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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 44 |
Le vie degli schiavi slavi secondo W. Durant; a nostro avviso va corretta la via verso Baghdad che non attraversava il Caspio, ma lo aggirava sulla costa est (Choresmia) e KUZARI è da leggersi in forma italiana CAZARI (nota di ACM).
Tutta
questa storia è già nascosta nella parola che si diffuse intorno al
X sec. in quasi tutte le lingue romanze (come in italiano) e che
indicava gli schiavi! Schiavi e Slavi non sono
che due varianti dell’etnonimo attribuito dai classici greco-romani
alle popolazioni che premettero intorno dal V-VII sec. sui confini
dell’Impero. Né è superfluo aggiungere che i mercanti di schiavi
più famosi furono gli ebrei detti rahdaniti nel X-XI sec. seguiti poi
da Venezia la quale, dal X sec. fino alla scoperta delle Americhe, ne
custodì l’esclusiva di vendita e di trasporto. La
prima domanda che dobbiamo porci adesso è: Chi era lo schiavo e come
diventava tale? Ci
siamo ripromessi di non addentrarci nella giurisdizione alla quale lo
schiavo era soggetto nei vari paesi europei e nei paesi limitrofi, in
quanto lo giudichiamo un argomento farraginoso e complesso e che va
trattato separatamente da quello del traffico commerciale, dove invece
si accentra il nostro interesse, e dunque rimandiamo il lettore
interessato ai lavori specialistici. In questa sede accenneremo a
grandi tratti soltanto a qualche aspetto legale sulla schiavitù,
lasciando da parte specialmente i concetti di libertà, di limitazione
dei diritti civili etc. che nell’epoca che attraversiamo (IX-XI
sec.) hanno definizioni lontanissime da quelle di oggi e richiedono
perciò una preparazione culturale notevole al lettore non sia “ben
armato”. Vediamo
allora qualche caso tipico di come si può
“cadere in schiavitù”. Il primo è il destino di un
soldato perdente il quale, se non riusciva a sfuggire alla cattura
alla fine dello scontro, era portato via prigioniero dal vincitore
(stato di celjad’ in russo). Per questo giovane c’erano
poche buone opzioni sul proprio destino futuro. Ad esempio, nel caso
più fortunato poteva essere riscattato dai suoi, se il vincitore
aveva tempo e voglia di contattare il signore perdente e istallare
delle trattative a questo scopo con le persone giuste. Il che accadeva
molto raramente per un soldato semplice, mentre era più possibile per
una persona di alto rango. Dunque gli schiavi erano una parte del
bottino vinto in battaglia e solo se ancora in buona condizione
fisica, altrimenti, se feriti o moribondi, venivano abbandonati al
loro destino. Capitava pure che, in moltissimi casi, fossero
trascinati in schiavitù anche i famigliari dei soldati, se
accompagnavano l’armata, ossia donne e bambini. Se poi teniamo
presente che nell’epoca che ci interessa la guerra e gli scontri
erano pane quotidiano sia d’inverno che nella bella stagione,
possiamo facilmente immaginare come gli schiavi ottenuti dopo uno
scontro costituivano un approvvigionamento di uomini abili quasi
regolare. Non valevano però molto perché erano già “vecchi”
secondo gli standard di vita del tempo ed era poi difficile mantenerli
o metterli al lavoro, mentre le donne e i bambini erano in realtà più
utilizzabili “con profitto”. Dalle
notizie che abbiamo, sappiamo che gli Slavi non erano soliti tenere
schiavi per lungo tempo e dopo un certo numero di anni a questi
prigionieri veniva concessa la scelta di andarsene per proprio conto o
di entrare a far parte della comunità in cui ormai si trovavano,
formandosi una famiglia propria. Tuttavia altri autori che scrissero
sugli Slavi in epoca ancora anteriore ammettevano che i prigionieri
risparmiati alla schiavitù, talvolta erano
sacrificati agli dèi! A
parte ciò, è chiaro che nessuno di questi casi interessava i
mercanti per farne traffico. Nella
società cittadina – nella Rus’ di Kiev si era appena ai
suoi inizi – un modo per trovare lavoro o per vivere meglio, se non
si avevano altre possibilità, era quello di vendersi ad un facoltoso
padrone in modo da assicurarsi difesa, cibo, rifugio e quanto serviva
alla propria vita quotidiana (stato di rab o slugà in
russo). Essere specialisti nel saper fare qualcosa, permetteva
logicamente di esser accolto meglio dal padrone eventuale come
artigiani, sempre con alloggio e vitto (talvolta il padrone si
preoccupava di trovare la sposa per il proprio lavorante) inclusi, non
esistendo un vero contratto di lavoro come oggi. Questo fu il
caso più comune dei lavoranti di Novgorod presso le cascine di città
dei bojari della repubblica o dei prigionieri russi ritrovati a Qara
Qorum in Mongolia da Giovanni da Pian del Carpine nel XIII secolo.
