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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI TRENTO
in sintesi, pagina 2
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Pergine Valsugana (Castel Pergine)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il castello di Pergine sorge sulla sommità del colle Tegazzo da dove domina gran parte dell’Alta Valsugana. Secondo alcuni studiosi una prima fortificazione del colle del castello è ascrivibile al periodo longobardo. è tuttavia molto probabile che anche in epoche precedenti vi fossero stati degli insediamenti sul colle del Tegazzo, dati i ritrovamenti archeologici sul vicino dosso e su quello dei dintorni di Pergine. La presenza altomedievale ha cancellato tutte le tracce di un castelliere preistorico e di un uso di questo luogo in epoca romana. Nell’845 Pergine era una gastaldia vescovile e i signori “da Pergine” vassalli dei Vescovi di Trento. Dell’esistenza del castello si parla per la prima volta in un documento del 1215 che contiene l’elenco dei beni comunali e dove compare il toponimo “retro castrum”. Nel 1289 i Conti di Tirolo occuparono militarmente il Perginese e furono rappresentati dai loro capitani fino al 1340, quando Pergine passò al Principato Vescovile di Trento. Tra le vicende di impossessamento e occupazione del castello da parte dei Signori da Carrara di Padova e dei Conti di Tirolo, esso ritornò al Vescovo di Trento nel 1531 quando Bernardo Clesio stipulò una convenzione con l’Imperatore Ferdinando I, in base alla quale Clesio cedeva i diritti della Chiesa di Trento su Bolzano in cambio della Signoria di Pergine. Alla seconda metà del Quattrocento, durante la dominazione tirolese, risale la ricostruzione del castello nella forma gotica che ancora oggi lo caratterizza; perse quindi la configurazione di fortezza per assumere, con la costruzione del palazzo centrale bastionato, quello di residenza. Durante la Grande Guerra (1914-1918) divenne luogo di riposo per gli ufficiali austriaci e alla sua conclusione passò all’Associazione ex-combattenti, che lo vendette al Comune di Pergine per 500 mila lire. Il Comune lo diede quindi in gestione alla Società per la valorizzazione delle acque minerali di Sant’Orsola che lo trasformò in albergo. Poi venne affittato all’Associazione cattolica Zurighese, il cui presidente lo acquistò nel 1956 dal Comune di Pergine per 13 milioni e 500 mila lire.
PARTE ESTERNA. Il Castello è strutturato in tre corpi murari: il Castello Superiore o Mastio (Torre Grande) che è la parte più antica; il Castello Inferiore o Palazzo Baronale (chiamato anche Magno Palazzo) con torrione angolare; la Cinta Esterna con torri e bastioni. Si entra nel castello attraverso la Torre di Guardia. Seguendo la cinta muraria, composta da dodici merli con feritoie, si arriva alla torre rotonda, detta anche torre delle torture poiché, secondo la tradizione c’erano la stanza e gli strumenti della tortura. Dallo spalto fra la Torre Rotonda e la Torre di Guardia si può godere di un eccezionale panorama: Pergine e dintorni, Civezzano e le guglie delle Dolomiti di Brenta, i monti del Pinetano e la Valle dei Mocheni. All’esterno del castello, lungo tutta la cinta muraria, corre un sentiero attrezzato, che consente di localizzare meglio la disposizione del castello sul colle, di apprezzarne le modalità costruttive, le dimensioni e gli apprestamenti difensivi, in particolare nel lato sud-est.
PARTE INTERNA. Si entra nel palazzo Baronale per accedere alla sala delle guardie o sala delle armi dove sulle vele del Pilastro centrale ottagonale si vedono gli stemmi e gli emblemi del Vescovo Clesio e altri quasi scomparsi. Si sale al piano nobile per la scala a chiocciola fermandosi al mezzanino per entrare nella prigione della Goccia. Qui i prigionieri erano costretti a rimanere seduti con le mani fissate a degli anelli e la testa immobilizzata, a subire il supplizio della goccia: da un foro nella volta una goccia d’acqua cadeva con regolarità inesorabile sul capo del condannato, che moriva tra atroci dolori. Giunti al piano nobile si entra nella Sala del Giudizio o Sala del Trono dove si ritrova il pilastro ottagonale che si sovrappone a quello della sottostante Sala della Guardia. Attraverso una porta contornata in pietra si accede alla Sala del Giudice dove sono dipinti gli stemmi dei Principi Vescovo che allora erano in possesso di questo maniero. Dalla Sala del Trono si apre la porta per la Cappella di Sant’Andrea, del Quattrocento in stile tardogotico. La Cappella e la Sala del Giudice sono due sale non visitabili in quanto adibite a sala ristorante. Seguono altre sale escluse al visitatore come la Sala del Caminetto (chiamata anche Sala della Dama Bianca), che ha un grande camino di pietra rossa; la Sala del Principe dove nel 1508 dormì Massimiliano I d’Asburgo; la Sala del Balcone e la Sala del Vescovo. L’interno del Torrione si caratterizza per una serie di locali di piccole dimensioni e irregolari nella forma, disposti su quattro piani a livello diverso rispetto ai piani del Palazzo».
http://www.visitvalsugana.it/it/cosa-scoprire/castelli-del-trentino/Castel-Pergine_2121_IDS
«Oltre il Castello di Drena, l’estremo baluardo difensivo in direzione nord in possesso della famiglia d’Arco nel XIII secolo era rappresentato dalla Torre di Pietramurata. La questione onomastica questa volta è di più semplice risoluzione rispetto agli altri casi sin qui trattati in quanto è stata proprio la stessa torre, in virtù della sua peculiare caratteristica di essere stata edificata su un masso roccioso, a conferire il nome all’abitato che intorno ad essa è sorto e che inizierà a essere denominato nei documenti col nome di Pietramurata solo a partire dal XV secolo. La torre è anche conosciuta col nome di Torre di Guaita, ove il termine Guaita equivale a Waita e alle sue svariate declinazioni che compiano ripetutamente nel Codex Wangianus – come Vuaitad o waida – ove guaitare significa appunto prestare servizio di guardia all’interno di una fortificazione; letteralmente, dunque, il nome starebbe per “torre di guardia”. Come si intuisce dalle immagini, la sua conformazione attuale è quella di rudere di una torre che appare alta pochi metri, costruita sopra un gigantesco e grigio macigno calcareo. Essa sorge proprio nel punto più alto e centrale del paese che dalla costruzione ha preso il nome. Ad oggi è rimasta la base quadrangolare con uno spigolo insolitamente smussato e tondeggiante: ciò pare dovuto alle necessità costruttive di adattamento alle caratteristiche morfologiche del peculiare luogo nel quale è stata edificata. La struttura, attorno alla quale pare che fin dal principio sorgessero alcune abitazioni, si presenta attualmente inglobata tra le case ed è caratterizzata da una muratura a vista con fori in alto, insolitamente localizzati sui lati esterni, che verosimilmente dovevano fungere da incastro per delle travature in legno che farebbero presupporre l’esistenza di una bertesca. Sulla base di quest’ultima affermazione è possibile ipotizzate che, anche quando la struttura in pietra della torre fu completamente integra, è probabile che essa non dovesse essere molto più alta di quanto non sia attualmente, poiché le sue stesse posizione e funzione non lo richiedevano. Molto probabilmente, come detto, la struttura in pietra doveva essere parzialmente affiancata e poi sormontata da una in legno, la bertesca appunto, che costituiva la parte più elevata della torre e che la faceva allargare a partire dai punti in cui erano innestate le travature. Il paesaggio medioevale doveva dunque essere costituito dalla torre che si stagliava dal gigantesco masso di frana che la ospitava e da un maso vicino situato anch’esso su massi di frana al riparo delle paludi; pare, infatti, che almeno fino al 1500 la zona fosse prevalentemente paludosa. Altre dimore si devono poi essere aggiunte mentre la bonifica della piana andava allargandosi. ...
Se la questione onomastica si è rivelata di semplice risoluzione, vi sono invece molte incertezze circa la collocazione temporale dell’edificazione della torre al punto che esistono opinioni discordanti a riguardo. Alcuni studiosi ne fanno risalire le origini addirittura all’epoca longobarda, altri collocano invece la sua costruzione nel XIII secolo, mentre altri ancora farebbero risalire l’edificazione addirittura al XVI secolo. In questa miriade di ipotesi, la più verosimile sembra essere quella che attribuisce alla Torre di Pietramurata il ruolo di fortificazione di confine giurisdizionale con funzioni di segnalazione, posta originariamente sul confine tra i possedimenti della famiglia d’Arco e quelli dei signori da Campo, oltre che di caposaldo per la conquista agraria di terreni acquitrinosi. Se, dunque, si avvalla l’ipotesi che potesse aver svolto la funzione di torre di segnalazione situata proprio in prossimità del confine nord dei possedimenti dei signori d’Arco, è verosimile ammettere anche che essa possa essere ricondotta proprio all’attività edificatoria della famiglia arcense. In tal caso la collocazione più logica dell’edificazione dell’opera sarebbe da includere in un lasso di tempo che si estende dalla fine del XII secolo alla prima metà del XIII, ipotesi che, tra l’altro, risulterebbe compatibile anche con i risultati dei recenti studi archeologici. Del resto, come si è visto in precedenza, nei primi anni del XIII secolo, i d’Arco stavano estendendo i loro domini a nord della Valle del Sarca arrivando a contendersi anche Castel Toblino, nel quale però non riusciranno a insediarsi come viene rivelato da un documento del 1205. Non sarebbe inverosimile supporre che la Torre di Pietramurata potesse essere stata costruita proprio in seguito a tale avvenimento vista l’impossibilità per gli Arco di entrare in diretto possesso del non distante Castel Toblino che, comunque ... poteva, in tal modo, essere ben controllato dalla torre stessa. ...».
http://castellitrentini.wordpress.com/i-castelli-medievali-del-trentino/la-valle-del-sarca/torre-di-pietramurata (a c. di Danny Bagozzi)
Pieve di Bono (Castel Romano, ruderi)
«Castel Romano venne fatto costruire nel XII secolo circa sul dosso di Sant'Antonio, a dominare la Pieve di Bono e tutta la Valle del Chiese. La sua struttura architettonica è molto singolare in quanto non si tratta né di una torre né di un castello, ma un mix di entrambi: una possente torre-castello dall'ampia base poligonale. Appartenuto prima agli Appiano e poi agli Arco, nel XIV secolo passò definitivamente ai Lodron, che costruirono attorno all'originaria rocca i palazzi rinascimentali. Saccheggiato prima dai Corpi Franchi nel 1848 e poi dai garibaldini nel 1866, seriamente danneggiato dalle cannonate italiane durante il primo conflitto mondiale, il castello-residenza venne ridotto ad un cumulo di macerie. Solo da alcuni anni si è avviato un lento ed intelligente lavoro di recupero. è già stato ripristinato l'ingresso, è stato liberato il cortile e sono stati identificati alcuni vani del pianterreno e le prigioni; sono state recuperate alcune colonne del porticato e della loggetta di fondo, nonché antichi reperti e manufatti di pregio».
http://castelli.qviaggi.it/italia/trentino-alto-adige/castel-romano/
Pomarolo (Castel Barco, ruderi)
«Il robustissimo mastio del castello di Barco, costruito nel secolo XII, affianca lo spesso muro del palazzo. Di qui gli antichi Castelbarco controllavano la strada verso l'Italia e la Germania e la navigazione sull'Adige. Il castello fu distrutto nel 1508» - «Il ricordo dell´alto mastio poligonale, con pietre ben sezionate le une sulle altre, aiuta a delineare la sua origine, quando il castello era composto esclusivamente da una torre abitativa e da un recinto difensivo (XII sec). In seguito sopraggiunsero gli altri edifici con scopi residenziali ed una seconda cinta muraria. Schema, questo, un tempo ravvisabile con chiarezza anche qui, a Castel Barco, portavoce del suo passaggio da fortilizio sulla via stradale e fluviale dell´Adige, a maniero dell´omonima famiglia, divenuta in seguito assai potente. I Castelbarco, però, divisi in ben otto rami, lo lasciarono dopo che ebbe subìto saccheggi ed incendi. Dal XVI secolo, nulla fu più toccato. Ruderi. Accesso: raggiungibile a piedi da Savignano (passeggiata di circa mezz´ora».
http://www.castelli.cr-surfing.net/p503a.htm - http://www.tiscover.com/it/guide/5...
a cura di Stefano Favero
«Il Bastione di pietra grigia, posto sulle falde del monte Rocchetta, è uno dei simboli di Riva del Garda, a dominio della città e del lago. Costruito all’inizio del XVI secolo, quando era appena terminata la dominazione veneziana di Riva, per garantire una maggior sicurezza al borgo sottostante e ai suoi abitanti, venne distrutto nel 1703 dalle truppe francesi guidate dal generale Vendome che ne minarono il corpo centrale rendendo il fortilizio inutilizzabile. è raggiungibile senza difficoltà con una strada che sale fra la vegetazione fino a circa duecento metri di quota. Un sentiero più impervio porta poi alla chiesa di Santa Barbara (610 m) e alle cime più alte della Rocchetta (1520 m). Il Bastione con i secoli ha perso l’originaria funzione militare ma, anche grazie ai recenti restauri, ha conservato il suo fascino severo. è stato recentemente sottoposto ad un restauro conservativo, seguito dalla Sovrintendenza per i Beni Architettonici della Provincia Autonoma di Trento. L’allestimento di un punto informativo nei locali attigui documenta le scoperte e il lavoro svolto. Chi lo visita può ammirare la massiccia struttura esterna e quanto rimane dell’interno. Non meno interessanti la vista sulla città sottostante e il magnifico panorama dell’Alto Garda».
http://www.gardatrentino.it/it/Bastione-Riva-del-Garda
Riva del Garda (forti del Brione)
«La storia fortificatoria di questo monte inizia presto, al tempo dei Conti d’Arco. è, infatti, il 21 febbraio 1175 che i fratelli Federico e Odorico d’Arco, conferiscono in comune al loro vassallo, Isolano da Nago l’investitura del castello di Brione e di alcuni oliveti; ma è nel periodo Asburgico che il monte conosce uno sviluppo impensabile in tutto il suo complesso semicircolare. L’assassinio di Francesco Ferdinando e consorte a Sarajevo, in quel fatidico 28 giugno 1914, impressiona profondamente l’opinione pubblica europea, ma non trova impreparato l’Imperial Regio Governo Austriaco che da tempo aveva provveduto ad attrezzare degnamente il Festungabschnitt, ovvero, il settore fortificato meridionale che si affaccia sul lago di Garda. La prima fase fortificatoria corrisponde al piano difensivo preparato dal generale Kuhn von Kuhnenfeld, all’indomani della perdita della Lombardia, dopo la seconda guerra d’Indipendenza. Si inizia la costruzione dei forti sul Brione tra il 1860-1862. In effetti la puntata di Garibaldi, rafforza il sospetto sulla direttrice italiana di avanzata dalla Val di Ledro verso Riva e Trento. Con l’evolversi della tecnologia militare, tra il finire dell’800 e il cuore della prima guerra mondiale, anche la tecnica costruttiva dei forti ha subito l’evoluzione architettonica a seconda del momento storico. Il Brione può fungere da modello in questo contesto, perché qui si trovano tutte le generazioni di fortificazioni Austroungariche. Unico esempio tutt’ora esistente. Le opere fortificate del Brione comprendono: il forte s. Niccolò, il forte Garda, la Batteria di Mezzo, il forte s. Alessandro e una serie impressionante di postazioni disseminate su tutto il monte, tali da renderlo veramente una fortezza inespugnabile».
http://www.gardatrentino.it/it/Forti-Monte-Brione-riva-del-garda
«Porta Bruciata. Il nome sembra ricordare un incendio di cui non si hanno comunque notizie precise. Si tratta di un antico archivolto che congiunge l’attuale piazza 3 Novembre con piazza San Rocco. Porta San Marco. D’origine medievale fu ricostruita dai Veneziani nella seconda metà del XV secolo e restaurata nel 1536 dal vescovo Bernardo Clesio. Venne ridotta allo stato attuale nel secondo Ottocento in seguito all’intervento voluto dal podestà Baruffaldi. Porta San Michele. Metteva in comunicazione la città con l’esterno e fu in buona parte ricostruita alla metà dell’Ottocento sulla scorta di un progetto di Luigi Antonio Baruffaldi. Sopra la porta si eleva la torre campanaria della vicina chiesa parrocchiale».
