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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 18/2 |
Siamo
ormai nel XIII secolo quando si stabilizza la situazione baltica. A
Novgorod ormai si è formata una società borghese ben stratificata e molto
particolare che già da qualche secolo collabora con gli stranieri, specialmente
tedeschi (frisoni) che vengono d’oltremare. Prima di vedere a quali traguardi
questa evoluzione portò l’intera città, dobbiamo chiederci come e quando
Novgorod si emancipa dalla servitù di Kiev, e in seguito potremo esaminare la
sua azione politica quando si barcamenerà fra le diverse potenze politiche che
man mano sorgeranno nella Pianura Russa. La
Rus di Kiev è sicuramente il primo stato organizzato della Pianura Russa che
cerca di unificare sotto un solo sovrano le diversissime realtà etniche e
geografiche dell’immenso e poco penetrabile territorio. Questo stato era
chiaramente basato sul forte e tenace legame fra le due città, una a nord e
l’altra al sud del percorso “dai Greci ai Variaghi” e tale legame esisteva
finché il potere esercitato rimaneva indiviso o sotto un solo sovrano o
attraverso un sistema repressivo organizzato unitariamente. Con le condizioni
comunicative del tempo fisicamente ciò poteva avvenire solo con visite
periodiche del sovrano nelle due città o, ad esempio, se il padre regnasse
nella città maggiore e il figlio in quella minore, con fiducia reciproca. Quest’ultima
soluzione era stata quella voluta da Vladimiro, quando aveva destinato Jaroslav
a Novgorod, ma poi quest’ultimo, allettato dalle promesse dei novgorodesi di
creare uno stato tutto proprio, aveva rotto il legame di alleanza “filiale”
col padre e per poco non si era scontrato con lui. Infatti Vladimiro era morto
prima della rottura col figlio e Jaroslav così aveva potuto insediarsi a Kiev
eliminando quanti più concorrenti potesse. La Rus di Kiev si era dunque
ricompaginata, ma… Novgorod non ne era diventata la capitale! Jaroslav
per quest’ultimo problema trovò una soluzione, che risultò poi provvisoria,
in cui Novgorod era suo feudo personale, amministrato direttamente da lui e
senza una vera dipendenza da Kiev. Un palliativo insomma, alle velleità
novgorodesi di indipendenza! Per
mantenere questa sua posizione Jaroslav si affidò al lavoro capillare della
Chiesa, ma anche, e soprattutto, finanziando e appoggiando le fazioni che
stavano dalla sua parte.
La
politica più incisiva di Jaroslav fu diretta verso l’esterno dell’asse
Kiev-Novgorod alla ricerca del riconoscimento del suo stato da parte di tutti i
vicini a tutti i livelli. Ambasciate e relazioni commerciali, matrimoni
dinastici e talvolta anche alleanze militari e guerre furono le sue più intense
attività. Tutto
ciò però costava e l’unico cespite per la Rus di Kiev era il traffico
commerciale internazionale nel quale il peso commerciale e politico maggiore era
proprio Novgorod. Per questa ragione lo stesso Jaroslav fece delle concessioni
importanti alla “grande fattoria” del nord già nel 1015, sebbene poi
facesse registrare nelle Cronache che queste concessioni erano state date quasi
per farsi perdonare un atto inutilmente crudele perpetrato contro i bojari
qualche anno prima, implicitamente riconoscendo il peso politico dei bojari
novgorodesi. Tuttavia
la grande città del nord soffriva di questa situazione incerta. Sognava di
avere uno stato proprio indipendente e nel 1054, subito dopo la morte di
Jaroslav, a Kiev cominciarono le prime liti su chi dovesse esser mandato a
Novgorod come namestnik e come la città dovesse essere governata, senza
tener troppo conto dei diritti di autonomia acquisiti nel 1015. Nel
1067 viene fuori un’altra contesa ai danni di Novgorod. Vseslav
di Polozk, nipote di Jaroslav, sentendosi pari agli altri successori pretendenti
al trono lasciato da suo zio a Kiev e desiderando liberarsi anch’egli dalla
concorrenza che Novgorod fa alla sua città sui traffici del Baltico, decide di
venire a capo delle questioni in gioco con una spedizione militare. Naturalmente
si dirige prima a nordest dove assoggetta Pskov, stretta alleata di Novgorod, e
finalmente giunge sul Volhov. Qui riesce ad entrare in città e a smontare le
campane di Santa Sofia che porta via con sé a Polozk. è
una vittoria
inconsistente poiché subito dopo deve capitolare a Kiev dove viene deportato e
imprigionato.
