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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 41 |
Ricostruzione del druzhinnik del X secolo: disegno di O. Fjodorov (per gentile concessione)
Druzhina (da cui druzhinnik) è una parola che, sebbene rassomigli ad un
termine norreno (la lingua dei Variaghi) di simile significato, è
diffusissima nelle lingue slave e si deve far risalire alla radice *drug
ossia amico, fidato ed evidentemente è stata
attribuita dai cronografi, forse per etimologia popolare, anche alle
compagnie armate variaghe non ancora slavizzate per il periodo pagano
della storia russa. Chi ha diritto ad averne una? Da vari accenni
nelle Cronache Russe abbiamo visto che l’avevano i bojari
locali (di origine slava o di altra etnia e prima dell’arrivo dei
Variaghi) di solito, ma non sempre. Il knjaz invece ne ha
sempre una, altrimenti non può chiamarsi tale e non potrebbe rifarsi
con tutti i diritti alla genealogia rjurikide (55).
Detto ciò, essa risulta composta di molte classi di età riducibili
per semplicità a due: Gli adolescenti e gli adulti. Data questa
composizione diversa dei druzhinniki, a ciascun gruppo
“omogeneo” toccavano incarichi diversi non solo come conseguenza
dell’età, ma anche dell’esperienza e della provenienza
(schiatta). La classe più bassa sono i ragazzi di 8-10 anni chiamati
in russo deti e cioè coloro che hanno appena raggiunto
l’inizio del rok, il periodo assegnato dagli dèi alla vita
attiva di ogni essere umano. Questi ragazzi sono dunque iniziati
all’arte della guerra e, benché non siamo sicuri se assimilarli ai buccellarii
occidentali, imparano anch’essi ad usare tutte le armi tradizionali.
Non abbiamo notizie di scuole apposite, bensì sappiamo che il
tirocinio militare si svolgeva proprio a caccia dove, più che
ammazzare animali, si imparava a nascondersi in attesa dell’attacco,
a mettere trappole e agguati, a vivere in tenda, a combattere con la
spada, ad accendere i fuochi con l’acciarino e senza incendiare
l’intera foresta. Agli otroki inoltre venivano affidati varie
incombenze quali ad esempio: messaggeri (gonez), guardiani dei
fuochi militari o delle mura (gridi), etc. Un gruppo
ristretto di questi (agli ordini di un muzh), a guisa di
allenamento e tirocinio, addirittura curavano la difesa generica della
persona del knjaz col privilegio di dormire vicino a lui,
proprio come una specie di guardia pretoriana! Controllano quel
che mangia e quel che beve affinché nulla sia avvelenato e gli
organizzano materialmente i banchetti rituali. Ci sono poi coloro che
ricevono dal knjaz dei compiti temporanei come quelli di
portare delle ambasciate in grande stile: i cosiddetti tijùny (termine
di derivazione scandinava che significa servo)! Esiste anche la
figura dell’intendente che tiene sottochiave derrate, preziosi e
armi: il kljuc’nik! A
parte ciò, soltanto dopo aver superate le prove prescritte, si era
scelti e si passava alla classe più alta detta dei muzhì
ossia dei “maschi” più “vecchi”. Possiamo aggiungere a questo
riguardo che a 20 anni i muzhì erano “più che adulti” e,
se non erano uccisi prima e raggiungevano i 40 anni, erano già
considerati degli anziani, visto che quella era la durata media della
vita nel Medioevo! Anche fra questi membri esisteva tutta una
gerarchia di funzioni che purtroppo non è facile classificare data la
scarsità e la non specializzazione delle fonti. Non è neppure
possibile dire se la gerarchia corrispondesse ad una carriera da
percorrere per arrivare al grado più alto e si può soltanto
affermare che i druzhinniki (chiamati anche voitely, voiny)
più vecchi erano considerati all’apice della carriera!
Il
numero dei componenti la druzhina? Se guardiamo alle origini,
essa non doveva essere maggiore di una ciurma visto che le bande che
attraversavano il Baltico e poi viaggiavano lungo i fiumi russi per la
maggior parte del tempo, era un gruppo di ca. 40-50 uomini a barca.
Dunque sono pure bravissimi costruttori di barche utilizzando tutto il
materiale di un solo albero e Costantino VII Porfirogenito (secolo X),
che li conobbe meglio di altri contemporanei, dice che, con quelle
loro imbarcazioni, sono velocissimi! Riferiamo ciò perché
l’attività militare della druzhina sembra dipendere tutta
dalle condizioni delle acque. Allo stesso tempo però aggiungiamo che
nelle Terre Russe quando i fiumi in alcuni periodi dell’anno sono
coperti dal ghiaccio e quindi impercorribili con le barche... si va
a piedi o con le slitte anche in campagna militare! Qui le
stagioni definiscono i ritmi vitali molto più nettamente che nel
resto del continente e la guerra o le altre attività sono regolate
rigidamente col tempo atmosferico (Napoleone insegna!). Sempre
parlando del numero di uomini, dobbiamo sottolineare che di solito la druzhina
costituita da più giovani era chiamata la piccola perché meno
numerosa (la selezione fisica contava molto!) e quella dei muzhì
era la druzhina grande. A parte quanto detto or ora la scelta
del membro della druzhina, lo ripetiamo, è basata sulla forza
fisica.Un conoscitore musulmano delle Terre Russe del X secolo, Ibn
Muskaweyi, descrive i druzhinniki così: «Questa gente ha
un corpo possente, la loro statura è grande, ha un grande impeto. Non
sanno tirarsi indietro per fuggire, nessuno di loro, se non quando ha
colpito o è stato colpito a morte». Dunque fatta da tanti bei
giovani e che poteva raggiungere il numero di 400 e più come quella
