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             MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 37


Armati russi

       

   

Quella parte di storia europea riguardante la Pianura Russa e dintorni che possiamo tranquillamente chiamare Medioevo Russo in pratica non è altro che la storia della dinastia dei Rjurikidi che qui dominò per ben oltre sette secoli. In questo nostro racconto ci occuperemo di un ramo cadetto, quello che in pratica discende da Alessandro Nevskii e raggiunge il massimo della gloria con Giovanni IV detto il Terribile.

L’origine della dinastia è avvolta nelle nebbie delle favole. Si racconta infatti che essa originasse dalla leggendaria chiamata dalla Svezia di un certo Variago a nome Rjurik nel IX secolo d.C. «allo scopo di sedare i litigi fra Slavi dell’estremo nord e gli altri popoli vicini» (così ci riportano le antiche Cronache Russe, più o meno concordemente). La versione è certamente adattata alle esigenze ideologiche della parte “di famiglia rjurikide” che dominava a Mosca al tempo in cui furono redatte quelle Cronache, ma malgrado tutto questo non ci meraviglia più di tanto poiché non esiste casa regnante che non abbia rimaneggiato le proprie tradizioni di famiglia per vantare un antenato leggendario e fantastico quando non divino…

Già abbiamo tracciato gli eventi sulle origini della Rus’ di Kiev (cioè convenzionalmente il primo stato “russo” apparso qui) e del ruolo di questo Rjurik e dei suoi primi discendenti in altri nostri lavori e quindi ad essi rimandiamo il lettore curioso che volesse risalire a quei tempi remoti quando il centro politico delle terre Russe era ancora la bellissima capitale ucraina (vedi bibliografia). è doveroso aggiungere però che la storia delle molte entità nazionali che oggi sono ancora presenti nella Pianura Russa e che oggigiorno si guardano in cagnesco, in fin dei conti derivano anch’esse dagli atti e dalle imprese di questi Rjurikidi e per questo motivo diciamo che, se fino all’arrivo dei Tatari (i cosiddetti Mongoli) la Rus’ di Kiev è ancora possibile vederla come una creazione “slavo-orientale comune”, dopo il 1300 emergeranno un po’ alla volta solo i Grandi Russi ossia proprio i Moscoviti quali eredi di Kiev,  escludendo Bielorussi e Ucraini dalla storia medievale russa e includendo invece i Tatari di Kazan’. Né si può negare che questi lunghi secoli siano disseminati di avvenimenti sconvolgenti che interessarono finanche l’Europa Occidentale, se si pensa che le Terre Russe diventarono e restarono per lungo tempo l’unica sorgente di materie prime e di articoli di lusso per le corti europee e del vicino Oriente!

Abbiamo scelto qui di partire da un evento (forse inventato dai cronisti di parte o addirittura, se fosse vero, artificialmente gonfiato per le sue implicazioni ideologiche e religiose a favore della dinastia moscovita) il quale, secondo la storiografia tradizionale, dovrebbe aver preparato, o almeno presagito in positivo, il ruolo di Mosca a trasformarsi in una Terza Roma (vedremo meglio questo punto più oltre) ossia nella futura capitale di un nuovo Impero Universale che, erede (forse a ragione, in fin dei conti!) dell’Impero Romano e persino di quello di Cinghiz Khan, si estenderà crescendo negli anni fino alle sponde del Pacifico!

Diamo allora un’occhiata alla situazione geografica e politica della regione nella quale ci muoveremo.

Ci riferiremo soprattutto allo storico N. S. Trubezkòi e alla geografia delineata nel suo saggio Sguardo alla Storia Russa non da Occidente, ma da Oriente. Qui si dice che il complicato sistema fluviale esistente nella Pianura Russa offre tutte le possibilità di comunicazioni possibili, sia seguendo le correnti sia navigando controcorrente, lungo due assi nord-sud e cioè l’asse Dnepr-Mar Nero e quello lungo il Volga e il Don. L’altra parte di territorio, la fascia meridionale steppica, offre invece un’unica via di comunicazione da est ad ovest, ma sulla terra. Con tale situazione dal punto di vista del compito storico di unire in una sola realtà statale tutte le Terre Russe ne consegue che qualsiasi popolo o élite che controlli un sistema o l’altro delle comunicazioni fluviali può fondare uno stato solamente sulla parte di territorio dove si trova l’asse fluviale rispettivo, mentre quel popolo o élite che controlla il sistema steppico ha un vantaggio in più: Non solo controlla la steppa, ma anche tutti gli sbocchi dei fiumi che provengono dal nord! Per queste ragioni solo un’unione stabile dei popoli o delle élites steppiche con l’uno o l’altro popolo o élite che governa i fiumi può aspirare a diventare uno stato che domini sull’intero territorio. Questa dunque è la realtà in prospettiva e, accettatala e sempre rammentandocela, possiamo procedere nel nostro racconto.