Novgorod
ritorna così nella sfera degli interessi kieviani… Nel
1078 nelle Cronache leggiamo che Novgorod ha cacciato il namestnik, il
quale, forse persosi nei territori finnici (dei Ciudi), è stato da questi
rapinato e ucciso! Questa notizia ci dice che il principe mandato da Kiev non è
più il padrone in città, come aveva sempre preteso di essere, ma è stato
mandato via per una qualche ragione. è
forse la grande svolta novgorodese? A
questo punto ci chiediamo: quale potere cittadino è assurto improvvisamente a
tale potenza da avere un’autorità e la forza per mandar via un comandante
militare namestnik di Kiev? Facciamo
subito qualche osservazione. Se
la presenza di un comandante militare nel nord in passato si giustificava per la
difesa dai nemici esterni, in questo scorcio di secolo in realtà la regione dei
Grandi Laghi è tranquillamente tenuta sotto controllo dal centro novgorodese,
senza un necessario ricorso alla forza repressiva, per cui pagare un contingente
militare senza usarlo, risulta inutile. In
questioni di esborsi i novgorodesi erano sempre molto attenti e, finché il
pericolo da parte degli stranieri rimase quello di attestarsi in piccoli gruppi
lungo le coste baltiche, non disturbava molto gli interessi novgorodesi che
continuavano a commerciare bene attraverso le relazioni già esistenti.
Cominciarono a temere delle limitazioni ai loro movimenti, quando videro che
questi nuclei coloniali erano appoggiati dagli svedesi che cercavano di
insediarsi sulla Nevà o dai Cavalieri Crociati o ancora successivamente (nel
XIV e XV sec.) quando la Lituania vorrà avere il suo giusto ruolo nelle
questioni russe. Insomma Novgorod non ama molto gli scontri per affermarsi
politicamente, quanto invece è pronta ad accordarsi a pagare, per investire in
un’espansione commerciale futura… Mandare
via il rappresentante di Kiev non significa però liberarsi della spesa
militare, perché il namestnik è un personaggio politicamente molto
importante… Sarebbe
allora interessante sapere meglio quali furono le concessioni fatte alla città
da Jaroslav il Saggio. Purtroppo, lo ripetiamo, ne sappiamo poco perché poco ci
è rimasto. Tuttavia, dagli accurati studi fatti da Kljucevskii possiamo già
dire che nella seconda metà del XIII secolo, in pieno vassallaggio del resto delle
Terre Russe all’Orda d’Oro, Jaroslav (questo però è un altro) di Tver
aveva riconfermato quelle concessioni fatte dall’avo omonimo, che dava il
diritto a Novgorod di “richiedere” un namestnik! In sostanza dal
documento rimasto si può dedurre che le relazioni fra il namestnik (di
Kiev o di altro principe russo) e Novgorod era ben configurate e limitate da un
cosiddetto contratto (in russo rjad) suggellato poi dal bacio
della croce davanti all’arcivescovo. I
tre campi importanti in cui il namestnik doveva agire con i limiti
prescritti rispettando quei patti erano: quello giudiziario, quello
finanziario-amministrativo privato e nell’attività mercantile (che poi era il
perno della ricchezza di tutte le Terre Russe). Vediamo
un po’. Il
namestnik giudicava per alcuni reati sulla persona quale più alto
giudice, ma le sentenze e i giudizi finali dovevano essere concordati con
il sindaco: il posadnik... nominato dalla città! Per il diritto di
famiglia e pochi altri reati amministrativi, il giudizio spettava invece
esclusivamente all’arcivescovo! In altre parole nessun namestnik poteva
permettersi di confiscare, sospendere o incrinare i diritti del giudicando, se
non rispettando attentamente le leggi e gli usi già in vigore! Le sentenze
dovevano cioè essere giustificate all’autorità superiore civile che era il posadnik! Siccome
poi sappiamo che anche il posadnik in principio era inviato (e dunque
nominato) da Kiev, è evidente il cambiamento che adesso si è instaurato. Il posadnik,
dunque, lo vediamo come un personaggio quasi pari al namestnik,
ed in realtà, dopo la morte di Vladimiro Monomaco (1125), risulta essere la
carica massima che un cittadino delle classi alte potesse ricoprire,
corrispondendo più o meno al sindaco. Per di più doveva addirittura già
considerarsi un nobile, visto che poteva stare al fianco del principe namestnik
e una prova indiretta di questa sua posizione è che i tedeschi che