racimolata a Kiev da san Vladimiro in cui più druzhine erano
confluite sotto il suo comando, essendo risultato lui il capo che
aveva eliminato tutti gli altri. Se
però fra questi uomini si trovano i Cavalieri russi, dovranno
forse essere dei Cavalieri senza cavallo? Nelle icone
novgorodesi del XIII-XIV secolo i druzhinniki sono rappresentati
sempre a cavallo mentre circondano il knjaz, pure in sella. Lo
stesso è per i manoscritti illustrati (famosi quelli della collezione
Radziwill), sebbene occorre fidarsi con un grosso grado di
prudenza di queste ultime illustrazioni molto posteriori che
idealizzano l’antica Rus’. Ciò è abbastanza logico visto che la druzhina
era un corpo speciale di rappresentanza e perciò il cavallo (ma non
il cavalcare) rivestiva un suo ruolo spettacolare necessario al rango
e basta. Niente di scandaloso o di diverso, rispetto al modello
occidentale. E
allora fra questi qual è il druzhinnik che può concorrere per
la qualifica di Cavaliere? Dovremmo già individuare questo druzhinnik
come il personaggio del Medioevo Russo simile al Cavaliere
occidentale? è
difficile dirlo e, sebbene gli uomini della druzhina del knjaz
possano considerarsi veri nobili minori, non li vediamo tanto vicini
al Cavaliere di Jean Flori o ai milites castri di
Francia del XII secolo. Sottolineiamo
invece una cosa notevole dal punto di vista concettuale. Se si tratta
di un problema di fiducia, allora il probabile Cavaliere Russo
potrebbe essere colui, scelto direttamente dal knjaz, del quale
si può fidare ciecamente e del cui consiglio tiene gran conto! Nei
racconti popolari (byline) i muzhì sono incaricati di
trasferire in portantina il knjaz difendendolo da qualsiasi
attacco “lungo la strada”. Nelle Cronache inoltre si dice che i muzhì
presenzino persino agli “accoppiamenti sacri” del knjaz con
le donne del nemico vinto o, rispecchiando usi forse acquisiti dalle
steppe o comunque ibridi, con donne vergini affinché la terra
continui a dare i frutti. Altre fonti ci dicono che, se ci sono da
prendere le grandi decisioni, intorno al principe si riuniscono le
persone più importanti in cui è compresa la nobiltà locale – i bojari – ma in ogni caso l’assemblea – questa (salvo
che a Novgorod) è la cosiddetta duma – non sarebbe completa,
appunto, se mancassero i druzhinniki scelti la cui presenza è
costantemente confermata. Quelli descritti sono compiti di altissimo
onore e perciò non affidabili a chiunque… A
qualche druzhinnik addirittura il knjaz concede talvolta
il comando di una parte della propria druzhina o lo autorizza
ad averne una (di numero di membri inferiore, è sottinteso) e lo
insignisce del titolo di velmozh o voivod, traducibili
in italiano rispettivamente con comandante o generale.
Di questi druzhinniki speciali ne conosciamo parecchi nelle
Cronache ed alcuni addirittura concorrono col knjaz per la
prevalenza politica. Tuttavia questi incarichi non sono ereditari,
notiamolo bene, e perciò non ci sembra che i voivody o i velmozhi
possano essere automaticamente definiti i Cavalieri Russi. E
di che vive il druzhinnik? Dall’indagine ci sembra che la sua
sussistenza materiale dipende completamente al suo signore: dal knjaz!
è
il knjaz che fissa il tempo della guerra e della pace e quindi
della ripartizione e della destinazione del bottino sia tratto dal
saccheggio sia ottenuto per
accordi
o cessioni forzate di ricchezze. Li conduce con sé quando cambia di udel
ed anzi, nei trasferimenti da un udel all’altro da vari
racconti e circostanze sappiamo che i druzhinniki a volta fanno
fatica ad acclimatarsi nel nuovo ambiente dove ora il knjaz è
stato mandato a risiedere e, agendo con inutile spavalderia, procurano
fastidio e reazioni sanguinose nella gente locale offesa. Ciò non
toglie che il knjaz li copre per ogni loro eccesso poiché dei druzhinniki
non può fare a meno e poiché sono una sua proprietà personale. Se
però il mantenimento è solo attraverso la guerra, dobbiamo forse
immaginare gli udel russi in guerra permanente? è
esattamente così! La guerra sarà a lungo la realtà dello stato
russo delle origini, salvo (ma ciò è rarissimo!) che il knjaz
non abbia accumulato tanta ricchezza da poter tenere alto il suo
livello di vita e quello dei suoi druzhinniki per lungo tempo.
Solitamente perciò, non appena il tempo lo permette, i diversi knjaz
si mettono in moto per scendere l’uno contro l’altro. Le ragioni
si trovano sempre in vecchie liti che si risolvono col “giudizio
di dio”, come si chiamano questi scontri, benché ci si affidi
spesse volte al duello di due campioni scelti nei campi avversari.
L’eliminazione “rituale” dell’avversario però è
indispensabile e si uccide senza tanti complimenti! Si crede infatti
che in ogni caso un dio (o il dio cristiano) prende le parti di un
avversario al quale arriderà la vittoria perché più potente del dio
che protegge la parte avversa… Tuttavia è sbagliato pensare ad uno
stato russo in cui in ogni momento ci si inventi una lotta armata,
quanto invece ad una sistematica politica guerresca, condotta dai knjaz,
e mirata ad instaurare un clima di terrore continuo nel territorio.
Siccome nel X secolo la druzhina rappresenta l’unica armata del
knjaz con la quale costruire uno stato e stabilizzare come
istituzione legittima la rapina delle ricchezze che si trovano nel
territorio o che fabbrica o raccoglie la gente che lì vive, se la druzhina
è abbastanza numerosa e ben esercitata, essa col suo knjaz ben
rappresenta il sistema repressivo che occorre allo scopo.
