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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 19/1 |
Prima parte
Il
22 gennaio 1440 un pio vecchio chiaroveggente, conosciutissimo a Novgorod, di
nome Misaele o Michele Klopskii si mise a suonare la Campana della Vece. Aveva un’urgente notizia da comunicare. Alla
gente convenuta e a Monsignor Eutimio II, anche lui accorso in grande allarme,
racconta il vegliardo che ha avuto una visione quella stessa mattina
nella quale ha visto che: «Oggi
è un giorno di felicità per il principe di Mosca: Il Signore gli ha regalato
un bel maschietto che gli succederà sul trono. Io lo vedo questo bimbo che sarà
chiamato Gran Principe. Lo stesso priore Zenobio del Convento della Trinità lo
battezzerà e gli darà il nome di Giovanni! Gloria a Mosca! Giovanni vincerà
uomini e paesi. Sventura per Novgorod! Cadremo ai piedi di Giovanni e non ci
rialzeremo più!». Non
sappiamo che effetto facesse quest’annuncio su Eutimio e, benché le Cronache
dicano che la previsione fu veramente un miracolo divino, non possiamo immaginare
che Monsignore prendesse qualche misura particolare, visto che l’avvenimento
dalle parole del veggente era ancora lontano negli anni e tutto da verificare. Nel
1453 una ferale notizia scuote tutta l’Europa cristiana e specialmente la
Terra Russa: Costantinopoli è caduta! Maometto II, infedele turco e musulmano,
è entrato in città e si è insediato in Santa Sofia che è stata subito
trasformata in moschea mentre l’imperatore Costantino XI Paleòlogo è stato
trovato cadavere! L’Impero Romano non esiste più! Dunque,
a quel che sembra si preparavano brutte vicende per Novgorod e per tutta la
Cristianità. Abbiamo
accennato ai
numerosi tentativi
di portare nell’orbita e nell’influenza
politica moscovite i novgorodesi ed è in questa ottica che si forma e si cerca
di sostenere un partito pro-Mosca, attraverso sovvenzioni regolari, sia tramite
i bojari “amici” sia tramite il namestnik. In questi anni tuttavia,
mancando i soldi di Mosca, si è rafforzato logicamente il partito “lituano”
dell’opposizione e Novgorod accetta sempre più volentieri accordi e legami
con Vilnius. Nel
1449 infatti un accordo con Casimiro Jagellone c’è stato, il famoso Grande
Atto di Divisione fra Mosca e Vilnius delle Terre Russe, dove si proclama
che Basilio II e Casimiro vivranno in pace, e saranno sempre l’uno con
l’altro! Mosca solennemente promette che non entrerà mai nei territori
lituani come anche Vilnius rinuncia a qualsiasi pretesa su Pskov e Novgorod. Ora
però gli anni sono passati e le cose sono cambiate e Basilio è di nuovo in
auge e vuole, non solo vendicarsi di Scemiak, ma anche ricostruirsi una dignità
personale e ristabilire il potere che Mosca stava cominciando a perdere da
qualche tempo sui territori della Bassa. Dicono
le
Cronache
che in Basilio rinacque l’odio verso Novgorod e per questo motivo
mandò alla città una lettera di biasimo per aver da sempre accolto tutti i
nemici di Mosca. La missiva significava naturalmente una sola cosa: mi preparo
ad attaccarvi militarmente, se non mi fate le vostre scuse e mi pagate la tassa
nera! è
il 1456! Già verso febbraio l’armata raccolta da Mosca si muove verso Mercato
Nuovo che, come al solito, viene subito occupata. Basilio poi manda
l’avanguardia verso Russa con un ordine ben preciso: raccogliete qualsiasi
cosa di valore e mandatela a sud! Mosca ha bisogno di tanti soldi… I
novgorodesi avevano una propria armata specializzata: la Cavalleria, e quando
apparivano questi terribili uomini in sella, di solito vincevano su qualunque
avversario. Dunque quella volta, mentre i due generali moscoviti sono occupati a
Russa a saccheggiare (anche dalle proprietà dirette della Chiesa), ecco che
appaiono ben 5000 cavalleggeri al comando del namestnik di Suzdal.