La maggior parte degli eventi da noi contemplati si svolgono nei confini dell’enorme bacino del Volga la cui parte inferiore a partire dalle alture del Valdai fino all’attuale città di Kazan’ è nota meglio col nome “la Bassa (Nizovie in russo)” ed è disseminata di città fortificate (in russo gorod), normalmente distribuite non proprio sulle rive del fiume e dei suoi maggiori affluenti, ma neanche molto lontano da essi… per ragioni di sicurezza! Nel tratto superiore queste città sono, ognuna, capitali di un udel (territorio assegnato dalla famiglia rjurikide a ciascuno dei suoi componenti) governato da un knjaz (tradotto convenzionalmente con “principe”). Proseguendo verso sud, il bacino passa da una zona che possiamo chiamare “slava” ad un’altra sotto il controllo militare e fiscale dell’Orda dei Tatari kipciaki nota genericamente con il nome di “Orda d’Oro” con capitale e sede del khan (dignità corrispondente a quella di knjaz) nella città di Sarai, situata non molto lontano dal delta del grande fiume. Dal khan, secondo un sistema (ricordato con amarezza dalle Cronache come il “giogo tataro”) costruito con fatica e concordato con l’allora Batu Khan dal sopracitato Alessandro Nevskii nella seconda metà del XIII secolo, viene concessa la dignità massima di Gran Principe (in russo Velikii Knjaz) ad uno dei Rjurikidi che è così autorizzato a tenere sotto controllo tutti gli altri principi parenti e a raccogliere da questi le tasse dovute a Sarai.

La concessione è nota col nome di jarlyk (yarligh, secondo la traslitterazione del turcologo M. Bernardini) ed è un documento scritto in lingua turco-uigura (usata per gli atti ufficiali alla corte dell’Orda) in cui tutto – nei limiti e nei doveri – dovrebbe essere puntigliosamente definito. Purtroppo, sebbene non ce ne sia giunto neppure uno intero di questi documenti, quello che sappiamo di sicuro è che il “titolo” comunque si acquisiva “a pagamento” ossia tramite doni personalmente portati al khan dal knjaz candidato alla carica!

Chi può essere il Gran Principe? Fra i Rjurikidi sin dalle origini vigeva un sistema di successione chiamato “la scaletta” (in russo lestviza) per cui al Gran Principe morto succedeva il suo fratello più anziano in vita e così via. In mancanza di fratelli, succedeva il figlio più anziano in vita dei fratelli del morto… Era un sistema probabilmente mutuato ai nomadi della steppa asiatica o ai Cazari di religione ebraica, che per governarsi sceglievano una famiglia nobile destinata alla funzione di rappresentare gli uomini di fronte a Dio. Il territorio e le genti affidati erano quindi spartiti fra i membri della famiglia ai quali toccava quindi dirimere liti, organizzare la difesa del territorio e sopperire a qualsiasi altra necessità collettiva. I figli dei “principi” erano educati all’obbedienza dura e rigida al padre-padrone che aveva diritto di vita e di morte su di loro. Durante l’educazione (com’è sempre ancora oggi) era inculcato un modello sociale di comportamento di fronte ai problemi reali d’ogni giorno. L’insegnamento dato era un’etica divina (secondo la Torà, ma anche secondo il substrato culturale pagano centro-asiatico) che spiegava una specie di progetto di vita ispirato ed “eterno” per il conseguimento del benessere di tutti gli uomini, dominanti e dominati. Il progetto sociale (possiamo chiamarlo così) veniva discusso e adattato nel corso del tempo in assemblee ristrette e a questo punto non contava più il principe individuale come realizzatore del progetto, ma l’intera famiglia. Il concetto era che quando il più anziano moriva, gli succedeva chi già sapeva che cosa doveva fare per continuare a governare senza cambiamenti. Quest’ultimo ora lasciava il territorio (ossia l’udel) fino ad allora occupato e prendeva il posto del defunto lasciando tutto quello che aveva avuto finora a chi avrebbe preso il suo posto che ora risultava vacante. In altre parole l’udel libero veniva scambiato col fratello o parente che seguiva per età e così via.