frequentavano la città lo chiamavano col titolo nobiliare di
Burggraf. E forse era proprio l’evoluzione più naturale di
questa carica, dato che non aveva limiti di durata e che veniva quasi sempre
attribuita alle stesse due o tre famiglie bojare. La carica poteva concludersi
con la scelta di un nuovo posadnik, ma ciò non significava che quello
vecchio perdesse completamente la sua autorità perché sappiamo che continuava
a partecipare a varie istanze cittadine fino alla morte. Se il posadnik fungeva da massima autorità civile, il tysiazkii era la massima carica militare strettamente cittadina e nazionale, perché in realtà i novgorodesi, come abbiamo detto, non s’impegnavano volentieri nelle guerre ed era più conveniente lasciarle agli altri… Quest’altra
carica novgorodese importante, alla lettera il Comandante dei Mille
e cioè il comandante della truppa locale, raccoglieva sotto il suo personale
comando una specie di guardia nazionale. Infatti era prescritto nelle leggi e
nei costumi della città che si dovessero avere a disposizione per il servizio
militare, specialmente in caso di guerra, almeno mille uomini abili e che tali
uomini dovessero essere presi fra i giovani della popolazione cittadina nella
misura di 200 giovani per ogni cantone. In
caso di guerra infatti le persone mobilitate dal tysiazkii talvolta si
aggregavano e si sottoponevano al comando del namestnik e della sua
compagnia militare chiamata druzhina. Durante la pace invece facevano da
servizio di polizia nella città direttamente sotto il tysiazkii. Dunque
dei cittadini giovani abili, una parte era obbligata al servizio militare e il
resto invece alle attività civili. Abbiamo detto che quelli destinati alla
guardia nazionale venivano reclutati dai cantoni della città e vediamo come. I
cantoni erano divisi per strade (ulizy) e ogni strada aveva il suo
capostrada (ulizkii). Ogni strada sceglieva a gruppi di dieci i
ragazzi considerati in buona salute e abili a battersi per la loro città o a
tenerla in ordine. Dieci gruppi e cioè cento ragazzi sceglievano poi per
acclamazione il loro capo o Centurione. I Centurioni ossia i Comandanti
di Cento che avevano a sua volta il comando sui Comandanti di Dieci si
subordinavano al tysiazkii. L’istanza
decisionale più allargata era l’assemblea cittadina: la Vece. Questa
risaliva ad un’antica istituzione dei villaggi slavi quando il ciur
ossia il capo-villaggio chiamava tutti in adunanza per decidere sulle questioni
che interessavano tutti i maschi del villaggio stesso. Essa corrispondeva grosso
modo al thing scandinavo e in pratica legiferava, ma anche esautorava
e confermava le cariche pubbliche. La Vece esistette in tutte le città
russe, ma i rjurikidi cercarono in ogni occasione di svuotarla politicamente di
autorità per rendere la propria posizione, la più assoluta possibile, e già a
Kiev ai tempi di Olga (seconda metà del X sec.) la Vece kieviana non
aveva più molto peso. Quella di Novgorod invece conservò il suo grande ruolo
politico e lo mantenne gelosamente fino alla caduta della repubblica. Ma
come funzionava la vece a Novgorod e nelle città che imitavano il suo
stesso tipo di autonomia governativa, come Polozk e Pskov? Innanzitutto
avevano diritto a parteciparvi tutti coloro che si considerassero in diritto e
fossero riconosciuti dagli altri astanti in tale condizione di libertà, per
sentito dire. Gli stranieri o i cittadini di altre città non erano
assolutamente ammessi, salvo i due posadniki di Pskov che vi parteciparono, almeno fino a quando
la città non si rese indipendente da Novgorod. Prima
di proseguire vogliamo soffermarci sul concetto di repubblica per giustificare
il nome che gli storici hanno dato al tipo di organizzazione di governo in
vigore a Novgorod, sviluppatasi velocemente dopo la morte di Jaroslav il Saggio,
Gran Principe di Kiev. In
questi secoli che qui stiamo attraversando in Europa il “potere del signore”
era giustificato per mezzo di alcune teorie e con le ideologie che le avevano
elaborate. La
teoria cristiana e l’ideologia che la diffondeva e la confermava, il
Cristianesimo, era la più sofisticata e la più antica ed addirittura era
integrata al sistema imperiale romano di cui era la religione unica e ufficiale.
