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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 40 |
Articolo dedicato ad un grande archeologo e storico
russo contemporaneo:
Berjòsta: sopra, come appare svolta; sotto, il negativo della scritta
Che cosa sono le berjòsty
(il singolare è berjòsta
in russo)? è presto detto! Sono delle strisce oblunghe (da 25 cm fino a 40 cm e
oltre) di scorza di betulla di larghezza tipica standard fra i 4 e gli
8 cm sulla cui faccia interna mediante uno stiletto appuntito d’osso
o di metallo o di legno (pisàlo
in russo) si incidono agevolmente le lettere. Le strisce, per essere
così scritte, devono essere preparate immergendole o bollendole in
acqua calda per dare loro una maggiore elasticità. A questo punto la
striscia inverte la sua proprietà di avvolgersi su se stessa e lo
scritto sulla berjòsta arrotolata risulterà ora sulla faccia esterna. Subito
dopo l’incisione i solchi infatti imbruniscono e la scrittura è
subito leggibile e, se poi le condizioni lo permettono, ecco che
queste lettere sui generis riescono a conservarsi per secoli
per essere scoperte poi dagli archeologi. Niente di eccezionale, a
quanto pare e niente di nuovo come reperto, visto che se ne trovano
non solo in Europa, ma anche in Nordamerica e abbastanza spesso
persino nel nord dell’Asia. Si può aggiungere che tale tipo di
supporto grafico è peculiare del nord ed è ben conosciuto
dall’antichità fino ad oggi in tutto l’emisfero boreale dove
cresce e vive la Betulla. Presente con varie decine di specie nelle
foreste, quest’albero offre con la sua corteccia bianca e liscia che
facilmente si stacca dal tronco un ottimo foglio per scrivere. Questa
però è una nota di poco valore e quel che è invece importante per
lo storico è il fatto che le berjòsty siano state trovate in così gran numero in città tutte
vicine comprese nel grande territorio più settentrionale che una
volta era parte dello stato della Rus’
di Kiev. Ad esempio nella città di Rusa (riva sud del lago Ilmen, il lago
immediatamente a sud di Novgorod) le berjòsty
ritrovate sono 32, a Pskov (non lontano da Novgorod, ad occidente) 8,
nell’area di Smolensk negli scavi della vicina Gnjozdovo se ne sono
trovate una decina, una risulta a Vitebsk nella città natale di Marc
Chagall in Bielorussia e un’altra nella lontana Mosca.
Fa perciò meraviglia che mai negli scavi fatti fino ad ora ne
siano state trovate tante come a Novgorod! Ci sorge spontanea la domanda: Qual è la ragione per spiegare tutti questi scritti in così gran numero? La risposta non è
semplice. Le berjòsty
prodotte in un intervallo di tempo così ristretto (!) non possono che
suggerirci una cosa: a Novgorod l’alfabetizzazione dei cittadini era
molto diffusa (al contrario di quanto si credeva anni fa). Ciò vuol
forse dire che le scuole delle chiese dei “cantoni” novgorodesi
esistevano e funzionavano a pieno ritmo e che siano state alla portata
di tutti, senza distinzione di classe o strato sociale? Malgrado ogni
sforzo immaginativo, non esiste prova che l’istruzione venisse
impartita in scuole organizzate né a Kiev e neppure nella colta
Novgorod ed è anzi più probabile che solo le classi più abbienti si
potessero permettere di far venire i monaci in casa per insegnare ai
propri rampolli a leggere, a scrivere e a far di conto. Che la scrittura subito dopo la sua antichissima invenzione dovesse
diventare il mezzo di comunicazione di massa più diffuso fra gli
uomini, nessuno se lo sarebbe aspettato in periodo medievale. Anzi!