Nelle Terre Russe i territori erano già stati ritagliati in partenza dal tempo di san Vladimiro (fine del X secolo) e se c’era un parente che non riusciva ad averne un udel tutto per sé, doveva aspettare il suo turno fuori dal giro, magari servendo presso un udel. Il sistema per le comunicazioni dell’epoca era il più conveniente per tenere insieme una nazione tanto estesa come la Rus’ di Kiev, ma allo stesso tempo era anche causa di scontri sanguinosi in caso di incomprensioni fra fratelli o di un troppo grande accrescimento del numero dei membri della famiglia “aventi diritto”. E’ facile immaginare che un knjaz che fosse vissuto a lungo in uno stesso territorio e che quindi vi avesse profuso tutti i suoi sforzi per migliorarne le condizioni non era molto propenso a lasciarlo ad un altro e perciò vi si opponeva come poteva a questo “trasferimento” forzato. Dunque con la lestviza si può immaginare quale carosello di personaggi  si metteva in moto quando moriva il Gran Principe o appena prima.

Per inciso aggiungiamo che lo stesso sistema (più o meno) in vigore anche fra i khan kipciaki fu la causa più importante della caduta dell’Orda d’Oro, come vedremo meglio più avanti…

Nella Rus’ di Kiev le liti armate perciò diventarono l’attività esclusiva dei principi, un vero e proprio lavoro! E quando Kiev fu mezzo distrutta dai Tatari di Batu Khan nel 1240 la frammentazione del primo stato russo in udel separati ormai semi-indipendenti a causa della decadenza dell’autorità del Gran Principe era pienamente in atto.

Ancor prima però Giorgio detto Lungamano successore e figlio di Vladimiro Monomaco, l’ultimo più autorevole Gran Principe di Kiev, aveva pensato bene già da tempo di “comprare per conto proprio” terreni nel “selvaggio” nordest in modo da evitare le regole della lestviza. Il sistema era piaciuto al figlio Andrea detto Bogoljubskii il quale, stanco delle battaglie per il trono di Kiev, si era trasferito nelle terre acquistate e cioè nella Bassa del Volga. Aveva ristrutturato la città di Vladimir-sulla-Kljazma (conservando come modello Kiev) e l’aveva eletta a sua sede personale e per i suoi discendenti. Aveva anche tentato di avere una sede metropolitana separata della Chiesa Russa per questi nuovi possedimenti, ma non era riuscito. L’esperimento di avere un dominio fisso da lasciare ai propri figli (in russo vòtcina) non si era però ancora affermato ed anzi aveva trovato la contrarietà di tutti i parenti che alla fine con una congiura, lo avevano tolto di mezzo. La lestviza perciò ritornava ad aver vigore anche qui, nella Bassa in questa terra di confine comprata e ancora tutta da colonizzare!

Con i Tatari, Vladimir era ora la sede “nominale” del Gran Principe che qui veniva consacrato dal Metropolita chiamato apposta per la cerimonia da Kiev in rovina e qui gli veniva consegnato ufficialmente anche il jarlyk.

Oltre Vladimir fra le città maggiori della Bassa c’era Rostov-la-Grande sul lago Njero, Tver’ subito dopo le sorgenti del Volga, e Rjazan’ ai confini con la steppa e vicina ai Bulgari del Volga. La piccola ed insignificante Mosca invece rimaneva immersa nella foresta detta Mescera (o Mesciòra) e per questa ragione era toccata al più piccolo dei figli di Alessandro Nevskii, Daniele, non godendo di gran prestigio. Col passare del tempo però era diventata a poco a poco una delle città ricche della Bassa e si era messa subito in lizza con le altre per il jarlyk di Gran Principe. Tuttavia negli anni che stiamo percorrendo necessità economiche dei Tatari avevano cambiato le condizioni per ottenere il jarlyk ed ora quel principe che pagava di più, indipendentemente dall’anzianità o dall’esser stato scelto, lo otteneva senza problemi e la lestviza in questo caso era ormai invocata per giustificare le personali convenienze.

