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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 43 |
Le Terre Russe
In realtà un personaggio a cavallo ovviamente colorato di una certa veste “etica” in russo è descritto con un’altra parola: ryzar’. Ma è una parola tratta dal ted. Ritter, di formazione letteraria e, quel che è più importante, certamente ha come figura di riferimento i primi Cavalieri “occidentali” con i quali la società russa venne a contatto. Quali?
Da un lato, i Crociati apparsi sul Mar Baltico e provenienti
dal mondo nordico germanico (dalla zona fra il Vescovado di
Amburgo-Brema e Lubecca) intorno alla fine del XII secolo d.C.
(69)
e, dall’altro, quelli che conquistarono Costantinopoli del 1204
perlopiù di provenienza franco-italiana. Ecco i Milites Christi
(manovrati dal Papato) che le Terre Russe conobbero! L’impressione
ricevuta è pure la più immediata: Qualunque sia la loro morale,
questi Milites sono arrivati qui proprio allo scopo di
annientare la Rus’ di Kiev, assalendola sia dal Bosforo sia
dal Baltico! Un’impressione realistica alla fin fine, giacché il
Papa di Roma aveva in mente proprio questo, quando più tardi dichiarò
le terre baltiche e russe Patrimonium Sancti Petri e che
quindi, come dice un documento del Papa Gregorio IX del 1234
(75),
in futuro nell’azione di “difesa del Cristianesimo” quel che è
stato conquistato delle terre dei pagani e degli eretici che rimanga
pure proprietà dell’Ordine (ossia della Chiesa di Roma)
conquistatore! E’ dunque un piano ben architettato… In
particolare vediamo accompagnare gli arditi preti sul Baltico, quali
braccio armato della Chiesa evangelizzante, numerosi Ordini
monastico-cavallereschi fondati per lo scopo. Ci saranno dapprima
degli insuccessi, ma poi l’”affare Baltico” prenderà
l’abbrivio ed altri Ordini, persino non in armi, seguiranno, come
gli insistenti e onnipresenti Francescani che furono sguinzagliati per
la campagna russa a “convertire” Baltici, Russi e Bielorussi al
Cristianesimo di Roma
(67). Né il Papa si fece scrupolo di
attirare i principi russi e lituani nella sua sfera d’influenza con
l’offerta di favolose corone di re e di indulgenze speciali (30)…
purché abiurassero la fede ortodossa! Più
o meno della stessa condotta negativa si macchiarono i Crociati
franchi a sud delle Terre Russe saccheggiando Costantinopoli e
mettendo al rogo gli “eretici”, senza contare i maltrattamenti
inflitti al Patriarca costantinopolitano allo scopo di “riportare
alla vera fede (romana)” tutti gli ortodossi… Dunque
nessun ideale positivo arriva da Occidente né per l’élite
“russa” né tanto meno per la società contadina, fanaticamente
assalita dai frati e sconvolta dalle armi
(68). Per
il momento diciamo che, se c’immaginiamo ancora lo spavento che
incussero Pizarro o Cortés nelle Americhe del ‘500 agli indios
andini o a quelli messicani presentandosi come strani animali mezzi
uomini e mezzi bestie alti oltre due metri con ben quattro zampe e due
braccia, tutti coperti di metallo lucente, qui nelle Terre Russe
l’impressione al vedere i Crociati più o meno addobbati allo stesso
modo dovette essere, benché forse meno fantastica, molto più
incisiva nella coscienza individuale a causa della religione comune.