Dalle stesse fonti rappresentate dalle Vite dei Santi Russi (i
primi santi russi furono di solito di famiglia principesca o nobile,
con encomiabili eccezioni come il grande san Teodosio delle Grotte) si
può dedurre che la Chiesa, com’è naturale, avesse il monopolio
esclusivo dell’alfabetizzazione, sebbene l’istruzione passata dai
Monasteri a colui che era destinato alla carriera ecclesiastica fosse
tutt’altra di quella impartita ai “laici”. L’insegnamento
della scrittura dunque veniva conservata gelosamente come attività
dei preti locali, custodi delle Sacre Scritture ossia dell’unica
fonte delle conoscenze del tempo, affinché nessuno se ne appropriasse
indebitamente (in altre parole per impiegarla in cerimonie pagane). Già
è immaginabile nelle culture contadine europee appena evangelizzate
la meraviglia che suscitava il sentire raccontare ad alta voce le
stesse storie con le stesse ed eguali parole nelle nuove chiese soltanto scorrendo con il dito lungo questi strani segni
misteriosi. Ciò era in contrasto con le esercitazioni mentali che
invece occorreva fare per ricordare a memoria i fatti e gli eventi
della propria famiglia e del proprio clan senza troppe variazioni di
testo con le vecchie tecniche mnemoniche cantilenate del nord e così,
quando il cristianesimo penetrò e si affermò come religione dello
stato nelle Terre Russe, tutti i bambini – con preferenza nelle città
dei figli delle famiglie più abbienti – cominciarono a frequentare
le chiese dove si insegnava, se non a scrivere, almeno a leggere e a
cantare gli inni al nuovo dio cristiano. Le Cronache russe a questo
proposito, parlando di Vladimiro il Santo quando introdusse il cristianesimo a Kiev e a Novgorod, ci informano che mandò a studiare
tutti i figli dei nobili affinché imparassero a leggere e a scrivere.
Questa “imposizione dall’alto” fece tale impressione nelle
famiglie che le madri piangevano e davano i loro figli per ormai
morti, temendo che la scrittura fosse magia, più che conoscenza. D’altro canto è incontrovertibile che molte berjòsty siano di provenienza “popolare” e quindi dobbiamo
ipotizzare che anche le classi più “basse” (almeno quelle
novgorodesi) dovessero essere largamente alfabetizzate e questo ci dà
un quadro di alta civiltà, eccezionale per il primo stato russo della
storia. Dalle analisi fatte con le strumentazioni e i metodi
d’indagine più moderni la maggioranza di questi scritti è databile
al XIII sec. d.C. ossia agli anni del grande successo internazionale
di Novgorod-la-Grande. Conseguentemente dobbiamo vederle come un segno
di questo fiorire della città, salvo poi a constatare che per questo
particolare supporto per lo scritto, proprio intorno al XIV, la
berjòsta comincia a scomparire man mano sostituita dalla carta
importata dall’Occidente europeo con le comunicazioni private che
cambiano. A parte quanto detto sopra, l’importanza della scoperta delle berjòsty
è una novità che finora è stata trascurata dalla storiografia
occidentale. è vero che Novgorod-la-grande è un capoluogo di provincia nel grande
nord russo a qualche centinaia di km da San Pietroburgo, di poca
importanza economica e politica nell’odierna Federazione Russa,
sebbene considerata la più brillante città-museo russa protetta
dall’UNESCO. è vero che non è da confondersi con la molto più grande
Novgorod-di-sotto ossia Nizhnii Novgorod sul Volga, ma è anche vero
che nel Medioevo il Grande Nord Russo rappresentò la più importante
risorsa di materie prime e tecnologica per tutto il continente europeo
e che il centro culturale e economico di questo immenso territorio era
proprio Novgorod-la-grande. Purtroppo nella storiografia occidentale,
la limitatissima conoscenza di questa regione d’Europa (anche da
parte dei contemporanei del lontano Medioevo) ha permesso che si
diffondesse la concezione che da questo oscuro e lontano nord
venissero solo materie prime di secondaria importanza. Questo modo di
vedere però è ormai in disuso da quando gli scavi fatti a Novgorod
hanno dato le prove lampanti che l’artigianato locale era di
altissima qualità e che veniva esportato in tutto il mondo
mediterraneo, se non anche più lontano. I traffici di questa città
infatti giungevano fino in Cina attraverso le strade fluviali oltre il
Caspio e con le carovane che lungo le vie meridionali asiatiche
giungevano nell’India o attraverso quelle settentrionali toccavano
la Mongolia. Novgorod tuttavia era collegata preferibilmente con tutto
il nord d’Europa e con i mercati lungo il Reno e quando nacque l’Hansa,
pur non diventando mai una città anseatica, fu la base di produzione
più importante del Mare del Nord e del Baltico (un Kontoor). Novgorod conserva oggi ancora bene il tracciato medievale del XV sec.