L’eventuale difesa o l’attacco militare diventano attività del
tutto secondarie. Essa è il servizio d’ordine in città e nella
campagna circostante. E non solo! Si presta alla parata e al trionfo
dove i druzhinniki compaiono come figuranti a fianco del
principe in mostra ai propri sudditi o ai propri vinti. In questo
caso, come prescrive la regola che si deduce dalle Cronache russe, è
d’uopo mantenere tutti insieme un contegno quasi truce senza
accennare neppur l’ombra di un sorriso… E
tuttavia, per quanto li si possano risparmiare negli scontri armati,
alla fine i druzhinniki o invecchiano per cause naturali o si
ritirano dalla vita attiva col passar del tempo. Occorre quindi
un’”alimentazione” esterna di nuovi membri perché la druzhina
continui ad esistere e soltanto i figli dei druzhinniki o i
parenti stretti del Velikii Knjaz, che erano i primi a poter
entrare nella druzhina, non bastano. Al principio dello stato
kieviano san Vladimiro invita i giovani da tutti gli angoli del paese
per colonizzare la regione a sud di Kiev, inglobando probabilmente
parte di essi nella sua
druzhina.
Non è però questo il solo modo per sostituire i membri scomparsi. Ad
esempio, se teniamo presente che tutte
le partite di merci che passavano da Kiev dirette ai mercati
meridionali pagavano una decima al Velikii Knjaz in natura,
possiamo immaginare che anche dalle “partite di schiavi” si
traessero come balzello giovani da destinare alla druzhina,
dopo adeguato addestramento. Col
Cristianesimo alla druzhina saranno assegnati uno o più preti
cappellani dai quali si raccolgono poi le notizie che serviranno a
compilare le Cronache. Questi ecclesiastici benediranno le armi e gli
armati, prima, e penseranno alle cure dell’anima, dopo. Alla fine
dello scontro infatti, seppelliranno i morti o daranno le estreme
unzioni ai morenti. Talvolta, come nel caso della Battaglia di Pian
delle Beccacce nel 1380, i due monaci assegnati al grande esercito
coinvolto (forse centomila armati, ma sembra un numero esagerato)
indosseranno per l’occasione un saio con una croce disegnata sul
petto. Anzi! Fra i due campioni scelti nei campi avversari, quella
volta fu proprio uno dei due monaci a sfidare il gigante tataro del
campo avversario e, benché il duello finisse, a dire del cronachista,
a favore dei russi, la battaglia scoppiò comunque e continuò fino
alla sconfitta (messa in fuga) dei Tatari. Nel
frattempo stava però intervenendo un’altra mutazione importante
nella questione del mantenimento materiale dell’armata del principe.
I
druzhinniki di solito dividevano il bottino (o il tributo
forzato) subito dopo la conclusione dell’azione militare secondo
rituali propri fissati dalla tradizione. A partire dall’epoca di
santa Olga il bottino, sotto forma di tributo, ora arrivava al knjaz
da tutto il territorio soggetto senza doverlo andare a prelevare
personalmente, e perciò alla druzhina e ai suoi membri tocca
trasformarsi in un’organizzazione un po’ più sofisticata. Il knjaz,
cercando di mantenere in vita un sistema che comunque gli garantisca
l’assoluta libertà di distribuire le risorse a suo piacimento ad
esempio tenersele per sé nei propri forzieri, ribalta la druzhina,
per il mantenimento (izhdivènie), alla gente locale ossia, in
pesantissimo modo, ai bojari e ai loro contadini. Fu una
trasformazione lenta e impercettibile tanto che al momento della
frantumazione della Rus’ di Kiev in udel separati e
indipendenti fra di loro sotto il giogo tataro, i bojari richiesero
sempre di più la loro partecipazione alle decisioni del principe,
pena o la sospensione dei loro “servizi tributari” o la cacciata
del principe dall’udel o l’abbandono del “servizio”
presso il principe (questo a seconda della regione e gli usi in vigore
in quell’udel). Probabilmente
per favorire questa mutazione e mitigare allo stesso tempo il nuovo
onere economico quasi certamente si favorì l’incontro fra le figlie
dei bojari e i druzhinniki stessi in modo che a poco a poco si
cominciasse a creare un nuovo corpo di bojari più controllabili di
quelli tradizionali. I nuovi nobili essendo stati (ed essendolo ancora
in teoria) dei muzhì e quindi ancora legati dal giuramento di
obbedienza al knjaz difficilmente avrebbero avuto il coraggio
di ostacolarne le decisioni. Tuttavia una volta legato alla
terra ricevuta o come compenso di un bottino o di un servizio o come
feudo, il nuovo bojaro cominciava ad avere altri interessi talvolta
anche opposti a quelli del knjaz e la sua richiesta
d’indipendenza comincia a crescere. Durante
il periodo del giogo tataro abbiamo poi una nuova questione per il druzhinnik
quale guerriero scelto e affidabile: la possibilità di essere mandato
a far parte dell’esercito tataro nelle campagne dei khan in
Asia Centrale e nelle vicinanze del Caspio o morire lontano dalla sua
terra per non essere stato riscattato e ritornare a casa. Infatti il
“tributo tataro” prevedeva non solo trasferimento di ricchezze
sotto varie forme, ma anche la cessione di contingenti militari. E
questo era un problema per ogni knjaz del Basso Volga!
Significava infatti doversi privare di una parte delle difese
personali nelle lotte continue che i knjaz facevano l’uno
contro l’altro per ingrandire il proprio udel o per aumentare
la propria supremazia e quindi vedremo spesso i knjaz recarsi
alla capitale tatara di Sarai per portare i loro tributo con pochi druzhinniki
onde evitare che una gran parte della druzhina fosse
sequestrata! Riscattare i propri armati era poi una spesa non
indifferente e non tutti i
knjaz furono sempre disposti a farla, tanto che il Vescovado
russo ortodosso di Sarai (istituito nella seconda metà del XIII secolo
proprio per loro) dovette intervenire con le proprie sostanze o
intercedere presso la corte del khan. Ci
troviamo dunque nell’imbarazzo se vogliamo fotografare il druzhinnik
in un certo momento della storia russa, senza sfuggire ai limiti
cronologici “imposti” dall’unico poema cavalleresco russo – il
Cantare della Schiera di Igor – apparso poco dopo gli eventi
ivi cantati verso la fine del XII secolo. Non dimenticando così
quest’opera cercheremo di individuare (se c’è) un certo codice
d’onore in maniera da attribuire un carattere “tipico” al druzhinnik
e, siccome all’incirca con la caduta di Kiev nel 1240 questo
personaggio sarà talmente sconvolto nelle sue funzioni che non
risorgerà più come prima, la nostra indagine si fermerà. Comunque
il periodo scelto è ricco di eventi, specie quando una nuova
circostanza matura fra le continue lotte per la conquista di una
supremazia assoluta di un udel sul parentado rjurikide. Più o
meno in questi stessi anni un rjurikide, nominalmente Velikii Knjaz
di Kiev, stanco di dover combattere contro le ambizioni di quelli
che lo assediano, parenti amici e altri, abbandona Kiev con gli uomini
che lo servono e fonda una nuova corte nel Nordest della Terra Russa.