Già questa avrebbe indicato i Cavalieri quali amici e non predoni
venuti per uccidere in nome dello stesso Cristo! Inoltre
i Milites Christi che l’Occidente mandava in giro nella
pletora delle sensazioni spaventose delle loro azioni cruente ebbero
un grande impatto psicologico anche per la presenza dei loro cavalli… poiché su quegli animali il popolo
“russo” aveva tutta una serie di pregiudizi superstiziosi ben
consolidati e marcatamente funesti. Non solo! I Crociati – sapendo
bene tutto ciò – acquistavano i cavalli proprio in base alla loro
maggior mole
(75). Così, armati di celata, piumaggi a
colori sgargianti etc. usavano “caricare” il loro aspetto
mostruoso ostentando persino un’armatura metallica per la
cavalcatura. La fama di spietatezza che diffondevano con la loro
massiccia propaganda, in verità dovuta più che altro alle regole di
tipo templare del loro ordine, combinata con quella di quei mostri a
quattro zampe lasciavano paventare un brutto destino per le genti
“russe” marchiate di “paganesimo” e di “eresia” e perciò
degni di essere calpestati dagli zoccoli dei massicci animali (70). Abbiamo
travalicato il significato delle fonti? Forse, anche perché altri
“cavalieri” avevano già minacciato le Terre Russe molto prima dei
suddetti Crociati e pertanto l’uomo in sella non era una novità!
Stavolta venivano da Oriente ed erano i nomadi della steppa ucraina.
Non è però un caso che giusto nella steppa fosse nato il
Cavaliere come combattente a cavallo con sella, staffa ed armatura
in assoluto ed è ad imitazione di questo armato che l’Europa romana
antica aveva imparato il vero uso del cavallo in guerra
(57)!
è
vero che chiamare i nomadi cavalieri nel senso qui
trattato ci sembra limitativo e faremmo meglio a parlare di cavallerizzi,
ma a questo punto fa lo stesso poiché alla fine del X secolo
l’impatto emotivo che deve aver avuto il fantaccino russo-slavo
dovette essere non molto diverso rispetto a quello del contadino di
fronte ai Crociati. Il
cavallo ha fatto sempre paura nei villaggi di confine russi, là dove
comincia la steppa sulla riva sinistra del Dnepr, coi suoi caroselli
improvvisati durante le razzie dei nomadi. Lo si sapeva dalla
tradizione, da quando erano passati gli Unni sotto Kiev, che la forza
del nomade consisteva nel disporre di Equus caballus! Più che
gli archi e le frecce, che anche i russi avevano e sapevano usare,
erano le bestie ad impressionare di più! D’altronde la tattica del
nomade non era tanto tesa a scontrarsi o ad uccidere quanto invece a
razziare e perciò il villaggio assalito era “atterrito” piuttosto
che distrutto e proprio sui cavalli con gli uomini in groppa veloci
come il vento si vedevano scomparire le cose e i figli… Per Kiev
contro questi assalti non restò che la rimessa in funzione in piena
steppa di un antico vallo fatto di pali di legno che correva per un
centinaio di chilometri dalla riva sinistra del Dnepr lungo il fiume
Sula fino alla fortezza di Voin e in tal modo si contennero alquanto i
nomadi e le loro diaboliche imprese. In
realtà, benché Equus caballus fosse abbastanza comune nel
mondo mediterraneo greco-romano, esso si rarefa a partire dal VI secolo
quando le corse negli ippodromi sono drasticamente ridotte dal vecchio
panem et circenses. Successivamente ritorna però in auge nel
Medioevo dopo l’invasione araba del secolo VII d.C. e in Francia e in
Italia arrivano le “nuove” bestie selezionate negli allevamenti
d’Africa Settentrionale tramite Andalusia e Sicilia. Non è però la
stessa cosa per il resto d’Europa. Il Nordest continua a preferire
una specie più piccola di statura, il tarpàn europeo – Equus
Przewalski Gmelini – o cavallino lituano oggi
estinto (l’ultima giumenta, come c’informa lo zoologo ceco V. J.
Stanek, fu macellata nel 1876). E fra Equus caballus e il
tarpàn la differenza di mole è notevole! Il primo è un
animale che arriverà verso la fine del ‘500 ad un’altezza al
garrese di ca. 1,80 m mentre il secondo resterà a 1,50 m. E non solo!