http://www.gardatrentino.it/it/porta-bruciata-riva-del-garda - ,,,Porta-San-Marco-riva-del-garda - ,,,porta-san-michele-riva-del-garda
«Raro esempio di fortificazione medievale situata all'interno di un borgo cittadino, è oggi sede del Museo Civico di Riva Antichissimo castello di Riva del Garda, la Rocca di Riva, nonostante le diverse trasformazioni, ancora oggi conserva un aspetto austero e al tempo stesso elegante. Le pareti di pietra o di malta, le quattro torri angolari, il piccolo ponte d’ingresso sul canale che specchia i giardini e gli alberi del Brolio caratterizzano la Rocca. Il profondo restauro di questi ultimi anni è servito per riportare alla luce alcune antiche strutture e a dare spazio adeguato al Museo civico, dove si conservano importanti testimonianze della storia, dell’arte e della cultura locale, con una sezione archeologica che comprende le celebri statue-stele dell’età del rame, oltre a testimonianze dell’età romana. La Rocca è anche sede della pinacoteca, con opere fra gli altri di Pietro Ricchi, Francesco Hayez e Vincenzo Vela. Del castello esistono testimonianze a partire dal 1124, quando la comunità locale ottenne il permesso di edificare un castrum novum sulle rive del Garda. Successivamente la Rocca diventò il simbolo del potere militare, il luogo dove si esercitava il potere delle signorie dominanti. Fu probabilmente ampliata dagli Scaligeri e dai Veneziani. Altre modifiche furono apportate durante la lunga dominazione dei principi vescovi di Trento e in particolare di Bernardo Clesio. Le illustrazioni del passato la propongono diversa dalla struttura attuale, con alcuni elementi che comunque si ripetono fino alla seconda metà del secolo scorso: la doppia cinta merlata, le torri angolari, le peschiere e i giardini di rose e di frutta descritte nelle cronache rinascimentali e barocche».
http://www.visittrentino.info/it/cosa_fare/da_vedere/dettagli/dett/rocca-di-riva
Riva del Garda (torre Apponale, palazzo Municipale, palazzo Pretorio)
«Torre Apponale. La torre Apponale s’innalza per 34 metri sul lato est di piazza III Novembre; costruita nel XIII secolo con conci in pietra di diverse dimensioni a guardia del porto e della piazza, centro antico di commerci e fiere, fu sopraelevata nel 1555. Negli anni Venti del ‘900 la torre fu interessata da modifiche strutturali che portarono a sostituire l’antica copertura a cipolla della torre, di ispirazione nordica che ricordava i tetti dei campanili del nord Europa, con l’attuale. Con il 2002, dopo un restauro completo, è possibile ripercorrere da marzo a ottobre i 165 scalini che conducono alla sommità da cui si dominano le geometrie della piazza che delimita il molo, la città di Riva e le acque azzurre del Garda. Palazzo Municipale. È da secoli la sede del Comune. L’epigrafe che si conserva sulla facciata in pietra locale ne ricorda la costruzione o forse l’ampliamento da parte del provveditore veneziano Francesco Tron nell’anno 1476. Venne poi elevato e unito al Palazzo Pretorio alla metà dell’Ottocento. Palazzo Pretorio. Probabilmente costruito nel XIV secolo dagli Scaligeri. Sotto la sua loggia si amministrava la giustizia e il provveditore faceva rispettare gli statuti cittadini. La parete verso la piazza mostra lo stemma del principe vescovo Giorgio di Neideck. Risale al 1509, la data che segna la fine della dominazione veneziana».
http://www.gardatrentino.it/it/Torre-Apponale-Riva-del-Garda/?s=98& - ...Palazzo-Municipale... - ...palazzo-pretorio...
Rovereto (castello di Rovereto o castel Veneto)
«Imponente, altissimo sulla città, con i torrioni veneti, le robuste cinte murarie, il fossato, le rupi aggredite dalla gradazione degli apprestamenti difensivi di più epoche, il Castello di Rovereto occupa l'intero rilievo roccioso in destra del Leno, là dove il torrente irrompe nella valle dell'Adige, dando vita, storicamente a una fervida zona industriale che ne risale il corso fino alla spettacolare gola di S. Colombano. Il suo aspetto è inconfondibile. è un po' l'emblema monumentale della città. L'irredentismo i cimeli della I Guerra Mondiale, la Campana dei Caduti, che troneggiò sul torrione Malipiero dal 1925 al 1960, l'hanno reso celebre non solo in Italia, ma in tutta Europa. Esso è meta d'obbligo, anzi privilegiata, dei viaggiatori che si soffermano in città per l'interesse che suscitano l'organizzazione delle fortificazioni Venete tardo quattrocentesche e il museo storico italiano della guerra, che le sue sale ospitano. Se il castello del Buonconsiglio di Trento, con i suoi due complessi fortificati, l'uno medioevale, l'altro cinquecentesco, è la fastosa sede del signore feudale e del principe rinascimentale, quindi del suo governo, quello di Rovereto è la rocca concepita a fini precipuamente militari. è, questo, dalla sua creazione alla sua trasformazione in caserma. Fortezza di strada, di parete, di borgo murato, controllo strategico e fiscale prima, centrale operativa di frontiera poi, non ha mai perduto il suo piglio guerresco. Rimane una fra le più complete e significanti fortezze alpine di tipo Veneto sito al confine della "terra ferma" con lo Stato Asburgico europeo. Perciò la sua presenza è di sommo interesse non solo per la storia dell'architettura militare rivoluzionata dalla diffusione delle armi da fuoco, altresì per il suo ordine urbanistico sapientemente adeguato a un ambiente particolare che fu quasi un secolo frontiera veneta, ma anche vivace centro industriale-mercantile e nodo dei traffici nord-sud ed est-ovest.
I torrioni, gli speroni, i fossati, i camminamenti, le postazioni di artiglieria e i loro punti di riferimento, la santabarbara, i passaggi segreti, gli altri appostamenti difensivi, fanno del castello di Rovereto un didattico esempio di piccola fortezza urbana di tipo Veneto di fine Quattrocento inizio Cinquecento rimasta intatta nelle sue strutture originali nonostante le pesanti modificazioni a cui, in età successive, fu soggetta. La parte più espressiva sovrasta l'incisione terminale del Leno. è costituita da un eminente palazzo teso, a semicerchio, tra il torrione Coltrino a ovest e il torrione Marino a est. La muraglia poggia sulla roccia. è tutta di pietre lavorate fino al cordoncino che sostituisce il settore adibito a Museo della Guerra. L'enorme fabbricato di pietra, in cui si aprono poche feritoie e qualche finestrella spia, è rafforzato da un baluardo merlato a forma quadrangolare, una volta coperto da un tetto a uno spiovente, detto Bastioncello Friuli. Nello spesso muro è scavato il Passaggio di Giuseppe Chini detto anche "il cunicolo di Tommaso del Muero". Scendeva al bastione in riva al Leno "Dogana" e di qui secondo le tradizioni al Palazzo del Podestà e alla Torre Civica. Una cinta merlata univa il castello al complesso fortificato della Porta della Scala, sul ponte del Leno. La cinta esterna merlata intercalata da una casa di abitazione "casa Ghedina" che vi si inserisce addossata alla rupe tra il bastioncello Friuli e il Torrione Coltrino, fiancheggia a monte piazza del Podestà, gira poi, assorbita nella casa Itea, per continuare oltre il cavalcavia che unisce il settore nord-ovest del castello alla ex filanda Schroder, poi conceria Bettini, ora Scuola Statale d'Arte, con la cinta della forma che disegna una linea spezzata verso la china del monte, per congiungersi in fine al Leno. Punto d'incontro delle cortine esterne e interne sembra sia il fabbricato profondamente manomesso, all'inizio della salita che porta all'androne. Taluni elementi fanno pensare alla presenza di un corpo di fabbrica fortificato "torre quadrangolare, indi bastione veneziano". La cortina interna merlata, che accompagna a monte la salita del castello, va a saldarsi al Torrione Malipiero le cui cannoniere guardano minacciosamente la valle e la città. ...».
http://rovereto.tripod.com/castelli/rovereto01.html ss.
Rovereto (palazzo Del Ben Conti d'Arco)
«In origine residenza privata della famiglia del Ben, fu ampliato nel XVI secolo dai Conti d'Arco; acquistato e ristrutturato nel XVII secolo dalle suore Clarisse di S. Carlo come casa d'affitto, successivamente divenne proprietà del Comune. Dal 1877 al 1904 adibito a palazzo postale, venduto poi dal Comune alla Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, che ne fece la sua sede. Il palazzo, in puro stile rinascimentale, merita particolare attenzione per le magnifiche decorazioni. L'attuale carattere architettonico è opera dell'architetto Augusto Sezanne che, scoperti gli antichi affreschi, i pregevoli soffitti, gli snelli colonnati, portò a termine l'opera nel 1906. L'originale blocco settecentesco fu trasformato in un falso palazzetto rinascimentale di tipo veneziano. I dipinti rappresentano le stagioni, le volte sono fregiate di festoni e melograni. Ricca e sobria allo stesso tempo, la scalinata che porta ai piani superiori, dove si ammirano i soffitti a cassettone variamente decorati. Interessanti sono pure i comignoli veneziani. Nell'adiacente piazzetta Vannetti, cui fa da fondale un portico a tre archi, si trova il busto di Clementino Vannetti (1754-1795), ivi collocato nel 1908».
http://www.comune.rovereto.tn.it/Vivi-la-citta/Cultura/Scopri-Rovereto/Vie-piazze-e-palazzi
«Il palazzo risale al 1417. Viene fatto costruire per ordine della Repubblica di Venezia dal podestà veneto Andrea Valier, che ne fa la sua abitazione personale e la sede degli uffici del Comune. In origine edificio modesto, viene ampliato dai successori di Valier e restaurato agli inizi del Novecento da Auguste Sezanne. La facciata che guarda verso piazza del Podestà è l’emblema di due periodi storici rilevanti per la città: il Quattrocento veneziano nella parte destra e lo stile settecentesco della parte sinistra. Il porticato a tre archi con affreschi sopra l’antica roggia, la decorazione del soffitto in legno della Sala del Consiglio e i due affreschi nella Sala del Sindaco testimoniano gli anni della dominazione veneta. Il portale d’ingresso con balconcino sostenuto da due pilastri in marmo è di impronta settecentesca. Alla sinistra dell’entrata, notate la lastra in pietra murata con la pertica veneziana e il braccio viennese e i corrispettivi valori in uso a Rovereto nel 1770. Merita un’occhiata anche la parte retrostante del palazzo che dà sul torrente Leno. Le decorazioni del Settecento sono un tuffo nella storia della città, dalla Repubblica di Venezia agli Asburgo».
Rovereto (porta di San Marco, torre Civica)
«Via Rialto termina con la Porta di S. Marco, antico ingresso della città. La porta venne costruita dai veneziani nel 1483, oggi la si riconosce perché sopra vi campeggia l'affresco raffigurante il leone di S. Marco, opera di Augusto Sezanne. ... La Torre Civica o dell'orologio, che sovrasta l'antica via della Terra, fu eretta nel 1500 sopra ad una delle porte di accesso della prima cinta muraria della città, costruita dai Castelbarco verso il 1300. L'orologio venne collocato nel 1519 e da allora segna le ore dei roveretani, prima con il campanone che suonava il mezzodì e la campanella per chiamare i ragazzi alla scuola; oggi il mezzogiorno viene segnalato quotidianamente dal suono della sirena».
http://www.comune.rovereto.tn.it/Vivi-la-citta/Cultura/Scopri-Rovereto/Monumenti-e-chiese
«...I primi abitanti di Rumo sono pastori, boscaioli, carbonai che costruiscono dapprima capanne per il lavoro stagionale e poi case stabili. Si aggiungono successivamente scavatori di miniere, le cui decine di cunicoli si possono vedere ancora in alcuni punti. La migrazione, che dà origine a Rumo, ha quindi come basi l'aumento della popolazione intorno al Mille, il desiderio dei signori di valorizzare le terre con il dissodamento e l'impianto di nuove colture e la promozione dell'attività mineraria. Ma il fattore più importante è la presenza dei torrenti Pescara e Lavazzè come fonte di energia idraulica, supporto per lattività agricola e di trasformazione alimentare (mulini) ed artigianale piuttosto che dell'attività estrattiva; e questa fonte garantisce la stabilità degli insediamenti. Dei quattro castelli esistenti in passato soltanto di uno, Castel Placeri, restano delle rovine: degli altri non resta purtroppo alcuna traccia. Nel 1611 la valle di Rumo ebbe la solenne approvazione della carta di regola: il comune di Rumo è però certificato già nel 1309 ed ebbe una sua prima carta nel 1364, che però non viene mai ricordata nei documenti conservati. Nei secoli del declino del Principato Vescovile, il Comune seguì il destino delle comunità inquadrate nello stesso contesto, ivi compresi i periodi dei governi provvisori austriaci e francesi ed il passaggio alla Baviera. La chiusura delle miniere, antica fonte di ricchezza, avvenuta nel corso dell 800, portò ad una lunga fase di emigrazione. ...».
http://www.comunerumo.it/amministrazione/storia/
a cura di Marta Tinor
Le foto degli amici di Castelli medievali
Samoclevo (rocca di Samoclevo, ruderi)
«A monte del paese di Samoclevo (m 774) si diparte una mulattiera che in mezz’ora di cammino porta alla Rocca di Samoclevo (m 983). Il primo nucleo sarebbe antecedente al 1200, quindi precedente al Castello di Caldes, con probabili funzioni di arroccamento militare a controllo stradale. Quello che rimane è la torre quadrangolare al centro di un recinto murato con accanto ruderi di una cappella gotica e segni di affresco. La parte residenziale, pure diroccata, venne aggiunta sembra nel 1300. Rocca contesa fra Principe Vescovo e Conti del Tirolo e teatro di vari fatti d’arma, fu residenza dei Caldèsio e passò di mano ai Cagnò e ai Thun. Fu sede giurisdizionale della Val di Rabbi. Vi sono addossate dall’Ottocento costruzioni rustiche e abitazione di contadini, attuali proprietari. Dal febbraio 2006 è bene tutelato dalla Soprintendenza trentina».
http://www.valdisole.net/passeggiate/passeggiate.asp?IDloc=333&IDcms=2853
San Lorenzo in Banale (Castel Mani, ruderi)
«Oggi in stato rovinoso, Castel Mani in passato dominava San Lorenzo in Banale. La sua costruzione risale al XII secolo, ma il primo documento risale al 1207 quando il vescovo investì Uldarico di Arco del territorio del banale. Passato tra le mani di vari dominatori nel periodo medioevale, il castello fu rovinato negli eventi bellici del 1786 e del 1797, durante l'invasione napoleonica. Quello che rimase venne smantellato nel 1830 per la ricostruzione di S. Lorenzo. I ruderi accompagnano un meraviglioso punto panoramico» - «La fortezza fu edificata nel XII secolo a presidio della strada che saliva da Castel Toblino e si congiungeva con quella che portava in val di Non e a Fai. Rimase sempre sotto il controllo vescovile e fu restaurata dal vescovo Hinderbach alla fine del Quattrocento e dal Clesio dopo la guerra dei contadini del 1525».
http://www.brentapaganella.it/sito/artmani.php - http://www.castelli.cr-surfing.net/p701.htm
«Imponente e austera, Casa de’ Gentili sorveglia, con la sua mole, l’intera piazza principale del comune di Sanzeno da settentrione. L’equilibrio degli elementi architettonici e la preziosità degli interni rendono questa antica costruzione uno dei palazzi signorili di più alto valore per la Val di Non. Per lungo tempo di proprietà della famiglia Gentili di Sanzeno, la residenza fu costruita nel XVI secolo, non più tardi del 1569, come attesta un’antica incisione, e venne rimodellata per tutto il corso del XVII secolo, fino ad essere trasformata in un’elegante villa gentilizia caratterizzata da archi a tutto sesto, portoni decorati, diverse trifore e un poggiolo in pietra lavorata ed elaborate inferiate. Il vero tesoro di Casa de’Gentili è conservato tuttavia al suo interno con un’invidiabile collezione di mobili e utensili d’epoca. In primo luogo un folto numero di accessori d’uso quotidiano databili tra il XVII e il XIX secolo, tra cui alcune preziose cassapanche e una serie di acquarelli con soggetto le residenze castellane della Val di Non. Particolarmente curioso è l’ambiente della farmacia-erboristeria appartenuta all’ultimo discendente dei de’ Gentili comprendente un giardino con varie piante officinali, il banco da farmacista e una ricca biblioteca. Casa de' Gentili, da poco restaurata, è oggi di nuovo aperta al pubblico e ospita mostre ed esposizioni temporanee».