insieme con i suoi vecchi monumenti, le tante chiese, ma… è solo la
“brutta copia” di quella che fu una splendente città a pianta
circolare divisa dal fiume Volhov in due metà separate, chiamate
rispettivamente: quella sulla riva destra, Riva del Mercato, e
quella sulla sinistra, Riva di Santa Sofia. La Riva del
Mercato era così chiamata perché aveva appunto una Piazza del
Mercato ed era in maggioranza abitata da artigiani e operai
indipendenti, mentre quella opposta era abitata dall’élite e cioè
dai bojari latifondisti e dal potentissimo Arcivescovo novgorodese. Le
due “metà” erano unite dal cosiddetto Ponte Grande o Ponte
Vecchio e ciascuna era circondata da una cinta di mura esterna con
torri e bastioni per la difesa, al principio fatte di legno ma poi
anche di mattoni. La Riva di Santa Sofia poi aveva al suo
interno un’altra cinta di mura con fossato che racchiudeva la
Cattedrale appunto dedicata a Santa Sofia e l’Arcivescovado con la
sua sala detta delle Cento Colonne dove si riuniva quasi in segreto il
governo ristretto della città (i Gospodà
o i rappresentanti più potenti e autorevoli delle 300 famiglie bojàre
più o meno imparentate fra di loro). Qui al tempo della fondazione
della città si trovava il grande Deposito di Merci chiamato Detìnez.
I cuori della città erano dunque la Cattedrale da una parte e la Piazza
del Mercato dall’altra e Novgorod al momento del suo massimo
splendore forse raggiunse i 60-70 mila abitanti e tutte queste
persone… si scrivevano! Brevi note, contratti, lamentele, soltanto
saluti, addirittura anche i ragazzi che avevano appena imparato a
scrivere hanno lasciato le loro berjòsty!
E, meraviglia delle meraviglie, il primo documento scritto in lingua
carelo-finnica è proprio il breve testo di una berjòsta
(ricordiamo: la parte finnica della popolazione novgorodese era detta
“ciuda” sebbene comprendesse varie etnie affini)! L’interesse storico per questi documenti è dunque enorme… Non possiamo qui tracciare la storia di Novgorod, ma abbiamo il dovere
di metter in chiaro alcuni punti sul suo ruolo paneuropeo. La città
aveva un regime assolutamente repubblicano e cioè si governava (al di
là della partecipazione suppletiva a tale governo di un principe
mandato da Kiev) attraverso la sua assemblea popolare chiamata Vece. Questa assemblea suprema si formava attraverso i deputati
scelti nelle assemblee dei “cantoni” della città partecipate,
queste, da tutti i residenti e si riuniva davanti alla Chiesa di san
Nicola sulla Riva del Mercato. Chi voleva poteva assistere applaudendo o gridando dall’esterno, a seconda
dell’andamento della discussione. Questa organizzazione permise a
Novgorod che i suoi traffici non dipendessero dai bisogni e dalle
politiche della Rus’ di Kiev e dei suoi principi e perciò possiamo
dire che le corti europee, sorte con l’affermazione politica dei
Germani e degli Arabi, compravano di qui tutti quei prodotti forestali
provenienti dal suo ricchissimo hinterland che non erano ormai più
disponibili in qualità e quantità in altri luoghi d’Europa. Di qui
partivano tonnellate e tonnellate di cera per illuminare il buio della
notte nelle ricche case borghesi o nelle grandi cattedrali gotiche, il
miele che addolciva tutte le tavole dei nobili, l’avorio delle zanne
di tricheco, i preziosissimi schiavi giovani di cui persino il Palazzo
del Laterano del Papa di Roma ne aveva in gran numero e, last but
not least, le pellicce costosissime di zibellino, vaio, marmotta
etc. con le quali i re, i cardinali, i nobili adornavano gli orli dei
loro mantelli o dei loro abiti fatti di lino di Novgorod. E non solo!
Le sue ricchezze e il suo artigianato erano famosi per la loro
squisita fattura. Non è, a nostro avviso, azzardato dire che gran
parte dello sviluppo civile europeo durante il Medioevo dipese proprio
dalle potenzialità di questa repubblica nordica e russa e dalle sue
decisione commerciali e politiche. Novgorod diventò talmente
importante che persino il Papato si sforzò di tentarne la conquista.
Infatti i Cavalieri Teutonici di stanza a Marienburg (oggi in Polonia)
e i loro analoghi Livonici di stanza a Riga in Lettonia, quando si
accorsero di essere capitati proprio nelle vicinanze delle forniture
novgorodesi, tentarono in tutti i modi di conquistarla coinvolgendo i
re danesi, svedesi e quelli della Polonia-Lituania contro la città.
