. Da quell'anno quindi anche il castello e gli otto comuni che ne formano la giurisdizione di Ivano – Ivano Fracena, Strigno, Scurelle, Villa Agnedo, Spera, Samone, Bieno, Ospedaletto – diventano di dominio asburgico. Castel Ivano è governato prima da capitani di fiducia e poi dalla famiglia tirolese Wolkenstein - Trostburg che gestisce il feudo come pegno per il denaro prestato (feudo pignoratizio) fino a quando, nel 1750, l'imperatrice Maria Teresa d'Austria concede il feudo perpetuo. Tra i capitani di Ivano è da ricordare Giorgio Pucler ucciso dai contadini locali in occasione della guerra rustica, l'insurrezione scoppiata nel 1525 in Tirolo e in Trentino contro la servitù della gleba e i privilegi dei nobili. Pochi anni prima il castello di Ivano ospita l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo sceso in Valsugana durante le tensioni politiche provocate dalle invasioni veneziane (1504) che lo portano a Trento dove si autoproclama Imperatore Romano Eletto (4 febbraio 1508). Con la scomparsa dell'ultimo Wolkenstein, il conte Antonio, nel 1913, i suoi eredi cedono il castello di Ivano, fortemente danneggiato dai violenti scontri bellici, all'amministratore del maniero, Franz Staudacher di Brunico, abitante con la famiglia nelle mura di Castel Ivano dal 1901. Con l'aiuto dei suoi figli, Franz Staudacher si prende cura della struttura architettonica, dei parchi e dei terreni lavorando alla riqualificazione di Castel Ivano per riportarlo agli antichi splendori. I suoi nipoti Carlo e Ivana Staudacher attuali proprietari del castello stanno portando avanti l'imponente opera di conservazione».
http://www.castelivano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3&Itemid=60&lang=it
LENZIMA (Castel Corno, ruderi)
«Il Castel Corno è un castello situato nei pressi di Lenzima, frazione di Isera e prende il nome dalla forma della rupe chiamata "Corno", La prima menzione relativa alla signoria di Castel Corno risale al 1178, quando in una contesa tra gli abitanti di Nago, Mori e Gardumo, è nominato un Olderico di Brentonico e Castel Corno. Il castello che prende il nome dalla roccia “a corno” su cui sorge, è situato sopra all’abitato di Lenzima, nel comune di Isera. Pare che i signori di Castel Corno già nella prima metà del XIII secolo non controllassero più la fortificazione. L’investitura del nuovo principe vescovo di Trento, Aldrighetto da Campo, diede avvio ad una rivolta capeggiata dai nobili Jacopo da Lizzana e Umberto da Brentonico che portò ad una risposta vescovile molto dura: i castelli dei rivoltosi furono presi e tra questi anche Castel Corno. Dapprima affidato alla custodia di Aldrighetto di Toblino, venne poi assegnato ai Castelbarco. La prima metà del Quattrocento si caratterizzò per dissidi e lotte tra i rami della famiglia castrobarcense per il controllo di Castel Corno e ciò favorì l’emergere dei Lodron, signori delle Giudicarie. Proprio nel marzo 1456 Castel Corno dovette capitolare dopo l’attacco subito da parte di Giorgio e Pietro Lodron: il vescovo Giorgio Hack riuscì ad ottenere la restituzione pagando 600 ducati ai Lodron. Il castello ritornò quindi in possesso ai Castelbarco che lo mantennero fino al 1499, anno della morte di Matteo, ultimo discendente del ramo famigliare di Castel Corno. Il principe vescovo Udalrico Lichtenstein concede il feudo ai membri della sua stessa famiglia fino al 1759, quando venne restituito ai vescovi di Trento. Dopo l’occupazione napoleonica per il castello inizia un lento ed inesorabile declino. Oggi i ruderi del castello sono di proprietà del Comune di Isera; recenti restauri hanno permesso l’apertura al pubblico».
http://www.visittrentino.info/it/cosa_fare/da_vedere/dettagli/dett/castel-corno
Levico Terme (Castel Selva, ruderi)
«Per la sua nascita s’ipotizza di un'origine rurale a scopo difensivo che risale alle invasioni dei Franchi e degli Ungari verso l'Italia (VI). La data del 28 maggio dell'anno 1027 segna un punto di svolta per Castel Selva, da qui in poi la sua storia s’intreccerà con quella del Principato.I ruderi di Castel Selva richiamano il tempo della dominazione feudale. Il maniero era uno dei più sontuosi del Trentino. Bernardo Clesio l'aveva fatto ricostruire e decorare da valenti artisti (Marcello Fogolino) che lavoravano al Buonconsiglio e l'aveva arredato in maniera principesca, con mobili intagliati, tappezzerie in cuoio dorato e vasellame prezioso, fu terminato nel 1537. Nella residenza nel 1545 vi furono ospitati i legati pontifici al Concilio di Trento (apertosi il 12 dicembre 1545), Marcello Corvini (futuro papa Marcello II) e Reginaldo Pole, arcivescovo di Canterbury assieme al principe vescovo Cristoforo Madruzzo e al segretario del Concilio, Massarello. Di tanta magnificenza ci resta solo la descrizione del Massarello. Decaduto, Castel Selva fu acquistato dal comune di Levico il 10 luglio 1779 e utilizzato come cava di materiale per l'edilizia. Smantellato in breve tempo, oggi restano solo i muri sbrecciati e il cortile acciottolato. Resti di architravi scolpiti di estrema raffinatezza si trovano inseriti in alcune case antiche di Levico. Sono note le stalle, dalle proporzioni eccezionali, si dice contenessero circa una cinquantina di cavalli. Transitando per recarsi al castello si può notare il bellissimo arco con sopra lo stemma del principe vescovo di Trento».
http://www.castelselva.it/castel-selva.html
Livo (castello di Livo o Castel Liprando o degli Aliprandini o la Toresela)
«L’edificio Municipale di Livo è detto la Toresèla, o più propriamente Castel Liprando o Riprando, più correttamente degli Aliprandini, è detto anche Castello della Rosa per la rosa sullo scudo araldico della famiglia. Il Palazzo-castello è pregevole per la massiccia architettura, con due torri riunite da un corpo centrale, databile al XVI sec.; la torre a nord è la più antica e la muratura segnala una preesistenza medioevale, vista la posizione strategica e centrale rispetto al territorio, in diretto controllo sulle torri di Cassino e di Zockel. Il fronte a sud ha 4 piani, a terra le finestre inferriate con stipiti di porfido rosato provenienti dalla zona di Scanna. Il primo piano ha nel lato della torre, incorporata al muro, una finestra con inferriata seicentesca esterna e, allo stesso livello, altre quattro finestre mensolate ad architrave e cornice; il secondo piano si ripete come i sottostanti, con cinque finestre la cui cornice è a stucco. Si nota la torre d’angolo a sinistra, che presenta marcaspigoli dipinti ad intonaco rosso, visibilissima la parte settecentesca. Il prospetto ad ovest, facciata principale, chiuso dalle due torri a tre piani; esso ha cinque grandi finestre mensolate al piano nobile, quattro al piano dell’attuale accesso caratterizzato da un portale ad arco a pieno centro, retto da stipiti con capitelli scanalati. Questa porta è una strana aggiunta del secondo Ottocento, quando l’edificio fu trasformato in casa rurale, per cui la rampa ebbe servizio di accesso per i carri agricoli che venivano depositati nell’androne centrale, che non era altri che la sala principale di rappresentanza del piano nobile. Il portale ha nella chiave di volta in pietra, lo scudo scolpito a Rosa e la data 1788, è in pietra calcarea bianca come i capitelli; l’ultimo piano sottotetto aveva uso di colombaia.
Il prospetto a nord è il più suggestivo, la torre quadra a destra di circa sei metri di lato, alta circa 16 metri, più alta alle origini aveva funzione di avvistamento belle le inferriate esterne a timpano e cimase artistiche. A lato della scala, una finestra inferriata dà luce a quelle che venivano usate come prigioni, il cui accesso nel volt ha una splendida porta in pietra ad arco a pieno centro, scolpita a cornice: il portale principale di accesso è anche in pietra ad arco a tutto sesto e si chiude con un portone in legno intagliato a motivi geometrici, con rose a tarsìa nelle vele d’arco. Sopra si aprono due importanti finestre ad arco, con cornici scolpite nel calcare bianco e capitelli come quelli del portale ovest; l’inferiore presenta una inferriata timpanata identica a quella della torre; la terza finestra sempre ad arco, è a stipiti in stucco. A lato est si trova uno sporto ercher poggiante su tre mensoloni in pietra, raccordati ad archetti; tre finestre e interessante da notare a sottotetto in tutti i lati, la presenza di archibugiere dipinte a fresco. Il prospetto est, sotto una finestra a bifora ad architrave è l’ultimo residuo delle due precedenti, che affiancavano la sporgenza del forno esterno per il pane, le cui tracce del basamento sono ancora visibili nel piano coperto dell’aia; detto forno aveva due bocche di caricamento, una per le cotture grandi di pane ed una per l’uso giornaliero a focacce non lievitate. L’edificio comprende un piano terra costituito da androni a volte a botte ed a crociera, con zona di stalle a ovest e depositi a sud e nord. Al primo piano si accedeva con una scalinata di cui rimangono qua e là gradini riutilizzati; il piano nobile ha stipiti di porte in pietra, con cornici e mensolature piane di stile rinasci mentale.