Purtroppo i cavalli non potevano facilmente muoversi, data la posizione occupata
dai moscoviti fra mucchi di neve e
fiumiciattoli gelati in superficie ma pericolosi da attraversare, e
quindi procedevano con fatica contro il nemico. In più, siccome i moscoviti con
i loro archi avevano avuto l’ordine di risparmiare le frecce e quindi sparare
ai cavalli invece che ai cavalieri, ne venne fuori una tal confusione fra le
cavalcature ferite che i novgorodesi disarcionati furono completamente sbandati!
Molti bojari che appunto erano il nerbo maggiore della cavalleria, caddero così
prigionieri. Fra di essi c’era Michele Tucia, il posadnik in carica! Il
namestnik invece riuscì a tornare in città e raccontò tutto
l’accaduto alla Vece che rimase in seduta tutta la notte finché non si
decise di mandare dei corrieri a Pskov per chiedere aiuto. La
città sorella non indugiò e mandò un suo contingente, ma questo naturalmente
non arrivò in tempo viste le condizioni della strada lungo la riva sinistra
della Scelon’ in pieno inverno. I
novgorodesi ricorsero allora alle trattative. Fu messa insieme una grandiosa
ambasciata, a capo della quale fu posto Monsignor Eutimio, e mandata in
direzione di Mercato Nuovo. Basilio era ormai giunto ad un centinaio di verste
dalla città e si era fermato nel villaggio di Jazhelbizi e in quei giorni stava
riflettendo su come continuare la campagna. Battere Novgorod nelle condizioni in
cui si trovavano sia Basilio sia la grande città del nord, significava perdere
molti uomini e molti mezzi e rischiare di non trovare più niente da portar via
come bottino di guerra. Insomma, quando Monsignore apparve con la sua
ambasciata, Basilio era già pronto a trattare. Ed
anche stavolta a Novgorod costò caro: 8500 rubli d’argento! E questo sarebbe
stato poco, se non si aggiunge che furono imposte alcune limitazioni agli usi e
alle prerogative della Vece della città, sotto il controllo ispettivo di
un funzionario moscovita. D’ora
in poi i giudizi emessi dal namestnik (di Mosca, naturalmente!) non
dovevano più essere riconfermati dal posadnik. Inoltre coloro che Mosca
cacciava non potevano più essere accolti dai novgorodesi come era accaduto
finora (compreso il namestnik di Suzdal) e infine, dulcis in fundo!,
che Novgorod pagasse la tassa nera (certamente non ora, ma non appena
Mosca ne avesse avuto bisogno) senza troppe chiacchiere! E
le lamentele dei novgorodesi sugli sconfinamenti e sui sequestri di alcuni
territori di confine? Di questo non si parlò in dettaglio, sebbene si
dichiarasse in generale che ogni villaggio conquistato dai moscoviti dovesse
essere restituito al più presto al suo Quinto! Alla fine, come sappiamo dalla
storia seguente, i territori ex novgorodesi di Bezhezk, Volok Lamskii ed altri
rimasero per sempre in mano moscovita. Insomma
questo accordo fu una cocente sconfitta per la libertà di cui la repubblica
aveva goduto finora e segnò molti punti a favore del partito che si batteva
contro Mosca. Basilio
però dopo il suo accecamento è molto cambiato, ha paura di morire. è
diventato sospettoso e cerca di capire quel che avviene intorno a lui attraverso
i rumori, i sospiri e i toni del parlare perchè non ha più fiducia in nessuno
di coloro che gli stanno intorno. Cerca di usare gli occhi di suo figlio
Giovanni Timoteo per riuscire a capire se qualcuno stia tramando ai suoi danni.
