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MEDIOEVO E MEDICINA |
a cura di Raimondo G. Russo |
Premessa - 1. Alcuni cenni storici - 2. La medicina barbarica - 3. La CHIESA E LA MAgia - 4. La medicina e la chirurgia - 5. EPIDEMIE - 6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà |
5.4 ALTRE EPIDEMIE
Lebbroso con campanella (manoscritto del XIV secolo)
L'epoca
d'oro dei batteri e dei virus
Alla
peste del 1348 seguirono numerose altre forme epidemiche e ad esse si
associarono, nei decenni successivi, tutta una serie di altre affezioni non
sconosciute all'epoca precedente, ma che vennero ad assumere una virulenza molto
superiore: così la varicella, la scarlattina, la parotite,
la meningite
Fra il 1326 e il 1400 si registrarono in Germania 32 anni di epidemie, 30 in Inghilterra fra il 1351 e il 1485, 37 in Italia fra il 1361 e il 1502.
Sul
piano demografico l'impatto di questi diversi morbi fu devastante, più nelle
città che nelle campagne.
Ciò
è facilmente spiegabile con il fatto che le concentrazioni urbane favorivano il
contagio. In città, tuttavia, la ripresa era resa più pronta dall'arrivo di
nuovi immigrati, mentre in campagna gli effetti furono più duraturi. Tutta una
serie di piccoli centri, ripetutamente falciati dalle epidemie
tre-quattrocentesche, scomparvero.
è il cosiddetto fenomeno dei "villaggi abbandonati" [17], particolarmente forte in Germania, dove i 170.000 insediamenti umani del 1300 divennero 130.000 nel 1500.
Molti
morivano giovani a causa di malattie quali colera, dissenteria, influenza,
morbillo e parotite.
La lebbra fu molto diffusa in Europa ed i lebbrosi erano sfuggiti ovunque andassero.
Durante
tutto il Medioevo terribili epidemie sconvolsero il
mondo oltre alla peste: lebbra, Tali epidemie, per il loro continuo succedersi ed il loro andamento, convinsero medici e profani come esse fossero dovute a morbi che si trasmettevano direttamente da uomo malato a uomo sano o, indirettamente, per mezzo delle cose toccate dagli ammalati e venute a contatto con gli indenni. |
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Il corpo umano |
Sorse,
in tal modo, profondo e radicato, il concetto del contagio,
accettato non soltanto dagli uomini di scienza, ma anche da letterati, artisti,
uomini di governo.
Con
l’idea del contagio prese anche piede la convinzione che l’aria venisse
contaminata dall’alito, carico di veleno, dei malati. Ammesso questo
principio, si pensò di purificare l’aria malsana, bruciando grandi quantità
di incenso e di fiori di camomilla.
Le
malattie contagiose sarebbero state dovute ad un’alterazione dello stato
normale dell’atmosfera a seguito della presenza di elementi o esalazioni
terrestri che si spargevano in questa, vi rimanevano sospesi ed erano assorbiti
dagli uomini.
Per
difendersi dalle epidemie venivano isolati gli ammalati, in particolar modo i
lebbrosi, e si proibiva l’ingresso nelle città agli uomini ed alle merci
sospette. La quarantena fu istituita, per la prima volta, a Marsiglia nel
1383.
L’esistenza
di organismi infinitamente piccoli, comunque, non è mai stata neppure
sospettata anche se, verso la fine del Medioevo, l’idea del contagio assunse
tale consistenza da costituire la base sulla quale nel Cinquecento si impernierà
la teoria del "contagium animatum".
Nelle
campagne la diminuzione del numero degli uomini determinò l'abbandono di molte
terre e dunque la regressione della coltivazione dei cereali (base
dell'alimentazione) ed una ripresa del bosco e del pascolo, con la
moltiplicazione di animali selvaggi quali cinghiali, cervi, caprioli, lepri,
conigli e anche lupi.
In città si ridusse la manodopera necessaria alle attività artigianali e industriali, con un corrispondente calo della produzione.
Interi
nuclei famigliari furono colpiti e scomparvero, altri furono decimati: aumentò
il numero degli orfani e delle famiglie senza un genitore. L’epidemia uccideva
gli uomini, ma risparmiava i beni materiali: vi furono a disposizione più case
per gli abitanti ed il loro valore diminuì, come pure i canoni d'affitto.
I sopravvissuti divennero più abbienti, ereditando i beni dei morti. Vi fu un'espansione dei consumi individuali ed il minor numero di uomini portò ad un aumento dei salari e delle retribuzioni in generale: la domanda di forza-lavoro era superiore all'offerta.
