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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 36 |
Il rito della lettura del futuro (gadanie) con il fuoco
In realtà però le rondini giungono qui un po’ oltre l’inizio della primavera, non appena fiorisce una pianta particolare: il Chelidonium maius o Celidonia o Erba Porraia (in russo Cistotel/Чистотел)! E questo era ben noto allo smierd del nord russo il quale credeva per di più che il succo di questa pianta fosse usato dalle rondini proprio per nutrire i piccoli che avevano nel nido e tenerli in salute fino alla successiva migrazione d’autunno. La Celidonia era il segno della primavera e del ritorno dei colori. Non solo! Siccome poi il sole era una forza divina, in qualche modo esso abitava in quella pianta e, per assicurarsi che gli dèi avessero mostrato della buona volontà verso di noi, era necessario attendere che la Celidonia fiorisse. A questo scopo, benché si conoscessero le proprietà velenose del suo latice fresco molto acre per alcuni animali domestici e per l’uomo, la pianta era coltivata nel giardino di casa e, raccolta intorno a maggio, era persino usata, ma secca e quindi avendo perso la velenosità, per lavare i bimbi e per liberarli, ad esempio, da alcune malattie della pelle come le verruche o i porri (come indica appunto il nome russo che più o meno significa pelle pulita!). Insomma il “Capodanno” non era una data così ben precisa stampata su un calendario appeso alla parete e la sua celebrazione si poteva protrarre per diversi giorni… Tutto
questo oggi si è cristallizzato dalle tradizioni nei cosiddetti Svjatki
che vanno dal Natale fino appunto al 31 dicembre ed è notevole che
nel Novgorodese questo periodo si chiami ancora il periodo dei
maghi (Kudjes/Кудес) proprio
perché ci si rivolgeva ai maghi e agli stregoni (cioè ai volhv,
in ultima analisi) per sapere se il sole sarebbe ritornato e se gli dèi
avrebbero esaudito i desideri accumulati. Chi sa parlare con gli dèi
il mago, il sapiente, il veggente o persino l’antenato che vaga
invisibile intorno a noi è in grado di venirci incontro in questo
periodo dell’anno… Certo,
dalle Cronache medievali sappiamo che chiunque avesse fama o
esercitasse il mestiere di mago era condannato dalla religione
ufficiale, dal Cristianesimo, come Figlio del Demonio, ma nelle
società pagane dell’Europa centro-orientale questi volhv per
molto tempo conservarono un ruolo importantissimo e non scomparvero
nel nulla soltanto perché apparve la nuova “magia” cristiana! In
modo particolare nel volhv russo troviamo moltissime analogie
nelle sue funzioni con quelle degli sciamani del mondo mistico
ugro-finno-altaico sebbene, di documentato, ci sia pochissimo. Come si
riconoscevano questi personaggi fra gli altri comuni mortali?
Probabilmente nello stesso modo in cui gli Scandinavi dicono nelle
loro saghe di riconoscere uno sciamano lappone o altaico. Tecnicamente
secondo Mircea Eliade: «Gli sciamani vengono riconosciuti
attraverso 1. improvvisa vocazione o scelta 2. per passaggio di eredità
oppure 3. per scelta personale e, più raramente, per una scelta fatta
dal clan». Il volhv non era solo il custode e il celebrante dei riti divini, ma doveva avere anche una funzione importante dal punto di vista igienico. Era lui a definire quali cibi sono puri e quali impuri, quali cibi servono a far vivere bene e quali invece possono inquinare il corpo e portarlo alla morte, quali alimenti possono essere raccolti per curare e quali altri per inebriare etc. A
parte ciò comunque, per quanto riguarda un’eventuale organizzazione
“ecclesiastica” dei culti antico-russi e dei suoi sacerdoti, non
ne sappiamo granché e vaghiamo nella nebbia e quindi ci asteniamo a
questo punto dal parlarne oltre. Quanto poi a sapere dove si
rifugiarono i maghi e le streghe durante la persecuzione del cristianesimo
ufficiale, non è difficile immaginarlo, dato che lo stesso avvenne
nel resto d’Europa: nella foresta! E qui generarono con la loro
presenza leggende e miti sui tanti esseri misteriosi che incontreremo
più avanti. La
cosa strana che notiamo invece è che i riti per conoscere il futuro
solitamente si svolgono di notte. Perché mai? Eppure la notte è la
negazione dell’esistenza. La ragione si nasconde nel fatto che solo
nel buio vagano gli spiriti che ci possono aiutare e solo essi sono
capaci di squarciare i veli del tempo dandoci le informazioni
richieste! Se rimaniamo svegli ecco che li potremo vedere aggirarsi e
potremo interrogarli direttamente, se invece dormiamo essi ci vengono