I due animali hanno carattere e abitudini abbastanza diversi. Il
tarpàn è un animale che in Europa vive ai margini della
foresta e riesce a trovar da mangiare da solo vagabondando nella
selva. è
resistente ai rigidi inverni settentrionali ed ha una battuta di
zoccolo a causa della durezza dell’unghia che gli permette di far
presa sul fondo ghiacciato senza necessariamente essere ferrato (lo
decantano per questo le saghe scandinave alla conquista del nuovo
paese islandico pieno di ghiacciai perenni e lo preferiranno i
Tataro-mongoli movendosi verso Occidente sulla groppa della varietà
orientale), ma non sopporta pesi troppo onerosi sulla schiena e quindi
può, al massimo, trasportare un ragazzo (e per poco tempo) sulle
zampe posteriori mentre si rifiuta di essere cavalcato da un adulto
corpulento, figuriamoci poi con un’armatura indosso. Ha un carattere
abbastanza scontroso e disposto facilmente a mordere e a scalciare. Naturalmente
a parte le numerose razze, Equus caballus invece ha un’indole
un po’ diversa. Innanzi tutto è un simbionte del suo padrone e
dipende da lui per cura e cibo. Il foraggio deve essere sempre ben
scelto e preparato dal padrone perché quest’animale non è molto
abituato a cercarsi cibo da solo, se non vi è costretto, e la coltura
dell’avena diventa così un elemento indispensabile, ma costoso, del
suo mantenimento, specie nel sud dell’Europa dove la pianta ha
difficoltà a crescere. Equus caballus resiste benissimo a ore
di cavalcate portando pesi notevoli e dunque in guerra. Ama i grandi
spazi e deve essere lasciato correre spesso per non intristirlo. è
paziente e timido
(59), ma affezionato al padrone e
talvolta muore addirittura con lui. Cavallo e tarpàn hanno entrambi
una memoria formidabile dei luoghi, dei suoni, delle persone e degli
odori e perciò sono utilissimi, specialmente sul suolo innevato dove
l’uomo non riuscirebbe a riconoscere il sentiero percorso tempo
prima. Al contrario i due animali sanno individuare senza fallo la
pista da seguire e, quando la meta è stata raggiunta, s’arrestano e
scalpitano per avvisare il padrone! Animali veramente portentosi che
suscitano ancor oggi meraviglia in chiunque!
C’è
un episodio tipico nella storia russa in cui il cavallo che
trasportava la sacra e famosa icona della Vergine (oggi detta di
Vladimir) trafugata da Vysc’gorod da Andrea Bogoljubskii (v.
oltre)
si fermò e s’impuntò lungo la riva del fiume Kljazma, un affluente
destro del Volga, e non volle più proseguire. Andrea addirittura fece
fermare la carovana “come il cavallo aveva richiesto” e
l’indomani raccontò persino che la Vergine gli era venuta in sogno
e gli aveva raccomandato di costruirle proprio là una chiesa. Cosa
che naturalmente fu fatta e al luogo fu dato il nome di Bogoljubovo
(ossia Amor di Dio) in seguito a quello che era accaduto. Di
fatto l’episodio, avendo coinvolto un animale magico e divino,
legittimò agli occhi di tutti la fondazione del nuovo centro politico
di Vladimir-sulla-Kljazma in concorrenza con la santa Kiev, come
appunto voleva Andrea… Non
vorremmo dare però l’impressione che Equus caballus fosse
sconosciuto o che ci vogliamo dedicare troppo al guerriero nordico
descrivendolo come un cavaliere mancato! Non è così. Le Cronache
Russe già nei primi eventi ci parlano di cavalli usando la
parola kon’. Sono forse i tarpàn visto che kon’
non indica esattamente Equus caballus che invece è detto losc’a
o losc’ad’ (con parola turca, la lingua dei nomadi che
li vendevano)? Quale fosse l’atteggiamento verso Equus caballus
è sottolineato invece da un episodio che le Cronache raccontano del knjaz
Oleg, venuto dalla natìa Ladoga intorno al X secolo lungo le vie
fluviali alla conquista del sud. Costui aveva chiesto una volta ai
suoi astrologhi come e quando sarebbe morto e costoro gli avevano
detto che il suo cavallo l’avrebbe ucciso. A causa di questa
previsione Oleg non montò più in sella. Un giorno di ritorno verso
Ladoga quando gli dissero che il suo animale era ormai morto, ridendo
della funesta previsione precedente, dopo tanti anni si fece
sellare un cavallo e andò ad onorare la tomba della bestia morta:
omaggio dovuto ad un essere divino. Dal teschio ne uscì una vipera
che lo uccise, proprio come gli era stato predetto dai veggenti! La
scena è importante perché indirettamente ci conferma la sacralità
del comune cavallo in tempi ancora pagani perché esecutore del
destino deciso dagli dèi. E ancora, ma in tempi posteriori, il già
nominato Andrea Bogoljubskii (nel 1149) fa seppellire con una solenne
cerimonia (cristiana stavolta) la sua cavalcatura morta in uno scontro
militare! Ma allora, fosse il tarpàn o il cavallo comune,
quale ruolo distingueva nella vita russa queste due specie così
simili? Equus
caballus in verità
è collegato con la morte, con gli scenari da fine del mondo e, col
Cristianesimo, all’Apocalisse. Le testimonianze delle Cronache gli
attribuiscono un ruolo malefico e sono davvero molte
(33).