Oppure
si diventava schiavi per obblighi non onorati o per debiti pregressi
e, addirittura, per debiti ancora da fare ossia per crediti (stato di holop
in russo). Era abbastanza comune per i contadini in seguito a qualche
mattana naturale, inondazione o incendio o pestilenza e simili, di
impelagarsi in accordi di questo genere, talvolta molto rischiosi.
Infatti essendo una schiavitù a tempo determinato, c’era il caso di
ritrovarsi a servire il creditore furbo per tutta la vita, se non si
erano stipulati dei patti molto chiari! Anche
questi schiavi non erano “roba” da traffico, come si capisce bene.
E allora dove trovavano i mercanti questa merce da vendere visto che
la domanda era in aumento? In
verità abbiamo messo da parte un altro tipo di schiavitù o di
vendita di “merce umana” che ancora oggi si fa, sebbene poi la si
mascheri sotto altri nomi eticamente più accettabili nella
monetizzazione odierna, ossia la vendita dei propri figli. Sull’argomento
purtroppo la letteratura è scarsissima perché pochi contemporanei
s’interessarono dei destini degli schiavi salvo che come decoro e
ornamento nelle descrizioni delle grandi dimore e delle grandi corti
in cui se ne contavano a migliaia oppure nelle molto più tarde
considerazioni “etiche” della Chiesa di Roma sulla schiavitù in
generale. In
questi secoli di bassissima automazione moltissime attività che oggi
sono compiute da macchine erano allora fatte da uomini o donne e non
solo perché richiedevano lo sforzo continuo di una o più persone, ma
anche perché certe attività e certi lavori erano considerati
“inferiori” o troppo impegnativi dall’élite al potere e dai
loro emuli e baciapile e quindi era preferibile che li eseguissero
altri individui di rango più basso. E qui entra benissimo il mercante
poiché questo era il genere di merce che fruttava di più di ogni
altra simile con dei clienti che in principio erano in grado di pagar
bene. Distinguiamo
così tre tipi di schiavi principalmente: 1.
da mettere in servizio militare permanente 2.
da impiegare per i lavori domestici (compresi i servizi sessuali) 3. per i lavori pesanti e ripetitivi Per
quanto riguarda il primo tipo, il mercante ne ritrovava presso i
popoli della steppa ucraina e asiatica dove i ragazzi già puberi
erano “venduti” sapendo già cavalcare e tirare d’arco. Erano
considerati schiavi di ottima qualità e, se teniamo presente che
costoro riuscirono a fondare addirittura una dinastia di governo
“egiziana” ossia i Mammelucchi (dall’arabo mamluk
ossia “uomini di proprietà del signore”), possiamo immaginare
come fossero apprezzati e che carriere potessero percorrere (vedi il
Saladino). In questo caso gli schiavi erano di sesso maschile e il
serbatoio di rifornimento era il cosiddetto Paese dei Turchi
ossia Bilad al-Atrak ossia il territorio a nordest della
Coresmia. Per
quanto riguarda il terzo tipo di schiavi, la fonte primaria era
l’Africa Nera (Zinj nelle fonti arabe) e i giovani erano
quasi sempre di pelle molto scura, quasi a voler riconoscere subito
che tipo di lavoro facessero rispetto ad altre persone di servizio con
la pelle più chiara e compiti di maggior prestigio. Erano di entrambi
i sessi ed avevano un prezzo più basso rispetto agli altri perché
considerati di qualità inferiore (!!). E
finalmente giungiamo agli schiavi slavi che erano inclusi nella
stragrande maggioranza nel secondo tipo! Erano di tutt’e due i
sessi, di alto prezzo e destinati ad attività varie e particolari,
tanto da richiedere spesso interventi corporali!