in sogno… I
primi giorni dell’anno perciò erano riservati ai vecchi della
famiglia che conoscevano tutte queste storie. Intorno ad essi ci si
raccoglieva per ascoltare dalla loro lunga esperienza l’annuncio che
ci sarà un buon raccolto ed altre amenità! Essi raccontavano come,
parlando con le forze della natura, avevano saputo che… Nelle lunghe
sere invernali tutti i giovani pendevano dalle loro labbra! La
società contadina russa era, ed è rimasta, una comunità del parlare
e del raccontare e quindi le cose che gli anziani sapevano dire con il
loro linguaggio cantilenato e rimato erano ascoltate con attenzione e
divertimento, tanto più che i racconti si rifacevano alle grandi
imprese passate degli antenati esaltandole e infiorandole con gran
diletto degli ascoltatori. E’ proprio in questo ambiente nascono
infatti queste famose byline russe… Una
bylina ci racconta anche sulla lunga cerimonia del primo
dell’anno, di questa cerimonia importante che ancora oggi si esegue,
benché in parte inquinata dalla fretta e dalla vodka e da… san
Basilio. A Capodanno infatti si festeggia quest’ultimo santo e si
prepara la cosiddetta kascia del santo. A mezzanotte la vecchia della casa si è recata nell’ambar e di lì ha prelevato la grec’ka (Polygonum fagopyrum o grano saraceno) pulita per preparare eccezionalmente la succulenta e densa pietanza. I vecchi invece hanno preso (eccezionalmente appunto) l’acqua dal pozzo e l’hanno posta in brocche di legno ben pulite che sarà poi mescolata col latte in quantità ben determinata. La pec’ka intanto si riscalda per potervi mettere a cuocere la kascia nel pentolone con l’acqua e latte strettamente necessaria e con un pizzico di sale. Poi tutti si allontanano per un certo tempo perché occorre che nessuno stia a guardare o ad attendere la cottura, troppo da vicino. Se così si facesse la kascia potrebbe scuocere o mandare cattivo odore di bruciato. Finalmente ci si riunisce di nuovo in attesa che si tiri fuori il pentolone. La sola vecchia è rimasta tutto il tempo in piedi ed è colei che avrà l’onore di servire tutti i presenti. Ora
è il momento giusto e la nostra cuoca racconta quasi cantando: «Ho
seminato, ho cresciuto la grec’ka tutta l’estate, l’ho fatta
diventare bella e grande e di color bruno come deve essere. L’ho
mandata poi a Costantinopoli a far visita all’imperatore e a
partecipare al banchetto in suo onore. E lei ci è andata con i
principi e i bojari, con l’onorevole avena e con il dorato frumento.
Tutti aspettavano la grec’ka nostra . Tutti erano in attesa alle
porte dagli archi di pietra. Le sono venuti incontro principi e bojari
e l’hanno fatta sedere su una tavola di quercia a presiedere il
banchetto. Adesso però è qui a farci l’onore di essere nostra
ospite». Poi prende il pentolone e tutti si levano in piedi in
atto di riverenza perché la kascia dovrebbe essere pronta. I zakuski
sono stati preparati e distribuiti in tutti gli angoli possibili della
tavola e intanto si canta, si gioca, si scherza… Tutti guardano il
pentolone: è pieno oppure no? La grec’ka si è gonfiata
abbastanza? Se c’è odore di bruciato allora è un anno di guai. Se
il pentolone non è pieno o, al contrario, trabocca è la stessa
cattiva previsione… Se, addirittura, la pentola si fosse crepata è
davvero una catastrofe per la casa e allora pentolone e kascia
devono essere gettati via e la tristezza cadrebbe su tutta la famiglia
prima di ricorrere alle arti di una znaharka. In realtà la grec’ka
ben dosata con la quantità d’acqua giusta e cotta per il tempo
giusto non delude: si gonfia e rimane morbida e buona. Ad una cuoca
ormai esperta come la vecchia di casa ciò non dovrebbe riservare
sorprese. Salvo il colore. Prima di distribuirla, infatti, la nostra
donna solleva la tovaglietta che copriva la pentola. Non è né bianca
né disfatta né scotta e quindi ci sarà tanta fortuna. Fatta questa ispezione,
si mangia finalmente! Si mangerà fino a raschiare le scodelle di
legno. A chiederne ancora saranno specialmente i più piccoli che
allegramente partecipano alla cerimonia! A quale avvenimento storico fa riferimento la nostra cuoca? Forse si può pensare che si riferisca al fatto che la grec’ka (o grec’a, grec’iha, da tradurre come greca) diventata popolarissima in tutta la Pianura Russa, ma solo per polente e simili piatti in eventi speciali, fu introdotta intorno al X-XI sec. proprio dalla Grecia. Oppure che la grec’ka, sebbene degna della classe nobile, è anche cibo dello smierd che la mangia proprio per iniziare bene l’anno. Di più non possiamo dire...