La Creazione degli animali, avorio, ca. 1084. Formella dell'altare della Cattedrale di Salerno
«Epidemiologia
medievale»
Difficile
poter determinare, a distanza di molti secoli, l’insorgenza improvvisa e
simultanea di molti casi della stessa malattia infettiva, per un periodo di
tempo limitato, con diffusione su larga scala ed il susseguente più o meno
rapido esaurimento della forma morbosa.
Lo
studio delle epidemie ha il compito di analizzare le modalità di insorgenza
delle malattie infettive, come si manifestano, si propagano o permangono in una
collettività e le condizioni che favoriscono tale insorgenza e propagazione.
L'indagine si avvale della microbiologia e della statistica che forniscono
alcuni indici quali la mortalità, la morbosità, la morbilità, la letalità
ecc.
L'attecchimento
di un'infezione e l'insorgenza di una malattia infettiva sono condizionati dalla
necessaria presenza dell'agente patogeno, dalla particolare recettività del
soggetto o della specie e dalle condizioni proprie dell'ambiente fisico e
sociale. Assume pertanto una grande importanza individuare le sorgenti di
infezione, conoscere le vie di eliminazione e di penetrazione dei germi e le
modalità di trasmissione.
Tale studio, fatto a posteriori, può presentare molte lacune e possono venire a mancare i dati che giustifichino le a volte sconvolgenti e oggi inaspettate conseguenze di tante calamità collettive che erano considerate inevitabili.
Corno, avorio, ca. 1100-1200, Sud Italia
I.
STORIA DELLA MALATTIA
La
lebbra è una delle malattie più antiche dell’umanità: probabilmente ebbe
origine in India ove fu conosciuta dal XV secolo prima di Cristo (ne parlano,
col termine “Kushta”, le leggi di
Manu, scritte nei Veda, nel 1400 a.C. che includevano anche le istruzioni per la
sua prevenzione). Secondo Vagbhata (600 d.C.),
il nome originario era derivato da “Kushnai”,
che significa
«mangiare via» in sanscrito.
La
prima vera descrizione della lebbra ed il suo trattamento con olio di chaulmoogra
è riportata nel Sushruta Samhita, un trattato scritto in India nel 600
a.C. dall’eminente chirurgo “Sushruta”.
In
Cina la lebbra fu inizialmente descritta nel Nei
Jing, uno dei più antichi classici medici cinesi (400 a.C.), e chiamata Da
Feng. I primi riferimenti Giapponesi sono del IV secolo a.C. La lebbra era endemica in Cina, India, Mesopotamia, Palestina,
Fenicia, come riportato anche da trattati medici cinesi, sanscriti, babilonesi e
dalla Bibbia (anche se è in discussione se il vocabolo “’tsara’ath”, utilizzato ai tempi di Mosè, indicasse
proprio la lebbra). Nel Nuovo Testamento,
invece, è possibile che rappresentasse la malattia, che era conosciuta ai tempi
di Gesù.
Si
pensa che l’Egitto sia da dove la malattia sia stata
trasportata nel mondo Occidentale. Ciò che è noto riguarda un documento
del XVI sec. a.C. (Papiro Ebers): la prima
indiscutibile evidenza del coinvolgimento osseo dovuto alla lebbra fu trovato in
una mummia Egiziana del II secolo a.C.
Gli
antichi scrittori attribuivano l’infezione alle acque del Nilo ed alla dieta
insana della gente (Galeno).
Ippocrate
(460–377 a.C.) la descrisse ma senza il coinvolgimento delle manifestazioni
neurologiche.
Il
termine “lebbra” deriva dalla parola greca “lepros”
che signifiva scaglie.
Forse
contribuirono al trasporto della malattia nelle regioni del Mediterraneo anche i
soldati di Alessandro, al ritorno da una campagna in India (327-326 a.C.).
Nell’Antico
Testamento [18]
era interpretata come punizione divina; nei testi greci era citata con il nome
di elefantiasi; dalla Historia
Naturalis di Plinio (XXVI, 1-16) si viene a sapere che l’elefantiasi era
comparsa in Italia dopo il ritorno delle legioni di Pompeo dall’Egitto (61 a.C.).
La
prima descrizione di un vero caso di lebbra in Europa fu riportato da Areteo
nell’anno 150, in Grecia.
Celso
ribadì che «in certi paesi è
frequentissima. Tutto il corpo ne è attaccato».
Varie
cause contribuirono a diffondere la malattia oltre l’Egitto: tra queste
Manetho [19]
annovera gli Ebrei,
i quali, secondo lui, erano una massa di lebbrosi dei quali gli Egiziani
sbarazzarono le terre. (Hist. Græc. Fragm., ed. Didot, II, pp. 578-81).