Sembra che a causa di questo star sempre a raccontare chinato sull’orecchio di
suo padre, Giovanni fosse soprannominato il Gobbo (gorbàtyi)! Da
questo nuovo modo di comportarsi del Gran Principe si accresce un certo odio da
parte dei parenti che subiranno da lui continue ingiustizie. Se
si pensa alla vicenda del suo omonimo Basilio Borovskii che fu tenuto da lui in
prigione per lunghissimi anni benché lo avesse aiutato a riconquistare il trono
di Mosca e gli avesse ceduto città e villaggi ereditati legittimamente, si può
avere un’idea delle tensioni che attraversavano non solo la corte
moscovita, ma forse tutta la regione. Il figlio di questo Basilio
Borovskii riuscirà a fuggire con la sua matrigna, rifugiandosi in Lituania.
Qui raccoglierà intorno a sé un gruppo di scontenti e di oppressi da Basilio
l’Oscurato fra cui c’è persino, Giovanni di Mozhaisk, un nipote di
Vladimiro di Serpuhov che era stato un amico fedelissimo di Demetrio del Don. Per
farla breve viene ordita una congiura non tanto per sbarazzarsi di Basilio per
sempre, quanto invece per riuscire a liberare Borovskii dalla prigione di
Uglic’. Per sfortuna dei congiurati, questi furono scoperti e vennero
condannati alla tortura e alla morte per taglio della testa. Le
Cronache
dicono che questa esecuzione fu un evento, il più terribile, per il
santissimo Giorno del Gran Digiuno ossia per l’ultima domenica di Quaresima, e
non possiamo che credere. Facilmente ci immaginiamo la scena di questo sovrano
che presiede alle torture, cieco e accecato dalla paura di essere sopraffatto da
un nemico sempre in agguato. Non vede nulla certamente, ma ode gridi e lamenti
indicibili, ed infine tira un sospiro di sollievo quando il tonfo sordo
dell’ascia fa cadere la testa al condannato ormai stremato dalle torture
subite. E al suo fianco vediamo imperterrito, perché così occorre mostrarsi
alla gente, Giovanni Timoteo, il suo giovane figlio. In
realtà, come giustamente pensa Kostomarov, il cambiamento della politica di
Basilio è anche dovuto all’emergere, a causa della sua cecità, di personaggi
e di bojari di corte che lo consigliano e gli suggeriscono decisioni e dei quali
è costretto a fidarsi anche senza volerlo. Fra questi ricordiamo Morozov,
Patrikejev e il generale Basjonok o il freddo Strigà-Oboljenskii che
incontreremo in seguito. Giovanni
però è l’unico fidatissimo confidente del padre ed è stato nominato già
Gran Principe di Mosca in modo che non ci siano problemi nella successione e per
questo accompagna Basilio quasi sempre, come un’ombra. Giovanni
(a 12 anni!) ha sposato Maria la figlia del Principe di Tver, Boris, secondo la
promessa fatta dal padre quando si era rifugiato presso questo cugino, se costui
lo avesse aiutato a riprendersi il trono, benchè allora Giovanni non avesse che
7 anni e la sua attuale sposa fosse ancora più piccolina. Boris
morirà nel 1461, ma avrà fatto in tempo a vedere la nascita del primo figlio
di Giovanni e Maria: un altro Giovanni (IV) che diventerà famoso in altri tempi
per i suoi comportamenti e le sue drastiche decisioni con il soprannome de Il
Terribile (Ivàn Groznyi). Nel
1460 Basilio, sempre con il suo solito atteggiamento indicibilmente malfidente,
decide di confermare la sua sovranità nella città di Novgorod allestendo lo
spettacolo della sua visita. Naturalmente Giovanni il Gobbo rimane a Mosca per
proteggere il proprio figlio nato da poco e per tenere un occhio attento sugli
affari di Stato e sugli altri due fratelli Boris e Andrea Secondo. A
Novgorod accompagnano Basilio altri figli, Giorgio ed Andrea Primo. Siamo in