Qui cercherà di far diventare tutti i frequentatori della sua corte
dei semplici dipendenti salariati da lui a Vladimir-sulla-Kljazma
ricostruita letteralmente sul modello di Kiev. Via i druzhinniki e
i bojari! Che ci siano soltanto cortigiani ben pagati e soldati
ingaggiati per le questioni militari che lo stesso knjaz
comanderà senza mai più intermediari. è
una serie d’innovazioni talmente sconvolgenti per le tradizioni che,
come abbiamo detto, nel 1174 questo innovatore Andrea Bogoljubskii
figlio di Giorgio Lungamano, fondatore di Mosca (vicinissima a
Vladimir), deve scomparire. Ormai però la nuova Rus’ del Volga,
malgrado le nubi tatare che si addensano all’orizzonte, è stata
varata! Alla
fine della nostra corsa non abbiamo trovato un esatto corrispondente
del cavaliere occidentale né siamo in grado di distinguere una
cavalleria di mestiere da una d’élite cavalleresca
“all’occidentale”. Abbiamo invece scoperto una figura che
potrebbe prendere il titolo di Cavaliere Russo cioè il muzh,
ossia il più meritevole e il più anziano druzhinnik, per le
ragioni che diciamo qui di seguito. Il problema resta invece nel fatto
che per questi “cavalieri russi” non siano stati registrati
abitudini o costumi cortesi particolari. Non ci sono notizie certe e
circostanziate su una “vita di corte” e i primi accenni verso una
corte “ordinata” con una certa etichetta sono a
Vladimir-sulla-Kljazma all’epoca di Andrea Bogoljubskii. Per di più,
siccome i Rjurikidi non ammisero mai che potesse esistere una classe
sociale che vantasse una pari dignità qualsiasi, anche parziale, con
i membri maschi della loro famiglia, neppure un Cavalierato d’élite
è ben riconoscibile, come vorremmo. In russo muzh significa uomo, nel senso più esaltante la
virilità. Da muzh deriva addirittura muzhèstvennyi
ossia coraggioso e forte e con muzh si designa
persino il marito giusto come forza della famiglia (che
successivamente però acquisterà un altro plurale per non confondere mariti
e cavalieri) che però insegna a rispettare i costumi
tradizionali ai figli. Né possiamo naturalmente sfuggire al paragone
con vir, virilis, virilitas e virtus e i
significati che queste parole avevano acquisito nelle corti
occidentali nel X-XIII secolo. Come
distinguere il muzh dagli altri armati? Certamente dalle armi
che porta… E qui sono da mettere in evidenza due cose importanti: 1. Le armi nel
periodo nel quale vogliamo “fotografare” il nostro cavaliere russo
sono oggetti costosissimi e, a seconda della potenza materiale e
magica attribuita ad esse, possono essere portate esclusivamente da
persone scelte 2. Diventare muzh implica delle cerimonie
rituali pagano-cristiane che sono riservate solo a lui. Ci riferiremo per far ciò alla figura
di O. Fjodorov che apre questo articolo. è la ricostruzione del druzhinnik del X secolo in base a vario
materiale reperito nelle necropoli intorno a Kiev (sebbene con
speciale riferimento alla cosiddetta Tomba Nera di Cernìgov datata
circa 860 d.C.) che ci sembra raccogliere tutti i tratti e
l’abbigliamento necessari al cavalleggero ideale epico russo
descritto nelle byline. Vediamo allora il primo punto. In una società militarizzata come quella
medievale dove chiunque girava armato in qualche modo e in special
modo come quella di Kiev della stessa epoca in cui il ceto e il posto
nella gerarchia degli onori della militari sono indicati dal tipo
d’arma che s’indossa al di là del modo di vestire, pur non senza
importanza. Ciò significa, nel nostro caso, che spada e ascia
da guerra della figura sono attribuibili al muzh e a
nessun altro. Fermiamo un momento la nostra attenzione su queste armi paragonandole
comunque con le altre più note in uso. Com’è già chiaro, le fonti
per sapere quali armi circolassero sono o le illustrazioni
iconografiche dei Codici e delle sacre icone o i reperti archeologici,
mentre le menzioni e i termini nelle Cronache, con l’evoluzione
della lingua antico-russa, devono essere sempre riconfrontate e
corrette. Dai reperti dissotterrati possiamo subito dire che
l’armamentario militare subì per lunghi secoli l’influenza
dell’Asia quanto a materiali, uso e forme e la tipicità
cazaro-steppica delle armi russe e del modo di “portarle” sarà
sempre visibile e riconoscibile. Inoltre, malgrado la recente
introduzione della religione cristiana, le armi sono ancora
considerate come esseri quasi vivi che vanno “nutrite” ad es. col
sangue dell’avversario. Tirare fuori la spada dal suo fodero solo
per far paura implica da parte del “padrone” che rimedi allo
stimolo inutile sulla “forza magica” dell’arma… facendo
scorrere la lama sulla propria carne in modo che l’arma si abbeveri
del sangue “che aspettava” e rimanga “viva”. Nella figura notiamo subito il
“cappotto” che ha il pelo verso l’interno mentre la pelle
esterna è ben conciata e quindi dura e resistente (non troppo) alle
frecce o ai colpi di lancia non pesanti. Non porta scudo perché
questo è considerato un arnese destinato ai fanti dell’opolcenie,
sebbene l’evoluzione, quando l’attività militare si sposterà
verso sud, sarà verso l’adozione d’uno scudo anche per il druzhinnik
in forme varie e di misura ridotta, rispetto a quello del fante. Come
si nota, il muzh ha una cintura. è
uno dei più antichi segni distintivi del rango e non è che il cingulum
romano ereditato in tutta Europa e passato qui nelle Terre Russe (57).