Sarnonico (Castel Morenberg o dei Mori)
«Antica residenza fortificata situata nella parte alta del paese. È formata da due nuclei: il primo, costruito intorno al 1380 dal notaio Giovanni, capostipite della famiglia; il secondo, iniziato nel corso del XVI, poi rimaneggiato. Con l’estinzione dei Morenberg passò ai baroni di Cles. Gravemente danneggiato da un incendio (1888), divenne casa colonica. Sopra la porta d’ingresso tracce di meridiana del 1663; sulla porta del secondo cortile esisteva fino ad alcuni anni fa lo stemma di famiglia, un levriero rampante».
http://www.comunesarnonico.it/it/Sarnonico/Arte_e_cultura/Castello_Morenberg/Castello_Morenberg.htm
«Bellissima residenza rinascimentale della famiglia (XVI-XVIII secolo), già casa Martini: è uno dei gioielli del paese. Dal XIX secolo ospitò la canonica e poi l’oratorio parrocchiale. I restauri della fine degli anni ’80 hanno svelato il suo valore storico ed artistico. Nel 1990 è passato dalla Parrocchia al Comune, che lo ha adibito a sede municipale. Tra il 1994 e il 2002 sono stati restaurati gli affreschi all’interno. Domina la piazza centrale, tipico caso di adeguamento stilistico di un’abitazione gotica preesistente. Sulle facciate esterne, eleganti bifore e una bella meridiana (fine ‘500): sopra la porta d’ingresso stemma dei Genetti di Dambel. Interno caratteristico delle residenze rinascimentali. Al piano terra gli avvolti, le cantine e le stalle, oggi spazi per mostre ed incontri. Una bella scala esterna in pietra conduce al primo piano, con il salone di ricevimento e le sale dei negotia (le attività pubbliche e gli affari). Da qui al secondo piano, dedicato agli otia (il riposo e la tranquillità) e ai piaceri intellettuali. ...».
http://www.comunesarnonico.it/it/Sarnonico/Arte_e_cultura/Palazzo_Morenberg/Palazzo_Morenberg.htm
Segonzano (castello di Segonzano, ruderi)
«I ruderi del Castello di Segonzano spuntano da una rupe porfirica presso l’Avisio. I maestosi ruderi merlati del Castello di Segonzano spuntano da uno sperone roccioso che domina la Valle di Cembra. Edificato nel Medioevo da Rodolfo Scancio su autorizzazione del principe vescovo Federico Vanga, questo castello servì come importante guardia sui traffici della Valle dell´Adige che passavano il ponte di Cantilaga sul torrente Avisio. Della costruzione duecentesca e del rimaneggiamento cinquecentesco promosso dagli A Prato, ai cui discendenti il castello appartiene tuttora, sono rimasti solo pochi muri, ma la fortezza ebbe molta importanza fra il Trecento e il Quattrocento. Nel corso dei secoli fu di proprietà, oltre che degli Scancio, dei Rottenburg e dei Greifenstein nel 1300. Nel 1424 divenne proprietà dei Duchi del Tirolo. Bombardato e saccheggiato durante i combattimenti fra austriaci e francesi, nel 1795, la fortezza fu abbandonata e cadde in rovina. La torre superstite è quella romana, detta delle prigioni. Le tenebrose pareti della fortezza impressionarono anche Albrecht Dürer, quando vi passò accanto in occasione del suo primo viaggio a Venezia nel 1494, al punto da spingerlo a dedicargli due celebri acquerelli. Nel 1971 è stato ricordato lo storico passaggio dell´artista tedesco, con due cippi porfici posti a Faver e a Piazzo di Segonzano, che indicano i punti dai quali il pittore si ispirò per realizzare le due rispettive vedute».
http://www.visittrentino.info/it/cosa_fare/da_vedere/dettagli/dett/castello-di-segonzano
«Situato a 465 metri di altitudine Castel Belasi è un notevole complesso feudale circondato da un'alta cinta murata che sorge, isolato, su una verde collina lambita dal rio Belasi, poco sotto il paese di Segonzone e di fronte a Dercolo. Elementi caratteristici sono le due garrite pensili ( bertesca ) che servono il cammino di ronda e che proteggono i due ingressi principali, il rivellino, il piazzale e la corte interna, il mastio infine, pentagonale, robustissimo costruito da blocchi di granito. Una scala a chiocciola, che serve pure i piani dell'attigua residenza, sale alla stanza d'assedio; da qui si può raggiungere la sommità dove si gode un vasto panorama sulla valle di Non e su parte della valle dell'Adige e sui monti del trentino orientale. Dalle finestre della torre si possono vedere anche i castelli Belfort e Sporo, Castel Thun e Castel Valer. Le più antiche attestazioni dell’esistenza di Castel Belasi risalgono agli inizi del XIV secolo, all’epoca dell’egemonia dei conti di Tirolo sulle vallate trentine. Il castello, infatti, nacque proprio come caposaldo della Contea del Tirolo in mezzo alle terre dei principi vescovi di Trento in Val di Non. Per tutta la sua storia Castel Belasi venne così a costituire una sorta di “isola”, un’enclave tirolese in terra trentina. I suoi primi feudatari furono i signori Rubein, provenienti della zona di Merano, fedelissimi dei conti di Tirolo. Nel 1368 fu acquistato dalla famiglia Khuen, originaria di Termeno in valle dell’Adige, che avrebbe legato indissolubilmente la sua storia a quella del castello, prendendo il nome “Khuen-Belasi”. Questa famiglia tra il XV e il XVI secolo si affermò come una delle più ricche e potenti della regione, contando nelle sue file vescovi, uomini politici e capitani militari che diedero lustro al casato in tutta l’Austria. Nel corso della loro storia i Khuen Belasi si suddivisero in numerose linee dinastiche che prosperarono dal Trentino fino alla lontana Croazia, passando per le corti di Vienna e Salisburgo.
Tra il Quattrocento e il Cinquecento i Khuen trasformarono il piccolo fortilizio di Castel Belasi in una magnifica fortezza, imponente e severa nelle sue mura esterne, quanto elegante nei suoi saloni finemente affrescati. Ad ogni modo in due occasioni il castello dovette cedere agli attacchi dei nemici. Nel 1415-20 i rivali signori Spaur riuscirono infatti a prendere la fortezza e ad occuparla per alcuni anni. Nel 1525 furono invece i contadini in rivolta a mettere a sacco i granai di Belasi, nel corso della “Guerra rustica” che sconvolse tutta la regione. I Khuen erano riusciti ad acquisire importanti diritti sulle comunità rurali che vivevano attorno a Belasi. Tutte le famiglie di Lover, Segonzone, Campodenno e Dercolo dovevano conferire al castello le decime dei loro raccolti. Inoltre i castellani ampliarono enormemente i loro possedimenti sulle campagne circostanti il maniero, che divenne il centro di una proprietà fondiaria molto estesa, costruita da decine e decine d’ettari di campi, vigneti, prati e boschi. Nel XVIII secolo i Khuen-Belasi, ottenuto anche il titolo di “Conti del Sacro Romano Impero”, continuarono l’opera d’abbellimento della loro fortezza, decorando i suoi interni con stucchi raffinati e splendide stufe di maiolica, secondo il gusto del tempo. Durante l’Ottocento, in seguito alle guerre napoleoniche e all’abolizione di tutti i privilegi nobiliari, il maniero fu a lungo abbandonato e relegato al ruolo di residenza estiva. I suoi padroni, infatti, furono a lungo impegnati in importanti carriere politiche e militari in Austria e in Baviera. Ebbe così inizio il triste declino di Castel Belasi. Nel secolo scorso, nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, i Khuen ritornarono tuttavia ad insediarsi stabilmente a Belasi per alcuni decenni. Negli anni ’50 il castello venne abbandonato definitivamente. Spogliato di tutti i suoi arredi, si avviò verso un degrado inarrestabile, al quale i suoi proprietari non seppero porre freno. Sul finire degli anni ’90 la vecchia fortezza versava ormai in condizioni drammatiche. Nel 2000 tutto il complesso, con la vicina chiesetta dei Santi Filippo e Giacomo a Segonzone è stato acquistato dal Comune di Campodenno, che ha dato avvio al suo completo restauro».
http://www.comunecampodenno.it/joomla/il-nostro-territorio/arte-e-cultura/castel-belasi.html
«Fra tutte le opere fortificate sorte nel corso dei secoli sul territori civezzanese, il Castello di Seregnano costituisce certamente, dal punto di vista architettonico, l'elemento di maggior pregio ed interesse. Le definizioni che ne danno il Tabarelli e il Gorfer ci sembrano cogliere efficacemente la particolare caratteristica di questa costruzione cinquecentesca: "Si tratta in definitiva di un ibrido, tuttavia interessante esempio di architettura mista". "è, una tra le più deliziose residenze nobili fortificate del Trentino” . Se, come vedremo, le vicende storiche possono in parte richiamare quelle di Castel Telvana, quelle architettoniche si differenziano completamente: a Civezzano abbiamo infatti il castello medioevale ristrutturato e trasformato, nel primo Cinquecento, in residenza di villeggiatura, a Seregnano invece una rifabbrica completa (o quasi) che, cancellando praticamente le preesistenze medioevali, porta alla realizzazione di una villa rinascimentale fortificata (“architettura mista”, “residenza nobile fortificata”), una sorta di palazzo munito tipico dell'architettura italiana del XVI secolo. Il castello, sito in splendida posizione panoramica, domina sulla valle del Sina e sulle strade per il Pinetano e Fornace. La sua posizione consentiva inoltre un perfetto controllo sulla via che da Cogatti sale a Seregnano. L'intero e vasto complesso architettonico, un tempo sicuramente cintato da mura, ha condizionato notevolmente lo sviluppo urbanistico del centro storico del paese, relegando gli insediamenti residenziali minori su un unico lato dell'asse stradale che percorre il paese in tutta la sua lunghezza. In epoca medioevale anche il castello di Seregnano appartenne alla famiglia Roccabruna che lo cedette, come castel Telvana, all'inizio del XVI secolo a Simone Guarienti (nobile di Rallo) marito di Beatrice Thun di Castel Caldes. Egli avviò la ricostruzione dell'edificio terminata nel 1561 dal figlio Gerolamo come sembrerebbe attestare lo stemma datato posto vicino al portale della torre dell'orologio (che il Gorfer indica come accesso originario al castello).
Il palazzo presenta un impianto
planimetrico irregolare, rinserrato da tre torri quadrangolari, fra loro
obliquamente allineate, che arricchiscono notevolmente, movimentandolo, il
volume dell'edificio. Le due più avanzate (torre della meridiana e torre
dell'orologio) incorniciano, con le loro forme slanciate (hanno circa 5
metri di lato), il prospetto principale prospiciente il prato del parco,
mentre la terza, "poderoso e unico suggello fortificato della residenza", dà
compimento, con la sua potente mole (10 metri di lato) all'intera
composizione architettonica. Cardine planimetrico fra la residenza ed il
lungo e basso corpo della «stireria» (addossata in epoca tarda ad un muro di
cinta merlato), la torre grande è munita di tre belle caditoie a naso con
mensole e cornici in pietra. Al piano terra vi si accede attraverso un
portalino architravato cinquecentesco sormontato da uno stemma dei
Roccabruna. Nuovi importanti lavori vennero realizzati nel corso del XVII
secolo. Un nuovo ingresso al castello (con portale barocco tipico del
Civezzanese) venne ricavato in luogo più riparato anche se meno
rappresentativo: la nicchia venuta a crearsi a lato della torre grande in
seguito alla realizzazione (fra questa e la torre dell'orologio) di due
eleganti logge colonnate e architravate sovrapposte che, pur togliendo forza
all'immagine castellana dell'edificio, lo impreziosiscono nella sua funzione
residenziale. Allo stesso intervento riteniamo appartenga il poderoso
portale d'ingresso che dalla piazza dà accesso al cortile del castello.
Formalizzato a conci, con stemma Guarienti in chiave (datato 1634), esso
rielabora nei capitelli forme tipiche del Cinquecento (si vedano a Civezzano
i portali Alessandrini e Mirana).
Passato questo portale (sormontato da due mensole per caditoia) si
attraversa un ampio androne voltato e lunettato e si giunge al cortile
intorno al quale, oltre al castello (circondato su tre lati da un bellissimo
parco), si elevano alcuni edifici colonici; sulle pareti di questi,
nell'Ottocento, furono dipinte ad affresco delle architetture neogotiche e
una torre di conci squadrati. Una seconda corte, aperta su un lato verso la
piazza della chiesa, è formata dalle stalle (voltate a crociera) e dai
grandi locali rustici costruiti lungo la strada principale e coperti da una
bellissima struttura lignea a capriate. L'accesso a questi ambienti di
servizio è garantito da due originali e pittoreschi percorsi coperti
sovrapposti, uno dei quali servito da una lunga rampa carrabile. Il vasto e
complesso agglomerato edilizio del castello di Seregnano disegna “un
caratteristico ambiente di villaggio” dal quale non è esclusa nemmeno
l'antica chiesa di San Sabino. Documentata già nel XIII secolo essa fu
ricostruita nel XVI, contemporaneamente alla fabbrica del castello (uno
stemma Guarienti datato 1561 è murato nell'abside della chiesa), e quindi
ampliata (o riedificata con l'impiego di pezzi di recupero) nel XVII.
All'interno dell'edificio l'arco santo, con capitelli rudentati e sternma
Guarienti in chiave d'arco, e un portalino architravato con pietre modanate,
entrambi di pregevole fattura squisitamente rinascimentale, restano a
testimonianza, insieme al castello, degli imponenti lavori edilizi, in gran
parte realizzati nella prima metà del Cinquecento, che introdussero a
Seregnano (diffondendolo poi nelle frazioni vicine, Cogatti, Torchio e
Roverè) l'uso del nuovo stile che, con la fabbrica clesiana dell'Assunta,
aveva repentinamente chiuso il medioevo architettonico locale».
http://www.istituti.vivoscuola.it... (da Antonio Marchesi, Architettura nel territorio di Civezzano, ed. ARCA)
Spormaggiore (Castel Belfort, ruderi)
«I ruderi di Castel Belfort si trovano lungo la strada statale tra Cavedago e Spormaggiore. Il primo documento riguardante il Castel Belforte risale al 1311, quando Enrico conte di Boemia concedette la licenza a Tissone di Altspaur di costruire una torre di guardia sulla Via Nuova. Il complesso era composto dall'attuale torre e da un fabbricato ai suoi piedi. Già nel 1350 passa nelle mani dei Raifer di Castel Campo, ben presto torna però ai conti del Tirolo. Passano i secoli e le avventure di Castel Belfort si imbattono in un terrificante incendio nel 1670. Venne ricostruito nel 1700, abbattuti i vecchi edifici, venne eretto un nuovo palazzo rettangolare abitato solo nel periodo estivo. Incontra la devastazione e l'abbandono nel periodo napoleonico. Rimane il bel portale calcareo reggente lo stemma dei Saracini e la monumentalità della torre medioevale. I ruderi del castello sono ben visibili dalla strada che da Cavedago conduce a Spormaggiore.