Essa in poche parole affermava che il potere sugli uomini è di Dio e che Dio lo
concede ad alcuni uomini scelti da lui in vari e imperscrutabili modi che sono i
principi o i re. A costoro, dopo la benedizione del vescovo, rappresentante di
Dio in terra, è dovuta obbedienza. Il vescovo controlla che quest’uomo scelto
si comporti secondo le leggi che Cristo ha dato agli uomini per vivere insieme e
quando sbaglia può e deve intervenire. è
ammessa anche la trasmissione di
questa dignità di signore per via famigliare, di padre in figlio, purché sia
sempre confermata dalla benedizione vescovile. C’era
poi la cleptocrazia variaga fondata sul concetto di mafia. Essa era
l’ideologia del potere militare imposto con le armi: la sua giustificazione
ad esistere consisteva nel fatto che le armi e gli armati della banda del
signore (druzhìna) servivano a respingere ogni altra forza concorrente
esterna. Il cleptocrate non imponeva un tributo, ma viveva delle sue rapine
regolari e periodiche sui propri soggetti, i quali erano lasciati in pace finché
subivano e pagavano. Naturalmente interveniva nelle liti fra i suoi soggetti
solo quando queste toccavano gli uomini armati che lo sostenevano, altrimenti
lasciava che le questioni si risolvessero attraverso gli usi e i costumi del
gruppo o dei gruppi implicati. Questo potere si perpetuava non attraverso
l’ereditarietà famigliare lungo la linea padre-figlio, ma lungo la linea
fratello maggiore-fratello minore e cioè per obbedienza alla morte del
cleptocrate al fratello che gli succedeva, il cosiddetto sistema della lestviza
di probabile origine cazaro-turca. I
due sistemi di potere sopraccennati richiedevano la presenza di un unico signore
e capo. Nel
caso di Novgorod, il sistema di potere era demandato a molte istanze, certamente
non elettive nel senso moderno, ma comunque democratiche perché lasciavano uno
spazio politico ai vari microcosmi locali come i cantoni, le vie, i quinti, le
corporazioni etc. Tutte insieme queste istanze governavano lo stato novgorodese,
al quale possiamo appunto attribuire il nome di repubblica. Anche nella vicina
Polonia si sviluppò un sistema, sempre probabilmente evoluto dai vecchi costumi
slavi, di magnati che eleggevano il re, la Schlachta, ma appunto perché
eleggevano un re, non poteva chiamarsi in assoluto repubblica (benché tale nome
fosse poi attribuito nel concetto di Rzecz Pospolita) e la Schlachta
alla fine diventò una semplice istituzione nobiliare oligarchica intorno al re. Il
sistema di potere introdotto invece dai Cavalieri Teutonici era ancora più
innovativo da un certo punto di vista perché lo frammentava nelle varie realtà
cittadine e lo demandava in modo paternalistico alle assemblee cittadine. Qui il
potere però era esercitabile solo entro i confini della città e del
circondario rispettivo e sempre sotto lo sguardo attento dell’Ordine.
L’Ordine poi si costituì a stato solo alla fine della sua decadenza, quando
ammise la sua indipendenza dal papa di Roma. Tuttavia il Principato
Arcivescovile, se possiamo chiamarlo così, di Riga che crebbe e giunse al suo
apogeo alla morte di Alberto nel 1229 fu un modello a cui ispirarsi per gli
Arcivescovi di Novgorod, i quali già alla fine del XIV secolo (dopo la Morte Nera
che ebbe anche un grande ruolo nell’accrescersi dei lasciti ai monasteri per
la salvezza delle anime dei colpiti dalla peste) erano i veri e più grandi
signori latifondisti di tutto il territorio novgorodese e addirittura, ad
imitazione del papa di Roma che aveva proclamato le coste baltiche Patrimonium
Sancti Petri, proclamarono il territorio intorno a Novgorod, la Terra di
Santa Sofia! Ritorniamo
alla nostra vece. Non
dobbiamo pensare che chiunque potesse mettersi a suonare la campana per chiamare
la gente all’adunanza, né che la vece si riunisse a date fisse e
regolarmente durante l’anno. In realtà questa assemblea si riuniva solo
quando ce n’era bisogno e tale bisogno era determinato dalla gravità delle
istanze mosse a partire dai cantoni fino a giungere a quelle che interessavano
la famiglia del posadnik o l’Arcivescovo. Per
la verità le piccole istanze era già risolvibili attraverso le veci
cantonali che esistevano e funzionavano sotto la presidenza del
capocantone (starèz), ma quelle grandi che toccavano gran parte della
cittadinanza venivano portate all’attenzione del consiglio ristretto dei
bojari che i tedeschi che frequentavano la città chiamavano Consiglio dei
Signori (Herrenrat) e a Novgorod (e a Pskov) Gospodà. Questo
Consiglio preparava la questione da discutere in tutti i suoi punti salienti
nell’arcivescovado e poi indiceva la vece che doveva accettarla o respingerla. Come
si votava? Non si votava come intenderemmo noi oggi e neanche alzando la mano o
scrivendo un sì o un no e versandolo nell’urna. Si deliberava per grido! In
altre parole si considerava approvata la soluzione proposta se l’intensità
dei gridi degli astanti era più alto dei gridi contrari “ad orecchio” (non
c’era l’applausometro!). Talvolta però la questione diventava talmente
controversa da portare le fazioni di opposto parere alle mani e alle armi. Caratteristico
di Novgorod era che in tal caso le fazioni si raggruppavano in due gruppi di
manifestanti che si scontravano violentemente: il gruppo che
raccoglieva le classi inferiori si schierava sulla Riva del Mercato e l’altro
si ritirava lungo il Ponte Vecchio. A questo punto cominciava lo scontro che
poteva durare a lungo, se non intervenivano fattori diversi a fermarlo.