Torniamo
però al nostro assunto. Le ragazze puberi (krasnye devizi/крaсные
девицы) nella notte del giorno
prima, si sono già riunite in un angolo dell’izbà in
segreto con le sopradette vecchie di famiglia e col loro aiuto hanno
eseguito i gadanie ossia le pratiche per indovinare come quando
e con chi si sarebbero sposate. Noi ne descriveremo molto
sommariamente qualcuno. 1.
Gadanie na vesc’ciah (Гадание
по вещах). Qui si cerca il
futuro attraverso gli oggetti preziosi dei giovani che vogliono
sapere. 2.
Oklic’ka prohozhih i
proezzhih (Окличка
прохожих и
проезжих). Questo rito
è simile a quello della Santa Monaca in Puglia in cui si fanno delle
semplici domande al primo che passa sotto la finestra a piedi o su
carro. 3.
Podsluscivanie (Подслушивание).
Qui si sta attenti, senza farsi vedere, a raccogliere le parole dei
vicini che chiacchierano in casa propria e da queste dedurre il
futuro. 4.
Gadanie na kurizah (Гадание
на курицах).
Questa si fa con un gallo ponendogli davanti vari tipi di cibi da
becchettare e di qui si deduce il responso. 5.
Gadanie u vorot (Гадание
у ворот).
Questa è simile alla 2. poiché ci si pone appoggiati allo steccato e
si chiede al primo passante. 6.
Gadanie basc’makom (Гадание
башмакoм). Questa si compie
con la scarpa sinistra che una ragazza lascia cadere davanti alla
porta di casa e dalla direzione che la punta indica ne trarrà
l’auspicio. 7. Gadanie lucìnoju (Гадaние лучиною). Questa consiste nel correre con un ramo di betulla fresco al pozzo, bagnarlo con l’acqua e sempre di corsa tornare a casa e porlo nella pec’ka. Se il ramo brucia subito vuol dire lunga vita, se non brucia vuol dire morte e se brucia con crepitìo vuol dire malattia. Invece del gadanie qualche ragazza, addirittura!, preparava in modo particolare un finto pranzo per il suo ancora sconosciuto promesso sposo… allo scopo di forzare gli eventi! Innanzi tutto preparava pane e sale e un pane piatto (lepjosc’ka/лепешка) per mangiarvi dentro. Accanto a questo poneva solo un cucchiaio di legno e mai il coltello (la forchetta giunse storicamente molto più tardi!). Poco prima di mezzanotte la ragazza si sedeva davanti e diceva: “O promesso vieni da me a cena!” Non appena mezzanotte fosse suonata, ecco che il promesso si sarebbe fatto vivo! E, se non era il promesso sposo? Beh, capitava talvolta che qualcuno arrivasse inaspettato per il primo dell’anno! Era lo Spirito della Fortuna, il Polaznik/Полазник (nella mitologia slava ha anche il nome di Badnjak ed è un giovane con la barba) che veniva a far visita! Se era proprio lui, e lo si riconosceva dal fatto che portava con sé un ceppo di legno da ardere (poleno/полено) sulle spalle, allora si intavolava subito un banchetto in suo onore poiché come spirito benigno sapeva leggere il futuro e sapeva consigliare chiunque per la riuscita di tutti i buoni propositi. Perché
mai ci siamo fermati ripetutamente sul desiderio di matrimonio delle
giovani donne? Evidentemente perché nella vita contadina c’erano
degli eventi più importanti di altri e fra questi si segnava proprio
l’uscita dalla famiglia avita della donna (in russo infatti lo
sposarsi della donna si dice uscire dietro al marito, vyitì
zamuzh/выити
замуж). Ne parleremo più a lungo in
un'altra parte del nostro lavoro perché in realtà, al contrario di
quanto si dice da noi, il matrimonio era quasi un avvenimento doloroso
e traumatico nell’antica Rus’… Un
rito invece ci interessa particolarmente, perché ha dei riscontri nel
resto della Slavia (e persino nell’antica Scandinavia!) coi primi
dell’anno nuovo, è la visita ai vicini e lo spargimento delle
granaglie tradizionali mentre si invoca un raccolto migliore per
l’anno che inizia. Si mandavano infatti in giro per le izbe
i giovani i quali con panierini fatti di scorza di tiglio intrecciata
(lukosc’ko) pieni di miglio, segala e avena bussavano
cantando e suonando alle porte e poi lanciavano quei chicchi per aria
nell’angolo “bello” dell’izbà augurando ogni bene
anche nel campo (s’ciastie i zdorovie i horoscii urazhai/счастие
и здоpовие и
хороший
уражай). I ragazzi venivano
accolti dalla padrona di casa con un’offerta di paste dolci. Oggi si
offrono biscotti e cioccolatini, ma una volta erano offerti dolcetti
fatti con farina e miele, di cui però non sappiamo scegliere una
ricetta giusta per attribuirla con sicurezza al X-XII secolo.