La storia della giurisdizione di Castel Belforte. Tissone figlio di Geremia I e primo edificatore di Castel Belforte, ricoprendo la carica di vicario vescovile fu coinvolto nelle lotte nobiliari del 1334 in Val di Non che lo vedranno schierato a Fianco del Principe Vescovo di Trento. Egli morirà prematuramente già nel 1339, ma le conseguenze della sua scelta ricadranno sui suoi discendenti qualche anno più tardi. I Thun, conti del Tirolo bandiranno dal principato i suoi eredi che dovranno cedere il castello nel 1350. Castel Belforte passa così nelle mani di Nicolò Reifer, già capitano della giurisdizione di Castel Rovina. I Reifer occupano Castel Belforte fino al 1415 quando a seguito di tresche clandestine Pietro Sporo (detto Pietro il terribile) per mezzo del figlio Giorgio lo assedia ed infine lo occupa, confidando nella promessa di esserne infeudato da parte del Duca Ernesto. Il dinasta Gasparo Reifer viene così incarcerato ed il castello passa di mano, ma pochi anni più tardi alla morte di Pietro Sporo (1345-1424) e scaduta l'investitura per conquista, Belforte viene restituito dagli Sporo al Duca Federico. Il castello, che a questo punto per diritto dovrebbe ritornare ai Reifer, viene invece concesso per ripicca dal Duca prima a Giovanni Uber (1427) e poi al giudice Andrea Vogt (1428-29). Nel 1429 Belforte ritorna finalmente ai Thun, che a partire dal 1450 lo concedono nuovamente ai Reifer come Feudo mascolino, concessione che terminerà infine nel 1470 per mancanza di eredi maschi. ...
Nel 1642 Domenico Vigilio Spaur compera il Feudo di Belforte per la somma di 24.900R, ma l'affare non si rivelerà proficuo, ed a distanza di soli 8 anni lo stesso sarà rivenduto per la stessa cifra ad Antonio Del Monte, il quale sposato ma senza prole con Antonia Saracini lo lascerà in eredità ai nipoti Antonio e Leonardo, figli di Sigismondo fratello di Antonia. Nel 1670 un pauroso incendio devastò il castello, ma i Saracini ebbero la cura di ricostruirlo, facendone tra l'altro un palazzo più moderno rispetto alla struttura medioevale precedente, e decisamente più adatto ad essere abitato. La struttura a questo punto rimarrà di proprietà di questa famiglia, ma i tempi stanno cambiando, e nel 1785 il castello perderà il suo peso politico, le giurisdizioni di Flavon (Castel Flavon, in Valle di Non), Sporo-Rovina e Belforte vengono infatti unificate, e la sede vicariale sarà definita nella vecchia casa comunale di Spormaggiore. Agli inizi del 1900 suddette giurisdizioni cessano di fatto. La proprietà delle rovine di Castel Belforte è rimasta alla famiglia dei conti Saracini fino ai primi anni 90, quando il Comune di Spormaggiore ha acquistato il castello».
http://www.prolocospormaggiore.tn.it/sito/spocastel.php
Sporminore (Castel Sporo o Rovina, ruderi)
«Proveniendo da Sporminore uno scorcio della torre appare al di là della Val Goslada avvolta ormai tra gli arbusti e i noccioli. È raggiungibile dalla Strada attraversando l'antico fossato e arrampicandosi sul colle: solo due aperture permettono l'accesso, un' alta e angusta porta sulla torre e una saettiera che da verso Spormaggiore. come punta di vedetta sulla Valle dello Sporeggio, che collega la Val di Non alle Giudicarie, fu custodito nel XII secolo da una famiglia vassalla dei conti di Appiano. Già verso la fina del secolo però cadde in potere dei conti del Tirolo, rimando feudo tirolese fino alla fine del 1200, quando per cause ignote fu abbandonato. Subentrarono così i signori Spaur, con Volcmaro che fu insignito capitano del castello verso il 1312. Egli pensò subito di restaurarlo fornendolo di una nuova cerchia di mura e un fossato, in modo che l'accesso al castello fosse possibile solo mediante il ponte levatoio. La favorevole condizione economica di Volcmaro, fece si che le proprietà degli Spaur si allargassero in maniera vertiginosa. In pochi anni egli venne in posseso del Castello di Flavon, del Castello di Mezo S. Pietro, le decime di Zambana e della Nave e la Giurisdizione del Castello di Fai. Verso la fine del Trecento caduto in disgrazia del Brandeburgo, il Castel Rovina fu assediato ed espugnato da Corrado di Teck, i cui eredi, anche grazie ad alcuni matrimoni ben combinati vi aggiunsero altri possedimenti come Castel Valer a Tassullo. Il castello fu ampliato e restaurato da Giorgio e da Giovanni verso la fine del XV secolo che provvidero a farlo affrescare da Mastro Stefano da Verona. Fu inoltre rinforzato nella cortina esterna secondo i canoni delle nuove tecniche militari con bastioni e baluardi agli angoli. Il castello fu abbandonato verso il 1798, ma la sua decadenza era già iniziata circa un secolo prima, principalmente a causa della difficile manutenzione e della diminuita importanza strategica. Il tetto della torre crollò verso la fine del 1800, provocando notevoli danni anche alla robusta torre pentagonale che lo sosteneva».
http://www.brentapaganella.it/sito/artsporo.php
a cura di Marta Tinor
STORO (resti del forte d'Ampola o Glisenti)
«Il Forte d’Àmpola, detto anche forte Glisenti venne eretto in un discreto slargo della gola dell’Àmpola, a m. 610 slm, dove la strada per Tiarno passa sulla sinistra del Palvico e supera con due tornanti una vivace cascatella. Qui sorgeva nell'Ottocento la fucina della famiglia bresciana Glissenti, gestita un secolo prima da Domenico Antolini di Cimego. Dalla metà del Settecento sorse nei pressi anche una cappella dedicata alla Vergine del Buon Consiglio, che doveva facilitare la frequenza della Messa festiva da parte degli oltre 40 operai impegnati nella fucina. Il Forte fu eretto dal governo di Vienna nel 1860, con l’intento di chiudere la strada verso Riva del Garda. La letteratura garibaldina lo definì “la chiave del Tirolo”. La Relazione Ufficiale Italiana della Guerra del 1866 lo descrive come “un blocco stradale di pietra, a prova di bomba, con due cannoniere, e una caserma difensiva di eguale fattura, i quali due edifici, collegati da mura merlate, sono separati da un cortile murato, con due porte, attraverso le quali passa la strada - aperta nel 1846 - che sale da Storo verso la Val di Ledro. Il blocco è armato di due obici lisci di 130 mm”. La descrizione trova riscontro in una rara fotografia scattata poco prima della demolizione e in alcuni dipinti garibaldini. Alle spalle del Forte (detto Alte Batterie) c’erano ancora i ruderi della fucina Glissenti, mentre più a monte, tra il torrente Palvico e la strada, vi era un casotto riservato alle guardie (Wachhaus), e sulla costa della Valle della Cita erano sistemati alcuni pezzi di artiglieria (Neue Batterie). Il 15 luglio 1866 Garibaldi fece iniziare le operazioni di accerchiamento e cannoneggiamento. La guarnigione austriaca, composta da 200 militari, si arrese il 19 luglio. I prigionieri vennero sistemati nella chiesa di S. Andrea di Storo. L’Austria fece demolire la fortificazione poco dopo la conclusione della guerra del 1866, “perché spiaceva come trista memoria di cosa violata o perché ritenuto inutile alle difese” (Giuseppe Cesare Abba)"».
http://www.comune.storo.tn.it/foto_osm/50.html
«Castel Bragher si trova a nord dell'abitato di Taio ed è uno dei più pittoreschi castelli delle Alpi, ottimamente conservato. Il complesso dei fabbricati è fondato su di uno sperone roccioso, da tre lati difeso da profondi burroni. Il tutto in mezzo alla foresta di conifere attraversata dalla strada per Coredo. Il mastio, quadrangolare, è incorporato nel palazzo comitale che è rafforzato, verso l'unico lato accessibile, da due torrioni lunari angolari. Verso il burrone delle Sette Fontanelle, profondo 35 metri, la cilindrica Torre della Pece, con cuspide gotica a pan di zucchero e caditoie per la difesa piombante, sbarra il ponte coperto; una cortina merlata la unisce alla torre quadrata e poi continua verso la chiesa di San Celestino, abbracciando il castello. Il castello fu costruito nella seconda metà del XIII secolo da Bragherio di Coredo. Pochi anni dopo venne in mano dei signori di Tono: prima per matrimonio (1286), poi per acquisto (1321-22). Nel 1430 è nominata la "Curia castri Bragheri". Fu ampliato nel XVI secolo e in quello successivo assumendo la singolare forma architetturale attuale. Superando tre porte e percorrendo il passaggio obbligato tra la cortina esterna e il palazzo comitale, si giunge nella corte dove sorge la chiesetta di San Celestino, con cavalcavia ligneo che la salda al palazzo. Fu consacrata nel 1452. Dirimpetto, il palazzo che da questo lato cambia volto e assume l'aspetto di una signorile dimora secentesca. Nel vestibolo soffitti lignei, mobili in stile, armi antiche e altri cimeli. L'archivio custodisce una ricchissima collezione di pergamene e documenti della famiglia Thun. è il più importante archivio privato del Trentino. Una botola nel torrione cilindrico, da accesso alla prigione, un'angusta stanzetta scavata nella roccia dove, seconda la tradizione, sarebbe stata lasciata morire una contessina Thun che aveva stretto una relazione con un giovane di famiglia non nobile. Il castello conta 70 stanze. All'esterno sulla strada per Coredo, fra un ambiente di parco naturale, si trova la chiesetta di Loreto del XVIII secolo con statua della Madonna con Bambino intagliata da Giovanni Strobol di Cles. Nei pressi, stele ex-voto di una contessa Thun. Verso il bivio per Tres, ai margini del bosco, il mausoleo della famiglia Thun (cappella di S.Antonio, 1882)».
http://www.comune.taio.tn.it/Turismo/CastelBragher.php
«Il suggestivo complesso di castel Valer, il cui nome sembra derivare dalla cappella di S. Valerio, addossata all'interno delle mura, benché non vanti origini romane, come vorrebbero alcuni è pur sempre uno dei castelli più interessanti della regione, tanto dal punto di vista storico quanto da quello architettonico. Il mastio ottagonale risale al XII secolo, quando di casteI Valér, che ha reso testimonianze di presenze romane e barbariche, non si ha ancora alcuna documentazione certa. Nel 1368 il castello andò agli Sporo che, con il cognome germanizzato in Spaur, lo possiedono tuttora; ad essi si devono le opere di ampliamento intraprese nel XV e XVIII secolo con la costruzione del "castello di sopra", che, addossato alla cerchia interna ospitava uno dei due diversi nuclei familiari. La complessa distribuzione degli edifici di casteI Valér può riassumersi in un lungo nastro di costruzioni che si snoda al mastio; vero strumento di guerra, dall'alto dei suoi quaranta metri esso domina l'intero complesso Dopo il XVI secolo, sulla cortina dell'ala settentrionale è stata innalzata una loggia, aperta in tre luminose trifore, da cui si gode uno dei più spettacolari panorami dell'Anaunia e delle montagne che la racchiudono. Dagli antichi spalti delle mura, trasformati così elegantemente in ambiente residenziale, si dominava l'accesso al castello. Fra le numerose sale del castello, più di ottanta son solo quelle destinate ad abitazione. Merita un cenno particolare il salone detto d'Ulrico, nell'ala orientale del castello vecchio: l'ambiènte, di impronta medioevale, è arricchito dal cinquecentesco soffitto a grosse travi dipinte, e dalla collezione di antichi ritratti di famiglia. Dal salone di Ulrico si può accedere poi al famoso appartamento madruzziano, scelto dal vescovo Carlo Emanuele per la residenza nel periodo estivo: le pareti delle tre stanze sono dipinte ed ornate con fascioni. Sempre al secondo piano dell'ala orientale, nel cuore del castello, si trova il passaggio che collega la zona residenziale al poderoso mastio, suddiviso all'interno in ben cinque piani».
http://tienne.it/trentino/catalogo/valdinon/castelvaler/8701929732/
«Il Castello di Tenno si erge maestoso a guardia del Lago di Garda, con la sua imponente mole addolcita solo dalle merlature che lo coronano, nel comune omonimo. Roccaforte che ha subito numerosi ammutinamenti nel corso della storia, è oggi residenza privata non aperta al pubblico. Castel Tenno fu costruito alla fine del XII sec. sulle rovine di un preistorico castelliere e dall’alto della sua posizione strategica controllava la via che dal Basso Sarca portava alle Giudicarie. All’origine Castel Tenno apparteneva alla comunità e, successivamente, passò in mano a diverse famiglie, tra cui quella degli Appiano. Nel 1211 divenne proprietà del vescovado di Trento e restò tale fino all’età napoleonica, quando venne occupato e depredato. Da allora iniziò un periodo di decadimento, fino all’acquisto del castello da parte di privati, che, in seguito ad alcuni vani tentativi di salvare l’originaria forma medioevale, trasformarono l’edificio in residenza. La torre centrale di Castel Tenno, che costituiva l’unico elemento medioevale rimasto, crollò in parte nel 1920 e fu abbattuta definitivamente. Castel Tenno conserva oggi la massiccia cinta muraria e gli edifici residenziali. Attualmente il castello, essendo divenuto proprietà privata, non è visitabile ed è ammirabile solo all’esterno» - «Sorto su fondamenta romane, conobbe Longobardi e Franchi, Guelfi e Ghibellini, servitù feudali e libertà comunali, principi vescovi di Trento, Veneti e Viscontei, giorni di sventura e di vittoria ed il tramonto degli imperi. Alle origini sorge come bene di tutti ma con il passare del tempo, seguendo costumi diffusi, si privatizza e giunge nelle mani dei conti feudali di Appiano e di Ultimo; quindi diviene proprietà del vescovo Vanga (1210). Venne posto in luce da arditi condottieri di ventura del 1400, tra essi il Gattamelata, il Piccinino e lo Sforza, che stupirono per le loro gesta e portarono nell'Alto Garda e a Tenno un soffio di vita rinascimentale. Ancora alla ribalta nel 1700 quando, nell'ambito della guerra franco-ispana, fu messo a ferro ed a fuoco e seriamente danneggiato. In seguito, nel 1807, venne messo all'asta dal governo bavarese e comprato dalla famiglia Brunati che provvide al restauro (1851). Dopo un millennio di storia la torre, alta 48 metri, lesa dagli eventi bellici, crollò nel 1920, restando frantumata come un rudere minaccioso che fu poi minato dal Genio Civile nel giugno del 1922. ...».
http://www.dolomiti.it/it/trentino/tenno/approfondimenti/castello-di-tenno - http://www.comune.tenno.tn.it/it/cultura/storia.asp
Terlago (Castel Terlago, torre di Braidone)
«Il castello di Terlago sorge su una piccola collina a nord del paese. L’edificio è composto da due torri, Torre Mozza e Torre Alta, che vennero erette nel XII secolo, e un palazzo con parco e giardino. Non si sa quando sia stato edificato il palazzo forse fra il XIII e il XIV secolo. La proprietà è attraversata da un piccolo ruscello chiamato Roggia di Terlago. Il castello è sempre stata una dimora signorile o quasi, questo si nota dalle mura che lo circondano e per l’assenza di caditoie sulle entrate o di altri sistemi di difesa esterni. Forse aveva all’inizio la funzione di difesa ma dopo la ricostruzione seguita all'incendio del 1703, perse la sua grinta feudale e fu usato come residenza. Tuttavia resta un tipico esempio di fortezza nata con funzioni di controllo perché vicino ad esso, la valle si stringe in un passaggio obbligato e poco lontano esisteva fin dal periodo romano un trivio di notevole importanza. Il castello nel 1703 fu saccheggiato e dato alle fiamme durante la ritirata, dal duca di Vendôme (che fermò la sua avanzata verso Nord alle porte della città di Trento). All''interno conserva mobili, quadri, armi medievali di notevole pregio. Non esistono documenti a testimonianza delle origini del castello ma i primi riferimenti alla famiglia "de Terlachu" sono del 1124. Nel 1208 essi vengono definiti "nobili militi". Nel 1475 Nicolò di castel Terlago vendette metà della residenza ai Calepini di Trento. Ne seguì una lite che si risolse soltanto nel 1533; da quell'anno tutto il castello diventò proprietà dei de Fatis de Terlago fino alla morte di Luisa Stauffenberg (1952). Il castello passò ai figli della sorella, Bianca Terlago sposata marchesa di Pallavicino, dei quali è tuttora. Nei pressi del castello sorge la tomba del conte Roberto de Terlago». La torre di Braidone (detta anche delle Milizie), robusta costruzione medievale, è situata all'ingresso di Terlago. Ne era proprietaria la famiglia dei Castello de Terlago. La sua importanza diminuì sino a cessare nel 1703.