L’arcivescovo ad esempio, quando veniva a sapere di quale piega stava
prendendo la vece, usciva da Santa Sofia ed interveniva sul ponte con la
sua autorità e con l’esposizione delle sante icone, davanti alle quali tutti
si prostravano e gli animi si calmavano! Anche
il namestnik, da qualsiasi città fosse mandato e accettato, partecipava
al Consiglio dei Signori invece di starsene sempre in panciolle a godersi la
vita. Costui di solito era stato incaricato da un principe anziano (quasi sempre
il proprio padre), signore di un'altra città della Terra Russa, e mentre era a
Novgorod cercava con varie attività politiche sottobanco di creare un partito
che lo sostenesse, ai fini di permettere al principe di cui era il luogotenente
l’assoggettamento della città. Si formavano così partiti filo-moscoviti (con
Mosca) o filo-tveristi (con Tver) o filo-lituani etc., i quali nelle veci
facevano sentire la loro voce, sobillati e istigati dal namestnik che
favoriva volentieri i disordini di cui abbiamo parlato prima. Fu
proprio la vece che cambiò il modo di compensare il namestnik. La città non
darà più un tributo (dan’) di cui una parte a Kiev e un’altra al namestnik, ma farà una donazione speciale (dar)
per il mantenimento di costui durante il periodo d’ingaggio. La donazione
consisteva nell’usufrutto della produzione di alcuni villaggi e dei diritti di
raccolta di alcune foreste e laghi, dove era concesso al principe di esercitare
pesca, raccolta, apicoltura etc. etc. …solo finché rimaneva in carica!
Né al namestnik al quale era stato interrotto il contratto o l’aveva
completato, era permesso portare con sé la quota di ricavi rimasta, andandosene
via! Il
territorio dal quale il principe riceveva il suo dar era una parte del
territorio chiamato l’Oltrevolhov ossia un’area al di fuori dei
Quinti in cui quasi sicuramente non si trovavano né pellicce né altri prodotti
d’alto prezzo che la città gelosamente commerciava! D’altronde, ammesso che
il principe avesse trovato tali prodotti nel territorio assegnatogli, ossia fra
il lago Seligher il fiume Lovat’, non aveva poi il diritto di trafficarli, se
non tramite un mercante riconosciuto (chiamato tradizionale ossia in
novgorodese posc’lyi) di Novgorod! Questa
era Novgorod…
Chi
tirava i fili dietro le quinte erano però i bojari. Seguiremo
l’etimologia di questa parola proposta da Kolesov e diremo che i bojari erano
in pratica i magnati della popolazione novgorodese e cioè coloro che
potevano decidere (antico-russo boljarin e poi bojarin). Di
diritto erano tutte quelle persone alle quali erano attribuite le cariche che
abbiamo nominato finora e che arrivarono ad essere circa 300. Ogni bojaro si
distingueva per un distintivo speciale che indossava in pubblico: un’alta
cintura d’oro e d’argento di grandissimo valore che veniva custodita in
famiglia e passata da padre in figlio. I
bojari insieme con i prelati cristiani dei monasteri e i ricchi mercanti che
facevano capo alle famiglie bojare costituivano la cosiddetta gente bianca
che contava più di tutte le altre classi. Infatti
dopo questa classe più abbiente c’erano tutti gli altri liberi chiamati la gente
ner, ossia il popolino. C’erano
poi i non-liberi che potevano essere o debitori che scontavano il loro debito
lavorando presso il proprio creditore, oppure gli schiavi veri e propri,
catturati nelle razzie o comprati al mercato o nelle campagne. Infine
c’erano i contadini, pochi in verità, gli smerdy, che avevano una
posizione giuridica libera indefinita e con pochissimi diritti perché legati
alla terra che coltivavano, senza sbocchi di emancipazione possibile. In
realtà esisteva anche una classe media di cittadini che era la classe
mercantile, alla quale però non si assimilavano i grandi mercanti che ormai non
viaggiavano più stagionalmente come nel passato per recarsi nei mercati del sud
o a Kiev, ma mandavano propri “impiegati” con credenziali e salvacondotti.