Naturalmente sull’argomento schiavi occorre abbattere degli
stereotipi e noi lo faremo adesso. Per
comprendere meglio questo traffico che durò per secoli (ma non dura
ancora oggi?) e che in pratica fu una vera e propria migrazione quasi
forzata di migliaia e migliaia di persone da una parte all’altra del
continente eurasiatico dobbiamo dire che fruttò fior di quattrini,
non solo a chi semplicemente trafficava, ma anche a chi percepiva
gabelle e pedaggi. Che
questi ragazzi e ragazze fossero poi trattati male dai mercanti è
un’assoluta menzogna. Costavano talmente tanto e il prezzo era
riscosso soltanto se la “merce” si presentava bene! Figuriamoci
quindi se non venissero curati affinché arrivassero a destino in
piena forma! Di certo viaggiavano ben nutriti, ben puliti e in ordine.
E il viaggio era pure lungo. Per dare qualche esempio su
quest’ultimo punto diremo che da Kiev a Costantinopoli ci voleva
circa un mese mentre per giungere a Cordova ce ne volevano anche tre.
Si può quindi immaginare quali spese incontrava il mercante per
questi ragazzi che doveva tenere in ozio per risparmiarli dalle
fatiche. Un
altro quadro sbagliato è quello di vedere sempre gli schiavi esposti
al mercato! Al contrario! Quelli destinati alle corti signorili erano
già prenotati e quindi non dovevano neppure essere visti per sbaglio
dall’acquirente occasionale. Al limite, soltanto quelli scartati
andavano successivamente sul mercato! Nei
dipinti poi a volte vediamo schiavi incatenati o con le braccia legate
e il mercante con la frusta in mano che volge loro uno sguardo che
sembra minaccioso perché promette di batterli a sangue. Anche questo
non è il caso per gli schiavi saqaliba! Erano presentati nudi
affinché non si nascondessero eventuali difetti fisici ed erano
palpati e guardati in tutti i recessi corporei… questo sì! Alla
fine non era un grande scandalo per i costumi dell’epoca, perché i
giovani erano già puberi e dunque la loro era una nudità innocente e
artistica, se così si può dire.
E
vediamo un po’ di capire come e dove venivano raccolti. Nemmeno qui
le fonti sono di grande aiuto e tutt’al più possiamo dedurre come
avvenisse la “raccolta” dal folclore nordico che probabilmente ne
ha conservato nelle favole un lontano ricordo “cristianizzato”. Si
può esser sicuri che, dietro le fiabe tedesche di Grimm come
Pollicino o delle byline russe sulla Baba Jagà, si è tramandato
proprio tutto un complesso di eventi legato giusto alla vendita degli
schiavi giovanetti! Partiamo
invece dalla precaria economia contadina, basata sullo sfruttamento
d’un appezzamento di terreno che col passar del tempo cala di
rendimento. Ad un certo momento la resa agricola non permette che il
numero di persone nutrite si accresca oltre e, data l’alta natalità
(ma anche tenendo conto della grande la mortalità perinatale e della
selezione biologica rispetto alla resistenza alle malattie) bisogna
liberarsi delle bocche in soprannumero… pena la penuria di cibo per
tutti! Per
le ragazze di solito c’era il matrimonio esogamico che ribaltava il
problema della bocca in più ad un’altra famiglia in un altro
villaggio (la famosa famiglia allargata degli Slavi del sud, la zadruga,
qui nel nord infatti era molto meno diffusa). E presso gli Slavi
prendere una moglie in un altro villaggio significava pagare il veno
ossia il prezzo “per l’allevamento” ai genitore di lei! Per
i maschi invece occorreva trovare un altro esito e così, per il loro
bene, ma anche per il bene di tutti, i ragazzi venivano –
addirittura! – portati al mercato per affidarli a chi li volesse…
pagando qualcosa. Alla fine di tutti questi percorsi possibili
(ricostruiti) ecco che qualche genitore più lungimirante che amava
davvero i figli decideva di affidare i propri (e quelli di altri che
erano d’accordo con lui) al mercante di bambini. Niente di diverso
di quello che si fa oggi ovunque e ancora nel mondo, magari in
modo più protervo! Questi
sono dunque gli schiavi che noi chiamiamo qui di seguito saqaliba.