http://www.icvalledeilaghi.it/terlago/ambiente/castello.html
Terzolas (Palazzo alla Torraccia o casa Malanotti)
«Il Palazzo”alla Torraccia” si trova al centro del paese, sul lato nord della piazza in mezzo alla quale si trova una fontana datata 1882; il termine Torraccia deriva probabilmente dalla presenza a nord di una antica torretta rotonda diroccata e poi demolita all’altezza del tetto. La costruzione viene anche chiamata casa Malanotti-Greifenberg dal nome delle illustri famiglie di Caldes e di Terzolas che la abitarono nel passato. Il Palazzo”alla Torraccia” si trova al centro del paese, sul lato nord della piazza in mezzo alla quale si trova una fontana datata 1882; il termine Torraccia deriva probabilmente dalla presenza a nord di una antica torretta rotonda diroccata e poi demolita all’altezza del tetto. La costruzione viene anche chiamata casa Malanotti-Greifenberg dal nome delle illustri famiglie di Caldes e di Terzolas che la abitarono nel passato. L’edificio riveste particolare importanza storica ed artistica perché costruito nel XVI secolo dal capitano della Rocca di Samoclevo Francesco Heningler, in stile rinascimentale. Nel 1670 fu ceduta dai nobili Malanotti ai canonici di Trento che la usarono come residenza estiva.; verso il 1715 il palazzo fu acquistato per ranghesi 800 dai signori Graifenberg e nel 1871 Giovanni Ciccolini lo acquistò dal notaio G. Antonio Graifenberg. La costruzione rimase agli eredi Ciccolini fino al 1973 anno in cui fu acquistata dalla Provincia Autonoma di Trento per provvedere al suo restauro conservativo. Di particolare interesse sulla facciata sud vi sono i caratteristici Ercher o sporti ruotati di 45 gradi, per scopi di osservazione e difesa, alti comignoli, mura merlate, ed antiche caditoie. L’androne d’accesso presenta caratteristici voltabotte, con pavimentazione in ciottolato e nella fase di risanamento è stata riaperta una finestra del 1600. La struttura originale comprendeva, oltre ai due grandi saloni sovrapposti, 4 ambienti con alti soffitti che evidenziano eleganza costruttiva, decorazioni a stucco, capitelli pensili e tracce di affreschi. Al secondo piano vi era un locale a volta che si può forse ritenere una cappella interna, da ammirare il soffitto ligneo del secondo piano decorato a rosoni e danneggiato nell’incendio del 1645. Ora la struttura vede al primo piano il salone del Consiglio Comunale, l’ufficio del Sindaco, la sala della Giunta e gli uffici ragioneria, anagrafe e ufficio tecnico, mentre al secondo piano trova collocazione la biblioteca storica del Centro Studi per la Val di Sole».
http://www.comune.terzolas.tn.it/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=36&Itemid=1
Ton (Castel San Pietro, ruderi)
«Sorge a 864 m. s/m in un ambiente molto aspro alle pendici occidentali della catena montagnosa che divide la Valle di Non dalla Val d'Adige. L'importanza di questo maniero è messa in rilievo da tutti gli storici: architettonicamente è un raro esempio di torre cilindrica; strategicamente era costruzione medievale che proteggeva un raccordo stradale che si staccava a Termeno e superando la cresta montagnosa arrivava a Vigo di Ton, passando ai suoi piedi. Ancora oggi la strada oggi un impervio sentiero che da Vigo di Ton risale sino al castello è detta, localmente, romana. Fu costruito nel XII sec. dai Thun che lo abbandonarono nel XVII sec. Ospitava anche una cappella, dedicata a S. Pietro, ove fino al 1742, si celebrava la Messa tre volte all'anno (Aldo Gorfer, Le valli del Trentino. Trentino Occidentale). Il castello è di proprietà privata; l'accesso ai ruderi del castello è vietato per pericolo di crolli. Il sentiero di accesso parte dal Campo sportivo, in località "Glare" e prosegue attraversando per due volte il torrente che scende dalla valle di S. Pietro e Dalla Valle dei Pilastri. La torre rappresenta la parte più vecchia.
Lo studio sul castello opera di Franco Lancetti, da un articolo apparso sul quotidiano "l'Adige" del 10 maggio 1992. I segreti del maniero (v.n.). Franco Lancetti propone la riscoperta di castel San Pietro, l'antico maniero che sorge su uno sperone di roccia nella valle omonima ad un'ora di cammino da Vigo di Ton. Secondo una ricostruzione grafica dei ruderi, eseguita appunto da Lancetti, il castello era di notevoli dimensioni e merita di essere riscoperto e valorizzato. L'edificio stando alle testimonianze storiche, già verso la fine del secolo XVII era in uno stato di totale abbandono. La causa del rapido decadimento è da ricercarsi con tutta probabilità nella tristemente famosa "tassa sul coperto" che causò molti strani incendi ai tetti di edifici nobiliari poco utilizzati. Risale proprio a quest'epoca infatti la rovina di castelli come San Pietro e Belfort. L'isolamento in cui giace ormai da due secoli lo ha trasformato inesorabilmente in "un ammasso di pietre e che deve far fronte non più ad un eventuale attacco nemico, ma ad una sottile e capillare invasione della vegetazione circostante". La parte più antica del castello, posto a quota 864, è secondo Lancetti, la torre cilindrica leggermente rastremata verso l'alto, risalente ai primi anni dell' insediamento romano in val di Non. La fortificazione infatti sorge lungo un'antica via romana che collegava l'Anaunia con la val d'Adige attraverso il passo di Roccapiana. A quei tempi infatti le strade vista l'Impervietà che ancor oggi limitava la percorribilità dell'area nel fondovalle, sorgevano in quota. Era meglio dunque percorrere la montagna anziché aggirarla attraversando zone difficili e paludose. La torre di castel San Pietro dunque era in collegamento visivo con altre fortificazioni della valle in particolare con la zona di castel Belasi e castel Corona. Secondo la ricostruzione effettuata da Lancetti la torre ha un diametro interno di circa sei metri e le mura sono larghe un metro e quaranta, l'altezza doveva essere (visto che ora è mezza), di circa quindici metri. Successivamente in epoca medioevale, attorno all'antica fortificazione si è sviluppata, come in altre zone, un castello munito di ponte levatoio e di mura per, la difesa. Al suo interno sorgeva una cappella dedicata a San Pietro, di questa è ancora possibile scorgere le fondamenta dell' abside che ha un diametro di circa tre metri. Il castello viene nominato per la prima volta in un documento del 1338 dal quale risulta essere un feudo antico della chiesa di Trento, di proprietà della famiglia Thun che lo acquistò dalla famiglia Negri di San Pietro. ...».
http://www.castelthun.com/index.php?option=com_content&view=article&id=22&Itemid=170
«è un monumentale fabbricato civile-militare fra i più ben conservati dei Trentino. Il palazzo baronale, slanciato in verticale, con tre torrette a cuspide gotica, si eleva al centro dei sistema fortificato che, verso l'attuale ingresso, la Porta spagnola, è composto da ben cinque torri, dal ponte levatoio e da un profondo fossato. Varcata la porta dei ponte levatoio, ci si trova nel più singolare ingresso dei castelli trentini. Si tratta dei Colonnato dominato dalle due torri medievali merlate dette delle prigioni. La singolare tettoia, sostenuta da 18 massicce colonne di pietra, serviva per riparare i cannoni dalle intemperie. Di fronte al Colonnato, il palazzo baronale; tutt'attorno, sopra il Cortile dei tornei, corre la cortina munita con la Torre basilia restaurata dal conte Basilio. Dalla parte opposta sorge la Torre della biblioteca che, in un grande locale a soffitto con stucchi barocchi, ospitava diecimila volumi e numerosi incunaboli. Il palazzo baronale rappresenta la parte più antica del castello, costruito sulla viva roccia da Manfredino, Albertino e dai quattro figli di Marsilio Thun. L'atrio è nella vecchia torre gotica; vi si possono ammirare un grande stemma dei Thun-Kónigsberg con la data 1585 dipinto sulla volta, tracce di affreschi quattrocenteschi e un recipiente per l'olio, scavato nella pietra, datato 1560. A sinistra del lungo corridoio si apre la porticina della cappella dedicata a S. Giorgio, decorata a tempera da uno dei discepoli di Jacopo Sunter della scuola di Bressanone. I piani superiori del castello conservano preziosi oggetti d'arredo, numerose opere d'arte e una ricca quadreria. La cappella del castello, dedicata a S. Giorgio conserva un interessante ciclo di affreschi di scuola tedesca risalenti alla seconda metà del XV secolo. Il castello si trova nel comune di Ton nella bassa Valle di Non. Cenni storici. Della storia di Castel Thun si sa che venne in possesso di Varimberto di Tono nel 1267. Questo castello era detto Belvesino dal nome della persona che lo possedeva o che lo fece costruire. Dopo la ricostruzione terminata nel 1422 dai Tono, il castello fu quasi completamente distrutto da un incendio nel 1528. Fu ricostruito da Sigismondo detto l'oratore, il più ragguardevole personaggio dei suo casato, amico e consigliere di Massimiliano 1, Carlo V, Ferdinando I e dei grandi vescovi trentini della prima metà dei XVI secolo. Un secondo incendio divampò pochi anni dopo, nel 1569. Altri rimaneggiamenti subì il castello nell'epoca barocca, ad opera soprattutto dei vescovi Thun. La zona comprendente gli abitati di Vigo, Masi di Vigo, Toss, e frazioni minori che forma attualmente il comune di Ton, si chiamava un tempo "Pieve di Tono": era di proprietà dei nobili cavalieri di Tono, poi divenuti baroni e quindi conti di Tono; più tardi, questo cognome venne tedeschizzato in Thun con l'aggiunta del toponimo "Hohenstein" (ma fino al 1926, il cognome esatto era Thunn, con due "n"), divenendo Thun dal 1926 in poi, quando divennero proprietari del castello i lontani cugini Thun di Boemia. ...».
http://www.castelthun.com/index.php?option=com_content&view=article&id=8:castel-thun&catid=12&Itemid=165 - ...Itemid=163
TONADICO (Castelpietra, ruderi)
«Sorto in una posizione tanto maestosa quanto strategica, su un imponente masso erratico incorniciato da cime meravigliose, il Castelpietra, Castrum Petrae, venne costruito per volere del principato di Feltre. Nato come residenza del rappresentante vescovile, l'amministratore di giustizia dell'epoca, esso venne citato per la prima volta su un documento del 1273, redatto dal vescovo di Feltre, Adalgerio da Villalta. Nel 1401 l'edificio divenne proprietà dei Welsperg che proprio in quel periodo lo ampliarono per poi ricostruirlo in parte nel 1565. Secondo le varie rappresentazioni grafiche pervenuteci, il Castelpietra si sviluppava presumibilmente su due piani ed appariva come un'imponente costruzione quadrangolare, su cui poggiavano altri volumi minori contraddistinti da tetti a pavione. Al suo interno erano presenti molteplici ambienti e vi era una netta distinzione tra parte superiore ed inferiore. La prima era caratterizzata dalla presenza delle stanze dei signori, della sala grande, di stubi con camino e pure di una piccola cappella privata dedicata San Leonardo, mentre nella seconda si trovavano altri locali come gli edifici di guardia, il mulino, la segheria e la fucina. Nel corso dei secoli il castello dovette fare i conti più di una volta con devastazioni ed incendi. Le fiamme ne trasfigurarono la fisionomia in ben tre occasioni: durante il XVI secolo, nel 1611 ed infine nel 1675, quando l'edificio venne abbandonato definitivamente a causa di un rovinoso incendio che distrusse anche parte delle mura. I tentativi di riassestamento iniziati nel 1720 per volere del priore di San Martino, il conte Gian Francesco di Welsperg, vennero ostacolati da un turbine di vento che scoperchiò il castello. A ciò seguirono nel corso degli anni vari crolli finché, nel 1865, la furia del torrente Canali, che da tempo ne minava la base, non scavò la roccia portando con sé gran parte dell'edificio. Le rovine dell'antico Castelpietra, attualmente proprietà del conte Georg Siegmund Thun-Hohenstein-Welsperg, sono state restaurate nei primi anni Ottanta e dominano ancora oggi silenziose ed immobili il paese di Tonadico».
http://www.tonadico.eu/il-castelpietra.htm
«La storia di Palazzo Scopoli inizia nell'anno Mille e nel corso dei secoli l'edificio è stato silenzioso spettatore della storia del paese, cambiando svariate volte la propria destinazione d'uso. Sorto come semplice ma vasto granaio-magazzino, esso divenne residenza del Capitano di Giustizia e del Vicario del Vescovo di Feltre. Dal 1273 il marzòl di Tonadico cominciò a conservare presso il Palazzo i “diritti” concessi dal feudatario alla comunità di valle, i cosiddetti Statuti. Nel 1329 il passaggio da zona d'influenza veneta a territorio dell'Impero d'Austria segnò l'arrivo dei conti del Tirolo e successivamente quello dei conti Welsperg della Val Pusteria. Questi ultimi ressero la valle per più di quattro secoli a partire dall'anno 1401 e proprio nei primi anni del XV secolo lasciarono l'edificio per trasferirsi a Fiera, paese divenuto centro amministrativo e commerciale della valle. Il palazzo restò comunque sede del marzòl finchè nel 1500 non venne ceduto agli Scopoli, che lo abbellirono ed ampliarono. Estinti tutti i componenti di questa famiglia di notai originari della val di Fiemme l'edificio divenne, tra l'800 e il '900, una sorta di residenza popolare, andando incontro al degrado. Grazie ad un restauro iniziato nel 1999 e conclusosi nel 2003, Palazzo Scopoli è tornato ad essere sede amministrativa e contesto perfetto per mostre e manifestazioni culturali. Il palazzo è caratterizzato dalla presenza di due bifore, tracce di affreschi, qualche portale in pietra e alcuni rivestimenti lignei all'interno. I locali del piano interrato riservano interessanti sorprese per i visitatori. Grazie all'iniziativa “Arte a Palazzo”, è infatti possibile osservare molte opere d'arte di artisti locali e non. Da non perdere una visita al luogo in cui un tempo i Marzoli della valle prestavano giuramento. Si tratta della cappella di Santa Maria Maddalena, che ospita alcuni stacchi di affreschi della chiesa di San Vittore e da pochi mesi anche un prezioso altare tardogotico della bottega di Ruprecht Potsch. Nel giugno 2007 infatti, alla presenza della vicepresidente della Provincia di Trento e assessore alla cultura Margherita Cogo, questo antico trittico è stato restituito alla comunità dopo essere stato oggetto di un lungo restauro che l'ha riportato agli antichi splendori».
http://www.tonadico.eu/palazzo-scopoli.html
Torcegno (Castel San Pietro, ruderi)
«Castel San Pietro svetta sulla sommità del monte Ziolìna, nel centro di un´ombrosa pineta. La sua importanza strategica durante il Medioevo trova una genesi in tempi preistorici. Castelliere nella tarda età litica e successivamente in quella del Bronzo e del Ferro, ha conservato oggetti di pietra lavorata, cocci di ceramica (nei pressi esisteva una fornace per la cottura dei vasi), monete romane e anche una statuetta di Apollo (luogo fortificato adibito a culto). Le attuali rovine (feudo dei Signori di Telve, XII-XIII secolo) constano di due mozziconi di muraglie (un tempo erano tre) costruite a cassone con pietre squadrate; qua e là resti bruciati di travi. Per tale aspetto il castello venne soprannominato dei "Tre Corni". Il luogo, durante la Prima Guerra Mondiale, fu sfruttato per piazzarvi alcune batterie di artiglieria. Ruderi» - «San Pietro, come Castel Arnana (ormai scomparso) e Castellalto, era della famiglia dei Telve, che in valle aveva numerose proprietà e diritti. A distanza di circa 800 anni, i ruderi della torre, la cisterna dell'acqua in mattoni, profonda oltre 5 metri, e parte della cinta, sono testimoni della sua storia, proseguita con la vendita ai da Caldonazzo (1331), l’assedio e il saccheggio di un’armata vicentina (1385), la cessione ai duchi d’Austria e la successiva rovina e abbandono. Qui sono stati rinvenute punte di freccia per arco e balestra datate dal XIII all'inizio del XVI secolo».