Questi ultimi infatti erano chiamati kupzý, mentre i mercanti e gli
intermediari stranieri erano i gosti o ospiti della città. A questa
classe di persone appartenevano anche le cosiddette “persone
autosufficienti” (in russo zhitye ljudi) che non dipendevano per vivere
da nessuno, ma soltanto dal loro lavoro e dal loro mestiere specializzato. I
gosti avevano anch’essi uno statuto particolare che cambiò pochissimo
durante l’esistenza della repubblica novgorodese, ed i gruppi più notevoli
erano i Goti dall’isola di Gotland e i tedeschi delle città dell’Hansa
(principalmente di Lubecca). I Goti avevano la loro chiesa e il deposito nella
chiesa stessa, tutta rinchiusa nella sua palizzata con la porta che dava sulla
Piazza del Mercato, ed era chiamata la Corte di sant’Olaf, mentre i Tedeschi
possedevano un’analoga costruzione chiamata la Corte di San Pietro o Ufficio
anseatico novgorodese (Kantoor). Conosciamo
lo statuto della Corte di San Pietro, detto Skra, che definiva diritti e
doveri dei tedeschi che si trovavano o stazionavano a Novgorod e che risale più
o meno al 1184. Anche
i kieviani e i russi della Bassa del Volga erano in qualche modo tenuti separati
come stranieri dai novgorodesi, almeno a livello personale, tanto da esser
chiamati in modo discriminatorio rusiny! Come
abbiamo detto, Novgorod aveva diviso il territorio tutt’intorno in Quinti (Pjatiny)
il cui rispettivo centro amministrativo e politico avrebbe dovuto essere il
cantone nel quale il Quinto aveva il suo vertice geometrico e geografico. I
Quinti erano due ad ovest, chiamati rispettivamente “della Scelon”, giacché
racchiudeva il bacino di questo fiume che si versava nel lago Ilmen da sud e che
includeva anche il porto di Koporiè, e quello “dei Voti”o “dei Vodi”,
dal nome di un antico popolo autoctono che comprendeva invece il territorio del
Ladoga. Gli altri Quinti erano, due a nordest, chiamati il primo
“circum-Onego”, che comprendeva specialmente il bacino del Volhov e la costa
artica del Tre, e il secondo “del Legno”, che giungeva al Valdai ai
confini con il territorio suzdalese. Il terzo Quinto era chiamato “Bezhezkaja” e si estendeva verso sudest. Oltre
questi territori Novgorod possedeva alcune regioni “distaccate” come quelle
in cui si trovava Mercato Nuovo (Torzhòk) ai confini con i territori
contestati fra Mosca e la Lituania e il grande deposito di Volok Lamskii
all’inizio della “scorciatoia fluviale moscovita” verso il Volga. Alcune
città che si trovavano in questi Quinti erano chiamate città delegate
(in russo prigorody) in quanto erano dipendenti politicamente dalla
metropoli novgorodese. Fra di esse c’erano Pskov e Izborsk, Grandi Anse (Velikie
Luki), Russa Vecchia (Stàraja Russa), Ladoga etc., e qui venivano mandati i posadniki
scelti da Novgorod. In realtà poi le distanze e le comunicazioni difficili
trasformavano queste città delegate in vere e proprie unità autonome (come
Vjatka?) che collaboravano con la metropoli solo in determinate circostanze.