Anche i tataro-mongoli di Cinghiz Khan cercarono di sottometterla, ma
fallirono e la città, malgrado tutti gli sforzi dei regni vicini
ostili, restò una repubblica indipendente fino al 1478. Le berjosty ci
suggeriscono dunque un quadro della vita d’ogni giorno molto
particolare. Ci si alza con le prime luci dell’alba e ci si mette a lavorare, le
donne con i servizi soliti di casa o con la tessitura e il ricamo e
gli uomini con legno argento pelli etc. per tirar fuori oggetti e
suppellettili di squisita fattura che talvolta richiedono settimane di
lavoro. Il bojaro invece, dopo aver fatto un giro nell’usad’ba
per controllare a che punto sono le ordinazioni che ha passato ai suoi
artigiani, va presto pregare e a consigliarsi col suo pop nella chiesa
da lui costruita e che serve non solo come luogo di preghiera, ma
anche come futura tomba e come cassaforte per le cose preziose.
Successivamente incontrerà alla Riva del Mercato i suoi clienti
stranieri per accordarsi su prezzi e consegne oppure, attaccati i
cavallini alla slitta, si farà portare nei suoi terreni fuori città
per controllare come stanno andando le raccolte e le coltivazioni. Ad
una certa ora del giorno ci sarà una refezione nell’usad’ba, tutti insieme, e poi una siesta pomeridiana. Il lavoro
però deve riprendere al più presto anche perché d’inverno il
giorno alle latitudini di Novgorod è molto corto e il bojaro non
gradisce che si consumino candele per illuminare il lavoro perché la
cera pulita e filtrata si vende a prezzi altissimi in Europa ed è
inutile consumarla in casa, salvo che non ci sia una festa o una
cerimonia particolare! Purtroppo la città costruita immediatamente all’uscita del Volhov dal
lago Ilmen (è l’unico emissario) doveva subire i capricci del clima
e quando il lago ghiacciava per molto tempo ecco che a primavera tutto
il ghiaccio sciogliendosi causava delle inondazioni devastanti.
Tuttavia dobbiamo entrare nella mentalità della gente del tempo che
ancora serbava le credenze e le superstizioni del vecchio paganesimo
slavo e per capire che le inondazioni erano considerate come una
mattana causata dalle ire del Signore del Lago contro i novgorodesi
che certamente avevano trasgredito in qualche modo alle regole di
reverenza che si dovevano agli dèi più potenti. Dunque le
inondazioni (periodiche o quasi) una volta scatenatesi, si attendeva
che fluissero via e, malgrado le devastazioni e le vittime, si tornava
alle vecchie case. Tuttavia non si liberava tutto dal fango argilloso
poiché si credeva che gli oggetti ormai inghiottiti dal fango erano
ritornati alla dea Madre Umida Terra che dapprima li aveva donato agli
uomini ed ora se li era ripresi. Si procedeva quindi, ove necessario,
ad una nuova ricopertura delle strade con tronchi di legno nel modo
speciale che solo gli Slavi sapevano fare e la vita riprendeva. Altra
mattana era il fuoco e anche qui entrava la visione religioso-magica
del mondo, quando il fuoco distruggeva mezza città. Certo! La città
godeva di tutti i servizi più moderni del tempo come ospedali ed
altro, ma per gli incendi era stato perfino istituito un servizio di
prevenzione per ogni cantone. E tuttavia quando le fiamme avvolgevano
le case nessuno andava spegnerle perché il Fuoco era ancora sentito
come il dio pagano sacro e potente e purificante e nessuno avrebbe mai
osato offenderlo versandogli acqua addosso. Ecco questi forse sono i motivi perché le berjòsty si sono conservate nel fango senza essere mai state
recuperate per servire ancora come archivio personale o famigliare! Certamente presso i complessi industriali (le usad’by) dei bojari
(gli oligarchi al potere) novgorodesi si nota una concentrazione degli
scritti su corteccia di betulla più che presso le officine
artigianali “dei liberi”. Quasi sempre esse definiscono un impegno
scritto da parte di una figura della borghesia al potere quasi che,
per paura di essere fraintesi, sia indispensabile fissare tutto sullo
scritto. Questo risponde al tipico atteggiamento “capitalistico”
novgorodese nei confronti della ricchezza e del suo uso immediato e
pratico verso chi ricco non è e cioè: Non c’è bisogno di saper
far tutto, ma basta solo avere il denaro per “noleggiare” chi sa
fare quello che noi non sappiamo fare. Questo è l’uso