Quanto
poi all’immaginare carovane di schiavi giovinetti commerciati dai Rus’
e dai Rahdaniti come una triste processione di ragazzi battuti a
sangue o trattati male, è assolutamente irreale! Infatti gli schiavi
provenivano anche da altre plaghe slave più a sud del Baltico e dai
Balcani e non si riesce a determinare un centro di vendita ben
definito localizzato per lungo tempo in un luogo. Altro errore è
pensare sempre a catture forzate nei villaggi slavi o finnici o
baltici del Nord per ottenerne, benché dobbiamo ammettere che
talvolta ciò accadde. A
Costantinopoli (e in generale nel mondo cristiano) lo schiavo era
visto, sì, con pietà, ma anche come colui che colpito dal peccato
era caduto tanto in basso per volontà di Dio e perciò, quella che
fosse la sua funzione, finché non avesse espiato le sue colpe era
considerato come un uomo in penitenza perpetua. In questo quadro
ideologico perciò rientra bene la descrizione che Costantino VII
Porfirogenito fa degli schiavi slavi portati dai Rus’ ossia:
incatenati e mandati avanti a spintoni dai padroni. Questo infatti era
il modo che i Rus’ erano obbligati a rispettare per
portarli in città… secondo le prescrizioni di polizia previste
come corollario al Trattato di Olga di Kiev del 947 d.C.! L’accesso
nella capitale imperiale era possibile esclusivamente ad un certo
numero di uomini che non poteva essere superato (50) e perciò gli
schiavi da vendere entravano in città solo se legati come animali e
in tal modo non contavano come esseri umani veri e propri. Per
il mondo musulmano abbiamo la testimonianza di Ibn Fadhlan del 921
d.C. il quale fra le altre cose ci dice come gli schiavi saqalibat erano
alloggiati nella tenda del loro custode dove il compratore poteva
andare a guardarseli nudi e trattarne il prezzo. è
chiaro che gli schiavi più
belli e speciali destinati ai clienti altolocati non erano disponibili
come ci dimostra la grande reticenza
di un mercante Rus’, Dilli, a dare in vendita una ragazza muta già
promessa ad altri, nel racconto della Saga degli uomini di Laxdal. Insomma
il destino che attendeva questi slavi giovanetti non era assolutamente
negativo, anzi! Perdevano la poca cultura che avevano acquisito
durante l’infanzia, ma ne acquistavano un’altra molto più
elevata, visto che diventavano membri di famiglie molto abbienti in
luoghi d’Europa di alta civiltà. Certo, dimenticavano la loro
lingua e persino il luogo dove erano nati e gli unici segni distintivi
che denunciavano la loro origine esotica erano il colore della loro
pelle, i loro capelli biondi e i loro occhi azzurro cielo. E
addirittura, specie nei paesi musulmani, erano quasi sempre circoncisi
e sottoposti ad un regime giuridico molto leggero e non oppressivo
malgrado la loro attività dipendente, proprio come membri di
famiglia… Inoltre
la morale sessuale era diversa a quei tempi e, se una ragazza era
adibita esclusivamente ai servizi sessuali nella famiglia che
l’aveva comprata, non c’era gran che di male, salvo le lamentele
dei soliti benpensanti musulmani che si preoccupavano che queste
“slave” dessero al mondo figli malaticci… a causa del colore
così pallido della loro pelle! Lo stesso Ibn Fadhlan sorprende un
venditore Rus’ in accoppiamento con una delle schiave e si
adombra perché costui completa il suo coito prima di rivolgersi al
cliente che sta ad attendere guardando! Allo stesso modo non c’era
nulla di male che i maschietti, destinati già ad una carriera più
prestigiosa, fossero castrati (Samarcanda, Verdun, Ratisbona erano dei
centri rinomati per questo, dove i medici ebrei sapevano far bene tali
operazioni senza conseguenze per la salute futura dei piccoli
pazienti). Perché
evirarli? Evidentemente ciò era fatto con lo stesso criterio con cui
si castravano i torelli ossia per calmare i loro bollenti spiriti!