Da dove traiamo tutte queste informazioni? L’abbiamo detto: dalle Cronache annotate e tramandate dal “pensatoio” di quei tempi ossia la Chiesa Russa! In questo pensatoio l’universo abitato era visto come un grande regno governato da principi scelti da Dio attraverso i suoi ministri terreni (la Chiesa), secondo disegni divini di solito incomprensibili, ma tendenti ad un ultimo ed unico fine: la ricompattazione dell’umanità peccatrice sotto lo scettro di un unico sovrano cristiano universale... prima della Fine del Mondo!

Addirittura, un grande monaco russo che incontreremo meglio più avanti, san Sergio di Radonezh, si era fatto interprete della missione universale affidata al Cristianesimo e forse per primo vide in Mosca e nella sua dinastia coloro che avrebbero condotto la lotta vincente contro il giogo tataro per ricostituire la Rus’ di Kiev, santa e cristiana.

La regione di Novgorod

Nella realtà però neppure una tale visione del mondo futuro evitava la litigiosità dei Rjurikidi, anzi! Riattizzava, ad esempio, le rivalità di Mosca con Tver’, il cui principe quale discendente di un fratello maggiore di Alessandro Nevskii non aveva mai accettato che il cugino moscovita, “inferiore di rango” perché discendente da un fratello minore, osasse aspirare al ruolo di Gran Principe. Inoltre Tver’ vantava una posizione geografica centrale nella regione e manteneva buoni rapporti sia con Novgorod-la-Grande sia con la Lituania e perciò rendevano i rjurikidi lì governanti molto più degni per un ruolo di leadership. E la lestviza? In realtà ormai da anni ogni principe nel proprio udel si considerava inamovibile, ora che Kiev non contava più e visto come si poteva ottenere il jarlyk, e non accettava facilmente le vecchie regole tentando invece in tutti i modi di affermare l’eredità per primogenitura! Dunque l’esperimento Bogoljubskii infine era piaciuto, ma soprattutto si andava imponendo il modello ispirato dalle Sacre Scritture della discendenza per primogenitura…

Un problema nuovo era però venuto alla luce già al tempo di Alessandro Nevskii: la Lituania! C’era sempre stata una commistione fra principi russi e lituani (come con quelli di altre stirpi presenti nelle Terre Russe), ma in questo caso l’evoluzione degli eventi aveva portato, già a partire da Polozk, ad un peso politico  lituano che s’accresceva e si allontanava sempre più dagli interessi “russi” da quando Jogaila, uno dei figli di Giuliana di Tver’ (ricordiamola questa donna!) e del lituano Olgherd, era stato scelto come Re di Polonia col nome di Ladislao Jagellone. Possiamo quindi immaginare quali contrasti si stavano preparando…

Ai lituani apparteneva ormai tutta la Terra dei Vjatici, la regione di Kiev con gli altopiani di Podolia, Volynia e Moldavia ricevuti in eredità. E la Bassa? Era soltanto un “piccolo” territorio di nordest, disprezzato e tutto da colonizzare!!

è giusto però indicare i principi lituani come degli estranei alla dinastia rjurikide? Perché non considerarli legittimati a partecipare ad un regno russo futuro? E perché Kiev non ha più l’importanza di una volta, dopo la batosta ricevuta da Batu Khan? Queste domande hanno delle risposte solo se esaminiamo l’evoluzione della politica dei rjurikidi di Mosca a partire da Kulikovo Polje

Kulikovo Polje è appunto l’evento dal quale iniziamo la nostra storia. Si verifica verso la fine del XIV secolo (nell’agosto del 1380 secondo la datazione convenzionale più o meno corretta del calendario gregoriano) ed è la vittoria “russa” a Pian delle Beccacce (appunto Kulikovo Polje in russo) sulle rive paludose del Don.

La Battaglia è stata in tutti i modi esaltata ed ha ispirato una grossa mole di letteratura molto toccante alla quale di solito ci si riferisce sotto il titolo cumulativo di Zadonsc’cìna. In essa il protagonista è sempre Demetrio, principe rjurikide di Mosca, il quale, dopo aver raccolto intorno a sé insieme con le loro armate quasi tutti gli altri rjurikidi parenti che governavano nei territori circostanti, passa il Don diretto a sud per scontrarsi con i Tatari di Nogai a capo dei quali c’è il khan Mamai. I Tatari attendono i russi nella detta piana vicino all’odierna Tula e la tradizione ci racconta che s’iniziò prima con un duello fra due campioni scelti nelle parti avverse, ma che alla fine, dopo vari scontri sanguinosi, Mamai e i suoi (c’era anche un grosso contingente genovese!) scapparono verso sud battuti e vinti. I russi trionfalmente raccolgono le spoglie lasciate sul campo dal nemico in rotta e ritornano verso il nord cantando vittoria, ma portando con sé il ricordo e i cadaveri dei compagni caduti. Le perdite umane da parte russa infatti furono molte, tanto che per il risarcimento alle vedove e ai genitori orbi di un figlio la cassa di Demetrio si svuotò quasi subito…