Al di là di tali fantasie non vi è dubbio che durante l’Esodo la contaminazione affliggeva gli Ebrei. I marinai Fenici trasmisero la malattia dall’Egitto alla Siria ed ai paesi con cui avevano rapporti commerciali, per cui il termine di “morbus phoenicius”, «male fenicio» nei testi ippocratici (Prorrhetics, II). Vennero trovate tracce lungo le coste Ioniche nell’VIII sec AC (Lucrezio, De Nat. rer., VI, 1112) ed in Persia verso il V sec. a.C. (Erodoto).
La
dispersione degli Ebrei dopo la Restaurazione
(V sec.) e le campagne militari dei Romani (Plinio, "Hist. Nat.", XXVI)
sono ritenute responsabili della propagazione della malattia nell’Europa
Occidentale: così furono rapidamente infettate le colonie Romane di Spagna,
Gallia e Bretagna.
In
tempi Cristiani i canoni dei concili (es. Ancyra, 314), le regole dei papi , le
leggi emanate dal Re Longobardo Rotari (VII
sec.), da Pipino e Carlomagno (VIII sec.), la costruzione di lebbrosari a
Verdun, Metz, Maestricht (VII sec.) a SanGallo (VIII sec.) e Canterbury (1096)
testimoniano l’esistenza della malattia nell’Alto Medio Evo. La lebbra si
diffuse grandemente in Europa fra il XIII e il XVI secolo.
Le
invasioni degli Arabi e successivamente le Crociate aggravarono il flagello che
non risparmiò le età e coinvolse anche i membri delle famiglie reali.
I
lebbrosi erano sottoposti a regole severissime, essendo considerati esseri
impuri non solo dalla società ma anche
dalla Chiesa: non potevano entrare in locande, chiese, mulini, panifici;
non potevano toccare le persone o mangiare con loro, lavarsi nei fiumi o
camminare in strade strette.
Matteo
Paris (1197-1259) stimò in 19.000 il numero di tali lebbrosari in Europa
(solo in Francia circa 2000 ed in Inghilterra più di 100). I lebbrosi
non confinati in tali luoghi dovevano avere uno speciale abbigliamento e portare
un sonaglio di legno per avvertire del proprio arrivo.
Forse anche grazie a tali regole la lebbra sparì gradualmente, fino a divenire rara tranne che in poche località.
II.
PATOLOGIA
La
malattia, infezione cronica granulomatosa, è
causata dal Mycobacterium leprae, un
bacillo lungo da .003 a .007 mm, con .005 mm di diametro e dritto o leggermente
curvato con punte arrotondate o a forma di mazza, solitamente reperibile in
brevi catene o beads. Tale bacillo è presente il tutti i tessuti lebbrosi e
nelle secrezioni (tranne le urine).
Molteplici
sono le ragioni che possano averne favorito la produzione e la propagazione:
cattiva nutrizione, scarsa igiene, condizioni costituzionali (tubercolosi,
alcooliamo, ereditarietà ?).
è
dubbia la sua contagiosità da persona a persona e non è stato definito il
periodo necessario per il contagio (da poche settimane ad anche 40 anni).
La
lebbra riconosce una fase preliminare con perdita di appetito, dispepsia,
nausea, nevralgia, dolori reumatici e articolari, febbre, intermittente o
irregolare, stanchezza e ansia.
Questi
sintomi premonitori possono perdurare per mesi ed essere seguiti da eruzioni
cutanee periodiche.
Le pustole sono dapprima rosse e poi marroni con bordi bianchi e appaiono e scompaiono in varie parti del corpo; prima o poi si formano delle piccole tumescenze con liquido giallastro, poi di colore più scuro, sulle articolazioni spesso delle dita e dei piedi.
L’ulcera all’inizio è localizzata in un solo dito e poi attacca poi le altre dita e poi tutta la mano , la controlaterale a volte assieme ai piedi. Dolori nevritici accompagnano l’invasione e può essere osservato l’ispessimento di alcuni nervi; la paralisi neuro-muscolare colpisce la faccia gradatamente, le mani ed i piedi.
Conseguentemente i muscoli della faccia divengono contratti e
distorti dall’atrofia; la estroflessione delle palpebre inferiori impedisce di
chiudere gli occhi; le labbra diventano flaccide e l’inferiore cade.
Il senso tattile e il controllo dei muscoli vengono persi, le mani
non possono stringere e si formano arti a forma di clava. Analogamente avviene
negli arti inferiori, fino ad arrestare completamente il movivento.
Allora la pelle si raggrinza mentre cadono capelli, denti e unghie
ed il processo necrotico si estende alla perdita delle mani e dei piedi.
è più comune nelle aree calde e asciutte tropicali e subtropicali.