Ad esempio, nelle Cronache si narra nel 1092 di una pestilenza (o di
una qualche altra malattia simile) che aveva procurato tanti morti a
Polozk e nei villaggi vicini dove leggiamo: «Era stata insomma
un’armata intera di demoni che aveva scorrazzato per la città a
cavallo, ma invisibile ad occhio umano…». In una parola solo
il diavolo cavalca e giusto per portare la morte! Ovviamente,
quando nel 1223 apparvero i Tatari, il terribile evento fu l’ultimo
sigillo che confermò le ataviche paure russe attribuite al cavallo,
sebbene molti di questi guerrieri montassero dei tarpàn! Un
altro esempio, d’altronde ambivalente, è il racconto delle Cronache
di come, Svjatoslav, figlio di Olga e di Igor, nel 965 sbaraglia
l’Impero Cazaro che dominava Kiev da anni con la una formidabile
cavalleria. Questo principe variago-slavo addirittura viene detto
guerriero veloce e quatto (quanto un leopardo, dice la
Cronaca)! Dorme poco e con la testa poggiata alla “sella”! Se così
fosse, come fece a battere i Cazari soltanto con i suoi guerrieri
russi… a piedi? In realtà l’accenno al leopardo nella
Cronaca e alla sella si riferisce, secondo L. Prozorov
(61),
ad un modo tutto “russo” di usare i cavalli! Secondo il nostro
autore infatti, gli antichi russi andando a caccia portavano con loro
delle belve ammaestrate, come appunto il leopardo, legati in groppa ad
un cavallo per poi sguinzagliarle al momento giusto dietro la preda e
quella volta Svjatoslav aveva agito allo stesso modo, come se andasse
a caccia. Una parte degli armati furono dunque trasferiti via fiume
sulle barche e un’altra (piccola) parte, quelli più assetati di
sangue evidentemente, sui cavalli lungo le rive. Sul campo poi costoro
come vere bestie da preda smontano e, insieme agli altri, per
il numero e per la loro arditezza riescono a battere a piedi la
cavalleria cazara. è
chiaro che i cavalli a disposizione dei russi
non erano molti né (forse) erano Equus caballus, ma (questa è
una nostra ipotesi) quasi certamente i più “bestiali” trasferiti
nel modo che abbiamo detto erano proprio quelli della compagnia
armata personale del knjaz! Per fortuna (russa) la
cavalleria cazara era costituita da mercenari e, non appena previde
l’esito sfavorevole (per loro) della battaglia, abbandonò il campo!
L’ambiguità però è in un’altra scena con lo stesso principe che
stavolta è descritta, non dalle Cronache Russe che coccolano troppo
il nostro personaggio, ma dal segretario imperiale Leone Diacono.