La vittoria russa tuttavia non dovette essere così rilevante come è da sempre tramandato. Lo stesso Demetrio l’aveva etichettata spontaneamente, ma con giusta prudenza, come una specie di spedizione punitiva eseguita per conto del khan di Sarai contro il sedicente khan ribelle Mamai e invece, come tradiscono le scritte commemorative sulle monete contemporanee coniate a ricordo della Battaglia, si esprimono chiare e umili lodi al khan “legittimamente in carica” Toqtamysc’, forse per aver scelto Mosca per quel compito. Insomma una specie di corvée dovuta dai principi della Bassa ed eseguita a puntino al comando di Demetrio. Ciò non toglie che aver capeggiato un’armata e conseguito una vittoria dava adito a molte invidie e timori in quei principi russi contrari alla crescita di Mosca e così da Kulikovo Polje cominciò tutta una serie di manovre politiche contro Demetrio e il suo udel.

Il primo a muoversi in questo senso fu proprio il knjaz Michele di Tver’ il quale dopo aver constatato come Mosca era stata punita dal khan di Sarai proprio per aver condotto una battaglia senza un suo vero e proprio consenso, si muove con suo figlio Alessandro per chiedere il jarlyk di Gran Principe. Demetrio naturalmente non si fa sorprendere e manda suo figlio Basilio (di solo dieci anni!) affinché si presenti al khan come il futuro erede di Demetrio nella carica di Gran Principe. Alla fine il khan decide: Niente nuovo Gran Principe! Che Demetrio resti in carica purché Basilio rimanga a Sarai come ostaggio a garanzia contro qualsiasi altro colpo di testa nella Bassa…

A questo punto, dai documenti a disposizione e per amor della verità, non si può dire che esistesse un progetto di un nuovo stato russo che inglobasse tutta la Bassa inclusa l’Orda di Sarai o che contemplasse Mosca quale capitale, visto che Tver aspirava alla stessa funzione! Se un qualcosa in questo senso sia stato mai teorizzato in piani d’azione concreti, ciò rimase soltanto negli scritti della Chiesa Russa visto che Demetrio fu canonizzato santo e che la Battaglia di Kulikovo Polje è celebrata ogni anno come la santa vittoria d’una crociata condotta contro i pagani! In altre parole uno spirito di riscossa ”russo-moscovita” in funzione anti-tatara e l’idea della creazione di un eventuale impero erano tutte cose ancora da costruire…

E poi, ammesso che ci fosse la necessità di ricostituire un “santo” stato russo, perché la Chiesa Russa avrebbe dovuto scegliere Mosca per un progetto imperiale futuro? Qui la storia si complica e dobbiamo portarci al tempo in cui nella Chiesa ci furono dei problemi molto seri.

Come noi sappiamo, le Terre Russe erano un’unica grande e ricca Metropolia dipendente dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e la sede metropolitana continuava ad aver base a Kiev. C’era stato un primo tentativo di dividere la Metropolia di Kiev, come abbiamo accennato prima, da parte di Andrea Bogoljubskii nel 1169. Poi i Crociati Latini avevano conquistato Costantinopoli e “latinizzato” il Patriarca costantinopolitano con grande imbarazzo della Chiesa Russa. La distruzione successiva da parte dei Tatari che avevano messo in ginocchio Kiev nel 1240 avevano messo in pericolo anche il Metropolita, ma questi era riuscito a mantenere il titolo e l’autorità su tutte le diocesi delle Terre Russe. Logicamente con l’intensificarsi della colonizzazione nelle terre di nordest in area finnica, il prelato ora viaggiava nella la Bassa più frequentemente senza incontrare grandi problemi con la politica conciliatrice di Alessandro Nevskii nei confronti dei Tatari. In quegli anni la grande tolleranza religiosa dei Tatari permise addirittura di fondare una diocesi (dipendente da Rostov) a Sarai per i russi lì presenti e per i Tatari che si convertivano! In altre parole la crescita della Bassafece sì che il massimo prelato cominciasse a trovarsi sempre più frequentemente a Vladimir invece che a Kiev!