In realtà in questo rito si nascondeva la venerazione dei propri
antenati morti e nel seguito vedremo meglio come gli Slavi
“convivevano” con essi. Ma, quale divinità presiedeva a questi
riti d’inizio dell’anno? L'Avsen’ (Aвсен), uomo-dio a cavallo Nella
mitologia slava si è conservato il nome di Avsen’/Aвсень
(probabilmente con etimo che significa il “celeste” perché
portava il bel tempo, vjòdro/ведро).
Lo si immaginava come un uomo-dio a cavallo che attraversa un ponte
che si è costruito da sé e che in questo modo “fa entrare” tutte
le feste gioiose dell’anno che arriva. Con Avsen’ è legata
tutta una serie di piatti tipici che elenchiamo: ·
Bliný/Блины
ossia frittelle ·
Lepjòsc’ki/Лепешки
ossia focacce molto schiacciate ·
Piroghì/Пироги
ossia dolcetti ·
Piedini di
porco arrostiti · Kàscia/Каша di varie granaglie Come
è logico non c’è nessun piatto fatto con roba fresca poiché
stiamo appena uscendo dall’inverno! Lo strano però è che non
compare neppure frutta secca o seccata che era invece un cibo molto
comune durante la stagione brutta… Abbiamo
detto sopra che il Gallo è l’uccello che annuncia la luce,
l’Usignolo la primavera e, se da noi è la rondine che annuncia la
primavera, qui invece è l’Allodola! L’Allodola
(Alauda arvensis in russo zhavoronok/жаворонок)
è un uccello migratorio e i maschi iniziano a cantare nel primo
mattino dell’Equinozio per conquistarsi la propria femmina, ma anche
per fissare il proprio territorio dove troverà posto il nido.
Talvolta si hanno vere e proprie zuffe nell’aria fra maschi
concorrenti. Il tempo per stare qui al nord è limitatissimo per loro
e devono vincere la loro battaglia per fare in fretta una bella cova.
Tutto questo spettacolo ha sempre affascinato il contadino e i suoi
ragazzi che guardavano questo uccello volteggiare sulle loro teste col
suo canto dolce e a volte stridente, che lottava col tempo per poter
migrare con i nuovi nati verso sud al primo accenno di freddo.
Addirittura, quando l’Allodola accennava a voler volare via voleva
dire che anche il lino era cresciuto abbastanza e si sperava che
volasse proprio dove le donne avevano seminato questa preziosa pianta
affinché essa crescesse alta e ben fatta. Se ciò non avveniva, erano
guai. Anzi! Per ovviare, se ne catturavano di allodole e le si
liberavano al giorno giusto sopra il campo seminato a lino (e a
canapa). Un dolcetto tipico in onore di questo sacro uccello erano dei
biscotti (a forma di allodola, naturalmente) con un buco in mezzo per
poterli infilare in un bastoncino che i ragazzi si portavano in giro
nel giorno di festa (poi assimilata con i 40 Martiri Cristiani del 22
marzo) e mangiucchiavano cantando:
E mostravano i biscotti agli uccelli volteggianti per far vedere che quello era tutto il cibo ormai rimasto. Non sappiamo che sapore avessero queste “allodole di pane”, ma dovevano essere simili ai Bretzel del sud tedesco! Tutto
dunque era fatto in onore dell’astro solare tornato fra gli uomini.
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Dal
libro di Aldo C. Marturano: VITA DI SMIERD, Cibo e Magia nel Medioevo Russo,
Atena 2007.
©2007 Aldo C. Marturano