pieno inverno ed è stato scelto questo periodo proprio perché si sa che è il
più calmo. I fiumi sono gelati, il tempo è freddo e non si intraprendono
campagne militari di questa stagione. Non
è una cosa semplice per i novgorodesi accogliere Basilio in pace. Abbiamo
già detto che il partito lituano è diventato molto forte e perciò è pronto
anche all’impresa estrema di sbarazzarsi dei principi moscoviti. Basilio ha
annunciato all’Arcivescovo che viene qui al nord per pregare, per prostrarsi
davanti a certe sante icone che ormai non potrà più ammirare, ma in realtà, e
noi lo sappiamo, è venuto per sentire che vento tira da queste parti e,
soprattutto, per rendersi conto se è già possibile riscuotere qualche grossa
somma di denaro. I
“lituani” invece si consigliano fra di loro e decidono di ucciderlo. Prima
però informano Monsignore perché anche Santa Sofia ha delle vecchie pendenze,
specialmente con il figlio Giovanni. Eutimio
II è morto qualche mese prima ed è stato compianto come uno dei più stimati
arcivescovi della città. Era succeduto al suo omonimo soprannominato il Barbuto
e abbiamo accennato brevemente alla sua attività di riordinatore delle Cronache
nei capitoli precedenti. La
sorte ora ha scelto Giona, quale suo successore, che è una persona molto
realista e le parole che sono riportate dalle Cronache quando dissuade i
congiurati ce lo dicono molto chiaramente: «O
pazzi figli miei! Se ucciderete il Gran Principe che avrete ottenuto? Avrete
raccolto solo ulteriori guai per la nostra città perché suo figlio maggiore è
ancora vivo e pronto a vendicarsi e che cosa ci vuole a farsi dare un esercito
dal khan, suo amico, e marciare contro di noi per devastare tutte le nostre
terre?» Basilio
intanto è arrivato alla Cittadella, dove risiederà durante il soggiorno, ed ha
portato con sé persino l’odiato (dai novgorodesi!) vincitore sulla Scelon’,
Teodoro Basjonok. La
compagnia principesca rimarrà a Novgorod fino alla primavera e durante questo
tempo lo stesso Basjonok subirà un attentato, benchè non mortale! In
quel periodo Pskov chiederà a Basilio di confermare il loro attuale namestnik,
il lituano Alessandro, e accompagnerà la richiesta con 50 rubli per le spese di
nomina. Basilio acconsente, ma è il lituano a rifiutare tale nomina e allora
Pskov chiede di destinare alla città Giorgio, il figlio di Basilio, quale namestnik,
e il giovane giura sulla spada di Daumantas fedeltà a Pskov. La
città ha certi conti da chiudere con Dorpat (Tartu) e così Giorgio viene messo
a capo di una campagna contro la città tedesca vicina. Per fortuna non c’è
scontro perché il Vescovo di Dorpat e i notabili chiedono la pace. Costoro
vengono invitati a Novgorod per firmare il protocollo sotto gli occhi (si fa per
dire) di Basilio e con il pagamento di 100 rubli per il costo del sigillo. Giorgio
non rimane a Pskov, ma ritornerà a Mosca con suo padre. Basilio
comincia a sentirsi sempre peggio fisicamente, ha frequenti svenimenti e dolori
in tutto il corpo e per lenirli adopera i metodi magici più strani,
suggeritigli dai suoi amici kipciaki. Si fa arroventare la pirite che poi pone
sulla pelle nuda coprendosi di piaghe che s’infettano e alla fine, per
setticemia diffusa, sentendo la morte vicina chiede di entrare in convento. Gli
tolgono naturalmente le facoltà decisionali che passano a suo figlio, già
nominato Gran Principe come sappiamo, e gli lasciano scrivere il testamento che,
come era da aspettarsi, è il prodotto di una persona che ormai non sa più quel
dice. Nel testamento, dopo aver distribuito le varie città e i villaggi ai suoi