Gli anni poi erano passati ed era aumentata la pressione del papa di Roma sulle Terre Russe sia attraverso i regni cattolici di Ungheria e di Polonia sia con le azioni militaresche dei Cavalieri Teutonici dalle basi del Baltico tese tutte a costringere gli ortodossi a passare nella giurisdizione romana, ora che l’autorità dell’Imperatore bizantino e del patriarca ortodosso era stata restaurata. Finalmente, dopo varie vicende,  entra in scena sul soglio metropolitano la grande figura di Alessio I, prelato legatissimo alla famiglia di Demetrio e moscovita egli stesso, che dà una svolta alla politica della Chiesa nel nordest.

è lui l’uomo guida a corte in tutti quegli anni sin da quando Demetrio era succeduto a suo padre all’età di soli 10 anni. Incoraggia e benedice in tutti i modi la grande amicizia fra Demetrio di Mosca e il cugino orfano Vladimiro di Serpuhov (altro personaggio chiave della nostra storia) e quando sente che ormai la sua vita è alla fine decide di cercare un degno successore di sicura fede moscovita. La sua indagine comincia presso il grande monaco, san Sergio di Radonezh, addirittura proponendo che fosse proprio costui a prendere il suo posto. Ne sarebbe stato contentissimo e avrebbe proposto con calore al Sinodo e poi al Patriarca la degnissima candidatura… San Sergio però è da anni, con tutto l’appoggio possibile di Alessio e di Demetrio, che si occupa della missione di evangelizzare le parti più abbandonate della Terra Russa. Non solo! Proprio adesso gli preme rafforzare la fede cristiana specialmente nel nord minacciata dai “latini” (leggi: Cavalieri Teutonici e Cavalieri Portaspada) in quei momenti in cui lo stesso Patriarcato è minato dall’apostasia “latina” dell’imperatore Giovanni V. Dunque rifiuta, apportando le sacrosante ragioni di voler restare semplicemente un uomo di fede e di non intendersene di conti e di amministrazioni economiche, cose che ha sempre odiato e respinto. Che Alessio cerchi altrove!

In verità Alessio stesso era in certo qual modo provvisorio nel suo ufficio in quanto nel passato era accaduto proprio quello che nessuno aveva mai desiderato: a causa di vari eventi che ora non staremo a raccontare il Patriarca aveva consacrato ben due metropoliti per le Terre Russe, uno per la Lituania e un altro per la Rus’ del Volga! In seguito a rimostranze e richieste di spiegazioni si decise con giudizio salomonico di lasciare Alessio, il più anziano, a reggere la Metropolia nominalmente ancora chiamata di Kiev e l’altro, un bulgaro a nome Cipriano, messo in attesa del suo turno (purché fosse rimasto in vita abbastanza) per il posto che ora stava per diventare vacante.

La questione era di per sé ingarbugliata, ma diventò ancor più incomprensibile per le autorità patriarcali di Costantinopoli che avevano conservato nei loro archivi come definitive le decisioni dette sopra, quando le missioni giunte da Mosca con la richiesta d’imporre le mani (era questo l’atto di consacrazione ufficiale su un nuovo Metropolita) erano… ancora altri due!

Che cosa era successo? Vediamo un po’.

Demetrio aveva una specie di precettore-confessore-confidente, il prete Mitiai, che, quando l’aveva incontrato per la prima volta, gli era subito piaciuto sia per il bell’aspetto sia per il modo di parlare sia perché sapeva scrivere bene. D’allora in poi lo aveva sempre voluto al suo fianco (lo aveva persino nominato suo guardasigilli!) e Mitiai aveva così accumulato molte ambizioni. Quando seppe delle intenzioni di Alessio, costui decise di sfruttare la sua posizione vicinissima al principe, ma non essendo monaco non poteva aspirare automaticamente alla dignità di Metropolita tanto che, quando Demetrio gli propose di prendere il posto del defunto Alessio, spiegò la propria situazione dicendo appunto di non avere la qualifica adatta. L’occasione propizia però si presentò quando l’archimandrita della Cattedrale del Salvatore a causa dell’età avanzata decise di ritirarsi e poco dopo morì. Il furbo prete, con Demetrio connivente, costrinse il successore a fargli prendere immediatamente l’abito monacale e a nominarlo archimandrita al posto del defunto. Allora si disse perfino che Mitiai era stato miracolato, stigmatizzando il suo comportamento di “arrampicatore”: La mattina era ancora un prete semplice e a mezzogiorno era già monaco e archimandrita!