Nel corpo sud, acquisito recentemente dal comune di Livo, alcune stanze hanno interesse architettonico, la prima ha una serie di archetti in volta che portano ad un centro soffitto della sala con una cornice a stucco, all’interno della quale probabilmente si trovava uno stemma nobiliare dipinto, degli Aliprandini. La saletta ha pianta corrispondente alla dimensione della torre sud; la sala a fianco a sud, era rivestita di legno alla maniera delle stube antiche con una stufa in ceramica ad “ole”. Dietro verso nord, si trova la cucina ampia nella sua cappa fumaria che indica anche l’apertura di caricamento della stufa precedente: una seconda cucina conserva la grande stufa economica centrale rivestita di mattoni e piastrelle ed in un angolo un lavello in pietra rossa scolpita, databile alla fine del XVI sec.; una terza cucina è posta nell’edificio a nord e conserva le imboccature dei forni da pane che sono sporgenti in facciata a est. La zona nord ha alcune sale d’impronta rinascimentale, nella seconda a est nord est, sopra l’ingresso secondario, un tempo in forma di stube, la tradizione vuole che sia nato il vescovo suffraganeo di Trento e Bressanone Biagio Aliprandini, nel 1521. I piani superiori presentano alcuni saloni ormai abbandonati. La torretta a nord ovest nel piano alto ha una parte dedicata alla colombaia, per l’allevamento di colombi viaggiatori portatori di messaggi ai palazzi vicini o più lontani in valle. Su tale presenza si veda la similitudine con la torre del Palazzo Stanchina a nord del paes».
http://www.visitvaldinon.it/documenti/Depliand/GiriInArte/giridarte.pdf
LiVO (palazzo de Stanchina o Castello di Sopra San Martino)
«Il palazzo de Stanchina si trova in Livo all’estremo nord est della piazza centrale di S.Martino, esso è forse da identificarsi col Castello di Sopra, riportato in un documento medioevale in cui si accenna all’ospite di riguardo, il Principe Vescovo Vanga. L’edificio recintato da un alto muro merlato, in effetti è costituito da due corpi architettonici in una forma di pianta anticamente a T, dove il braccio a destra era costituito da un grande fienile legnaia in legno, ormai demolito; la parte alta dell’edificio andò distrutta col fienile in un incendio del 1881. Nell’ampio cortile sta una fontana esagonale in pietra con marcaspigoli esterni, a lato ovest e sud le servitù dei magazzini e le stalle; più a nord ancora un secondo edificio di servitù, ormai trasformati in abitazioni, ma che mantengono uno stile tardo ottocentesco-liberty. Il palazzo vero e proprio a nord ovest, ovest e sud, presenta la parte più antica, con una torretta a tre piani con piccionaia in alto, dello stesso stile di quella della “Toresela”. Al primo piano si nota una meridiana dipinta nel Novecento, con la scritta ORAS NON NUMERO NISIS SERENAS, “al giorno sereno l’ora io segno”. Tutta la parete a sud si presenta con ampie finestre inferriate,che si ripetono anche sul lato sud ovest e sud est, mentre al sottotetto stanno piccole finestre che si alternano ad una fascia decorata con stemmi della famiglia de Stanchina, scudo con banda trasversa e croce maltese. Al piano terra un portale ad arco si apre a sud, a fianco una scala in pietra con ringhiera in ferro battuto, sormontata da un pergolato a vite, che conduce alla porta del primo piano; un secondo arco dà accesso al grande androne del palazzo a sud, dal quale si può raggiungere attraverso una piccola scala il giardino retrostante, con siepi disposte geometricamente nella migliore tradizione italiana».
http://www.visitvaldinon.it/documenti/Depliand/GiriInArte/giridarte.pdf
Livo (ruderi di Castel Zoccolo)
«A sud ovest del paese di Livo, sulla strada interpoderale che porta a Cis, in antico frequentatissima via di comunicazione dal Mezzalone alla Valle di Sole, era la cosiddetta strada delle Pozze, su una collinetta in posizione dominante e panoramica, a m. 736 s.l.m. in mezzo a moderni frutteti, precedute da un rustico fienile di guardia alla strada, rimangono le vestigia di Castel Zockel o Zoccolo, antichissima sede fortificata della famiglia omonima di Livo, fondato intorno all’XI sec., intorno alla torre tardo romana furono erette alcune fortificazioni, dopo il 1034. L’edificio è nominato in documenti anche nel 1209, ed abitato a quel tempo da Anselmo figlio di Arnoldo. Gli Zockel, insieme ad Amasio di Livo furono vassalli dei conti Flavon e Enno nell’XI e XII secolo, come confermano in parte anche i blasoni e gli stemmi araldici; successivamente furono vassalli di Mainardo II del Tirolo. Il territorio fu poi infeudato dai Thun, che raccolsero parte dello stemma nella banda traversa e nel cimiero a corna di bue, nel sec. XV, sino alla cessione ad uso rurale della seconda metà dell’800. Oggi a causa di un colpevole abbandono, dovuto all’incuria dei proprietari, sta crollando letteralmente a vista d’occhio. L’edificio presenta notevoli tracce del suo antichissimo passato, il lato nord ribassato nel tetto negli anni Cinquanta, dopo che nel 1880 fu rasa la torre, è il più spoglio anche se appare ancora una finestrella inferriata; un forte terrapieno si affianca alla strada comunale che gira intorno al muro basso di cinta e scende alla località Pil, è il risultato di anni di accumulo rottami dell’edificio.
L’accesso odierno come in antico è posto a nord, salendo una rampa che parte da una piccola edicola votiva in pietra; in quel punto era un tempo la cinta muraria con un arco carrabile in pietra appena al di là di un ponte levatoio, che isolava la collinetta. L’arco smontato nel 1880, è ora rimontato in una casa nel centro di Livo al n.12, conserva anche lo scudetto degli Zockel Thun, scolpito nella chiave di volta dell’arco. Salendo verso ovest, si nota nel muro al primo piano, lo sporto del forno da pane, a circa tre metri di altezza, ormai semidistrutto nella sua voltina tufacea. Il portale di ingresso, è in pietra con arco a pieno centro, nella chiave di volta conserva il monogramma IHS; il cortile, anticamente ciottolato, ombreggiato da monumentali alberi di robinia, ontano e noce; l’edificio a sinistra nord, ormai in rovina, aveva due stanze a “stube” con voltine a crociera; al lato nord era la torre antica, alta ben 16 metri, demolita in parte nell’800, poco più sotto si scendeva ad un secondo portale che dava direttamente sul giardino a sud ovest, primitivo ingresso dalla strada proveniente da sud. A sud sud-est, l’edificio residenziale a tre piani, crollato nel 1990, si apriva in finestre rivolte sia a ovest che a est; all’estremo sud l’edificio finiva con uno sperone pentagonale, alla base quasi arrotondato e diviso in quattro vani ad uso di magazzini; al piano di sopra un piano unico, che fungeva fino a qualche anno fa da fienile, vi si accede oggi salendo un ponte in cemento. L’insieme dello sperone, a sud e a ovest, è fortemente suggestivo se visto dalla strada sottostante, costeggiata dal forte muro che era la prima cinta del castello; da quel lato esiste dentro le mura una cisterna per la raccolta dell’acqua, che fu riempita di rottami negli anni Cinquanta».
http://www.visitvaldinon.it/documenti/Depliand/GiriInArte/giridarte.pdf
Lizzana (ruderi di Castel Lizzana, Castel Dante)
«Il castello di Lizzana esisteva già nell'XI secolo e, prima di passare ai Castelbarco negli ultimi decenni del Duecento e divenire la ricca dimora di Guglielmo il Grande, fu nelle mani di Giacomo di Lizzana, strenuo oppositore del vescovo di Trento tra il 1233 ed il 1234 e personaggio di spicco nelle vicende successive sino al 62. Oggi della fortezza dei Castelbarco, distrutta dai Veneziani nel 1439, resta solo un muraglione» - «Solo una muraglia ricorda ancora la vecchia fortificazione della famiglia Lizzana. I resti delle 4 cinte murate danno un'idea approssimativa di quello che doveva essere il castello nell'XI secolo quando dai Lizzana passò ai Castelbarco. Fu distrutto nel 1439 dai Veneziani e mai più ricostruito. Al suo posto nel 1936 venne invece edificato l'ossario che accoglie i resti dei caduti nella guerra 1915/1918. I ruderi sono accanto al monumento [Castel Dante]».
http://www.castelli.cr-surfing.net/p504b.htm - http://vacanze.itinerarionline.it/schede/dintorni_di_rovereto_castel_lizzana_sc_1265.htm
Lodrone (Castello di Santa Barbara, ruderi)
«Il castello o rocca di Lodrone, detto anche dal 1600 di Santa Barbara, fu la sede più antica dei Lodron. È ricordato per la prima volta alla fine del secolo XII: nel 1185 Calapino di Lodrone, feudatario dei conti di Appiano, era già insediato qui; nel 1189 il principe vescovo di Trento investì del castello di Lodrone tredici uomini di Storo, che subentrarono a Calapino di Lodrone. Fu progressivamente abbandonato a partire dal secolo XVI quando i conti gli preferirono le più comode residenze fabbricate in riva al Caffaro e a Lodrone. Assieme a castel Romano e castel S. Giovanni presenta una tipologia in cui le caratteristiche militari prevalgono su quelle residenziali. Il Santa Barbara in effetti era una vera roccaforte, concepita e costruita soprattutto come strumento bellico. La difesa esterna è compatta, in molti punti di oltre due metri di spessore, eretta con ciclopici massi di granito lavorati con accuratezza tale da ridurre al minimo le commessure, sviluppata in altezza circa sei metri e senza aperture. La cinta segue una linea spezzata ed è strettamente connessa alla torre in modo da raggiungere il risultato di un castello-torre dal perimetro poligonale con sperone che si estende verso la montagna. Una sola porta consentiva l'accesso alla corte ed un’altra introduceva alla torre. Le strutture interne sono quasi interamente cadute e solo la fantasia del visitatore che osserva le vuote occhiaie delle finestre a tutto sesto con le cornici lavorate a rozzo bugnato riesce a intuire un piano residenziale nel vasto e quadrato edificio a torre. Al lato nord di esso era appoggiata una torretta che aveva funzioni di estrema difesa. Verso sud ed est il complesso era completato da alcuni fabbricati, destinati probabilmente ai servizi, e da un torrioncino semicircolare. Nel 1439 il castello fu preso dal Piccinino dopo un violentissimo bombardamento. Risale probabilmente alla successiva ricostruzione la decorazione con palle da cannone in pietra inserite nell'orditura muraria. Gli Atti visitali dal 1727 al 1768 ricordano la cappella di S. Barbara che stava nel castello».