La cintura (pojas) era non soltanto colorata e ricamata con
disegni apotropaici, ma adornata di perle di fiume, fili d’oro e
d’argento in numero e disegni ben determinati diversi per i bojari o
per i principi. Più alta quella del knjaz e più stretta
quella del muzh. In più dà la forza e l’impeto a chi
l’indossa. A
sinistra in questa cintura c’è la spada infilata in un fodero di
legno ricoperto di cuoio. Molto
dobbiamo alle ricerche della sig.ra M. Semjònova (50)
che ci informa su quanto a lungo si è discusso in passato sulla
questione da dove queste spade potessero giungere nelle Terre Russe.
Riassumiamo dicendo che in passato si era affermato, basandosi su
reperti archeologici certi, che fossero stati i variaghi a portarle
nella Rus’ di Kiev visto che in russo la spada per di più si
chiama mec’ che è parola di origine norrena. Invece studi più
recenti e più circostanziati hanno confermato che, a parte
l’acciaio, l’impugnatura e il montaggio e la lavorazione della
lama erano eseguiti nelle fucine russe del X-XIII secolo. La spada deve
considerarsi un prodotto “russo” originale sebbene pochi artigiani
alla fin fine vi abbiano apposto la propria firma, come invece si
usava in Occidente, e ciò per le ragioni magiche che coinvolgeva il
fabbro che la forgiava. L’acciaio (o la ricetta e il metodo per
farlo) veniva certamente dalla Persia visto che è chiamata in russo bulat
(dall’iranico pulad ossia acciaio di Puluadi
antico regno caucasico-armeno famoso per le sue fucine). Ha
un’impugnatura con il pomo istoriato e lavorato e talvolta, nel caso
di persona ricca che se lo può permettere, l’elsa è persino
incastonata con pietre preziose. La lama non sempre ha una punta (e
questa è già una bella differenza rispetto alle spade scandinave che
vengono usate nelle saghe infilzandole nel ghiaccio dall’impugnatura
e lanciandosi sulla loro punta per suicidarsi) ed ha lungo
tutta la sua lunghezza un incavo allo scopo di alleggerirne il peso
che in questo modo non supera 1,5 kg e per renderla elastica giacché
deve sempre turbinare libera e tagliente. Con l’introduzione del
Cristianesimo apparirà anche la croce come simbolo della benedizione
eseguita sull’arma e quest’arma resterà il simbolo esclusivo
per il muzh! Riportiamo
qui le parole di J. V. Suharev (37):
«Nel IX - prima
metà del XI secolo il diritto (e la possibilità) di possedere una
buona e preziosa arma (l’autore si riferisce alla spada, ACM) l’avevano
solo quegli uomini che appartenevano allo strato più alto della
società: Gli anziani della druzhina. Fra i giovani, a giudicare dai
reperti degli scavi delle sepolture dei druzhinniki, ancora nel XI secolo della spada disponevano esclusivamente le persone che avevano un
incarico importante e cioè i comandanti di drappelli di giovani, di
otroki, che nel tempo di pace agivano
quali poliziotti dell’ordine oppure dei posti daziari o in altre
funzioni speciali e per questo erano chiamati mec’niki ossia
portatori di spade (naturalmente da restituire al knjaz
alla fine del mandato)». Che cosa succede della spada quando il muzh
muore o è vinto da un altro?
è
facile immaginarlo! Alla fine di uno scontro si raccolgono le armi dei
vinti sapendo che sono degli “esseri quasi viventi” e appartengono
solo ad una sola persona, secondo l’uso slavo orientale. Per questo
motivi chi voglia prendersele per sé dovrà ritualmente pagare il
vecchio padrone! è
da notare che, nell’uso dei nomadi la spada del vinto veniva al
contrario resa inservibile, piegandone la lama, per timore che
autonomamente essa si vendicasse in seguito sull’illegittimo
portatore! Un’altra
arma che vediamo nella figura è l’ascia da guerra che a giudicare
dai reperti archeologici è di tre tipi. La sekira (dal latino securis),
usata nei lavori dei campi e per la forma importata di sicuro dal
sudovest europeo, era usata dai fanti. La seconda è il cekan
usata dai tagliaboschi e forse di origine turca e finalmente il
comunissimo topor dal lungo manico che è quello presente in
figura. Quest’arma è da lancio o da colpo a seconda delle
circostanze e di solito va recuperata al più presto perché è
“personale”. Col Cristianesimo il topor diventò il simbolo
del comando del voivod e in tal caso porta sempre il simbolo
della croce ben visibile sulla lama stessa. Quando il voivod la
innalza significa che ci si muove all’attacco! Al contrario dare la
propria spada a qualcun altro tenendola per la parte della punta
significava aver perso lo scontro e che ci si rimetteva alla clemenza
dell’avversario vincente o si chiedeva di parlamentare. Altre
armi naturalmente erano a disposizione come pugnali e mazze da guerra,
ma soprattutto la lancia (kopjò) ben ritratta nei Codici
miniati Radziwill del XVI secolo. Essa è lunga e serve più che altro a
tenere lontano il nemico restando a cavallo e dunque come arma
“russa” è abbastanza tarda. La sciabola invece è molto rara…
Soltanto dopo la Battaglia di Pian delle Beccacce (Kulikovo Pole,
1380) come simbolo del potere e come arma di rango la spada cedette il
posto alla sciabola, ma solo nella zona del bacino del Volga sotto la
supremazia moscovita, e ciò probabilmente fu dovuto al fatto che la
guerra da queste parti era cambiata e si scendeva in campagna militare
più volentieri a cavallo seguendo le tattiche tataro-mongole. L’armato
russo disponeva di corazze a maglie di ferro che però il muzh
evidentemente disdegnava preferendo affrontare la lotta “a petto
nudo” nel corpo-a-corpo. Solo così poteva mostrare la sua bravura e
arditezza (hrabrost’ i derznost’) e appartenere agli uomini
forti e coraggiosi – muzhestvo – e ciò poteva servirgli
per conseguire la lode e una parte maggiore di bottino e di onori da
parte del suo knjaz. Nel
seguito però il muzh indossò anche lui una cotta di anelli di