http://www.tiscover.com/it/guide/5,it/objectId,SIG11596it,parentId,RGN9267it/intern.html - http://trentinocorrierealpi.gelocal.it
Trento (casa Cazuffi e Rella o case ai Portici, casa-torre del Marcolino o torre Mirana, casa-torre Negri)
«Casa Cazuffi e Rella. Posizionata nell'angolo nord-est di piazza Duomo, la casa Cazuffi e Rella, formata da due residenze attigue del XVI secolo, è impostata su un tracciato poligonale e viene sorretta dai massicci pilastri del portico. Sulla facciata presenta un complesso ciclo pittorico cinquecentesco che si svolge su diversi piani. Sulla facciata di sinistra sono raffigurati personaggi e scene della mitologia classica: in alto Gerione, il mostro mitologico con la testa da donna e il corpo di serpente, e le allegorie della fortuna, dell'Occasione e della Nemesi; in basso Damocle alla mensa del tiranno Dionigi. Su quella di destra i temi della Virtù, del Tempo, i Trionfi dell'Amore, Apollo ed Abbondanza. Culminanti idealmente nella Scala della Virtù, e commentati dai cartigli in latino, sono da considerare come un "libro morale" aperto sulla piazza, ispirato alla cultura emblematica rinascimentale. ... Torre Mirana. La casa-torre, detta anticamente "del Marcolino", venne acquistata alla metà del XVI secolo da Sigismondo Thun e accorpata, assieme ad altri edifici, nel complesso edilizio di palazzo Thun. Recenti lavori di restauro hanno messo in luce l'antico pozzo e importanti brani del tessuto urbano della Tridentum romana. Nel salone al pianterreno si conserva un pregevole camino sormontato dall'allegoria della fortezza. Notevole la scala a chiocciola che conduce ai piani superiori. ... Casa-torre Negri. L'edificio a torre, di impianto medioevale, apparteneva ai Negri di San Pietro, di cui permane l'insegna araldica – inquadrata con gli stemmi di altre nobili famiglie – sulla sommità del portale a balconcino, detta fastigio. I lavori di rinnovo della facciata, tesi a eliminarne l’aspetto fortificato non più consono alle esigenze dell’epoca, avvennero nel 1546, come attesta una data nel sottotetto. I raffinati elementi in pietra delle finestre e l’elegante portalino archivoltato del secondo piano sono segni di affermazione di uno stile rinascimentale ormai maturo».
http://www.comune.trento.it/...Casa-Cazuffi-e-Rella - ...Torre-Mirana - ...Casa-torre-Negri
Trento (Castelletto dei Vescovi)
«Il cosiddetto “Castelletto dei Vescovi” sorge a destra dell’abside del Duomo e congiunge il Duomo stesso con Palazzo Pretorio. La costruzione è molto antica: fino al XIII secolo, fu sede dei principi-vescovi, ma non si esclude che, in precedenza, fosse addirittura la sede dei duchi longobardi. L’edificio, assai alto, è coronato da una merlatura ghibellina e si caratterizza per tre ordini di finestre: notevoli le trifore del terzo piano, e la snella torre sovrastante, che presenta due ordini di bifore. Nella sua forma attuale, il Castelletto risale ai primi del Duecento, quando il vescovo Federico Vanga fece ristrutturare e fortificare la costruzione precedente. L'edificio si compone di tre corpi verticali: il più basso, oggi interrato, ospitava la cappella di San Giovanni; il secondo ospitava la cappella di San Biagio, ed oggi forma la sacrestia del Duomo; il terzo, il più alto, era il Castelletto in senso stretto, effettiva residenza del principe-vescovo, centro del potere civile e religioso. Restaurato di recente, il Castelletto dei Vescovi rientra nel percorso di visita del Museo Diocesano Tridentino. Una curiosa leggenda vuole che la campana del Castelletto suonasse da sola per annunciare – al vescovo di Trento, Vigilio – la morte del santo eremita Romedio, che viveva in Anaunia, ossia nella Val di Non».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/trento/castelletto-dei-vescovi
Trento (castello del Buonconsiglio)
foto di Marta Tinor
Trento (mura vanghiane, porte)
«Mura vanghiane. Sono il più significativo tratto superstite della cinta urbana duecentesca tracciata attorno ai quartieri ampliati in epoca medioevale. Si tratta di uno dei grandi cantieri avviati dal vescovo Federico Vanga prima del 1218. In questo punto le mura erano lambite, fino all’epoca clesiana, dall’alveo del torrente Fersina. All'inizio di via S. Croce, fra il Torrione e le Mura, era collocata la Porta di S. Croce che conduceva alla strada per Verona. L’imponente muro con i merli ghibellini e cammino di ronda è alto è mediamente 15 metri per uno spessore variante da 1,5 a 2,5 metri. ... Porta di Santa Margherita. La porta si apriva nella cinta muraria urbana duecentesca e conduceva, fino alla deviazione dell’Adige del 1858, nelle aree agricole a ridosso del fiume. Inserita tra costruzioni ottocentesche, fu in parte interrata dalle ripetute alluvioni. È caratterizzata da un'ampia apertura ogivale e da brevi tratti del cammino di ronda sormontati da una torre quadrilatera aperta verso l'interno. ... Porta Veronensis. Nell'atrio del Museo Diocesano in Piazza Duomo si accede allo spazio archeologico in cui sono visibili i resti della Porta Veronensis, monumentale ingresso a Tridentum, costruita nel I sec. a.C. Essa risale, nella sua struttura definitiva, alla metà del I sec. d.C. ed è gemina, cioè formata da due aperture (fornici) fiancheggiate da due torri poligonali di sedici lati, da cui si dipartiva la cinta muraria. Sono ben visibili, su una pavimentazione in calcare rosso locale, le basi delle due facciate con gli incassi nei quali scorrevano le chiusure a saracinesca (le cataratte). Di particolare interesse la presenza di un breve tratto del cardo massimo, l’asse viario principale della città che, partendo dalla porta, convogliava il traffico in direzione nord, verso il fiume Adige, e che presenta ancora numerosi solchi prodotti dal passaggio di carri pesanti».
http://www.comune.trento.it...Mura-Vanghiane - ...Porta-di-Santa-Margherita - ...Porta-Veronensis
Trento (palazzo delle Albere, arco dei Tre Portoni)
«Splendida residenza extraurbana dei principi-vescovi Madruzzo, il Palazzo delle Albere deve il suo nome ai filari di pioppi che in origine accompagnavano il viale di accesso alla villa. Rivolto verso la città, è un massiccio palazzo cinquecentesco con quattro torrioni angolari e un’apertura a serliane sovrapposte sul prospetto principale. L’edificio venne portato a termine tra il 1550 e il 1560 al tempo del principe vescovo Cristoforo Madruzzo, forse su disegno dell’architetto militare Francesco da Gandino. L’interno conserva suggestivi cicli affrescati. Inoltre, durante il Concilio il palazzo fu teatro di banchetti e tornei in onore di principi e ambasciatori. Dopo il Concilio, finita la serie dei vescovi Madruzzo, il palazzo degrada fino al 1796, quando un grande incendio ne distrugge l'ala orientale, ad oggi restaurata. Acquistato nel 1966 dalla Provincia Autonoma di Trento, diventa negli anni Ottanta sede espositiva del MART, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto. Dal 2011 il palazzo non è aperto al pubblico, ma è possibile ammirarlo nel verde del suo bellissimo parco, corollato dal nuovo quartiere eco-sostenibile delle Albere e a pochi minuti dall'avveniristico MUSE. ... Arco dei Tre Portoni. Aperto sul lato occidentale di via Santa Croce, l’antica strada di accesso alla città per chi proveniva da sud, l’arco fungeva da accesso monumentale al viale costeggiato da pioppi che conduceva al palazzo delle Albere, residenza suburbana dei Madruzzo. Il loro stemma, ormai cancellato, era scolpito sulla chiave di volta. Sull'antico rettilineo del viale, interrotto nel XIX secolo dalla ferrovia, si imposta l'odierna Via Madruzzo. L'arco è un massiccio manufatto in pietra calcarea a tre fornici, sormontati da rustici timpani curvilinei, che terminano in piccole sfere. Risale alla metà del Cinquecento».
http://www.comune.trento.it/Aree-tematiche/Turismo/Da-vedere/Siti-di-interesse-storico-artistico/Palazzo-delle-Albere - ...Arco-dei-Tre-Portoni
Trento (palazzo Pretorio, torre Civica o di Piazza)
«Il palazzo Pretorio esisteva nel IX, X, XI secolo come edificio vescovile, ma solo tra 1207 e il 1218 subì una vera trasformazione con ricostruzioni, durante il periodo in cui il principe vescovo Federico Vanga governava la città. In seguito vennero poi fatte al palazzo opere di fortificazione per ordine del vescovo Egnone dei conti di Appiano (1248-1273). Fu per gran parte del medioevo sede delle più importanti personalità cittadine in particolar modo i vescovi che lo chiamarono Palatium Episcopatus. I vescovi in seguito trasferirono la loro sede nel palazzo del Buonconsiglio. Successivamente il palazzo svolse funzioni Giudiziarie (presenza della Corte di Giustizia) per questo motivo venne chiamato Pretorio. Il palazzo è costituito di mura merlate, sulla facciata ornata di tredici bifore e sette trifore ghibelline duecentesche si trova lo stemma del principe vescovo Sigismondo Alfonso dei conti Thun (1668-1677) e gli stemmi di Trento (Aquila) e di Bressanone (Agnello), in un altro punto quelli di Bernarlo Cles e della famiglia Madruzzo. A fianco al palazzo è la torre civica duecentesca, alta 41,5 e larga alla base 7,6 metri e divisa in dieci piani (per un certo periodo fu adibita anche a carcere). La torre di piazza fu sopraelevata nel periodo di Hinderbach (tra il 1469 e 1486). L’orologio è cinquecentesco (1545) fu dipinto da Girolamo Fontana e da Marco Sandelli. Sotto il palazzo si può visitare l’area archeologica della porta Veronensis costruita nel I secolo d.c. Qui passava la via Augusta che giungeva da Verona. Della via romana sono visibili le basi dei pilastri, una parte della pavimentazione, e i resti di un torrione. Al primo piano si trova l’importante museo Tridentino Diocesano ove sono esposti numerosi quadri che raffigurano lo svolgimento del Concilio di Trento e vari esempi di pittura del XV e XVI secolo. In altri piani si trova l’importante collezione di sculture in legno di epoca gotica con statue e oggetti presenti negli altari delle chiese. Di notevole pregio sono gli arazzi fiamminghi acquistati dal vescovo Bernardo Cles per decorare le sale in cui si svolgeva il Concilio di Trento. All’ultimo piano si trova il tesoro della cattedrale un numero notevole di oggetti di oreficeria e argenteria e di oggetti sacri realizzati tra il XII e il XIII secolo».
http://www.trentoarte.it/palazzo-pretorio-e-torre-civica-trento
Trento (torre Arcidiaconale o del Massarello)
«L’austera torre a pianta quadrangolare è una massiccia costruzione medievale che si eleva per circa 20 metri tra l’attuale via Santa Trinità e il vicolo della Storta. Anticamente era la residenza degli arcidiaconi del capitolo della cattedrale (al tempo del Concilio la carica era ricoperta dal canonico Martin Neideck). L’impianto romanico fu successivamente modificato in età gotica e fino alla seconda metà del Settecento, epoca in cui furono aperte le quattro finestre prospicienti via Santa Trinità. Al primo piano è visibile una decorazione ad affresco di gusto tardogotico, organizzata in tre registri: in alto corre una fascia a motivi fitomorfi, al centro si dipana un motivo policromo a scacchiera, in basso un finto drappeggio. Nella sala del caminetto si conservano lacerti di affreschi rinascimentali,che attestano l’esecuzione di lavori di miglioria nel corso del Cinquecento. Il nome attuale deriva da quello di Angelo Massarelli da San Sepolcro, segretario generale del Concilio di Trento, che vi abitò nel ventennio in cui si tenne l'assise».
http://www.gardasistemaculturale.it/result.asp?id=351
Trento (torre del Falco, torre Aquila)
«Torre del Falco. Si trova lungo il camminamento delle mura orientali che conducono alla Torre sopra porta Aquila e, con ogni probabilità, venne costruita dal vescovo Giorgio di Liechtenstein contemporaneamente alla ristrutturazione di quella, poco dopo il 1390. Gli affreschi che ricoprono le pareti della Torre del Falco, databili al quarto decennio del Cinquecento, sono dedicati al tema della caccia, uno degli svaghi preferiti dal ceto nobiliare. Eleganti figure popolano paesaggi dall’aspetto nordico, ricchi di boschi e limpide distese d’acqua, dove i cacciatori, a piedi o a cavallo e variamente armati, inseguono cinghiali, orsi, camosci e tassi oppure i pescatori gettano le reti. Sulla parete occidentale si riconosce la città di Salisburgo, nel suo antico assetto, prima della ricostruzione della cattedrale nelle attuali forme barocche. Gli affreschi della Torre del Falco, attribuiti al pittore Hans Bocksberger il Vecchio (1510 ca. – 1561), costituiscono uno dei maggiori documenti iconografici in Trentino della pittura tedesca di paesaggio relativa alla vita cortese e alla caccia.
Torre Aquila. Vi si accede percorrendo il camminamento di ronda lungo le mura orientali del Castello. Fu ampiamente rimaneggiata alla fine del ’300 per iniziativa del vescovo Giorgio di Liechtenstein, che trasformò l’antica struttura sopraelevando la torre, chiudendone il lato verso la città e ricavando al suo interno alcuni ambienti ad uso privato, lontano dagli spazi adibiti a funzioni militari e di rappresentanza del Castello del Buonconsiglio. Nella sala principale, al secondo piano, le pareti sono decorate con il celebre ciclo dei Mesi, raffigurati in riquadri separati da sottili colonnine che tuttavia non interrompono la sequenza dei mesi e la rappresentazione del fluire del tempo nell’avvicendarsi delle stagioni. Questi affreschi costituiscono, con particolare riferimento al Trentino, uno dei documenti figurativi più rari e preziosi della vita economica e sociale tra la fine del ’300 e l’inizio del secolo successivo, rappresentando sia gli svaghi del ceto nobiliare, sia il lavoro dei contadini, impegnati nei campi secondo l’alternarsi delle stagioni. Il mutare della natura è descritto con sensibile attenzione: il paesaggio spoglio e imbiancato dalla neve nel primo mese dell’anno diventa rigoglioso di vegetazione in primavera; le messi estive segnano il momento culminante dell’attività agricola, mentre gli alberi nel mese di novembre sono circondati dalle foglie cadute a terra. La straordinaria cura per i particolari si manifesta anche nella descrizione delle vesti: ricche e multicolori per i nobili, il cui abbigliamento permette di riconoscere i tratti tipici della moda del tempo, semplici e dimesse per contadini e artigiani. Le diverse attività sono raffigurate con grande realismo: l’aratura, la vendemmia, la semina e la raccolta della legna così come i giochi all’aperto, i tornei, le passeggiate e la caccia. L’autore di questo suggestivo ciclo pittorico, probabilmente quel Maestro Venceslao documentato a Trento in rapporto con il vescovo nel 1397, forse legato all’ambito di provenienza del committente Giorgio di Liechtenstein, la Moravia. Appartenente ad una antica famiglia della Moravia, il vescovo, raffinato collezionista di opere d’arte e bibliofilo, possedeva un Tacuinum Sanitatis, prontuario illustrato di medicina e botanica, da cui il pittore poté trarre ispirazione per rappresentare il ricco ambiente naturale in cui si svolgono le scene. Gli affreschi vennero eseguiti probabilmente sul finire del Trecento, in ogni caso entro il 1407, quando il vescovo venne imprigionato e allontanato da Trento in seguito ad una rivolta».
http://www.buonconsiglio.it/index.php/Castello-del-Buonconsiglio/monumento/Percorso-di-visita/Torri/Torre-del-Falco - ...Torre-Aquila
«Nel suo impianto originario la
torre, in pietra e cotto, risale al XII secolo. Assunse l’assetto attuale
nella seconda metà del Quattrocento, quando fu acquistata dall’autorità
municipale. Nei secoli successivi fu adibita a carcere e solo nel 1914 fu
dotata della merlatura. Ai piedi della torre si innesta il Palazzo Civico,
sede del Magistrato Consolare, l’organo di autogoverno della città. La
facciata neoclassica, sormontata dall’aquila civica, risale all’ultimo
decennio del Settecento, epoca in cui fu l’architetto Carlo Caminada
realizzò il salone interno a doppia altezza, decorato da stucchi di Antonio
Giongo» - «Di questa
torre, che sorge presso il Municipio, non si conoscono le origini. Sembra
sia sorta all’inizio del Duecento, forse nel secolo precedente, e che
appartenesse alle case dei Belenzani. Di certo di sa che intorno al 1470 fu
acquisita dalla Comunità cittadina e destinata a sede degli organismi
deliberativi.