utilitaristico dello scritto che riusciamo subito a riconoscere. Se poi ci chiediamo come mai ci fosse questo fitto scambio di “SMS
ante litteram” in quel lontano periodo, una risposta esauriente non
c’è poiché il tenore degli scritti è vario non essendo questi dei
documenti ufficiali, ma scritture prevalentemente private. In generale
le lettere provengono da tutti gli strati della società novgorodese
e, come abbiamo già detto, parlano di tantissime cose e vicende,
dalle più banali alle più importanti per la vita privata e pubblica
dei cittadini di quel tempo in quell’angolo lontano e importante
d’Europa. Perciò per la storia di Novgorod medievale oggi è
l’inverso: Con una certa ampiezza possiamo da queste lettere capire
il perché e il come di questa città, della sua esistenza e del suo
fiorire… entrando in casa della sua gente fin nei loro cuori! Un’usad’ba novgorodese di piccole dimensioni. è logico anche, sebbene libri mastri o registri non ne siano stati ancora
trovati, che in una città che aveva un giro d’affari enorme durante
tutto l’anno sorgesse la necessità di tenere i conti, di fare gli
elenchi delle cose da vendere e da comprare, dei pagamenti, dei
contatti da prendere e da mantenere etc. Il lavoro era infatti
organizzato attraverso le commesse che i bojari passavano agli
artigiani. Costoro però erano parte dell’usad’ba
bojara e cioè del complesso abitativo e produttivo di ogni famiglia
bojara. Qui gli artigiani con famiglia e aiutanti abitavano e venivano
mantenuti vita natural durante legati al loro “padrone” proprio
dal lavoro che svolgevano. Altri, ma numerosi, artigiani però erano
liberi sia perché il loro lavoro era troppo difficile o sporco o
ingombrante, sia perché erano riusciti ad emanciparsi dalla
dipendenza da una famiglia bojara per vari motivi e dunque avevano
piccole case-officina proprie in varie vie della città. Questa
situazione implicava dunque una specie di segregazione per i lavoranti
artigiani dei bojari dal resto della vita della città che però
probabilmente aveva un’interruzione quando giungeva la bella
stagione e si poteva andare coi loro padroni nelle sconfinate proprietà
terriere dell’entroterra novgorodese per aiutare a raccogliere
prodotti della foresta o ad altri lavori agricoli (limitatissimi a
causa del clima), l’estrazione del sale dall’acqua salata o per
seccare il pesce o per abbattere alberi etc. L’importanza per lo storico nella lettura delle berjòsty però è pure un’altra e consiste nel fatto che, quando
si raccontano degli eventi del passato, ci si imbatte
nell’impossibilità e nell’incertezza di interpretare quegli
eventi nel modo giusto se non si conoscono bene le intenzioni,
l’indole, l’atteggiamento e le aspettative dei protagonisti. La
storia medievale che noi raccontiamo oggi purtroppo è la storia di
coloro che stavano in cima alla scala sociale e di coloro che li
sostentavano con lavoro, forniture e aiuti materiali al contrario
sappiamo pochissimo. Come costoro vivessero dobbiamo dedurlo invece,
sempre con un ampio grado d’incertezza e in modo obliquo e
indiretto, estrapolando dai documenti scritti per le élites al potere
di cui disponiamo e perciò dare un giudizio netto sul patto sociale
esistente fra le classi presenti nella repubblica che possa essere
tratto dai contenuti delle berjòsty
non è consigliabile e dobbiamo accontentarci di congetture,
domandandoci tutt’al più perché mai esistesse questa forte spinta
a scrivere sulle cose più disparate invece di parlarne a casa o al
mercato. Si possono considerare queste lettere come una parte della letteratura
russa? Forse sì, almeno dal punto di vista filologico per la
ricostruzione della lingua grande russa di cui il novgorodese è un
dialetto settentrionale, ma a parte le byline
(racconti popolari di imprese passate) locali, non abbiamo prove di
altra grande produzione letteraria, salvo quella ecclesiastica delle
Cronache novgorodesi e delle traduzioni di scritti “edificanti”
(di origine greca) prodotte nei monasteri locali con grande dovizia,
al contrario di altri centri russi contemporanei. E vediamo di dare un’antologia di qualcuna fra le più curiose (già tradotte e adattate da noi).
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©2007 Aldo C. Marturano