ferro (sotto però aveva una maglia di lino per proteggere la pelle
dal calore del metallo) e un elmo, al posto della mozzetta orlata di
ermellino che vediamo in figura. L’elmo, di vari tipi, è
sferico-conico di metallo semplice e lucido con punta superiore
allungata, con speciali lavorazioni per il muzh. Tuttavia è
diverso da quello del knjaz che è dipinto con effigi di santi
protettori (lavoro eseguito in officine non europee). è
difficile poi non immaginarlo con la famosa frusta o knut
sempre fra le mani! L’arco
e le frecce, come abbiamo già detto sono armi da contadini e non del druzhinnik
che non imparerà mai a scoccare frecce mentre è a cavallo come
invece sapevano fare i tatari piantati sulle staffe da loro stessi
inventate! Sul secondo punto delle cerimonie di iniziazione c’è molto poco da
dire. Nel Cantare della Schiera di Igor non ne sono
sottolineate di particolari. Dalle byline sappiamo che i muzhì
(insieme al loro knjaz) però partecipavano a celebrazioni
magiche particolari, ma nelle Cronache queste sono ricordate raramente
e qualcuna solo per nome e basta come ad esempio la triznà,
sicuramente per paura di rinfocolare quei riti pagani. La triznà
si celebrava per la morte di un “collega” importante e consisteva
nel banchetto funebre con probabili canti e tenzoni armate. L’unica
cerimonia – pagana – di cui abbiamo una vera descrizione, sebbene
più sommaria, in occasione della “firma” di un trattato fra Kiev
e Costantinopoli è la rotà. Essa consisteva nel recarsi al
santuario pagano di Perun vicino a Kiev e là i muzhì e il knjaz
con la mano destra sulle armi “abbandonate” giuravano solennemente
il loro impegno a rispettare gli accordi alla presenza del sacerdote,
il volhv. Costui poi dava a ciascuno una foglia di quercia da
tenere sul petto per la durata del giuramento. Il giuramento si
chiudeva con le parole: «…che possa diventare giallo come
l’oro (dall’itterizia) e che possa essere distrutto dalle
mie stesse armi…». Col quel giuramento inoltre si prendeva
l’impegno solenne nei termini tradizionali per la morte davanti a
Dio con molto onore specialmente se si difendeva la vita del capo, del
knjaz o di chi per lui, poiché, in caso di non ottemperanza a
questo dovere, si poteva essere uccisi legittimamente da qualunque dei
compagni… purché il giustiziere impugnasse un’arma
“benedetta”. Ecco un altro tipo di omicidio, legittimo e
consacrato! Successivamente fu introdotto il rito cristiano del bacio
della croce (krestocelovanie) davanti al sacerdote o
vescovo. E
qui rammentiamo una cerimonia abbastanza curiosa ai nostri occhi del
XXI secolo che tiene uniti questi uomini riconfermando il loro patto di
fedeltà. Il banchetto rituale o pir nel quale una serie di
bevute personalmente indette dal knjaz e l’ubriacatura è il
segno indelebile dell’appartenenza al gruppo. I primi tre brindisi
era già fissati e prescritti e la coppa da cui bere era la propria
che andava svuotata senza esitazioni oppure si beveva un sorso dal
“secchio” comune (31). Accusato di bere troppo lo
stesso Vladimiro risponderà infatti che bere dà la carica ai suoi Rus’
(con questo appellativo sarà d’ora in poi chiamata la druzhina
di Kiev, prima di altre) per significare che in questo modo sacro e
rituale si consolidano i legami di dipendenza e di amicizia. La
cerimonia rimase solenne fino oltre il XVI secolo e non escluse
assolutamente la presenza persino del Metropolita! Alla fine di questa indagine abbiamo ricevuto un’impressione piuttosto
insolita del muzh e quando lo abbiamo paragonato al Cavaliere
all’occidentale ci è sembrata una grossa forzatura, ma se
andiamo oltre il Medioevo nella storia russa la figura del cosacco
e del bogatyr’ è quella che prevale come guerriero indomito
e moralmente imitabile e ciò quando ormai l’idea del Cavaliere
in Occidente si è ormai rifugiata nella leggenda e nella realtà non
esiste più. Siccome poi l’apogeo del Cavaliere scorre
durante il periodo compreso fra il X e il XIII secolo d.C., la figura
del muzh è l’unica contemporanea che più gli s’avvicina. Così, esprimendoci attraverso le categorie etiche del nostro tempo e,
con le tante riserve necessarie
soprattutto, tratteggiamo qui di seguito un “immaginario” Cavaliere
medievale russo: 1.
L’iniziazione. La festa del postrig ossia del primo taglio dei capelli è
proprio la festa dell’iniziazione dei giovani nobili alle armi.
Naturalmente il postrig del figlio del knjaz è
descritto molte volte nei documenti e di conseguenza ci doveva essere
una simile festa anche per i ragazzi o figli dei druzhinniki o
cooptati nei modi che abbiamo detto. è l’inizio di una specie di tirocinio (in russo otrocestvo)
quale parte della vita dei giovanissimi rampolli. Ibn Rusté intanto
informa: «Quando nasce un maschietto fra i loro uomini (della
druzhina) il padre sguaina una spada e la porta al bimbo
ponendogliela nelle mani e dicendo: Non ti lascio in eredità alcuna
ricchezza e non possiederai niente altro che quello che riuscirai a
procurarti con questa spada». Dunque i figli entravano a far
parte immediatamente dei druzhinniki, sebbene a quelli del
knjaz fosse riservato un trattamento particolare dato che il
loro destino militare era già segnato e il loro traguardo in questo
caso era alla fine un trono. Come esempio di distinzione possiamo
indicare che per Svjatoslav, figlio di Igor e di Olga, fu scelto il
variago Asmud (in norreno-sved. Asmund) e poi possiamo aggiungere che
non tutti i fratelli del primogenito erano trattati in questo modo né
tutti i figli del kniaz erano sicuri di assicurarsi un
appannaggio (udel) col sistema-carosello che abbiamo visto e
perciò qualcuno era costretto a diventare un fuorilegge o un
mercenario come nel caso di Giovanni Berladnik (37)
abbassandosi al rango di semplice druzhinnik. 2.