Svjatoslav battuto dalle truppe romane deve trattare con
l’Imperatore Giovanni Zimisce, ma, mentre l’Imperatore è a
cavallo, il russo è seduto nella sua barca! Leone Diacono addirittura
nel seguito del suo scritto dice che i russi non sanno andare a
cavallo e che non avranno mai una cavalleria! E siamo nel 971 d.C.,
qualche anno dopo l’impresa contro i Cazari! Insomma
presso i russi, quando il cavallo c’è, un suo uso militare non è
chiaramente confermato né si può esser sicuri che si parli di Equus
caballus e non di tarpàn! A parte ciò anche in Occidente
il cavallo era usato piuttosto come veicolo al trotto che come animale
da guerra e lo possiamo immaginare al galoppo lungo le strade militari
romane per il servizio militare di posta! Nelle Terre Russe dove le
strade lastricate non esistono i movimenti avvengono in prevalenza via
correnti d’acqua e, benché nelle Cronache si menzionino mandrie di
3000 cavalle e 1000 stalloni di proprietà del già detto Oleg oppure
di Igor, marito di santa Olga, non abbiamo notizia certa che nei
castelli russi ci fossero stalle per tanti cavalli… Molto
probabilmente i numeri sono un’esagerazione dei cronisti che
vogliono evidenziare la ricchezza e la potenza dei personaggi oppure
si riferiscono a (ex) mandrie di stalloni sacri da sacrificare agli dèi
pagani! Anzi, diremo di più. Osservando la pianta del castello di
Ljubec’ costruito da Vladimiro Monomaco (secolo XII), pro-pronipote
del nostro Svjatoslav, sulla riva sinistra del Dnepr proprio di fronte
a Kiev la misura e il numero delle stalle individuate da B. A. Rybakov
(46)
di sicuro non sono in grado di alloggiare un numero di
bestie pari a quello menzionato sopra. è
bene aggiungere che
l’alto prezzo d’acquisto e il mantenimento della bestia restano
degli elementi distintivi per chiunque voglia possederne! Avere un
cavallo denuncia l’alto status sociale del possessore, mentre la sua
funzione come animale da guerra è considerata un uso “improprio”
degno dei nomadi selvaggi, al contrario del punto di vista
occidentale. Giusto per tutti questi motivi nella Pravda Rus’ka il
cavallo e lo stalliere, sono dei soggetti abbastanza importanti sui
quali il testo legifera e fissa multe salate per chi fa loro danno. E
poi ci sono le testimonianze affidabilissime di autori arabi del X secolo
d.C. che ci informano che il cavallo per il “nobile russo” era un
animale da sacrificio! Era interrato o bruciato col suo padrone morto
(e gli scavi archeologici lo confermano!). Il
tarpàn al contrario è considerato un animale positivo. Lo
vediamo intagliato sull’apice della trave portante del tetto a far
da protezione alla casa contadina, nei motivi di ricamo e nelle
impugnature degli arnesi con significato apotropaico. Tuttavia,
siccome è usato dai mercanti per trascinare le barche sugli
spartiacque o per aiutare il contadino nel lavoro dei campi, non può
essere un animale da principe o da nobile, seppure sia molto probabile
che fosse usato come animale, diciamo così, di rappresentanza da
parte della nobiltà locale, magari con qualche esemplare più grosso
di altri o con qualche incrocio… Lasciamo
allora qui il problema di distinguere le due specie così come
l’abbiamo sceverato finora e passiamo a qualche altra
considerazione. La cavalcatura di solito permetteva a chi la montava
di muoversi in battaglia torreggiando fra i propri uomini in modo da
esser subito visto da lontano mentre mutava di posizione! Le
testimonianze occidentali sul Cavaliere sono pure in questo senso (75)
dove il cavallo serviva per portarsi più vicino possibile
all’avversario, ma poi si smontava e si combatteva a piedi. E tale
uso durerà per molti anni, prima che si affermi una vera cavalleria
da lanciare in campo di battaglia. Tale uso è ancor più logico in un
Nord dove, a causa delle condizioni geografico-
climatiche, è difficile
pensare a dei cavalleggeri che si scontrano e si caricano in caroselli
spettacolari, data la mancanza di ampi spazi aperti con suolo
abbastanza duro… salvo che nelle steppe ucraine! A primavera
non appena si sciolgono le nevi il suolo diventa talmente melmoso che