Gran parte di questi eventi avvennero già sotto gli occhi di Alessio, ma questi sopportava per non mettersi in netto contrasto con Demetrio e non avendo altra persona giusta da contrapporre. Tuttavia, quando Demetrio insistette ancora una volta per Mitiai, Alessio rifiutò perché non ritenendolo una persona d’esperienza avrebbe fatto solo confusione. Concesse soltanto che potesse essere proposto purché il Sinodo, la Vergine e il Patriarca poi lo consacrassero!

Poi Alessio viene a morte! Mitiai requisisce i paramenti da Arcivescovo e si insedia arbitrariamente nella sede in attesa di poter essere riconosciuto dal Sinodo e di recarsi a Costantinopoli per la consacrazione definitiva, sicuro del fatto suo. Il Patriarca, venuto a sapere dei desideri di Demetrio e della posizione quasi consenziente di Alessio, invia una lettera al sedicente nuovo Metropolita nella quale si riconosce la sua posizione e quindi lo si invita a recarsi al più presto con i dovuti documenti comprovanti la sua elezione da parte del Sinodo nella capitale sul Bosforo per la benedizione.

Il vescovo Dionisio di Suzdal’, a Mosca dopo la morte di Alessio, non aveva però accettato (non era il solo ed aveva persino l’approvazione di san Sergio di Radonezh su questo punto!) questo atto di superbia ed aveva accuratamente evitato di omaggiare Mitiai e ciò aveva indispettito quest’ultimo. Dionisio però non si era lasciato intimidire nemmeno dall’ira di Demetrio e si era messo in contatto con il Metropolita di Kiev, Cipriano, conoscendo bene i precedenti.

Cipriano capì che poteva così finalmente riprendere le sue piene funzioni e con un gran seguito si mise in viaggio verso Mosca. Demetrio però non aveva dimenticato il trattamento inflitto dal principe lituano Olgherd al “suo” Alessio anni prima e, non appena il prelato mise piede nel territorio moscovita, si vendicò facendo arrestare il prelato e rimandnadolo il giorno dopo là da dove era venuto. Il prelato oltremodo adirato mentre si allontanava riuscì a far recapitare una lettera a san Sergio a Radonezh con le sue lamentele, ma dove annunciava che sarebbe andato immediatamente a Costantinopoli a reclamare. Intanto anche sul Bosforo il Patriarca era cambiato e Mitiai, temendo di non essere più riconfermato sul suo seggio a causa di Cipriano, pensò di evitare l’imposizione delle mani (ossia la cerimonia della conferma patriarcale) e di ricorrere alla sola acclamazione del Sinodo locale presieduto… da Demetrio. A questa estrema procedura si oppose naturalmente Dionisio di Suzdal’. Demetrio cercò di evitare che quest’ultimo si recasse a perorare contro Mitiai sul Bosforo e fece in modo di trattenerlo. Di nascosto però Dionisio e i suoi riuscirono a mettersi in viaggio via fiume Volga e si diressero in fretta e furia a Costantinopoli.

Anche Mitiai e i suoi fedeli si erano messi in cammino per la stessa meta, sebbene via terra.  Quest’ultimo gruppo però era stato fermato dai Tatari che avevano chiesto i motivi di tale viaggio. Dopo varie discussioni e spiegazioni Mitiai riesce ad ottenere da Sarai persino il famoso jarlyk (ossia quella specie di riconoscimento scritto dal punto di vista di esenzione fiscale sui beni della Chiesa, in special modo) per sé quale futuro Metropolita e può riprendere il viaggio. Purtroppo la sorte è contro di lui (oppure qualcuno dette una mano alla sorte col veleno) e prima di arrivare alla sede patriarcale si ammala e muore. Al suo posto la missione, imbarazzata di arrivare a Costantinopoli senza un candidato proponibile e per paura dalle reazioni eventuali di Demetrio in caso di ritorno senza successo, trova fra i propri membri un certo Pimen’ e lo presenta al Patriarca quale candidato di Mosca, mentre Mitiai con una solenne cerimonia è sepolto in un convento a Galata.