L’aspetto. Il viso incorniciato dai lunghi capelli e onorato da barba e baffi gli
danno un superbo e maschio comportamento e lo sguardo fiero “da
lupo”, come qui si usava dire. Per quanto riguarda i capelli,
abbiamo qualche incertezza poiché è probabile che il muzh non
portasse una folta capigliatura, ma un ciuffo che spiccava al centro
del cranio accuratamente rasato. è così che ci viene descritto da Leone Diacono Svjatoslav
nell’incontro con Giovanni Zimisce. A parte ciò al muzh,
uomo solitamente spavaldo verso chiunque non sia della sua cerchia,
basta un’offesa minima per incendiarlo e indurlo ad un combattimento
all’ultimo sangue che di solito finisce con la morte
dell’avversario. I muzhì infatti sono gli unici che
circolano sempre armati di topor (o con vezzeggiativo toporik),
la micidiale ascia da guerra già menzionata che lanciano o usano
senza mai fallire il bersaglio, sebbene ora col battesimo debbano
contenersi non potendo più uccidere chiunque, ma soltanto chi non
è cristiano come loro. 3.
Condotta militare. Non discute gli ordini del knjaz ed è sempre pronto ad
eseguirli senza alcuna osservazione, costi quel costi, anche la stessa
vita. Con il Cristianesimo addirittura ogni sua azione è benedetta,
quando benedette sono le armi che ha addosso, ma mai come il knjaz
che si muove solo perché le sue azioni sono guidate dal dio
cristiano. Un ruolo al quale aspira negli scontri è quello di tenere
alto e diritto nella mano lo stjag (lo stendardo del principe
di solito istoriato e abbellito con icone del Cristo o della Vergine)
oppure quello di reggere a piedi le briglie del cavallo del knjaz.
Il muzh è l’unico che può possedere un paio di cavalli e
usarli senza tema di offendere il suo knjaz perché ha già un
comportamento ben fissato nella sua funzione e sa tenersi entro i
limiti impostigli. Se nei primi secoli tornare dalla battaglia, sia
persa o vinta, è motivo di celebrare e far festa per essere tornati
vivi o eroi morti, col Cristianesimo soltanto la vittoria sul nemico
può essere festeggiata, giacché significa che Dio ha punito i
perdenti per i loro troppi peccati e lascia che chi ha fatto giustizia
trionfi. Il muzh si vanta di essere capace di bere e di
mangiare oltre qualsiasi misura e dunque disdegna una tavola che non
offra una tale quantità di cibo e di bevande che non lo soddisfino,
come quella di un semplice contadino. Probabilmente adopera sostanze
stupefacenti o che leniscono il dolore come la comune canapa di cui
inala i fumi oppure gli infusi di Amanita muscaria. A lui è
riservata una birra speciale molto alcolica quando è il caso di
prepararsi alla lotta. Rispetta però il digiuno prescritto dalla
chiesa, salvo che in guerra! è notevole infatti che, al contrario che in Occidente, nelle Terre Russe
non è previsto alcun armistizio per le feste comandate (domeniche,
Pasqua etc.) e dunque il muzh combatte, “senza peccato”,
finché le forze glielo permettono. Nel Cantare della Schiera di
Igor l’eroe, Igor figlio di Svjatoslav, si mette in cammino
proprio al martedì santo, il 23 aprile del 1186. Addirittura quando
si festeggiava san Giorgio! Non ha problemi dove dormire o dove meglio
accomodarsi, né ha grandi pretese quando è in campagna, ma al
momento del saccheggio sa ben riconoscere ciò che vale da ciò che
non vale e arraffare per metter nel mucchio comune che poi il knjaz
dividerà. 4.
Il rapporto con le donne. Per quanto riguarda il rapporto fra i muzhì e le donne, dai
documenti riusciamo a capire che una donna non può né deve sottrarsi
all’accoppiamento con lui, quasi sia una ierogamia, ma l’amore non
è permesso sempre e comunque: Esso è debolezza perché significa
sottomettersi alla donna e ciò è scandaloso. Non dovremmo quindi
vederlo frequentare taverne e bagni pubblici a Kiev (o peggio che mai
a Novgorod). Possiamo immaginarlo condurre quasi una vita monacale, se
non fosse per le frequenti campagne militari impostegli dal suo ruolo
in cui talvolta deve sopraffare le donne, se sono le donne del nemico,
e difendere quelle della propria gente. Certo! Alla fine della
battaglia vittoriosa un’orgia non è peccato, ma deve sapere di
peccare, se non è moderato. In seguito si sposerà, ma solo con colei
che il knjaz gli ha indicato e i figli saranno presentati al knjaz
prima che a qualcun altro affinché siano accolti nella druzhina!
Non vive per accumulare ricchezza, ma gli piace pavoneggiarsi nella
sua uniforme davanti alle donne, sempre attento ai sortilegi che da
queste possono venire. Come abbiamo detto nella Rus’ di Kiev
la poesia o la lirica esaltante l’amor cortese non esisteva, perché
la donna veniva sempre tenuta da parte nella società russa
patriarcale, ma questo non significa che la donna non avesse un ruolo
importante nella vita del muzh. Nella letteratura russa antica
è esaltato il dolore e la lamentazione lirica dell’amata sul muzh
che non è più tornato e tuttavia, lo ripetiamo, la donna resta un
essere misterioso e fondamentalmente pericoloso. Contro di lei il muzh
perciò si fornisce di amuleti e croci per evitare il malocchio o
l’amore non voluto e, addirittura, il muzh si astiene da
contatti sessuali prima di ogni campagna (28). 5.