Anche i pogosty a volte salirono al grado di città delegate. La
repubblica era dunque ben organizzata e funzionò per parecchi anni in modo
egregio, anche perché quando ci fu l’attacco tataro in cui la coalizione dei
principi intorno a Kiev e a Rostov fu battuta nel 1223, Novgorod nella
successiva avanzata degli eserciti tatari verso nord si salvò perché risultò
logisticamente impossibile da raggiungere! Essa
continuò i suoi traffici e continuò ad arricchirsi. Un
aspetto strabiliante è il fatto che Novgorod era una delle città più colte
del Medioevo in assoluto. Negli scavi e nelle ricerche condotti in città da
Arzihovskii, Janin, Sedov ed altri sono state trovate migliaia di lettere
risalenti tutte più o meno al XII-XIII secolo, con contenuti che denunciano una
provenienza dalla mano di persone di tutte le classi e quindi una diffusione
dell’istruzione veramente generalizzata. Queste lettere sono scritte su scorza
di betulla (in russo queste lettere sono chiamate berjòsty) e sono in
lingua russa con particolarità linguistiche locali, ma notevoli per i
contenuti. In
esse si parla di amore, di tradimenti, di affari, di prestiti, di richieste
personali a parenti ed ad amici, di istruzioni e indicazioni. C’è persino un
alfabeto per l’esercitazione di qualche studente, un rebus con disegni e
persino una caricatura di Alessandro Nevskii! Tutto
ciò vuol dire che tutti i ragazzi, bianchi o neri, erano mandati a
scuola presso i numerosi monasteri per imparare a leggere e scrivere e,
naturalmente, a far di conto, essendo queste competenze ritenute necessarie per
la vita da adulti dei novgorodesi per le relazioni all’esterno della propria
famiglia. A prova ulteriore di questa altissima scolarizzazione possiamo dire
che quasi non esiste arnese riportato alla luce a Novgorod e qui fabbricato che
non porti la firma di chi l’ha fatto! Vediamo
ora di immaginarci di rivivere una giornata a Novgorod da sfaccendati curiosi. Supponiamo di abitare in una delle tante cascine (così si traduce meglio usad’ba) che ci sono in città dove all’interno di un recinto di legno, con pali puntuti per impedire irruzioni indesiderate dall’esterno, ci sono varie costruzioni. C’è la casa padronale di solito riconoscibile dal balcone e da un piccolo portico sulla facciata. Accanto c’è una banja sollevata da terra per isolarla dal suolo, all’interno della quale si accede salendo per una scaletta. La banja è un luogo tradizionalmente importante in una cascina perché vi si compiono le abluzioni periodiche oppure ci si cura o addirittura si partorisce. Essa è molto simile alla sauna finlandese con camere caldissime riscaldate da una stufa con sassi arroventati. Dalla banja si va direttamente in una grossa vasca di acqua fredda, battendosi con giovani rami di betulla con su le foglie ancora attaccate. Poi ci sono le stalle per gli animali domestici più comuni, specialmente i cavalli che servono per il tiro del veicolo di casa e il granaio o deposito delle derrate alimentari. Ci sarà anche una casa per i servi e un pozzo con la copertura tipica e la lunga pertica per tirar su l’acqua. Ci sarà anche una cantina per conservare al fresco specialmente le bevande tradizionali: la birra (braga), l’idromele (mjod), il vino di Borgogna importato, etc. Qui
ci si sveglia con l’apparire della luce del sole sebbene, d’inverno, ci si
alzi anche prima. I ritmi di vita sono scanditi dalle diverse festività che la
Chiesa ha fissato e col suono delle campane delle numerosissime chiese. Certo
non tutte le chiese hanno grandi campane che costano tantissimo e che di solito
vengono dalla Germania… Dopo
aver mangiato un frugale pasto con pane di segale e magari dei resti della zuppa
di ieri sera, ci vestiamo e usciamo. Ci
rechiamo in un cantone “industriale” e qui nelle ore centrali del giorno si
possono vedere i fumi che tutte le case attaccate l’una all’altra in una
strada emettono dalle proprie stufe (pec’ki), specialmente dalle
diverse officine (masterskie) che lavorano su commessa metalli e altro
materiale al fuoco. Naturalmente
noteremo anche la gente che lavora per queste officine, come i conciatori di
pelle (kozhemjaki), i tessipanni (sukonniki), i vasai (gonciary),
i famosi e importanti mastri d’ascia (plotniki), i pescatori (rybniki),
etc. Siamo
sempre sulla Riva del Mercato e curiosi ci avviamo proprio verso il mercato che
già da molte ore sarà occupato dai banchi e dai mercanti che hanno fretta di
concludere gli affari per poter poi partire col convoglio che aspetta giù al
porto. C’è di tutto al mercato, ma i grandi affari non si fanno qui perché i
mercanti medi e grossi vendono solo all’ingrosso e presso i loro depositi. Qui
si portano i campioni e, se il cliente decide di comprare, si va a casa del
mercante presso il suo deposito o al porto dove ci sono anche suoi magazzini e
si compra, pagando in contanti o con altre merci. Gli affari più importanti si