Dal punto di vista architettonico, la massiccia struttura non si discosta
molto dalle analoghe costruzioni coeve. Nel corso dei secoli, essa ha subito
vari rifacimenti. In ogni caso la struttura attuale, di sapore neoclassico,
fu definita nella prima metà dell’Ottocento. Il basamento e l’affusto sono
in pietra a bugnato. La facciata è interrotta da una serie di finestre
quadrate munite di inferriata, che risalgono al Sette-Ottocento, quando la
Torre fu adibita a carcere. Attualmente, i locali della Torre sono usati per
mostre e convegni di varia natura».
http://www.comune.trento.it/...Torre-della-Tromba - http://guide.travelitalia.com/it/guide/trento/torre-della-tromba
«Torre Vanga si erge a guardia dell'antica "porta bresciana", aperta verso la strada per le Giudicarie, poi denominata "porta di S. Lorenzo", e dell'omonimo ponte, l'unico tramite di attraversamento dell'Adige verso la città murata. Il luogo dell'imponente costruzione coincide con il punto di arrivo meridionale della seconda cerchia di mura urbane di Trento, ben più ampia di quella precedente di origini romane. Nella zona confluivano anche le acque della "roggia granda", alimentata dal Fersina. A sud della torre, fuori dalle mura, correva verso il Briamasco quella lunga riva a carattere alluvionale lasciata a disposizione del traffico fluviale. Per secoli l'immagine della torre lambita dall'Adige rimase documentata nell'iconografia urbana, inalterata fino alla metà del XIX secolo, quando il corso del fiume fu rettificato e il tratto di alveo cittadino interrato. Il complesso comprende una torre a pianta sostanzialmente quadrangolare - una flessione muraria del lato settentrionale forse per opporre minore resistenza alla forza delle acque dell'Adige l'ha talvolta fatta definire a forma pentagonale -, un avancorpo e un fabbricato laterale aggiunto. Le dimensioni della torre corrispondono a circa 10 x 11 m e ad un'altezza di circa 34 m. L'interno, cui si accede attraverso un portale con arco a tutto sesto e grandi bugne rustiche, si articola in un locale interrato con maestoso pilastro eccentrico, attualmente 4 metri sotto all'attuale quota stradale, in quattro altri piani voltati e ulteriori tre livelli, provvisti di solai lignei, fino alla copertura. Il tetto, riprodotto con foggia di cuspide a quattro falde nelle testimonianze figurative più antiche, a partire da un acquerello di Albrecht Dürer del 1495, è ora coronato da merlatura riproposta in occasione dei restauri ottocenteschi. L'illuminazione interna è affidata ad ampie monofore archivoltate e finestre quadrangolari con doppia inferriata, in parte dovute a rimaneggiamenti ottocenteschi, mentre nelle sale del primo piano si aprono trifore rimesse in luce durante i restauri degli anni Venti e Cinquanta. Nei locali della torre le massicce porte superstiti sono di legno, ferrate da borchie e dotate di spioncino, a testimonianza dell'uso carcerario dell'edificio nel corso dell'Ottocento, documentato anche dalle numerose iscrizioni, spesso completate da disegni, datate tra il 1814 e il 1881. Altri due corpi di fabbrica compongono il complesso monumentale e raggiungono un'altezza di 11 m circa. La ex casa del custode, addossata sul lato est della torre, anch'essa caratterizzata principalmente dall'intervento ottocentesco di trasformazione in prigione, a cui vanno ricondotte le finestre con inferriate ai singoli piani, e da altri lavori atti a realizzare l'abitazione di un custode. Il corpo di fabbrica addossato sul lato sud, invece, risulta in parte ricostruito dal Guiotto nel secondo dopoguerra a risarcimento dei danni prodotti dai bombardamenti aerei del 2 settembre 1943 e del 13 maggio 1944 che rasero al suolo il rione della "Portela".
La menzione più antica finora rinvenuta dell'edificio in prossimità del ponte risale al 1210, allorché Samuele de Roubatasca cede al vescovo Federico Vanga l'intero feudo costituito da un edificio costruito in solide murature e servito da caseggiati secondari e da un vicino mulino. Un secondo atto del 1220 lo stesso vescovo investe i due fratelli Adelperio e Bertoldo di Vanga del feudo riguardante la torre, la casa annessa con corte ed orto nonché fabbricati di servizio e il vicino mulino: l'atto nomina per la prima volta espressamente la torre. All'impulso diretto del vescovo Vanga si deve dunque il formarsi di un complesso di edifici con funzione residenziale e difensiva in corrispondenza del delicato crocevia rappresentato dal ponte di S. Lorenzo e dall' adiacente porta urbana. Nel tempo si aggiunge anche una funzione carceraria: Vi fu imprigionato il principe vescovo Giorgio Lichtenstein al tempo delle rivolte capeggiate da Rodolfo Belenzani (1407-1409) e nel 1475 in turri a Vanga in loco torturae vennero interrogati i membri della comunità ebrea di Trento, colpiti dalle accuse di omicidio rituale per la morte del piccolo Simone. Pochi anni dopo la soppressione del principato vescovile di Trento (1803) Torre Vanga viene adibita a casa carceraria, con lavori di adattamento avviati nel 1813. Tra il 1849 e il 1858 la rettifica del corso dell'Adige, oltre ad allontanare drasticamente il fiume dalla torre che in esso trovava la sua ragion d'essere, fornisce i presupposti per una progressiva occupazione delle aree così ricavate, ad iniziare dalla nuova ferrovia. L'edificio passa al demanio statale nel 1919, all'indomani dell'annessione del Trentino al Regno d'Italia, venendo utilizzato anche quale caserma dei carabinieri. I primi parziali lavori di restauro modernamente inteso risalgono a quelli condotti a cura di Giuseppe Gerola, primo Soprintendente ai Monumenti e Gallerie del Trentino-Alto Adige dopo l'annessione all'Italia, intorno al 1928. Ad essi seguono, dopo i danni subiti dai bombardamenti della seconda Guerra Mondiale, quelli condotti su vasta scala dall'arch. Mario Guiotto tra il 1952 e il 1961, e i successivi lavori di completamento di Nicolò Rasmo. Negli anni Sessanta la Torre ospita numerose iniziative espositive. Dopo il passaggio di competenze dallo Stato alla Provincia autonoma di Trento, nel 1975 viene collocato nella torre il Laboratorio del restauro ligneo, lì attivo fino al trasferimento nel 1998 presso la nuova sede in via S. Marco».
http://www.ladigetto.it/permalink/5109.html
«La torre, che con un braccio di mura si univa con il castello del Buonconsiglio, viene comunemente chiamata Torre Verde, per quel suo tetto aguzzo a forma irregolare a tronco di cono, interamente ricoperto da embrici di color verde scuro e giallo. Lo storico Lamberto Cesarini Sforza afferma che, secondo un disegno della fine del Seicento, questa torre si chiamava torre dei cavoli o torre delle erbe, ma nessuno è riuscito a spiegarci l'origine di questa curiosa denominazione. La singolare forma semicilindrica di questa torre e la sua posizione a custodia e guardia della città, le hanno conferito una particolare suggestiva ammirazione e curiosità, soprattutto perché ci offre una visione insolita e singolare in un angolo molto caratteristico della città. Dobbiamo ricordare che ai piedi della torre, ricoperta di grosse pietre a bugnato, scorreva il fiume Adige che ne lambiva la base, dove si trovavano il magazzino delle polveri da sparo, il casello per l'esazione del dazio e diverse attrezzature degli artigiani che riparavano le barche e i barconi adibiti al trasporto delle merci attraverso il grande fiume. Secondo alcuni studiosi la torre Verde venne costruita ai tempi della vicina torre chiamata d'Augusto del castello del Buonconsiglio e, pertanto, dovrebbe avere origini molto antiche. Lo storico Michelangelo Mariani ci offre questa curiosa descrizione: "La Tor Verde, questa con essere di Pietra viva, e forte sorge altamente a Cuppola di laste verdi, di cui si domina. Parlasi che questa Torre habbia servito già di punizione a' facinorosi delinquenti, che con farli passar per una Porta, li portava tosto in precipitio tra ferri, senza mai più vederne orma". Anche lo storico Ottone Brentari accenna che "una tradizione, che vuole questa torre più antica della torre d' Augusto, e che essa era luogo di supplizio per i condannati, i quali introdotti in essa per certa porticina, precipitavano in un trabocchetto, pieno di ferri, che li facevano a pezzi". La nuova strada, che sorse nel 1858, nello stesso tratto di terreno nel quale scorreva l'Adige, era all'origine senza nome alcuno e veniva maliziosamente chiamata dal popolino la strada dei debiti, perché vi transitavano coloro che erano gravati da debiti di ogni misura e non ardivano esporsi agli occhi severi dei negozianti della contrada Larga, che ne risultavano credi tori.
Nella più antica veduta di Trento, un celebre acquarello raffigurato dal pittore tedesco Albrecht Dürer, tra il 1490 e il 1494 secondo studi e ricerche di alcuni storici, vengono illustrate, tra altri monumenti, chiese, torri e palazzi, anche la torre Verde, secondo la seguente descrizione di Giuseppe Alberti: "Completa poscia perfettamente la fosca immagine dei tempi medioevali la vista del Castello del Buon Consiglio, sorto sopra un' altura ed a noi di fianco, quasi interamente nascosto e protetto da alti e merlati recinti, che si protendevano con forti mura pure a merli sino al fiume in due linee parallele, in mezzo alle quali stava chiusa fra le due porte omonime l'antica chiesa di S. Martino, menzionata già nel 1197 e di cui si scorge chiaramente la sommità ed il campanile; e mentre qui si vede la seconda porta, la prima si apriva nel contrafforte delle mura, che congiungevano fin dai tempi del vescovo Giorgio II di Hack il Castello alla vecchia Torre Verde. Questa poi assieme al campanile di S. Pietro ci appaiono ancora prive dell' attuale cappello conico dalle verdi piastrelle in cotto ed ambedue figurano molto più basse d'adesso, non solo perché le case d'abitazione che le circondavano erano allora più basse delle presenti, ma ben anche perché ai nostri giorni si è pure rialzato coll'interramento naturale ed artificiale il piano della città, tanto che è quasi scomparsa la storica collinetta del Malconsei, sulla quale il castello dominava". La Torre Verde veniva ritenuta da qualche studioso come di origine romana, o addirittura preromana, per la costruzione semicircolare e per le pietre bugnate ricavate nelle cave trentine. Afferma ancora l'Alberti che «nessun documento ci fa noto in modo chiaro ed esplicito quando essa fu rivestita del suo cupolone piramidale che ne diede il nome». Nell' archivio consolare di Trento esiste però un proclama, datato 14 maggio 1506, nel quale veniva chiamata "Turrim Viridem et damum mutarii". Quando, verso la fine del secolo scorso, venne demolita la parte superiore del caratteristico sporto della torre, che era composto da un tetto a due spioventi, rivestito anche questo di piccole tegole verdi, venne ritrovato un mattone che riportava la scritta Zuan Antani Trentina 1506. Il balcone venne ricostruito con tre mensole di pietra al quale si aggiunse un piccolo vano, oggi otturato, che serviva di scarico e per attingere acqua dal fiume. Negli attuali lavori per la sostituzione delle tegole colorate si sono messi in luce alcuni costoloni di forma irregolare, sul dorso dei quali venivano collocati degli appositi sostegni fra i disegni geometrici decorativi e pittoreschi eseguiti sul fondo verde della torre con piastrelle bianche, gialle e turchine. Si poteva un tempo distinguere chiaramente lo stemma del principe vescovo Domenico Antonio Thunn, che ebbe a predisporre nella seconda metà del secolo XVIII "l'ultimo completo e bizzarro restauro". Su una banderuola metallica collocata sulla sommità della torre si potevano scorgere le iniziali DAVEP (Domenico Antonio vescovo e principe) e dall'altra parte l'anno in cui venne effettuato il restauro».
http://buonconsiglio.tripod.com/SPietro/torreverde.htm (a cura di Antonio@Enio)
Trento (torrione madruzziano di S. Croce)
«Quello che è noto come il "Torrione Madruzziano", è un largo baluardo cilindrico, originariamente posto a difesa antemurale in prossimità della Porta di Santa Croce (oggi scomparsa all'imbocco di via Mazzini), successivamente trasformato in edificio per negozi ed abitazioni. Fu costruito nel secolo XVI per ospitarvi il corpo di guardia, a difesa dell'entrata meridionale alla città. La prima testimonianza iconografica, (la pianta prospettica del Valvassore del 1562) lo ritrae coperto da un'alta cuspide conica e congiunto alla porta di Santa Croce da un muro merlato forato da un fornice che consentiva la comunicazione con l'area esterna alle mura. Durante l'episcopato di Ludovico Madruzzo (nel 1595) il Torrione fu sottoposto a rimaneggiamenti e presumibilmente a quell'intervento risale l'eliminazione della copertura onde realizzare una piazzola con merlature più adatta ai tiri dell'artiglieria. Così infatti ci viene rappresentato il baluardo nelle vedute del Sardagna del 1660 circa (ove è visibile un coronamento a spalti sulla sommità ed una cannoniera rivolta ad ovest) e dello Zambaiti fra il 1703 ed il 1705. La porta di Santa Croce fu danneggiata da una cannonata nel 1796 nel corso dell'invasione napoleonica mentre fu definitivamente smantellata nel 1844. Nel frattempo anche il Torrione (che all'epoca veniva chiamato «Rotonda») aveva perduto il suo ruolo storico ed era stato privatizzato. Il torrione mostra ancora oggi la struttura cilindrica in conci di calcare rosso squadrati, con una cornice che delimita in alto la fascia di coronamento, mentre finestre, porte e vetrine sono inserimenti otto-novecenteschi, così come la copertura con lanterna ottagonale. Dal 1834 ne era proprietario il "caffettiere" Donato Perghem che effettuò una radicale ristrutturazione effettuandone l'innalzamento e l'assottigliamento dei muri, lavori svolti nel 1835. Allo stesso Perghem si deve la costruzione del passaggio aereo con la vicina casa a nord, anch'essa di sua proprietà. Nel 1897 l'edificio residenziale viene intavolato all'atto di impianto del libro fondiario a nome dell'Orfanotrofio Maschile Sartori. Nella scena urbana della città di Trento mantiene il carattere di elemento primario di definizione della Piazza Fiera, la quale conserva anche un cospicuo tratto delle mura antiche merlate».
http://www.ladigetto.it/permalink/25559.html
«La prima, ed esauriente, iconografia ci è restituita dal “codice Brandis” (1615-18) nella quale il Castello è visto da ovest; il complesso vi risulta pienamente strutturato secondo un’articolazione che era andata conformandosi a partire dagli anni a cavallo tra i secoli XII e XIII, allorché venne edificata la torre (il mastio) in pietra con annessa (lato ovest) camera di ingresso a ponte levatoio, quasi certamente sul luogo di una preesistente torre di legno longobarda risalente al secolo precedente costruita sul punto più alto del dosso, certamente isolata e probabilmente circondata da una palizzata. Alla torre in pietra vennero successivamente aggiunti corpi di fabbrica che, progressivamente, la inglobarono su tre lati (nord escluso) andando a configurare una solida e ben strutturata costruzione a “U” con merlature (seconda metà del Cinquecento). Il complesso ospitava, all’interno del braccio ovest, l’ingresso e la “camera d’assedio”; nella zona sud-est la residenza, mentre staccati erano stati costruiti una torre cilindrica (sud-ovest) della quale non abbiamo ulteriori notizie neppure relative al momento della sua demolizione, ed un fabbricato corrispondente all’attuale rustico. Dal 1561 al 1878 il Castello risulta essere di proprietà della famiglia D’Arisio che a più riprese lo consolidò (come attestano anche le iscrizioni a lapide sulla muratura orientale); è della metà dell’Ottocento un'altra iconografia (una stampa di Johanna Von Isser) che raffigura il castello visto da nord, nella quale la torre, il corpo a “U” ed il “rustico” appaiono sostanzialmente immutati rispetto a ciò che erano tre secoli prima. Un'immagine fotografica (lastra al collodio dell’unterveger) del 1885 documenta lo stato della costruzione dopo che un incendio, sul finire dell’Ottocento lo aveva gravemente danneggiato; la torre appare infatti priva della copertura, mentre il corpo ovest della “U” pare ridimensionato. A cavallo tra Otto e Novecento, infine, la sommità della torre venne demolita, insieme con i resti del corpo ovest della costruzione ad “U”, ed il tutto venne coperto, da un tetto a quattro falde impostato al livello della linea di gronda di quest’ultima.