http://www.comune.storo.tn.it/foto_osm/45.html
«Questa residenza fortificata fu ricostruita da Ludovico II Lodron, combattente a Lepanto (1571), il cui nome appare sul barbacane e sulla facciata con quello della moglie Beatrice accanto alle date 1585 e 1594. Fu sede del dazio, come ricordava la scritta “Qui si paga il dazio”, posta accanto allo stemma di famiglia al di sopra della porta della superstite cinta muraria. Qui i conti raccoglievano i tributi per il passaggio delle merci tra la contea dei Lodron e la confinante Repubblica di Venezia. Perciò era detto casa della Muta o del Dazio. È un edificio a due piani, a base quadrata, sovrastato da quattro comignoli a cupola, ognuno culminante con una bandierina triangolare di metallo. Gli angoli, arricchiti da pietre sovrapposte in granito, forniscono un bel contrasto con la smaltatura dell’edificio. A ovest e a est si dipartono i resti delle mura merlate che un tempo molto probabilmente abbracciavano con un ampio giro il palazzo e l'area prospiciente. Sul lato sud si apre un portico dalle volte a crociera sorretto da colonne tutte uguali. Le finestre sono munite d’imposte rosse attraversate nel mezzo da una striscia bianca orizzontale. È citato per la prima volta in un documento del 1498. In documenti successivi è indicato anche come sede del giudizio. Dopo la decapitazione di Marco di Caderzone, un bastardo dei Lodron, vi si rifugiano i congiurati che con lui avevano tramato contro il Principato di Trento. Nel 1554 fu assaltato dagli uomini di Bagolino che uccisero due conti e ne fecero prigioniero un terzo. Fu la dimora degli ultimi Lodron vissuti in Valle del Chiese, figli del conte Ernesto e della contessa Edvige Khuen Belasi: Filiberta, Adriana, Urbano, Diego, Gastone e Dalila. L’ultimo di loro, il buono ed eccentrico Gastone, morì nel 1967 nella villa di Fontanasanta, sulla collina di Trento. Oggi il palazzo è proprietà delle famiglie Zanetti di Lodrone che lo acquistarono dagli eredi dei conti nel 1967-68 assieme alla campagna circostante».
http://www.comune.storo.tn.it/foto_osm/46.html
«La residenza signorile è al centro di un ampio complesso: vi sono collegati infatti la ex chiesa di S. Croce, un ex convento, edifici per la servitù, scuderie, giardini e orti. È un ottimo esempio di architettura rinascimentale italiana, ingentilito e reso elegante dalle linee architettoniche e dai leggeri motivi ornamentali. L'ingresso principale è definito da due capitelli corinzi, contornato da un motivo floreale e sormontato dallo stemma della famiglia. La parete della facciata era abbellita da una grande bifora con una decorazione scultoria (i suoi pezzi oggi si trovano in un cimitero della Val Sabbia). Un fregio di fiori in stucco bianco, incorniciati in uno scudo rovesciato, su fondo rosso, percorre tutto il cornicione. Agli spigoli, poco al di sotto del fregio floreale, ci sono tre beccatelli in granito, che servivano probabilmente per sorreggere torrette di guardia. Attorno al vasto cortile interno corre un elegantissimo porticato di snelle colonne in granito. Il porticato sostiene un altrettanto elegantissimo loggiato rinascimentale, retto da colonne più snelle, in marmo. Si sale al loggiato attraverso lo scalone d’onore con gradini in pietra grigia. Alla parete di fondo della loggia, a destra della bellissima porta scolpita che immetteva nella “sala d'armi” ampia più di 100 mq., è addossato il monumento in marmo bianco e nero del conte Carlo (morto nel 1938), che fu l’ultimo Lodron ad abitare il palazzo. Le nicchie laterali sono sormontate dalle immagini dei conti Sebastiano e Francesco, i due fratelli Lodron che nel Seicento furono vescovi di Gurk, in Carinzia. Sopra la lapide al centro, che illustra la figura del conte Carlo, c’è il busto marmoreo di Paride Lodron, arcivescovo di Salisburgo dal 1619 al 1653. Il monumento fu trasportato qui dalla vicina chiesa di S. Croce nel 1921. Il palazzo (ricordato per la prima volta in un documento del 9 aprile 1502) fu costruito su preesistenze da maestranze comacine nei primi decenni del Cinquecento per iniziativa di Parisotto Lodron e dei suoi figli Sebastiano e Ludovico. Fu ristrutturato nel 1575. I Lodron lo vendettero nel 1943».
http://www.comune.storo.tn.it/foto_osm/47.html
«Il Castello di Campo, nelle Giudicarie Esteriori, sorge su uno sperone di roccia tra il torrente Duina a ovest e il Rio Rezola ad est, isolato dal bosco e dalle rive ripidissime dei due corsi d'acqua. Il luogo era considerato sacro dai romani, che lo dedicarono al dio Silvano, patrono delle foreste. Fu poi adibito a "castelliere" fin dall'antichità, per la difesa della popolazione che vi si trasferiva in caso di pericolo. Nel 1163 il castello è menzionato per la prima volta in un documento ufficiale insieme alla famiglia dei Campo, che lo abitò per più di 300 anni, contendendosi terre, poteri e ricchezza con altre importanti famiglie trentine. Alla primitiva torre di legno si sostituirono poco a poco costruzioni in pietra e muratura e una prima torre rotonda in pietra verso il 1200. Vi si aggiunse la cappella di S. Nicolò e, intorno al 1400, la seconda torre rotonda. Il 1300 trascorse tra un'infinità di conflitti e battaglie, mentre la famiglia acquistava sempre maggior potere ed autorità. La popolazione del luogo veniva continuamente danneggiata da pestilenze (notevolmente quella del 1348), razzie e incendi dovuti ai conflitti tra i feudatari. Queste devastazioni portarono nel 1439 alla quasi completa distruzione di Castel Campo, che fu poi ricostruito da Graziadeo da Campo tra il 1444 e il 1457, anno in cui morì. L'investitura al fratello naturale Nicolò non fu accettata dal vescovo Hack, che trattenne per sé il castello, rifiutando anche la richiesta di Matteo Galasso, cugino di Graziadeo, di subentrare. Nel 1468, la famiglia Trapp ottenne l'investitura e abitò il castello per più di 400 anni, arricchendolo di affreschi e nuove costruzioni. Nel 1891 i Trapp vendettero il castello al tedesco Teodor Rautenstrauch che fece costruire una nuova torre ottagonale e abbassare il muro che chiudeva il cortile a ovest. Costituì sulle terre circostanti una fiorente azienda agricola che dette lavoro a buona parte della popolazione in un momento di grande miseria e povertà. Al termine della prima guerra mondiale, il castello si ritrovò in territorio italiano, e Rautenstrauch dovette con gran rammarico tornare in Germania. Nel 1920, il milanese Cesare Rasini comprò Castel Campo e lo fece restaurare su progetto dell'architetto Livio Provasoli e affrescare dal pittore veronese Carlo Donati. Il castello è tuttora abitato dalla famiglia Rasini».
http://castelcampo.com/storia.html
«Residenza privata, ammirabile solamente nella suggestiva cornice esterna, Castel Malgolo sorge lungo la statale che collega l’abitato di Romeno all’omonima frazione di Malgolo. Incorniciato dalla lussureggiante vegetazione circostante, il castello colpisce soprattutto per la sua duplice natura di fortezza medievale da un lato ed elegante residenza romantica dall’altro. In origine costituito solamente dalla cosiddetta Torre Grande, il castello viene ricordato fin dal 1342 quando, di proprietà dei signori di Coredo, era utilizzato come casa fortezza affittuaria. Col passare dei secoli l’originario impianto tipicamente medievale del castello venne ampliato e trasformato ad opera dei proprietari, le famiglie de Concini e de Betta prima e i conti Premoli poi, fino a raggiungere l’aspetto di residenza nobiliare attuale, caratterizzata da torri angolari e da una bella serie di finestre seicentesche, dove lo spirito tipicamente romantico si sposa perfettamente con la funzionalità dell’architettura medievale. Castel Malgolo rimane chiuso al pubblico».