fanno con la Corte di San Pietro o di Sant’Olaf perché costoro hanno sempre
grossi e numerosi clienti da servire all’estero. Ecco
la Corte di Jaroslav con lo spiazzo antistante fatto come una pedana
sopraelevata qualche palmo dal suolo, e là la chiesa di San Nicola. Qui sulla
pedana si insedia il posadnik che per questo viene chiamato “alla
pedana” (stepennyi) se è in carica e “vecchio” (staryi) se
ha ceduto il suo posto ad altri. Ecco la chiesa di San Giovanni dove di solito
sono custoditi pesi e misure che vengono confrontati in caso di contestazioni e
liti. E poi ci sono taverne e locande e banje pubbliche per chi non ha la
propria in casa o non ama far le abluzioni da solo. La
Riva come vediamo è tutta circondata di mura, e anche le porte si aprono e si
chiudono ad ore ben determinate, e i soldati che fanno la guardia ti guardano
sempre con attenzione. Il flusso di solito sul Ponte Vecchio è dalla Riva di
Santa Sofia verso quella del Mercato, anche perché non a tutti è concesso di
salire verso il Detinez. Il Detinez si apre solo per le grandi
festività religiose come Pasqua o Natale o altre ancora, e allora tutti
accorrono a Santa Sofia per attendere alla funzione dell’arcivescovo e baciare
le sante icone. Al
mercato ci sono anche spettacoli in piazza di acrobati, di giocolieri, di monaci
che raccontano avventure e parabole ,e qualche volta c’è un grande pranzo in
piazza offerto nelle occasioni speciali da ricchi personaggi. L’impiantito
è di solito fatto con tronchi di legno allineati in parallelo con le commessure
riempite di argilla e d’inverno è scivoloso perché l’acqua gela. Il
porto è fuori le mura e tutto sulla riva destra, e le navi sono tante che
talvolta sostano persino sotto il Ponte Vecchio. Qui le guardie sono più
numerose perché c’è gente da tutte le parti del mondo e i doganieri che
devono esaminare la merce che entra e quella che esce con meticolosità per
recuperare i balzelli e le tasse. I
bojari non si vedono così spesso al mercato perché fanno tutti gli affari in
casa propria sull’altra riva e così anche l’arcivescovo che rimane sempre
chiuso nei suoi appartamenti o in visita nei monasteri lontani. è
invece
interessante lo spettacolo delle visite del Metropolita che arriva qui col suo
numeroso seguito di preti e diaconi, o del Bacio della Croce del namestnik,
o l’eventuale visita di altri grossi personaggi pubblici, anche stranieri. Sui
canali in mezzo alla città poi si possono vedere le lavandaie che battono i
panni lungo l’acqua corrente con i nuovi saponi che sono arrivati
dall’Occidente, e poi c’è tutta una pletora di mendicanti, di storpi, di
persone strane e sole, pellegrini e soldati senza ingaggio, ma questi non sono
ammessi in città e perciò si nascondono negli angoli delle strade o si
rifugiano nelle piccole chiese, perché è proprio la Chiesa che si prende cura
di loro, di fronte alla cinica indifferenza delle classi abbienti. Tuttavia
ci sono anche le occasioni per far baracca quando le Corporazioni dei diversi
mestieri fanno festa in pubblico nelle strade dove i mestieri hanno sede. Ad
esempio quando nel 1135 il namestnik Vsevolod sottoscrisse un nuovo Manuale
di Comportamento (Rukopisanje) che, confermando i diritti
acquisiti dai mercanti bojari, fissò nello stesso documento anche le regole per
la gestione della più potente corporazione novgorodese, quella dei Cerai con
sede nella chiesa di san Giovanni. Questa
Congrega aveva la sua festa che cadeva l’11 settembre e in quel periodo il
Consiglio della Congrega ordinava ben 70 enormi ceri da offrire al santo
protettore e in quel giorno l’arcivescovo era invitato ad officiare. A
monsignore andavano 1 grivna per il servizio e una ricca pezza di stoffa
finissima. Poi si dava inizio alla festa in piazza che fra balli e pranzi
luculliani durava ben tre giorni (spesa: 32 grivne!). La
Riva di Santa Sofia, quella aristocratica, è tutta dominata dalle chiese che i
bojari si fanno costruire vicino alla loro usad’ba e le case
naturalmente sono più ricche e più adornate e non c’è la concitazione delle
case della Riva opposta in queste strade, spazzate e ben tenute. Qui quando si
passano le Porte per entrare si è sempre controllati dai guardaportone… Le
cinte di mura di notte chiudono le proprie porte e ognuno rimane chiusa
all’altra. Per
la notte Novgorod aveva anche un’illuminazione stradale, in verità non molto
efficace, ma almeno abbastanza per vedere dove mettere i piedi. L’illuminazione
maggiore invece era sulle porte e sulle torri delle mura. In
città di sera, salvo le feste comandate, non c’è molto da fare perché qui
diventa subito scuro, anche d’estate, e bisogna tornare a casa, a meno che non
si abbia qualche compagnia e un luogo dove far bisboccia bevendo e accogliendo
donnine allegre, danzatrici o spogliarelliste. Allora sì! Si tira fino al
mattino, sollevando talvolta le lamentele del vicino che vuol dormire.
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©2005 Aldo C. Marturano