Oggi il Castello (rustico escluso) è costituito, planimetricamente, dalla torre in pietra e dai 2 corpi superstiti (est e sud) della “U” (restano tracce di murature e di aperture del braccio ovest crollato nell’area rialzata della corte antistante l’ingresso al castello). L’iconografia del “codice Brandis”, ancor più che le successive, ci aiuta anche a comprendere lo stato attuale che, aldilà delle evidenti e già descritte perdite ha mantenuto nel tempo una sua identità ( come insieme di sito e di edificato), oltre ad alcuni elementi costruttivi significativi quali le merlature seppur tamponate, la conformazione delle coperte, e curiosamente, il piccolo corpo sporgente a baldacchino sulla facciata del corpo ovest (crollato come già detto), singolarmente riproposto in forma di poggiolo sulla parete retrostante (l’attuale facciata esterna principale). Riguardo alle proprietà succedutesi nel tempo, secondo le fonti bibliografiche più accreditate, fu feudo dei conti di Appiano fin dal XIII secolo e la “Famiglia de Vasio”, ministeriale del vescovo, che custodiva il castello si estinse nel 1445. Successivamente il vescovo Giorgio di Hack diede Vasio in feudo ai fratelli (1450) che a loro volta lo vendettero a Giorgio Trapp (la rocca probabilmente venne restaurata per ospitare il capitano e la guarnigione). Nel 1518 i Trapp la cedettero a Baldessare di Castel Cles, fino al 1530, allorché fu ceduta a Giovanni Antonio Di Castel Malosco che nel 1561 lo cedettero ad un conte D’Arisio il quale aggiunse al nome di famiglia quello di Vasio. Il castello che minacciava rovina, venne solo restaurato ma restaurato e ampliato in residenza e successivamente restaurato a più riprese, come attestano le epigrafi sui fronti est e sud (“Già cadente mi sostiene Antonio conte D’Arisio”; “Già cadente mi sostiene conte Felice D’Arisio 1761”). Nel 1878 i conti D’Arisio lo vendettero a Battista Rizzi».
http://www.castelvasio.net/index.php
VIGO Lomaso (Castel Spine, ruderi)
«Precedentemente con il nome di Comendone, poi di Spinedo, questo castello nasce come rifugio comunitario; ancora nel 1205 è di proprietà della popolazione lomasina. Quando poi, nel Quattrocento, i diversi edifici disposti attorno al cortile centrale vennero accorpati in un unico complesso, la sua fisionomia, senza il caratteristico mastio centrale, appare senz´altro anomala. Il ruolo residenziale e quello difensivo si fondano così nell'accomunata esigenza dei suoi abitanti. Il castello passò quindi ai Signori d´Arco, che ne fecero la punta avanzata nell´espansione in Giudicarie. Gli scontri ripetuti con i Campo divennero inevitabili finché, raggiunto un equilibrio, venne trasformato in residenza di caccia (XVI secolo). Seguirono danneggiamenti vari, fra cui un suo utilizzo quale cava di pietre. Recenti sono i suoi restauri, promossi dalla Provincia Autonoma di Trento. Da Castel Spine si gode un vasto panorama sulla zona di Fiavè, sulla piana di Lomaso, sui degradanti terrazzi del Bleggio e sulle pendici del Banale; alle spalle s´erge la piramide della Cima Sera con la larga Sella del Duron e il Monte San Martino» - «In parte ricostruita, in parte ridotta a pietre diroccate, la fortezza domina l'abitato di Vigo Lomaso. Oggi proprietà privata, nasceva come rifugio comunitario e apparteneva al popolo. Nel Quattrocento gli edifici affacciati su un unico cortile centrale furono accorpati in un unico complesso e il castello, dalla fisionomia insolita, passò ai signori d'Arco e divenne oggetto di ripetuti attacchi e danneggiamenti. Trasformato nel XVI secolo in residenza di caccia, conobbe infine l'ultimo nemico, il peggiore: l'abbandono, da cui è stato salvato grazie agli attuali proprietari, che ne hanno fatto la propria residenza».
http://www.tiscover.com/it/guide... - http://www.visitacomano.it/lang/IT/catalogo/dettaglio_catalogo/castel_spine,167.html
Vigolo Vattaro (Castel Vigolo)
«...Il più antico documento scritto di cui disponiamo è la “Carta di Castel Vigolo”, risalente al 1214. In essa si sancisce un impegno fra gli uomini di Vigolo e il vescovo Vanga per la tenuta del castello stesso. Con gli “uomini di Vigolo” ci troviamo quindi in presenza di una comunità ben definita, con propri rappresentanti,. Comunità che, in quanto tale, ha sempre avvertito la necessità di dotarsi di una serie di norme che garantissero la popolazione stessa, mettendola al riparo da soprusi e pericoli in genere. Per annoi ciò fu ottenuto tramandando oralmente una serie di regole. Più tardi sorse la necessità di codificare questi statuti orali e, già nel 1496, Vigolo approvava la sua “Carta di Regola”, oggi conservata nell’Archivio di Stato. Nella sua introduzione, le motivazioni che spinsero la comunità a dotarsi di un tale strumento giuridico vengono così definite: “…gli uomini di Vigolo …volendo differenziarsi dagli animali privi di un fine preciso, riconfermano le loro Regole e le antiche consuetudini buone e approvate a fino adesso osservate…e le fanno stendere per iscritto, ad eterna memoria, perché non possano sorgere discordie, tra le predette popolazioni”. Siamo all’inizio di un secolo, il 1500, foriero di novità culturali e politiche e che lascerà traccia anche a Vigolo che ne subirà gli influssi. La Carta di Regola sarà poi integrata nel corso del secolo XVIII, una prima volta nel 1719 e successivamente nel 1751» - «Il Castello di Vigolo da antica fortezza medievale è stato trasformato in residenza settecentesca in seguito alla sua ricostruzione. Il castello si trova su una collina verde e panoramica al confine tra Vigolo e Bosentino. La struttura, recentemente restaurata, è adornata da eleganti bifore e monofore del Cinquecento, mentre dell’antica cinta difensiva rimangono ancora la torricella quadrangolare e alcune cortine».
http://www.comune.vigolovattaro.tn.it/Territorio/Informazioni... - http://www.tr3ntino.it/it/highlights...
«Sotto l'energica spinta riorganizzatrice della potente casata Lodron, nel corso del Sei e Settecento Villa Lagarina conobbe un periodo estremamente felice. Il rifiorire delle condizioni economiche, dovuto in gran parte al notevole progresso industriale e commerciale legato alla seta, portò una notevole rinascita anche nel campo culturale. La progressiva agiatezza di alcune famiglie permise la costruzione di dimore signorili e palazzi che conferirono a Villa Lagarina le movenze del centro residenziale barocco di elite, tanto che oggi il suo centro storico (via Cavolavilla, piazza Riolfatti, piazza S. Maria Assunta, via Valtrompia) è uno dei più caratteristici dei nostri paesi. Vediamone di seguito alcuni degli edifici più significativi. Palazzo Guerrieri Gonzaga (via Cavolavilla) fu fatto costruire verso la metà del Seicento dai conti Festi di Ebenberg e Brauenfeld (Montepiano e Camposcuro), famiglia della nobiltà locale che lo cedette agli inizi dell'800 al barone Sigismondo de Moll (1758-1826), commissario imperiale a Milano e presidente del Circolo all'Adige. L'edificio passò poi in eredità alla famiglia lombarda dei marchesi Guerrieri Gonzaga, che lo possiede ancor oggi. Il palazzo è maestoso; si svolge in una serie di ampi saloni settecenteschi, con biblioteca e quadreria. Circonda la costruzione uno stupendo giardino, ricco di piante rare, con grotta, laghetto e serrra floreale. Palazzo Libera sorge lungo la via che dal vecchio Santo Mont (Monte di Pietà) sale a Cornalè. Fu costruito alla metà del Seicento da don Antonio della nobile famiglia roveretana dei Gasperini di Monte Vineato, arciprete di Villa Lagarina dal 1670 al 1688. L'edificio passò in seguito alla famiglia Libera e durante la grande guerra fu trasformato in ospedale militare austriaco. Oggi è di proprietà del comune di Villa Lagarina che lo ha completamente ristrutturato adibendolo a sede museale. Il piano nobile è dotato di ampio salone con soffitto a cassettoni e pareti affrescate. Le altre stanze presentano decorazioni a stucco e due monumentali stufe ad olle in maiolica. All'esterno un bel giardino con vialetti e fontane lo separa dal podere della canonica parrocchiale.
Palazzo Camelli - Casa Scrinzi, venne costruito nel Seicento dalla famiglia Camelli (stemma al cammello sul portale) e passò in seguito alla famiglia Scrinzi di Villa Lagarina. Oggi di proprietà del Comune ha ospitato fino al 2013 la sede municipale mentre ora vi trovano posto la biblioteca comunale A. Libera, la scuola musicale J. Novàk, lo spazio giovani e la sede del gruppo alpini di Villa Lagarina. è dotata di grande cortile interno con entrata da portico ad arcate. Non esiste più invece il grande giardino esterno, trasformato nell'antistante pizzetta dott. E. Scrinzi. Palazzo Madernini sorge all'angolo tra piazza Riolfatti e via Valtrompia. Venne edificato dalla nobile famiglia Madernini (stemma alla colomba sul portale) trasferitasi nel Quattrocento dalle Giudicarie a Nogaredo, al seguito della famiglia Lodron. Nell'800 il palazzo passò alla famiglia Marzani. Sul lato settentrionale esterno (lungo la via che porta alla pieve) presenta un bell'affresco della Madonna in trono. Palazzo Marzani fu costruito sulla piazza della Fontana (oggi piazza G. B. Riolfatti) dalla famiglia dei conti Marzani di Steinhof e Neuhaus (stemma alla sirena sul portale). è edificio sei-settecentesco con due piani di loggiato prospettanti sul cortile interno e ricco giardino. Al piano nobile notevole il salone centrale con pavimento in marmo, arredi d'epoca e quadri di famiglia. ...».
http://www.comune.villalagarina.tn.it/conoscere_Villa_Lagarina/cultura/palazzi
Ville di Giovo (castello di Giovo o della Torre)
«Il Castello di Giovo è situato a circa 680 metri sul livello del mare. è posto su un dolce pendio circondato da prati, rivolto verso la vallata dell’Adige, che scorge in lontananza guardando verso Verla e Palù. La strada che collega il castello con il paese di Verla s'innesta con quella che passa accanto alla vecchia chiesa di s. Maria di Giovo, detta anche strada Piovecia, cioè strada della pieve vecchia ed era l’unica strada di comunicazione tra Verla e Ville. Il castello possedeva all’epoca due torri, giardino, pozzo, edifici e il palazzo. Una delle due torri tuttora nelle sue dimensioni originali è alta circa 24 metri e risale al XIV secolo. Ha cinque piani il primo ha il pavimento in legno, il secondo, il terzo e il quarto sono divisi da avvolti in muratura e il quinto ha il pavimento in legno. è possibile passare da un piano all’altro mediante una scala mobile in ferro attraverso le botole ricavate nei soffitti. Il materiale di costruzione utilizzato è porfido e pietra arenaria giallastra. La torre è orientata a Sud-Ovest Nord-Est quindi durante il giorno tutte e quattro le pareti sono illuminate dal sole. Alla base la torre misura 5,50 metri per 5,63 metri. La seconda torre è alta circa dieci metri situata all’estremo Nord-Est e in epoca congiunta con il palazzo. Nel cortile vi è un pozzo profondo all’origine circa tre metri con sopra una lastra bucata nel centro dove vi era poggiato il verricello per attingerci all’acqua mediante un secchio. Su una mappa del 1795 è segnato un pozzo anche in fondo al giardino del castello, pozzo tuttora sfruttato. Il giardino era posto davanti al castello separato dalla strada questo misurava circa 1.740 metri quadrati dove vi erano viti ed era circondato da un muro. Gli edifici che congiungevano le due torri e che chiudevano il cortile interno del castello detta la cort, sono crollati a partire dal XVIII secolo (invasione dei francesi). La costruzione del palazzo risale all’incirca al XV secolo un elemento sono le finestre a croce guelfa. Il muro esterno del palazzo quello che sta sulla strada ha uno spessore di 1,40 metri. L’attuale scala esterna che porta al primo piano del palazzo è stata costruita all’inizio di questo secolo».
Villetta di Chizzola (fraz. di Avio, Castel Chizzola)
«Posto a controllo della via dell´Adige, nel concatenato sistema difensivo proiettato sulla valle, Chizzola faceva specchio, con Serravalle, sull´altra sponda del fiume. Una posizione impegnativa, data la vicinanza del confine meridionale del Principato Vescovile. Nei pressi correva anche il confine tra Italia ed Austria. Ben due sezioni, una inferiore e l´altra superiore, assicuravano attente azioni di vigilanza. La prima, che racchiudeva tra mura l´attuale frazione di Villetta, serviva quale stazione di pedaggio e luogo di ricovero; la seconda era l´effettiva fortificazione contrassegnata da merli ghibellini. La sua storia, comune a quella di altri castelli della Vallagarina, visse momenti felici sotto la supremazia della dinastia dei Castelbarco, rapidamente spenti dall´invasione veneta. L´abbandono divenne totale, allorché Chizzola finì nella giurisdizione asburgica nel corso del XVI secolo. Ruderi. A piedi in circa 15 min. da Villetta, frazione di Ala.» - «Castel Chizzola si trova lungo il fiume Adige, di fronte al paese di Serravalle che sta sull’altra sponda del fiume. È una delle numerose strutture a difesa della valle e occupava un’importante posizione strategica in quanto confine sud del Principato Vescovile di Trento prima, e confine tra Austria e Italia poi. Due sono le sezioni ancora visibili di questo complesso fortificato: la prima, che consiste in una muraglia che circonda l’attuale frazione di Villetta; la seconda è rappresentata dal vero e proprio castello, caratterizzato dai merli ghibellini. La storia di Castel Chizzola è simile a quella di altri castelli in Vallagarina. I periodi di pace, vissuti sotto la dinastia dei Castelbarco, vennero ben presto interrotti dalle invasioni dei veneziani. In seguito, nel XVI secolo, Chizzola passò sotto la giurisdizione degli Asburgo e il castello venne completamente abbandonato. Oggi le poche rovine rimaste del castello sono raggiungibili in circa 15 minuti a piedi da Villetta, frazione del comune di Ala».
http://www.tiscover.com/it/guide... - http://www.tr3ntino.it/it/highlights/castelli/castel-chizzola.html
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