http://www.visitvaldinon.it/it/da-vedere/arte-e-cultura/castelli-e-palazzi/castello-di-malgolo/
«I primi documenti riguardanti il maniero risalgono al 1188: anche se non ne viene citato esplicitamente il nome è probabile che si riferiscano ad esso. Il primo riferimento esplicito risale invece al 1228, quando Pietro di Malosco, nel suo testamento, lo lascia in eredità ai fratelli Bertoldo ed Enrico. Il castello passa quindi varie volte di mano, diventando di proprietà tra gli altri dei Boymont e dei Neideck. Nel 1579 Vittore Neideck lo cede a Girolamo Guarienti che lo ristruttura. I Guarienti manterranno il possesso del castello fino al 1820 quando si estinguono e il castello passa al demanio austriaco che vi insedia l'ufficio giudiziario di Fondo. Nel 1863 subisce una profonda ristrutturazione per adattarlo alle esigenze dell'ufficio giudiziario a cui dobbiamo l'aspetto attuale: vengono abbattute le mura esterne, aperte finestre più ampie, ridefiniti gli spazi interni e spostato l'ingresso. Nel 1892 vi nasce Fortunato Depero, il cui padre viveva nel castello in quanto dipendente dell'amministrazione austriaca. Dopo la prima guerra mondiale vi trova sede prima la pretura di Fondo e poi quella del Libro Fondiario, finché negli anni'80 non viene lasciato inutilizzato dall'amministrazione pubblica. Da allora il castello ha subito un forte degrado anche se non in maniera irreversibile. Nel 2006 è partito un progetto per il suo recupero che però al 2014, nonostante un'importante stanziamento finanziario nel 2012, non ha ancora portato a un suo risanamento completo».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Malosco
«Di epoca medievale, assieme alla Tor Quadra (Novaledo), faceva parte di un complesso di fortificazioni collegate tra loro lungo la via militare che aveva il compito di congiungere la pianura veneta al fronte alpino. Per l’alloggiamento di guarnigioni e per le segnalazioni ottiche lungo la strada era indispensabile dotare la via di una rete di castelli e torri. Questi i motivi per cui sorsero le due torri, apparentemente senza nessuna giustificazione nella località totalmente aperta in cui si trovano» - «Il centro del paese è marcato dalla presenza di una antica torre romana, oggi chiamata dagli abitanti del luogo "Tor Tonda" in quanto la sua pianta si sviluppa lungo una circonferenza e si contrappone ad un'altra rovina di pianta rettangolare, la "Tor Quadra", situata nell'adiacente comune di Novaledo. Di fronte alla "Tor Tonda" è situato il "Ponte della Bastia" costruito sul fiume Brenta. Questo ponte collega le due parti del paese: "Marter" e "Brustolai"».
http://www.visitvalsugana.it/it/cosa-scoprire/castelli-del-trentino/Tor-Tonda... - http://it.wikipedia.org/wiki/Marter#Storia
Mattarello (Castello o Torre Franca)
a cura di Stefano Favero
«Ai piedi della Corona di S. Gottardo, in posizione suggestiva, affacciata sui vigneti del Piano Rotaliano, troneggia la nobile residenza dei conti Firmian. Col soprastante maniero forma un pittoresco nesso, un celebre scorcio di paesaggio ravvivato dalle immani rupi sovrastanti, dalla timida striscia di bosco e dalla distesa vitata. Il castello è stato costruito nel 1480 da Nicolò I di Firmian, energico capitano della Valle di Non e delle Giudicarie. Aveva sposato Dorotea, l’ultima dei Kronmetz. Il castello costruito nella caverna (castel S. Gottardo) non era più adatto ai gusti dei tempi nuovi. Era troppo scomodo, troppo rozzo; inoltre era per metà Wolkenstein, uno dei quali Dorotea aveva sposato in prime nozze. Nicolò abbatté la vecchia casa murata, presso la “via romana”, forse una volta canipa vescovile e costruì la torre quadrata di mezzodì adornandola dell’agile sporto; sul lato nord-est vi appoggiò una piccola quanto comoda dimora. Tutto attorno innalzò una cinta merlata protetta verso il monte e verso il paese da profondi fossati. Dal complesso si dipartiva un rivellino murato: controllava la sottostante strada pubblica, detta “romana”, certamente strada antica in comunicazione con la Valle di Non e col vicino guado sul Noce. Così Nicolò poteva, da vicino e a suo piacimento, controllare il traffico. Fece murare sulla torre di guardia, ben visibile sopra l’arco acuto del portale, una grande pietra con l’arma del suo casato accoppiata a quella dei Kronmetz.
Nella seconda metà del Settecento, il palazzo fu innalzato di un piano, le quattrocentesche finestre furono sostituite da più ampi vani, sulla cortina sud-est fu costruita la nuova ala che unì la torre dello sporto alla torre di guardia, fu aperto il salone a due piani e furono colmati i fossati. Nel secolo successivo fu costruita la scuderia usufruendo della cortina verso il monte, presso la torre di guardia, e furono eseguite altre aggiunte, quali la “Casa del servo”. L’ingresso originario della residenza è il bel portale fregiato dallo stemma primitivo dei Firmian. L’androne serve la scala dei piani nobili e il portico, suggestivo ambiente a volte sostenuto dal massiccio pilastro. è guardato dalla torre di mezzodì, detta anche torre di Mezzo, ed è in comunicazione con la sottostante strada romana, tramite il camminamento che altro non è che l’antico rivellino. Il fabbricato, esterno alla residenza primitiva, che accoglie l’odierna tromba delle scale, è costruzione settecentesca. In questo castello i Firmian, dopo i Mez, esercitarono fino al 1824 il diritto di giurisdizione (tirolese), mediante un giudice patrimoniale e capitano dinastiale. La residenza, soprattutto il salone, dove nel vano della torre c’è la cappella di S. Giovanni Nepomuceno con l’antica statua lignea di San Gottardo proveniente dal castello nella rupe, accoglie una interessante collezione di ritratti di personaggi Firmian che a grandi linee può riassumere la storia della potente famiglia. ...».
http://www.comune.mezzocorona.tn.it/Turismo/Arte/Castel-Firmiam
Mezzocorona (Castel San Gottardo, ruderi)
«A circa 18 km a nord di Trento, nella famosa pianura Rotaliana si trova la borgata di Mezzocorona. Nella parete del monte che sovrasta l’abitato è situato, quasi in posizione inaccessibile, il diroccato complesso del castel S. Gottardo. Situato a nord-ovest del paese, annidato nella singolare fenditura della parete rocciosa che si innalza sopra castel Firmian, è uno dei più suggestivi esempi di costruzione medievale all’interno di una caverna o sottoroccia. La spaziosa caverna che ospita i ruderi della roccaforte è raggiungibile mediante un ripido sentiero che si snoda dal sottostante castello. In circa una ventina di minuti si può raggiungere la caverna che si trova a circa 370 metri sopra il livello del mare, in posizione sopraelevata di 150 metri dall’abitato e di circa 100 metri sopra castel Firmian. Per la sua tipologia è considerato tra i più importanti di tutto l’arco alpino ed anticamente era tra le corone quella più vasta ed imponente di tutto il principato di Trento. Dato il particolare tipo di costruzione all’interno di grotte o caverne situate su rocce strapiombanti, nel Trentino questi castelli vengono chiamati "corone". La corrispondente forma tedesca è invece Lueg e Loch. Il termine crona, forma dialettale di corona, viene tuttora usato per indicare cengie ed incavi posti su pareti rocciose e sembra derivi dal celtico carn. Corona di Mezo è il più antico nome dato al castello e solo in seguito verrà denominato di S. Gottardo, nome con il quale è conosciuto attualmente. Mezo era la denominazione generica di tutto il sottostante piano che si estende sia sulla destra che sulla sinistra del torrente Noce. ...
Il maniero è attualmente in rovina, tuttavia sono riconoscibili il portone d’entrata, sopra al quale appaiono ancora le tracce di un doppio stemma affrescato con visibile un drago e le feritoie che difendevano l’entrata alla fortezza. Del complesso fanno parte le tracce dell’edificio destinato probabilmente ad avamposto di difesa, i resti del palazzetto principale, nel quale un tempo dimoravano i conti Firmian, e della chiesetta dedicata a S. Gottardo, patrono del paese, incavata nella roccia e che fu costruita all’inizio del XIII secolo e che divenne ben presto una specie di santuario dove la gente andava in pellegrinaggio. è presente inoltre una fonte d’acqua che, sgorgando dalla roccia, si raccoglie in una vasca. Sicuramente l’antico castello è stato edificato prima del 1181, anno nel quale vengono scritte le prime notizie. Quando però la nuova concezione di vita dettata dal Rinascimento giunse nelle nostre vallate, le caverne furono abbattute per più comode e signorili dimore. Così accadde anche per castel S. Gottardo, del quale Nicolò Firmian venne in possesso nel XV secolo assieme alla giurisdizione di Mezzocorona, dopo aver sposato Dorotea, ultima dei Mez. Forse anche convinto dalla sua dama, il conte ricostruì la casa fortificata ai piedi della rupe, trasformandola nell’attuale dimora, detta appunto Castel Firmian: più confortevole, munito di una torre quadrata e di una robusta cinta merlata con profondi fossati. A castel S. Gottardo è legata l’antica leggenda del basilisco di Mezzocorona».
http://www.comune.mezzocorona.tn.it/Turismo/Arte/Castel-S.-Gottardo
Mezzocorona (palazzo Firmian, palazzo Martini)
«La prestigiosa sede del Comune di Mezzocorona è Palazzo Firmian, nobile residenza che si affaccia sulla centrale piazza della Chiesa. Il palazzo signorile, a seguito dei recenti restauri (anni ’90), ha riacquistato una funzione pubblica che ebbe per gran parte della sua storia. Pare infatti che fin dal medioevo presso il sito dell'attuale Palazzo Firmian abbia avuto luogo la scaria vescovile, ossia l'edificio in cui venivano raccolte le decime destinate al Principe vescovo di Trento. In seguito presso lo stesso palazzo ebbe sede la giurisdizione di Mezzocorona, in mano ai Firmian da fine '400 fino al 1824. Recenti ricerche hanno fatto ipotizzare che il nobile e potente cavaliere Nicolò Firmian, sposo di Dorotea Metz, ultima discendente della nobile famiglia nel cui predicato nobiliare è la radice del toponimo Mezzocorona, fu probabilmente il promotore di una prima ristrutturazione dell'antica scaria vescovile a fine '400. Al nome di Francesco Alfonso Firmian è legato invece il significativo intervento d'inizio '700, che diede al palazzo il nobile aspetto che tuttora presenta. Nel ‘700 il palazzo divenne principale residenza della famiglia, accanto a Castel Firmian. Nell'800 il palazzo passò in mani private (Chini e poi Martinelli) e fu anche trasformato in locanda. In seguito fu utilizzato come residenza privata fino all'acquisto da parte del comune nel 1985. In occasione del restauro sono stati studiati in modo approfondito gli aspetti storici e artistici del palazzo, evidenziandone l'importanza. In particolare è stato possibile attribuire al pittore altoatesino Paul Troger (1698-1762) gli affreschi presenti al secondo piano dell'edificio. ...