figli e le proprietà di Sofia, sua madre morta già nel ’53, affida sua
moglie e i figli a… Casimiro Jagellone! Non sappiamo che significato abbia
questa disposizione testamentaria, ma il fatto che il documento sia firmato dal
Metropolita Teodosio, succeduto a Giona, ne conferma l’autenticità! Non
è qui la sede per dare un giudizio critico su quest’uomo perseguitato dalla
sorte e dalla sua improntitudine e diciamo soltanto che il 5 marzo del 1462 morì. è
bene a questo punto abituarsi da subito alla durezza di Giovanni, suo figlio e
successore, e a questo scopo riportiamo il giudizio dello storico Kostomarov che
ci è sembrato il più attinente. Giovanni
ha evidentemente capito che se vuole disfare il tessuto di influenze
politico-economiche delle Terre di Novgorod deve cominciare dalle “colonie”,
soprattutto da Pskov. L’occasione giunge quando quest’ultima città, non
contenta del namestnik mandato da Mosca, rimandano costui a casa e fanno
richiesta di sostituirlo. Quando
gli ambasciatori di Pskov gli si presentarono, Giovanni non li ricevette per tre
giorni, il tempo di far sbollire la sua ira per questo atto offensivo verso un
suo uomo e riflettere sulle misure da prendere! Finalmente ipocritamente ammise
che se Pskov voleva un altro namestnik che lo indicassero e l’avrebbe
concesso. Tutta questa messa in scena in sé era una dimostrazione che Giovanni
non era stato costretto a ritornare sulle sue decisioni, bensì aveva concesso
per magnanimità! Questo
modo di fare di Pskov favorì un’ulteriore evoluzione dell’ostilità latente
fra questa città e Novgorod che risaliva alla vecchia richiesta di avere un
proprio arcivescovo indipendente. Già
dopo l’”accordo” con Monsignor Basilio il clero di Pskov aveva creato
delle nuove strutture per la gestione sia “delle anime” sia delle proprietà
ecclesiastiche. Il rappresentante dell’Arcivescovo già ora era un prete di
Pskov e non più mandato da Novgorod. Tutto il clero poi si era raggruppato in
congregazioni liturgiche che facevano capo ad una chiesa sinodale nella quale si
svolgevano le funzioni quotidianamente, tenute solo da parte dei preti membri e
queste chiese erano diventate già quattro, a partire dalla cattedrale della
Santissima Trinità. L’amministrazione dei beni ecclesiastici invece era stata
affidata a personale laico e non più al dispensiere (kljuc’nik) della
cattedrale e tutto questo era stato sancito dalla Vece locale, con tanto
di firma del posadnik. L’ultimo passo da compiere era la nomina di un
vescovo o arcivescovo locale. Quando
questa richiesta fu rivolta anche a Giovanni, questi si trovò davanti ad un
dilemma: se favoriva Pskov e lasciava che il Metropolita nominasse un vescovo
separato da Novgorod, ciò avrebbe inimicato la Chiesa di Novgorod e l’avrebbe
spinta al gesto estremo di operare uno scisma legandosi o al Metropolita “lituano”
di Kiev o ricorrendo all’autocefalia. Se invece rifiutava a Pskov la
concessione, avrebbe avuto contro quella città e il suo piano di indebolire e
sfaldare il dominio novgorodese sarebbe fallito. Il
Metropolita trovò una soluzione intermedia: nominò un Archimandrita (una
figura gerarchica intermedia) per la Chiesa di Pskov che rispondesse solo a lui,
senza che costui in realtà avesse poteri effettivi
e contrari di fronte all’Arcivescovo novgorodese, e, quando Novgorod
chiese a Giovanni di mandare delle truppe per riportare Pskov alla ragione verso
il suo Monsignore, il principe rispose evasivamente. Dunque
le tensioni che si stavano accumulando erano sempre più numerose e