Segni
e sintomi
Se
ne possono distinguere quattro tipi principali:
Lebbra
indeterminata: è la forma più
precoce, osservata nel 10-20% dei soggetti colpiti. Solitamente si osserva una
singola macchia ipopigmentata di 2-4 cm di diametro, senza eritema o
indurimento. L’ipoestesia è minima o assente, specialmente se la lesione si
trova sul volto. Nel 50-70% le lesioni guariscono spontaneamente e nei
restanti casi progrediscono in una delle forme classiche. |
Lebbra Borderline: I criteri clinici ed istologici sono meno ben definiti. Fattori inerenti l’ospite o i batteri possono provocare un “peggioramento” delle condizioni cliniche verso il modello lepromatoso o un “miglioramento” verso il modello tubercoloide.
Lebbra Lepromatosa Polare: Le lesioni sono innumerevoli, spesso confluenti e simmetriche. Con l’avanzare della malattia, le lesioni diventano sempre più papulari e nodulari, cosicché, con il diffuso ispessimento e l’infiltrazione della cute, diventa evidente la caratteristica facies leonina accompagnata da perdita delle sopracciglia e deformazione dei lobi auricolari. L’anestesia delle lesioni può non manifestarsi o essere leggera, ma può svilupparsi una neuropatia sensoriale periferica simmetrica. Infiltrazioni testicolari che portano ad azospermia, sterilità e ginecomastia sono frequenti negli adulti.
La lebbra al microscopio
In tutti i casi è caratteristico un odore nauseante che ricorda
quello della dissezione mista a penne d’oca.
Va aggiunta la tortura di una sete inestinguibile all’ultimo stdio della malattia e della mente solitamente integra, assieme alla prostrazione dall’essere completamente senza possibilità di aiuto e la vista del lento processo di decomposizione del corpo rendono comprensibile perché nel Libro di Giobbe (XVIII, 13) si parli della lebbra quale «…primogenito della morte».
La lebbra (oggigiorno facilmente e completamente curabile) può condurre alla morte in circa otto anni.
17
Anche in Italia, e particolarmente in Sardegna e nel Mezzogiorno continentale, molti centri abitati
scomparvero. L'Italia padana superò la crisi con perdite contenute e soprattutto rapidamente, visto
che già nei primi decenni del Quattrocento la popolazione urbana cominciò decisamente a risalire.
In Toscana, ad esempio, la ripresa parziale della popolazione cominciò solo dopo la metà del
Quattrocento e nei casi peggiori tali centri non furono più considerati città: così accadde per San
Gimignano, Volterra, Massa Marittima.
18
La lebbra appare nel Vecchio e nel Nuovo Testamento in 44 versetti:
Levitico 13:2, 13:3, 13:8, 13:9, 13:11, 13:12, 13:13, 13:15, 13:20, 13:22, 13:25, 13:27, 13:30, 13:42, 13:43, 13:45, 13:47, 13:49, 13:51, 13:52, 13:59, 14:3, 14:7, 14:32. 14:34, 14:35, 14:44, 14:54, 14:55, 14:57, 22:4;
Deuteronomio 24:8;
2Samuele 3:29;
2Re 5:3, 5:6, 5:11, 5:27, 15:5;
2Cronache 26:19, 26:20;
Matteo 8:3;
Marco 1:42;
Luca 5:12, 5:13.
(cfr. La Bibbia di Gerusalemme, Ed. EDB, Bologna 1989).
19 Manetho: dall’antico egiziano mniw-htr, «padrone dei cavalli», prete che visse a Sebennytos, capitale durante la Trentesima Dinastia, 380-343 A.C., sotto i regni di Tolomeo I e Tolomeo II.
20
Eziologia, Diagnosi e Terapia della lebbra
M. leprae è un bacillo acido-resistente della famiglia delle Mycobacteriacee. La sua moltiplicazione,
estremamente lenta, osservata nei modelli animali, può in parte spiegare il lungo periodo di
incubazione rilevato nella malattia umana: un periodo di 3-5 anni è da considerarsi tipico. Le possibili
vie di trasmissione comprendono il contatto con l’epidermide desquamante infetta, l’ingestione di
latte materno infetto e i morsi di zanzare o altri vettori. La trasmissione interumana è responsabile
della stragrande maggioranza dei casi.
La prevalenza della lebbra si è ridotta del 75-80% dai 10-12 milioni di casi nel 1985 a 2,4 milioni nel
1994. Più del 95% dei pazienti lebbrosi nel mondo risiede nei 16 paesi a maggior endemicità in
Africa, India, Sud-Est Asiatico, America del Sud e Centrale.
Una biopsia da una lesione cutanea attiva è la procedura ottimale per la diagnosi. Dopo l’inoculazione della lepromina (una sospensione di
M. leprae ucciso derivata da tessuti umani e di armadilli infetti) si possono osservare reazioni sia precoci sia tardive. Dapsone, rifampicina e clofamizina sono agenti antimicobatterici efficaci nel trattamento della lebbra.
©2006 Raimondo G. Russo