Palazzo Martini sorge nel cuore del paese di Mezzocorona (TN), avvolto nel verde dei vigneti e del giardino, e ben rappresenta una tipica dimora di nobiltà di campagna del tempo. Di semplice e garbata eleganza, l’edificio padronale a due piani, risale alla seconda metà del XVII sec., e nello stile concilia il decoro della nobiltà con il temperamento contadino, semplice e concreto. Fu edificato dalla Casata De Vescovi, e passò poi alla famiglia dei Conti Martini, nobili originari di Riva del Garda, ma all’epoca residenti a Calliano, portato in dote da Teresa De Vescovi che si congiunse in matrimonio con il Conte Carlo Martini (1714). La facciata di impianto seicentesco propone importanti decori in pietra attorno alle finestre ed al portale d’accesso, ed è impreziosita da un affresco raffigurante la Sacra Famiglia datato 1663 e dagli stemmi delle nobili famiglie De Vescovi e Martini, il primo affrescato sopra il portone, il secondo scolpito nella pietra ed incastonato a lato dell’ingresso. Le finestre del primo piano sono protette da inferriate, mentre quelle del secondo hanno preziosi vetri esagonali piombati e sono sormontate da piccole finestrelle ovali che danno luce alle soffitte. La facciata nord del Palazzo si affaccia su un breve cortile ombreggiato da betulle. La severità del prospetto è interrotta dalla sporgenza dell’erker, elemento architettonico tipicamente nordico, dove la serie continua di finestre cattura la luce di ogni ora del giorno. Gli affreschi, le decorazioni e gli arredi che animano gli interni del palazzo, riassumono secoli di storia e di stili, che vanno dal 1700 ad inizio 1900. Al piano terreno, alla destra del portone, si accede all’ufficio patrimoniale, dedicato un tempo al disbrigo delle faccende amministrative dell’ampia azienda agricola. Accanto tre piccole stanze di servizio, con il caratteristico soffitto a volta. Il primo piano della casa costituiva l’abitazione vera e propria, con la saletta da pranzo, due stanze da letto ed un salotto, dove troviamo delle stufe in ceramica decorate, risalenti al XVII e XVIII secolo, particolarmente interessanti. Il secondo piano è riccamente decorato, era lo spazio di rappresentanza, dove venivano accolti gli ospiti importanti, o date le feste. ... Prospiciente al Palazzo è il giardino, gradevole e gentile dove una grande quercia boema vigila imponente. ... L’ultima generazione dei Conti Martini ha ceduto la proprietà nel 2003 alla Cassa Rurale di Mezzocorona, che in alcune significative occasioni ha aperto al pubblico questo gioiello architettonico della nostra borgata. La più importante occasione per assaporare l’atmosfera antica di questo luogo è sicuramente la Mostra del Teroldego che si tiene ogni anno all’inizio di settembre ed ha trovato qui la degna cornice per valorizzare il più raffinato prodotto della nostra terra».
http://www.comune.mezzocorona.tn.it/Turismo/Arte/Palazzo-Firmiam - ...Turismo/Arte/Palazzo-Martini
Mezzolombardo (castello di Mezo San Pietro, poi della Torre)
«Fulcro della nobiltà di Mezzolombardo, questo castello fortificato riporta all’epoca in cui la Piana Rotaliana era crocevia di culture, di uomini di potere e di arte: proprio in questo castello, infatti, uno dei principi vescovi di Trento ebbe la sua dimora. Il castello della Torre è situato in un luogo molto significativo per la storia della borgata, su una balza tra il vecchio rione del Piaz e i gradini rocciosi del Travaiòn. L’attuale complesso castellare è frutto di ricostruzioni, ampliamenti e restauri e presenta elementi architettonici risalenti ad epoche differenti: cinquecenteschi, barocchi e settecenteschi con sovrapposizioni successive. È considerato l’erede del più antico Castello di Mezo S. Pietro, che si presume sorgesse sull’altura della Toresela. Le prime notizie storiche risalgono al 1541, anno in cui il principe vescovo Cristoforo Madruzzo elesse a feudo vescovile il casamento “detto la torre” sito sul “dosso di S. Apollonia”, infeudandone Sigismondo Spaur. Il nucleo più antico è costituito dalla torre grande, risalente ai primi anni del Quattrocento, che nel Cinquecento è stata inserita nel palazzo baronale ed accompagnata da due altre torri a scopo ornamentale. Il rifacimento spauriano ha modificato l’impianto preesistente ed è stato portato avanti dalla famiglia anche dopo la morte di Sigismondo, avvenuta nel 1544. Interessante ricordare che nel 1638 fra queste mura nacque Giovanni Michele Spaur, principe vescovo di Trento dal 1695 al 1725. Gli Spaur abitarono Castello della Torre fino alla prima metà del XIX secolo quando il loro asse ereditario passò al conte Eugenio Welsperg. In seguito venne venduto alla Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Nel 1940, infine, fu comperato da Rinaldo Tamanini. Il complesso castellare, interamente circondato da una cinta muraria, comprende i terrazzamenti di coltura, la chiesetta di S.Apollonia e due nuclei abitativi: un casamento rurale e la residenza nobiliare con torre angolare nella corte inferiore; una casa torre e la torre grande nella corte superiore. Oggi, nelle 64 stanze degli antichi edifici, è rimasta solo qualche tela della ricca raccolta che esse un tempo custodivano. Nel cortile antistante il palazzo si erge la chiesa di S. Apollonia, risalente al Cinquecento. ...».
«La visita ai ruderi del castello di Albano, pochi muri sbrecciati e i resti di una torre quadrata che s’intravedono alle spalle del santuario di Monte Albano e si distinguono con difficoltà dai muretti di contenimento di campagna, riserva aspetti piacevoli per l’amenità del luogo e per il panorama che si gode sulla valle dell’Adige e quella del Cameras. I ruderi sorgono sulle estreme propaggini del monte Biaena, su un dosso che sovrasta l’abitato di Mori e sono facilmente raggiungibili attraverso una suggestiva mulattiera che sale dalla borgata e si snoda fra orti, campi terrazzati e macchie di pini fino a giungere alla radura cosparsa di grandi massi di frana. I ruderi rivelano una costruzione articolata, dai muri alti, con poche aperture. Le tre cortine di cinta, visibili fra la vegetazione e i massi di frana, erano interrotte da torrette quadrangolari di cui rimangono le fondazioni. All’interno della cinta murata è possibile individuare il mastio quadrato e la cisterna. Un’apertura rimessa in luce nella cinta ad est, grazie ad una corrente d’aria costante, serviva agli eremiti che custodivano il santuario di Monte Albano come refrigeratore per le derrate deperibili. Posto alla confluenza della valle dell’Adige con la valletta di Loppio, dove passava la via che risaliva dal lago di Garda, il castello doveva la sua importanza alla posizione di controllo e di vedetta, importanza aumentata quando il maniero nella seconda metà del Duecento entrò a far parte delle possessioni dei Castelbarco diventando la sede di una linea della famiglia, quella di Castelbarco-Albano. L’ultimo rappresentante della famiglia, Ottone, morto nel 1414, abbellì la residenza circondandola di orti e giardini e il suo testamento costituisce una preziosa fonte per ricostruire l’aspetto dei castelli trentini del Medio Evo.