circostanziate. Nel 1467 scoppia di nuovo la peste… Cominciò
naturalmente ad imperversare da Riga a Pskov, spopolò Novgorod e poi toccò a
Tver e a
Mosca e questa volta fu così micidiale che si cominciò a parlare della “fine
del mondo”. Questa
è una questione curiosa che aveva cominciato a circolare negli ambienti
russo-orotodossi da qualche decennio, già a cominciare dal tempo degli
Strigòlniki. Infatti nella Chiesa Ortodossa erano state composte secondo la
tradizione le tabelle che calcolavano le date della Pasqua nei cosiddetti Paschalia
e questi calcoli, sicuramente per ragioni pratiche, terminavano nell’anno 7000
dalla Creazione del Mondo secondo il computo ortodosso, anno che, secondo invece
il computo della Chiesa Latina, corrispondeva al 1492
d.C. (dopo la nascita di Cristo)!! Quindi un anno molto prossimo… Rifacendosi
alle scritture e all’Apocalisse di San Giovanni, si ricordava che prima del
grande giorno del Giudizio Finale ci sarebbero stati dei segni nel cielo e sulla
terra e che chi li avesse riconosciuti e fosse ricorso quindi al pentimento per
i propri peccati, avrebbe poi goduto del perdono del Signore e sarebbe stato
mandato in Paradiso. Sarebbe apparso sulla Terra l’Anticristo… Quasi
a comprovare questo sentimento di paura della fine si erano viste comete e c’erano
stati terremoti (evento abbastanza raro nella Pianura Russa), inondazioni ed
incendi. Sul lago Niero di Rostov, addirittura, c’era stata la tenebra per ben
tre giorni e poi si era sentito uno strano boato prima che tornasse a splendere
il sole! E
dunque questa peste era un altro inconfondibile segno che il Giudizio Finale era
vicino e che l’Anticristo potesse essere proprio Giovanni… A
Mosca per questi motivi successe di tutto. I preti abbandonavano il loro
comportamento pio e si davano al divertimento più sfrenato. I laici costruivano
una chiesa dopo l’altra per comprarsi un posticino in Paradiso o salvarsi
attraverso la preghiera dalla morte sicura. Insomma ci fu una tremenda
confusione. Il
Metropolita Teodosio, da santo uomo che era, decise di abbandonare il suo
incarico e si dedicò a rimettere ordine e fiducia visitando monasteri e chiese.
Dopodichè si rinchiuse in una cella del Monastero dei Miracoli dove visse agli
ultimi anni della sua vita… servendo un lebbroso! Giovanni
III a questo punto radunò il Sinodo e fu scelto il nuovo Capo della Chiesa:
Filippo… Proprio
in quegli anni la sposa di Giovanni, Maria, morì, ma tutti dissero che era
stata avvelenata! è vero che
questa morte provvidenziale dette la possibilità a Giovanni di risposarsi… e
diventare Imperatore Romano, ma chi uccise Maria, il veleno o la peste? Ad
ogni buon conto questa morte fu vista da un certo italiano Giambattista Volpe,
monetario di Giovanni III, come l’occasione buona per crearsi una nobiltà
personale e vivere a corte da gran signore, visto che aveva già abbracciato la
fede ortodossa. Così attraverso i suoi contatti fece sapere al papa Paolo II
della vedovanza del principe moscovita e dell’intenzione (inventata dal
monetario!) del principe russo di cercare una nuova sposa in qualche famiglia
reale dell’Occidente, ad esempio con la nipote del defunto ultimo imperatore
di Costantinopoli, Zoe (nelle Cronache
Russe
chiamata anche Zinaida) Paleòlogo e di esser pronto ad unirsi alla Chiesa
Latina. A
Roma si colse subito la palla al balzo pensando alla riunione, fallita fino a
quel momento, con la Metropolia di Mosca e che con questo matrimonio, magari, si
poteva rimettere in discussione. Nel 1469 perciò il Cardinale Bessarione di