Il vestito. Nell’illustrazione lo vediamo imbacuccato in una divisa invernale,
ma, come abbiamo già detto, ciò è abbastanza logico poiché le
campagne militari si fanno d’inverno. Al nord, perché la coltre di
ghiaccio forma della ampie radure sui numerosi laghi ed è abbastanza
spessa per accogliere fanti e cavalli poco pesanti e, al sud, perché
i nomadi sono più attaccabili quando svernano e si concentrano in
certi luoghi ben noti che non alla bella stagione quando invece si
spostano continuamente da un posto all’altro. Però quando non è in
campagna militare al muzh piacciono i bei vestiti e di solito
indossa tre capi di vestiario in particolare: il cappello, la cintura
e le scarpe. Della cintura abbiamo già detto, mentre il cappello o sciapka
che vediamo in figura, non molto diversa da quella indossata dal knjaz
che certamente è ornata da pelli molto più pregiate, è diversa da
quella portata dai mercanti-bojari novgorodesi (un’alta tiara di
pelliccia pregiata molto alta). Alla sciapka si attribuisce la
virtù magica di rendere invisibile chi lo porta, ancora al tempo del
Cristianesimo. Quanto alle scarpe, ostentavano stivaletti a punta in
finissima pelle vaccina conciata a Cordova o a Baghdad mentre i rozzi laptì
di scorza di tiglio toccavano al contadino dell’opolcenie. 6.
Gli ideali. Prima di altri aspira ad emulare san Michele Arcangelo, suo protettore
e vincitore del demonio, ma poi persino san Giorgio che uccide il
drago. Anche Alessandro Nevskii, dopo la morte, è un ideale da
imitare. E la pietà? E la misericordia verso vedove e poveri? Dalle
Cronache sappiamo che san Vladimiro, subito dopo aver preso il
battesimo (988) portava da mangiare casa per casa a Kiev ai poveri e
riceveva chiunque avesse guai e lamentele per cercare di aiutare.
Sicuramente in queste mansioni era aiutato dai suoi muzhì,
sebbene poi non possiamo dire quanto peso ebbero queste esternazioni
di un santo knjaz nelle abitudini di comportamento personale
della druzhina nei secoli successivi. Comunque la morale del muzh
è tutta improntato sulla vergogna, più che sulla ricerca di gloria o
nasata su un onore personale che già esisteva per il fatto di essere
nella druzhina del knjaz. Un muzh era considerato
un traditore e quindi si copriva di vergogna, solo se, ritirandosi dal
servizio attivo, offrisse i suoi servigi ad uno straniero e, peggio
ancora, ad un non cristiano! 7. La morte. E che cosa avveniva alla morte di un muzh? Dalle Cronache della Battaglia di Pian delle Beccacce apprendiamo che i cadaveri dei guerrieri cristiani e russi furono raccolti e ricomposti. Portati fino a Mosca poi, furono esposti al pianto dei parenti sulla Piazza del Mercato (la Piazza Rossa) in file secondo il rango. Il knjaz Demetrio pagò un indennizzo ai famigliari di ciascuno caduto in relazione al grado sociale di ciascuno. Non abbiamo notizia però di sepolture particolari per il muzh, salvo per quello che ad una certa età decide di chiudersi per sempre in convento e che perciò sarà sepolto insieme con gli altri monaci. Sappiamo però che essi facevano donazioni alle chiese dove poi avrebbero voluto essere sepolti, purché la chiesa o il convento non appartenesse al principe. Riportiamo però dalla Zadonsc’cina ossia la raccolta dei componimenti scritti dopo la Battaglia di Pian delle Beccacce un brano del cosiddetto Pianto delle Vedove di fronte ai composti cadaveri dei propri mariti muzhì nella Piazza di Mosca nel 1380. «…Gli uccelli avevano intonato lamentosi canti e tutte le vedove si sciolsero in pianto, sia le principesse sia le spose dei bojari sia quelle dei generali morti in battaglia. Maria Dimitrevna, moglie di Nicola figlio di Basilio piangeva al mattino lungo le rive della Moscova, sotto le bianche mura, dicendo con voce cantilenata: O Don, o Don Fiume rapido Tu che hai varcato le pietrose montagne e sei passato nella Terra dei Polovzi, riportami il corpo del mio signore, Nicola di Basilio, e Teodosia moglie di Timoteo Volujevic’ anche piangeva dicendo: Non c’è più gioia per me quando vago nella gloriosa città di Mosca perché so che non incontrerò più il mio signore e Maria moglie di Andrea e Xenia moglie di Michele piangevano quel mattino dicendo: Ormai per noi due il sole si è oscurato nella città di Mosca. Dal rapido Don sono arrivate brucianti notizie, di grandi sventure. I valorosi guerrieri russi sui loro cavalli sono morti sul campo del sacrificio, sul Pian delle Beccacce…» (66). 8. Alcuni nomi famosi. Di solito nelle Cronache i nobili, i bojari prima degli altri, sono chiamati con il nome di battesimo seguito da figlio di… e il nome del proprio padre; del knjaz si dà il nome (eventualmente seguito dal nome del padre per distinguerlo da un omonimo come Alessandro figlio di Jaroslav detto Nevskii), ma per il muzh? Non sappiamo come ci si rivolgesse a lui e non riusciamo a distinguerlo con sicurezza nei documenti. Comunque sia, ecco alcuni nomi di personaggi coinvolti in eventi storici che hanno lasciato qualche segno e che, a quanto pare, furono degli importanti muzhì: Svèneld, Prètic’, Vysciàta, Blud, Nikìfor, Mikùlja, Ciùdin, come pure lo zio di san Vladimiro Dobrynija o l’amante omosessuale di san Boris, Giorgio l’Ungherese. |
©2007 Aldo C. Marturano, da Alla ricerca dei cavalieri russi, di Aldo C. Marturano.