Il piccolo maniero era circondato da giardino, orti, vigne di moscato e frutteto ed era provvisto di granaio, fienile, stalla -con due buoi e quattro cavalli- pollaio e un locale per la muda di sparvieri indispensabili alla caccia. La residenza vera e propria era a due piani: in basso cantine e avvolti, al pianterreno la sala dei conviti con il caminetto, la “camera picta” riservata agli ospiti, la loggia, un magazzino, la dispensa e la cucina con il forno, al piano superiore le stanze del signore. L’arredo era limitato a panche e tavoli, tre cofani dipinti, due grandi armadi, sei letti, alcuni piccoli forzieri e un solo quadro, di argomento sacro, nell’ingresso. Il lusso si concentrava nelle vesti di fustagno e di velluto, foderate di seta e di pelliccia, nelle cinture di cuoio e d’argento, nei servizi da tavola, dei quali facevano parte posate, tazze d’argento, piatti di peltro, bottiglie e bicchieri in prezioso vetro e infine nelle armi, sparse in tutti i locali: spade, elementi di armatura, tra i quali una celata d’acciaio guarnita in argento, archi e balestre, cassette di frecce, faretre... Nel 1439, i Castelbarco vennero in urto con Venezia, ormai saldamente installata nella Val Lagarina. La reazione veneziana non si fece attendere e fu particolarmente dura, in essa incappò anche il castello di Albano, che fu preso, saccheggiato e ridotto per sempre allo stato di rudere. Il castello di Nomesino seguì la stessa sorte. Il castello fu utilizzato dagli austriaci nel 1914-18 come postazione e vi furono scavate delle trincee, tuttora visibili. Le caverne che si aprono nella rupe soprastante i ruderi, chiamate Bus del Barbaza, costituirebbero, secondo la tradizione popolare, l’ingresso di un lungo sotterraneo che collegava il castello con palazzo Salvotti, a Mori, sotterraneo custodito dal Barbaz, figura mostruosa messa a guardia del tesoro che vi sarebbe stato nascosto».
http://www.val-di-gresta.it/Cultura/DaVisitare/Arte/MonteAlbano/default.asp
«Aldrighetto, Giordano e sua moglie Nicca, signori di Gardumo, vennero investiti, nel 1225 dal vescovo Gerardo, del "dosso" di Gresta per costruirvi un castello. Vi costruirono così negli anni successivi il castello di Gresta, posto a sud del piano di Pannone nel mezzo della Val di Gresta che in gran parte dominava a vista e che dal castello prese poi il nome. Nel secolo successivo il castello passò ai Castelbarco e divenne sicuramente loro feudo nel 1324. Antonio Castelbarco, signore di Gresta, fu alleato di Venezia nel corso del quindicesimo secolo; ma nel 1497 accettò l'infeudazione di Massimiliano d'Asburgo, conte del Tirolo e da allora la giurisdizione di Gresta restò tirolese fino alla sua estinzione nel 1843. Nel 1507 Massimiliano armò e fortificò il castello e nel marzo del 1508 i veneziano tentarono di depredare i paesi di Gresta: "e andando tremila fanti dei loro ad ardere certe ville del conte d'Agresto, furono messi in fuga dai paesani, e mortine circa trecento" (Guicciardini, Storia d'Italia). Ma a Pasqua dello stesso anno il castello venne bombardato e conquistato da tre compagnie della Serenissima guidate da Giovan Battista Caracciolo, dal capitano Dionisio Brentonico e dal generale Emo. Nel 1509 Niccolò di Castelbarco tornò in possesso del castello dopo la sconfitta di Venezia ad Agnadello.
Nel sedicesimo secolo il barone Niccolò di Gresta fu l'unico sopravvissuto dell'antica famiglia Castelbarco e iniziò una secolare causa contro il principe vescovo di Trento per recuperare i beni dei suoi avi ed in particolare i Quattro Vicariati; essi vennero invece infeudati alla famiglia dei principi-vescovi Madruzzo. Nostra di Castelbarco, figlia del barone Niccolò, s'innamorò di un rampollo dei Madruzzo, nemici della sua famiglia a causa della lite per i Quattro vicariati. Il padre ed i fratelli di Nostra osteggiarono l'amore dei due giovani e si opposero al loro matrimonio. Allora Nostra tentò il suicidio gettandosi dalla rupe del castello; tuttavia si salvò. Era stata promessa sposa al conte Vinciguerra d'Arco che non volle nemmeno conoscere; ma dopo il tentato suicidio, pentita, raggiunse Vinciguerra, che deluso aveva cercato la morte in battaglia in Lombardia ed era stato ferito gravemente. Alla fine Nostra e Vinciguerra si sposarono nella chiesetta di Caneve d'Arco dove un graffito ricorda la cerimonia nuziale. Nel 1654 i Castelbarco di Gresta ottennero i Quattro vicariati e ben presto si trasferirono nel nuovo Palazzo di Loppio; l'antico castello rimase la sede della giurisdizione. Nel 1703 il castello venne incendiato dalle truppe del generale francese Vendôme nel corso della Guerra di successione spagnola. Il castello non venne più ricostruito e coll'andare degli anni si diroccò sempre di più fino a raggiungere il degrado odierno; nel bosco infatti riusciamo ad intravedere solo pochi ruderi, imponenti ma pericolanti. Nel 1880-81 venne costruito un forte austriaco su un'altura nei pressi del castello, a conferma dell'importanza strategica del luogo».
http://www.val-di-gresta.it/Cultura/DaVisitare/Arte/IlCastelloDiGresta/
MOSTIZZOLO (ruderi del castello)
«Alla confluenza del torrente Pescara verso il Noce, all’imbocco della SS. N°42 del Tonale e Mendola, dal ponte a lato del ristorante, merita una rapida visione lo sperone di rocce che sporge dall’appendice sud della piana del Mezzalone vicino; infatti fino al 1989, si nascondevano le tracce delle fondamenta del Castello di Mostizzolo. Il terreno venuto in proprietà del comune di Cis nel 1788, per alcuni secoli destinato a bosco, recentemente fu dato in concessione come cava di materiali inerti. Durante la pulitura dalla vegetazione, si misero videro lunghi muri ed una base di torre quadrata di origine romana, le cui dimensioni sono di m.8 x 8 circa, ora essa è stata messa in luce completamente, mentre le fondazioni del rimanente e le tracce dell’edificio medioevale sono state distrutte dal livellamento dell’intera collina. Parte dei materiali lapidei sono incorporati nell’edificio affiancato, costruito su un muro originariamente di cinta del castello. La quota del castello è ora ridotta a m. 594 s.l.m., la storia dell’edificio risale al IV sec. d.C.; nato come torre di avvistamento romana e poi a guardia della discesa stradale della valle di Sole, nell’Alto Medio Evo. Le notizie citano il castello di Mostizzolo nel 1261, quando l’edificio di servizio alla torre viene ampliato e fortificato, intendendo la “casa murata” come castello; il permesso fu dato a Peramusio di Buoninsegna dei signori di Livo, dal vescovo principe di Trento Egnone di Appiano, famiglia giurisdizionale nella zona di Livo. Tra il 1424 ed il 1444 il castello fu investito ai nobili Staigkin (Stanchina), mentre nel 1447 causa alcune dispute feudali viene investita la famiglia Thun che ne sarà proprietaria fino alla cessione alla comunità di Cis».
http://www.visitvaldinon.it/documenti/Depliand/GiriInArte/giridarte.pdf
Nago-Torbole (Castel Penede, ruderi)
«Del Castel Penede antica rocca di difesa delle terre trentine, restano solo delle rovine dopo le cannonate del generale Vendome (1703). Durante tutto il Medioevo questo Castello rivestì una notevole importanza militare come opera di difesa e simbolo di potere e di dominio. Si trattava di una costruzione molto ampia e complessa: lunga 103 metri e larga 43, l'area racchiusa dalle mura era di 3673 metri quadrati. Durante i secoli il castello subì molti ampliamenti e trasformazioni, anche ad opera dei Veneziani che, durante la loro occupazione, (1440-1509) vi aggiunsero una "bastìa". La prima notizia ufficiale riguardante Castel Penede è dell'11 settembre 1210, quando il vescovo Federico Vanga stipulò la pace con Odorico e Federico d'Arco, riservandosi però i diritti sul castello "onde poter usare la fortezza in ogni momento". La storia di Castel Penede è tutto un susseguirsi di battaglie per il suo possesso, che videro coinvolti i più potenti signori locali dell'epoca, autori o testimoni di distruzioni e ricostruzioni. Conteso dagli Scaligeri di Verona che avevano l'appoggio dei Guelfi di Brescia, dai Veneziani e dai Castelbarco, il Castello e le terre circostanti fecero parte quasi sempre del Feudo dei Conti d'Arco, che avevano signoria anche sui paesi di Nago e di Torbole. Recenti rinvenimenti archeologici hanno messo in luce resti di fortificazione con grosse mura e torri che correvano lungo tutta la dorsale dello spuntone roccioso sul quale sorgeva il castello, fino a Torbole. Il Castello di Penede faceva dunque parte di un complesso difensivo destinato al presidio della parte meridionale del Tirolo, provincia dell'Impero Asburgico. Da documenti seicenteschi risulta che il castello era formato da una fortezza protetta da una cinta muraria con un ponte levatoio, e da un'altro giro di mura, con camminamenti, torri e bastioni all'esterno. Il Castello e le sue mura racchiudevano una piccola città autosufficiente: c'era la Torre della polvere, la Bastia veneziana, la Bastia del Wagele, la cappella, due fornitissime sale d'armi, il torchio, il panificio, il molino, la caneva della farina, la cantina, la falegnameria, l'officina del fabbro, oltre alle abitazioni e ai locali per i soldati. Anche se già a quel tempo il castello cominciava ad essere trascurato, era tuttavia munitissimo di armi ed in esso si celebravano processi anche con ricorso di tortura. Nel 1701 la vecchia fortezza fu occupata dalle truppe di Eugenio di Savoia guidate dal generale Guttenstein; due anni dopo, il 31 luglio 1703, il colonnello imperiale Fresen vi fu assediato dai franco-spagnoli comandati dal generale Vendòme: il castello fu espugnato, messo a sacco, incendiato e poi demolito con le mine. ...».