Sembra che attraverso varie elargizioni (ottenute su un grosso credito concesso dai genovesi di Galata ai prelati russi) Pimen’ riuscisse a farsi consacrare (anche lui!) Metropolita. Insomma Cipriano restava Metropolita della Lituania e della Piccola Russia (come si chiamava allora l’Ucraina) e Pimen’ diventava Metropolita di Kiev e della Bassa di Mosca e dintorni, compresa la giurisdizione su Novgorod-la-Grande. Era il luglio del 1380! Le liti sembrano ormai concluse, ma… le due missioni non possono ripartire a causa dei preparativi militari in corso per la guerra contro Mamai (Kulikovo Polje) e sono costrette a restare per un po’ a Costantinopoli.

Non entreremo qui nei dettagli e diremo per il momento che quando Pimen’ ritornò a Mosca con la sua nomina, Demetrio aveva ancora una volta cambiato opinione sulla faccenda e, fattolo imprigionare e destituire della sua carica dal Sinodo locale, con grandi promesse invitò invece Cipriano a venire da lui. Probabilmente Kulikovo Polje e l’uccisione a Caffa da parte dei Genovesi del fuggitivo khan vinto Mamai avevano imbaldanzito Mosca e cambiato le premesse politiche precedenti. Soprattutto l’alleanza di Jogaila con Mamai contro Mosca e la sua defezione dal patto stretto precedentemente con Demetrio, lasciava capire a quest’ultimo l’importanza di avere adesso Cipriano dalla sua parte invece che lasciarlo nelle mani di Jogaila, ormai padrone di Kiev.

D’altronde la frenetica attività moscovita aveva messo in allarme anche il giovane e sospettoso khan Toqtamysc’ di Sarai. Così questi temendo un ulteriore rafforzamento di Mosca nella Bassa qualche anno dopo decise di dare a una lezione definitiva che confermasse la soggezione di Demetrio a Sarai e assediò la città, la dette alle fiamme e la saccheggiò pesantemente. La città si difese come poté, visto che il suo principe era fuggito presso Vladimiro di Serpuhov e visto che anche Cipriano – uomo però assolutamente dedito allo studio e non alla guerra – fece la figura del pusillanime rifugiandosi nella lontana Novgorod-la-Grande quando gli annunciarono l’arrivo dei Tatari. Alla fine la città nulla poté sotto l’attacco nemico e ne uscì abbastanza malconcia. Anzi! Michele di Tver’ vedendo la disastrata posizione dell’udel dell’odiato Demetrio si affrettò ad offrire parole di pace (e ricchi doni) a Sarai pur di ottenere alfine il jarlyk di Gran Principe di Vladimir. Invitò naturalmente Cipriano a Tver’ perché era questa la città che avrebbe ora preso il primo posto nella Bassa del Volga!

La presenza del Metropolita a Tver’ destò una grande preoccupazione in Demetrio anche perché il Patriarca in persona, Nilo, avendo saputo che Pimen’ era stato rinchiuso a forza in un convento era intervenuto affinché il monaco ritornasse alla sua dignità, sebbene poi questa mossa non contasse politicamente granché. Cipriano, di certo venuto a sapere anche di questo, si ritrovava in una situazione imbarazzante. Il suo titolo lo autorizzava a consolidare la posizione di Tver’ e la Rus’ del Volga nell’orbita lituana che aveva migliori relazioni con Sarai e stava già per rivolgersi a Vytàutas per averne tutto l’appoggio politico, quando Demetrio corse ai ripari. Mandò a chiamare Cipriano per mezzo del suo stretto e potente parente, il bojaro Veljaminov! Anche questa volta però era una trappola! L’intenzione non era quella di tenersi Cipriano che appariva troppo difficile da maneggiare data la sua connivenza con i lituani, ma di costringerlo a ritornare a Kiev per lasciare la politica della Bassa nelle sue sole mani! Così per la seconda volta Cipriano fu rimandato a Kiev e Pimen’ fu rimesso al posto di Metropolita a Mosca.

Nel 1389 Demetrio scompare. Pimen’ è ora in lite con Cipriano e va a Costantinopoli, ma anche per lui la sorte gli è contro perché muore proprio in quel viaggio! A Demetrio nel frattempo è succeduto suo figlio Basilio.

 

                    

    

©2007 Aldo C. Marturano

  


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