non ci si può muovere neppure a piedi per qualche mese:
è
la
terribile rasputiza! A causa di ciò le campagne militari, per
di più, si conducevano d’inverno quando il ghiaccio sulle paludi e
sui corsi d’acqua creava delle aree dove gli uomini si potevano
almeno schierare, ma, lo ripetiamo per la cavalleria, questo è un
terreno difficile e infido su cui muoversi… E lo impararono a
proprie spese i nomadi Peceneghi stessi a cavallo in uno scontro con
il figlio di san Vladimiro, Jaroslav il Saggio, nell’attraversare un
lago ghiacciato nelle vicinanze di Kiev oppure nel 1242 i Cavalieri
Livonici quando, nella più famosa Battaglia del Ghiaccio contro
Alessandro Nevskii, sprofondarono nelle acque del lago di Pskov avendo
rotto la crosta gelata col peso eccessivo delle loro cavalcature! Avete pensato per un istante al mercante di cavalli di quei tempi? E non lo immaginate meravigliarsi di non riuscire a venderne ai russi in gran numero, come invece gli riusciva con i greci di Costantinopoli persino attraverso i russi stessi? Eppure l’Imperatore Costantino VII (71) informa che i Rus’ ne comprano dai nomadi Peceneghi… Per farne che cosa poi, ci chiediamo, se le strade qui non ci sono, le radure sono rare e occupate da campi coltivati e villaggi e le uniche vie di comunicazione fra un punto e l’altro sono gli innumerevoli fiumi laghi e paludi? è vero! Kiev confinava coi più grandi allevatori europei di Equus Caballus ossia gli Ungheresi o Magiari. Questa gente proprio a partire dal X secolo cominciò a esportare cavalli di pregio in tutta l’Europa del nord e dell’ovest (e lo fa ancora ai giorni nostri) con forti ricavi. Originari dell’Alto Volga, i Magiari erano emigrati nella Pannonia seguendo i Bulgari. Si erano però fermati abbastanza a lungo (ca. IX secolo) sotto Kiev per avere dei contatti da partners commerciali con l’élite variago-slava prima di stabilirsi definitivamente al di là dei Carpazi… è
chiaro perciò che, finché le guerre e gli scontri avvengono nel nord
dove le pianure libere da foresta non ci sono, di cavalli non ce ne
sarà bisogno, ma quando le campagne militari si sposteranno nella
steppa ecco che occorrerà averne. Evidentemente nel X secolo non era
ancora questa la situazione della Rus’ di Kiev… Persino
gli stessi san Giorgio e l’arcangelo Michele, santi cavalieri, nella
prima iconografia russa (XII secolo)
appaiono senza il cavallo e certamente proprio per tutte le inferenze
negative di Equus caballus dette prima e conservatesi
nell’immaginazione collettiva. La prima moneta in cui è
rappresentato ufficialmente un uomo a cavallo apparirà soltanto nel
Trecento (51)
e sarà il sigillo di Alessandro Nevskii,
personaggio di cui parleremo brevemente più avanti. E allora, quelle immagini tradizionali delle epopee russe, i famosi bogatyry (eroi) delle byline più popolari e più famose come Il’ja Muromez o Aljòscia Pòpovic’ dipinti su possenti cavalli, da dove saltano fuori? A nostro avviso sono delle idealizzazioni artistiche senza senso storico… Secondo noi, occorre credere a Ibn Rusté (fonte persiana della fine del X secolo) che lo dice chiaramente una volta per tutte (62): «Ma (i Rus’) la loro arditezza non la mostrano sul cavallo, tutti i loro assalti e campagne militari li eseguono… sulle navi!». Concludendo
possiamo affermare che il cavallo comune, Equus caballus, era
conosciuto sin dalle origini della storia russa, ma era temuto per i
suoi poteri portentosi e poco usato in guerra! Come animale divino
naturalmente ha la facoltà di parlare, ma può dialogare solo col
principe – sacro lui stesso – per dargli consigli e suggerimenti
opportuni! Tutto ciò non esclude che nasca un’organizzazione
militare “russa” con cavalli né un’evoluzione ulteriore verso
una cavalleria istituzionalizzata come apparirà nel 1500. Noi non
toccheremo questa data giacché la nostra indagine si fermerà prima
dell’istituzione della cosiddetta opric’nina da parte di
Giovanni IV il Terribile, in cui questa specie di armata –
parzialmente in sella – costituisce, dice Musin
(33),
l’anti-cultura del Cavalierato russo… |
©2008 Aldo C. Marturano, da Alla ricerca dei cavalieri russi, di Aldo C. Marturano.