«Stupendo esempio di architettura militare, il Forte di Nago rappresentava un importante elemento della cintura di difesa costituita da trenta forti realizzata dal governo di Vienna dopo la sconfitta di San Martino e Solferino nel Basso Garda nel1859, durante la seconda guerra di indipendenza con la conseguente perdita della Lombardia. Costruito fra il 1860 ed il 1861 vicino alle rovine di Castel Penede, disponeva di otto cannoniere al primo piano e di sei al secondo ed era anche dotato di una serie di feritoie per i fucilieri. Le "bocche di lupo" del Forte tenevano sotto controllo tutto l'Alto Garda e il Passo San Giovanni, facendo parte integrante del Festungabschnitt o piazzaforte meridionale di Riva agli ordini dell'arciduca Eugenio. Alle possenti fondazioni della fortezza i costruttori hanno affiancato un certo gusto decorando con conci in pietra tutte le feritoie ed aperture. All'interno il Forte era dotato di tutti i servizi necessari per una completa autonomia degli ufficiali e degli artiglieri che lo occupavano. Quest'opera constava di due fortezze poste a livelli diversi e collegate da una spessa muraglia e da una gradinata, con la polveriera a mezza strada. Nel complesso la coreografica fortezza era una vera montagna di pietra, contro la quale niente o assai poco hanno potuto le cannonate della prima guerra mondiale. Al suo interno il Forte presenta una struttura massiccia, caratterizzata da archi a tutto sesto, ma rivestiti di mattonelle per attenuare la severità e l'asprezza ambientale di questo possente ordigno di guerra. Il visitatore che si affaccia alle feritoie vedrà, da ognuna di esse, un panorama sempre diverso, del lago e delle grandi montagne che lo cingono e della piana del Sarca, sempre di grande fascino e di straordinaria bellezza».
http://www.tuttogarda.it/nago_torbole/torbole_castelli.htm
«Il Castello di Nanno sorge nel piccolo paese omonimo, uno dei più antichi della Val di Non. Di origine medievale fu fatto ricostruire durante il Cinquecento, assumendo l’aspetto attuale di edificio in stile rinascimentale. Oggi visitabile solo all’esterno, in quanto residenza privata, Castel Nanno è il protagonista di sconvolgenti leggende che narrano di streghe e infelici amori. Castel Nanno è forse la costruzione più "italica" del Trentino, al punto che la leggenda vuole quale suo ideatore Andrea Palladio. La parte più antica dell’intera struttura voluta dalla famiglia Nanno, la torre diroccata sul lato nord-est, risale all’epoca medioevale. Alla metà del Cinquecento la famiglia Madruzzo modifica radicalmente l’originario aspetto di fortilizio di Castel Nanno, trasformandolo in una residenza estiva rinascimentale a base quadrata, col mastio centrale e quattro torrette agli angoli del muro di cinta. Gli interni sono costituiti da sale affrescate con soffitti in legno e una scalinata di pietra, con parapetto a colonnine, unisce i diversi piani dell’edificio. La leggenda legata a Castel Nanno racconta della tragica storia d’amore tra Melisenda e Ludovico: lei era la figlia dei Nanno, signori del maniero, e lui il figlio degli Sporo, famiglie tra loro nemiche. Quando i due amanti furono scoperti, il padre di Melisenda ordinò che venissero murati vivi nel castello. Così, da allora, si dice che durante le notti di maggio Melisenda e Ludovico facciano riecheggiare ancora i loro disperati lamenti. Non solo: all’interno di Castel Nanno nel Seicento si svolse anche un processo per stregoneria, che si concluse con la condanna al rogo di tre giovani donne. A testimonianza di questo episodio vi è una pietra con incise tre croci in una delle stanze al pianterreno».
http://www.dolomiti.it/it/trentino/nanno/approfondimenti/castello-di-nanno/
NoarnA O CASTELNUOVO (Castel Noarna)
«Posto su un rilievo collinare e immerso nel verde, Castelnuovo (o Castel Noarna) domina con la sua mole l'intera Vallagarina. Salendo dalla Valle dei Molini imboccando il bivio verso Noarna, troviamo il castello sulla destra oppure, uscendo dal paese di Noarna, di fronte. L'immobile è di proprietà privata, sede di un'azienda vitivinicola. Il nome Castelnuovo (menzionato già nel secolo XII) fa supporre l'esistenza di un edificio più vecchio e reperti di tombe romane e longobarde, rinvenimenti come una spada in bronzo, una spada ritenuta di epoca longobarda e monete romane, lo confermano. L'attuale aspetto dell'edificio è il risultato di più fasi costruttive, che risalgono al 1500-1600. Nel '200 in possesso dei vescovi, appartenne fino alla fine del 1200 ai Conti di Castelnuovo, passò poi al potente casato dei Castelbarco (i cui feudi comprendevano, tra l'altro, anche il castello di Sabbionara d'Avio) fino al 1486 quando Giorgio e Paride di Lodron lo assalirono e conquistarono. Con Nicolò Lodron il castello assunse l'aspetto attuale: da fortificazione di uso difensivo venne trasformato in edificio residenziale. Nicolò, investito del feudo nel 1532, sposò Gentilia contessa d'Arco (dalla quale ebbe un figlio, Gasparo) e in seconde nozze Beatrice di Castellalto. Nella seconda metà del 1800 la famiglia Lodron si trasferì nel palazzo di Nogaredo e il castello venne utilizzato prima solo come residenza estiva, poi, verso la fine del secolo, definitivamente abbandonato. Dal 1974 il castello è proprietà della famiglia Zani.
Il primo nucleo fu costruito sui resti di una fortificazione di epoca romana a guardia della rete viaria del tempo e a controllo della navigazione sul fiume Adige. Si accede al castello varcando un cancello e seguendo il viale fino al ponticello soprastante il fossato che circonda l'immobile e ci immette oltre le mura, passando attraverso la torre di guardia. Ai lati del portale si notano ancora oggi i fori per le catene del ponte levatoio in legno una volta esistente, gli stemmi dei conti Lodron col leone rampante e dei conti d'Arco. Oltrepassata la torre, una gradinata ci conduce al secondo posto di guardia, formato da un portone e una finestra con inferriata, a fianco un muro merlato con i segni del camminamento delle guardie. Nella parte centrale troviamo l'elemento fondamentale per la struttura difensiva di un castello: il Mastio (risalente al XIII secolo e non modificato da successive ristrutturazioni), formato da una torre ornata da una merlatura guelfa, due locali di guardia e le immancabili (per un castello) prigioni, dove furono rinchiuse le streghe di Nogaredo. Da notare anche gli archi a tutto sesto in pietra rossa nei muri circondanti il mastio. Dal cortile del mastio si accede alla Cappella, con navata a crociera. La pala sull'altare (datata 1580 e attribuita a Paolo Naurizio) rappresenta l'incoronazione della Vergine e sono raffigurati anche i Santi Nicola e Francesco. La cappella fu dedicata a S. Nicola sia in onore di Nicolò Lodron, che la commissionò, sia per il motivo che tale santo era il protettore dalle pestilenze che a quell'epoca infestavano la valle. Prima di lasciare la cappella, vale la pena di notare, sopra la porta da cui siamo entrati, la loggia lignea decorata con motivi floreali da cui la famiglia Lodron assisteva alle funzioni religiose. Tornati nel cortile, accediamo all'atrio, con una bella volta affrescata con festoni, putti, gli stemmi delle famiglie Lodron, Castellalto e Arco, episodi mitologici. Gli affreschi della volta dello scalone d'onore (seconda metà del 1500) richiamano quelli di Michelangelo della Cappella Sistina di Roma: troviamo la creazione degli Astri, la separazione della luce dalle tenebre e una figura di Ignudo. In basso, profeti e sibille. Nelle lunette sono raffigurate scene cavalleresche ambientate nelle valli trentine (nella lunetta a fianco della porta gotica si riconosce la Vallagarina con Castel Noarna, Castel Pietra e Castel Beseno). Salendo al piano superiore, si accede alla Stuba Magna, arricchita con affreschi raffiguranti le guerre d'indipendenza e religiose dei Paesi Bassi. Furono realizzati per le nozze di Massimiliano Lodron (figlio di Gasparo Lodron e Anna Berka) e Sibilla Fugger, nel 1602. Nella sala troviamo rappresentati gli stemmi delle famiglie Lodron, Berka e Fugger».
http://www.comune.nogaredo.tn.it/storia-e-eventi/stemma-e-storia
«Il Palazzo Lodron di Nogaredo,
circondato da verdi vigneti, è citato per la prima volta nel 1553. Una
scritta sopra il portale d'ingresso indica che fu edificato su preesistenze
per volere del Conte Nicoló Lodron nel 1593.
è ancora di proprietà della
famiglia Lodron. Costruzione molto significativa per arte e storia, da
sempre residenza nobiliare dei Lodron insediatesi sul territorio lagarino
sin dal 1456, è ricordato in modo particolare come sede del tribunale nei
processi alle streghe nel periodo 1647-1717. I Lodron, uno dei casati più
importanti del Trentino, erano originari della zona a nord del lago d'Idro,
con possedimenti nelle valli Giudicarie, Rendena, del Chiese, fino alla
Vallagarina, quando risposero alla chiamata del principe Vescovo di Trento,
Giorgio Ilack. I conti di Castelbarco si rifiutavano infatti da alcuni anni
di chiedergli il rinnovo delle rocche di Castelnuovo, Castellano, Nomi e
Castelcorno. Il Vescovo allora incaricò i Lodron di colpire gli infedeli
feudatari e così Marco di Caderzone, col padre Giorgio e lo zio Pietro,
occupò Castelnuovo (Castel Noarna) e obbligò alla resa gli altri tre
castelli. Come ricompensa, il vescovo affidò in feudo ai Lodron i castelli
di Castelnuovo e Castellano. Verso la metà del Cinquecento il ramo di
Vallagarina si divise così nelle due linee di Castelnuovo e Castellano (che
si estinse con la morte del conte Antonio, il quale fu parroco di
Villalagarina e poi del duomo di Salisburgo). Personaggio importante della
famiglia fu Paride Lodron, arcivescovo di Salisburgo e figlio di Nicolò.