Nicea mandò alla corte moscovita una lettera da parte del papa. La lettera fu
consegnata da un greco di nome Giorgio, da Carlo, fratello del monetario
italiano, e da un loro cugino, Antonio. Queste persone in udienza dal Principe
spiegarono che a Roma viveva, quale pupilla dello stesso cardinale, la figlia di
Tommaso Paleòlogo di Mistrà, fratello del defunto imperatore, in età da
marito e che il papa gli proponeva come sposa. La ragazza aveva rifiutato già
dei pretendenti fra i quali, pensate un po’, il re di Francia e poi persino il
duca di Milano, perché cattolici romani! Giovanni
riflette, si consiglia con il Metropolita e finalmente incarica il coniatore di
monete, Giovanni l’Italiano, di andare a Roma e di controllare la buona salute
e l’aspetto fisico di Zoe, prima di dare una risposta positiva a contrarre
matrimonio con lei. Vorremmo
che il lettore concentrasse un momento la sua attenzione su questa mossa
politica russa. Infatti avendo ormai capito l’indole di quest’uomo, possiamo
tranquillamente pensare che Giovanni abbia acconsentito, malgrado l’odio
diffuso verso il papato di Roma, a prendere in considerazione questo matrimonio
per dei fini molto precisi: sposando Zoe Paleòlogo, Giovanni si imparenterebbe
con la più importante famiglia regnante (in realtà ex regnante) d’Europa,
quella dell’Imperatore Romano! Le conseguenze di tale evento sono moltissime e
vedremo come Giovanni le piloterà per portare se stesso e la sua dinastia ad un
gradino di potere spirituale e culturale, oltre che politico, molto più alto di
qualsiasi altro sovrano del suo tempo. Non
ci fermeremo qui a seguire Giovanni nelle sue campagne per contenere l’esuberanza
militare dei Tatari di Kazan’ contro i territori moscoviti e torneremo invece
ai rapporti con Novgorod (mentre si attende l’esito dell’ambasceria
moscovita a Roma). Ricorderemo
che con Basilio II Novgorod aveva stipulato un accordo in cui Mercato Nuovo
ritornava sotto la sovranità novgorodese e che gli altri territori, ancora
occupati da Mosca, sarebbero stati reintegrati nei Quinti rispettivi.
Ricorderemo anche che quest’ultima parte dell’accordo alla fine non era
stata rispettata e così Novgorod, basandosi sulla tradizione, cominciò a
sequestrare carichi e tasse raccolte in nome di Mosca dai funzionari di
Giovanni, a disprezzare con parole e con fatti i funzionari stessi, tentando con
tutti i mezzi di mettere Mosca in cattiva luce per liberarsi della sua presenza
in quelle terre, in qualche modo. Giovanni,
come al solito, attese che la faccenda si estremizzasse prima di intervenire con
delle mosse definitive e così, quando a Mosca si presentò il posadnik
in carica, Basilio figlio di Anania, per affari di stato, Giovanni non lo ricevé
nemmeno, benchè questo insistesse a dire ai bojari di corte che non sapeva
nulla di che cosa si potesse lamentare il Gran Principe e che la Vece
non gli aveva dato alcuna istruzione a riguardo. Giovanni
gli disse di riferire ai suoi concittadini che se non avessero riconosciuto
le loro colpe, non sarebbero mai
stati giustificati da lui per quello che avevano fatto mettendo piede
nelle sue terre e sulle sue acque ed inoltre che il nome del Principe di Mosca
doveva essere trattato con deferenza e con serietà e che si dovevano rispettare
le promesse fatte baciando la croce a suo tempo, pena la perdita di qualsiasi
protezione da parte di Mosca in qualunque caso! Disse anche che «La
pazienza ha un limite e che la mia è già finita!». Erano quelle parole foriere di guai…
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Estratto
dal libro
©2005 Aldo C. Marturano