Nato nel 1586 a Castelnuovo nella Val Lagarina, si recò a Salisburgo su
iniziativa dello zio Antonio per iniziare una carriera clericale. Divenuto
arcivescovo nel 1619, fino al 1653 incarnò in sé il modello ideale del
principe e del vescovo. Anche dopo il suo trasferimento a Salisburgo,
mantenne legami con i possedimenti Lodroniani trentini. L'architetto
bergamasco Santino Solari, artefice della costruzione del duomo di
Salisburgo e delle fortificazioni della città, fu incaricato di ingrandire e
trasformare il Palazzo di Nogaredo. In questo periodo, quindi, l'edificio
assunse l'aspetto attuale. La connessione architettonica al duomo di
Salisburgo come pure al castello di Hellbrunn è evidente. Paride fece
costruire la cappella dedicata a S.Carlo Borromeo, su progetto di Solari,
con decorazioni della volta di Donato (fra Arsenio) Mascagni. Paride Lodron
morì nel 1653 e fu sepolto nel duomo di Salisburgo. Quando all'inizio del
Settecento il ramo di Vallagarina si estinse, subentrò ad esso quello delle
Giudicarie.
Lo stemma della famiglia Lodron viene così descritto: il campo dello scudo è
di colore rosso con un leone rampante d'argento, con la coda bifida
intrecciata tre volte - cimiero: il leone del campo dello scudo nascente
dalla corona. Oltrepassato il portone che immette nel palazzo da Via Conti
Lodron, ci si immerge nel verde del giardino dei ciliegi (come dice il nome,
con molte piante di ciliegio); verso monte, un muro di cinta con una bella
fontana con un leone che regge il motto "Fortitudo", emblema dei Conti
Lodron. L'ingresso nobile del palazzo è sormontato da una statua in pietra
calcarea che rappresenta un ufficiale imperiale in armatura (probabilmente
lo stesso Nicolò). La porta nord immette in un bel viale alberato con
ippocastani, fra due mura, che conduce alla località S. Lucia. Il cortile è
aperto al pubblico. Il palazzo è disposto su tre lati: un lungo corpo
centrale e due ali. Il corpo centrale è difeso verso valle da un muro con
torri agli angoli. Il viale d'accesso è compreso fra due torri con naselli e
feritoie. Nelle sale del palazzo oggi si tengono concerti, manifestazioni
culturali, si festeggiano matrimoni. Nel salone ogni autunno, in occasione
del Festival Mozart di Rovereto viene fra altro eseguita la "Serenata Lodron
("Lodronische Nachtmusik"), che Mozart aveva composto a Salisburgo per i
Lodron. ... Il centro del Palazzo è formato dalla sala del giudizio, dove
furono tenuti i processi alle streghe. Il salone fu anche adibito a salone
per concerti e Mozart pare fosse rimasto entusiasta dall'acustica di questa
sala. Anche oggi, come allora, serate musicali, concerti o conferenze
trovano in questa sala un ambiente ideale e speciale. Il soffitto della sala
da pranzo è arricchito da un affresco del XVI secolo racchiuso da una
cornice ovale di stucchi. Un artista sconosciuto dipinse il Conte Ludovico
Lodron in battaglia contro i Turchi. Si trova poi un grande tavolo per 16
persone, i cassettoni e un grande armadio. Il salotto è dominato da una
stufa a ole del XVII secolo e il pavimento è quello originale. Dal balcone
in legno (costruito agli inizi del 1900) si può ammirare un bel panorama
sulla Vallagarina».
http://www.comune.nogaredo.tn.it/storia-e-eventi/stemma-e-storia
Nomi (castello di Nomi, ruderi)
«La prima testimonianza scritta di epoca altomedievale (''de Nomio'', XII sec.) è poi seguita da copiosa documentazione, che testimonia il dominio dei Castelbarco (fino al 1499). Nel 1487 il Castello di Nomi fu bruciato e raso al suolo dai Veneziani. Poi, tra regalìe, conquiste, eredità e vendite, il dominio passò ai Busio Castelletti (milanesi di antico lignaggio) che conservarono la signoria fino al 1646. Il nobile Pietro Busio, in uno degli episodi più famosi e cruenti della Guerra Rustica, fu arso vivo nell'incendio della torretta rotonda della sua residenza (tuttora esistente) il 3 luglio 1525. Fu poi la volta dei Baroni Fedrigazzi (originari di Arco, resi nobili per meriti ''commerciali'') e poi (per matrimonio con l'ultima erede) dei Baroni Moll, ai primi dell'800. Nomi fece anche parte, dal 1500 al 1800 ca., del cosiddetto ''Comun Comunale'', associazione amministrativa tra diversi paesi confinanti, sorta di Comunità di Valle ante litteram. La prima metà del XX sec., con le due Guerre Mondiali, vide anche a Nomi lutti e disastri, come pure eroismi e Resistenza. Assolutamente da vedere il formidabile ed unico complesso costituito dai ruderi di Castel Nomi (recentissimamente sistemati a cura del Servizio Archeologico Provinciale) sulla rocca del Monte Corona, collegati da imponenti mura merlate con le strutture a valle: Palazzo Vecchio (residenza fortificata quattrocentesca, con la famosa Torretta Busio). Le poche mura rimaste narrano di un fortilizio non estremamente significativo nelle vicende politiche del Principato. Legato ai vari scontri che ebbero per scena la Vallagarina, il castello prese parte al famoso quadrilatero fortificato - Castel Beseno, Pietra, Barco - implicato nella Battaglia di Calliano, che vide l´Impero asburgico confrontarsi con Venezia. Appartenuto secondo fasi alterne ai Castelbarco, fu abbandonato in favore del più confortevole palazzotto edificato nel paese sottostante. Scelta frequente, questa, non solo in Trentino, e conseguente al miglioramento sociale ed economico verificatosi durante il Rinascimento».
http://castelliere.blogspot.it/2014/03/il-castello-di-sabato-8-marzo.html
«Il Palazzo Vecchio di Nomi costituisce un interessante esempio di residenza rinascimentale fortificata, con la bella loggia della facciata e con il robusto torrione semicircolare. Proprio dentro la torre, durante la guerra dei contadini del 1525, fu arso vivo l'allora feudatario Pietro Busio. Ridotto ad abitazione rurale, non è visitabile. Origine: XV secolo. Stato di conservazione: abbastanza buono».
http://www.castelli.cr-surfing.net/p501a.htm
«A Novaledo ... si trovano i resti della Tor Quadra, presidio di un antico ponte levatoio che sbarrava la strada in un punto obbligato. La fortificazione è costituita dai ruderi di due torri edificate nel XIII secolo a difesa della strada militare che con giungeva la pianura veneta col fronte alpino; è un esempio di chiusa a guardia della strada della Valsugana. Le due torri affiancate si trovano in un punto di sbarramento naturale del Brenta, con la conseguente formazione di un’ampia zona umida nella pianura alluvionale. In questo sito la cartografia di fine ‘700 riporta con sufficiente dettaglio la presenza di un esteso bacino, il Lago di Masi. Tale posizione, le caratteristiche strutturali, la planimetria disegnata dai due corpi di fabbrica fanno pensare ad uno sbarramento lungo un percorso importante: la strada sarebbe passata nello spazio fra le due torri e, forse, una cinta muraria completava il sistema fortificato. Di recente sono state condotte alcune operazioni di esplorazione. Le fondazioni del corpo meridionale potrebbero, con molte cautele, far sospettare l’esistenza di una muratura più antica. La realizzazione di questo complesso fortificato è ascritta all’età bassomedievale (XII-XIII secolo): tuttavia un recente studio sugli alzati propone confronti con architetture dell’età tardoantica e altomedievale».
http://www.torquadra.it/page31.html
«Il mastio del Castello di S. Michele sorge su uno sperone di roccia inaccessibile. Il Castello di S. Michele, chiamato così dal santo a cui era dedicata la cappella, o Castello di Ossana, sorge su uno sperone di roccia quasi inaccessibile. Era posto sulla via dei traffici tra la regione trentina e l´Alto Bresciano del Passo del Tonale e godeva d'una piena amministrazione civile e penale coperta dalla Curia Episcopale. Molto probabilmente risale all’epoca dei Longobardi, ma le prime notizie scritte risalgono al 1191. Alla guida del castello si succedettero varie famiglie nobili: i Principi Vescovi di Trento e poi i conti Tirolo-Gorizia. Nel XV secolo l’investitura passò ai de Federici della vicina Val Camonica, quindi agli Heydorf ed ai Bertelli. A cavallo fra Ottocento e Novecento fu comproprietaria del maniero Bertha von Suttner, Premio Nobel per la pace nel 1905 e ninfa Egeria di Alfred Nobel. Il Castello presenta nel suo possente mastio alto 25 metri, l’elemento architettonico più caratteristico e meglio conservato dell’intero complesso. I muri sono spessi 2,78 m., ha un ponte levatoio, un avancorpo fortificato, una guardiola e resti di una facciata romano gotica. Due i settori che lo dividono all´interno: l´inferiore, forse stanza delle guardie, in comunicazione con un ambiente adibito a prigione, ed il superiore, che termina nelle travature lignee del tetto a quattro falde».
http://www.visittrentino.info/it/cosa_fare/da_vedere/dettagli/dett/castel-s-michele
©2014 ss.