Soprattutto lo si faceva affinché non si creassero problemi di prole
illegittima con le donne di casa! Tuttavia integri sessualmente erano
adibiti tranquillamente agli amori pederastici (o pedofilici che dir
si voglia) in voga in tutto il mondo mediterraneo, senza distinzione
di religione… salvo l’osservazione poco benevola di qualche
moralista cattolico del tempo al quale il mercimonio schiavistico era
odioso in sé e per sé. E
allora quali attività erano loro riservate? Per quanto ne sappiamo e
mettendo insieme ambienti cristiani e musulmani, le ragazze servivano
da domestiche, da badanti, da cuoche, da assistenti alle dame della
casa, da compagne di letto, da ballerine o da spogliarelliste. Gli
uomini invece ricevevano anche incarichi di fiducia quale dispensiere
e magazziniere oppure guardiano, scudiero etc. Perché
ci siamo fermati di più sul mondo musulmano? La risposta è presto
data: Le corti musulmane furono le più assidue (durarono più a
lungo, come clientela) nella compravendita degli schiavi, rispetto
alle cristiane. D’altronde la conquista musulmana del VII sec. d.C.
di gran parte dell’Impero Romano non aveva causato distruzioni dei
centri cittadini e dei mercati già esistenti e dunque in queste
“nuove” società più progressiste in cui si fondevano il credo
islamico con le abitudini bizantine (e sassanidi nella parte più
orientale), nelle strutture e negli impianti lo schiavo era già
presente: Non tanto come strumento vivente che fa girare macine o che
rema fino a spossarsi incatenato al banco sulle navi perché questo
tipo di schiavitù di solito era assegnato ad un delinquente
condannato ai lavori forzati (come il soldato vinto!), quanto
piuttosto come persona di servizi domestici. E di questi schiavi si
faceva mercato più intensamente, quasi che il mercante fosse una
specie di agenzia di collocamento al lavoro! E’ inteso pure che per
queste occupazioni i giovani non dovessero soltanto star bene in
salute o essere forti e robusti, ma dovessero essere soprattutto belli
docili e pronti ad accondiscendere a qualsiasi richiesta del padrone
perché li aspettavano attività di fiducia e persino prestigiose.
Poco male se certi non hanno appreso un mestiere quando arrivano dal
nuovo padre e padrone. Faranno il tirocinio qui! Certo,
se sbagliano, sono puniti e forse più duramente di altri non schiavi,
ma questo è naturale e dipende dall’umore e dal carattere dei
padroni più che dagli errori commessi… Intanto
nella cornice della morale cristiana
medievale, la schiavitù non era da sopprimere e non rientrava
esattamente nel quadro delle deliberazioni dei Concilii, intese al
miglioramento delle condizioni materiali e morali delle persone
fisiche. La politica della Chiesa Cattolica mirò soprattutto acché
questi uomini e queste donne non aumentassero il numero degli infedeli
(vista la loro origine prevalente dalle steppe asiatiche già
convertite all’Islam) e degli eretici (visto che provenivano da un
ambiente pagano o ortodosso come il Grande Nord). Questa fu la
posizione riflessa di Ottone I quando avvertì il Doge Pietro IV
Candiano che quel traffico di Venezia con gli schiavi Slavi dal Mar
Nero non gli piaceva affatto perché lo metteva in cattiva luce con
gli Slavi dell’Elba che stava “evangelizzando”! E’ da dire che
i Veneziani però non si attennero alla promessa, ma anzi, per
risparmiare i lunghi viaggi dal Mar Nero fino all’Adriatico, si
misero a trafficare gli Slavi della vicina Dalmazia dal fiume Neretva
(gli schiavi narentini). Per di più, come nel caso dei turchi delle
steppe, si rafforzavano le armate militari dei regni musulmani che
premevano l’Impero da tutti i lati. Dunque
intorno al X secolo,
maschi e femmine, erano destinati (e lo ripetiamo) più agli usi
domestici e soltanto in minor misura ai lavori agricoli, come era
stato sotto l’Impero Romano antico. Pertanto: numero limitato per
l’impiego nei lavori logoranti (sotto il sole nei lavori agricoli la
pelle si abbronzava e le donne non piacevano più!), lunghi percorsi
dal punto di “produzione” ai mercati di vendita e dunque
preoccupazione che arrivassero a destino malati o esausti e guadagni
notevolissimi per i mercanti (ricordiamolo!) principalmente Rahdaniti
e Veneziani. Quanto
costavano all’ultima vendita, detratte le spese di mantenimento,
viaggio e gabelle pagate lungo gli itinerari? Vediamo
però i prezzi correnti. L’archeologo
F. Schlette, ci dà un prezzo generico per il X sec. in area
carolingia: 300 g d’argento che paragona a quello d’un cavallo che
ne costava quasi altrettanto o d’una vacca, 100 g, o d’una spada,
125 g. Un altro autore, lo storico americano Y. Rotman, ci dà un
prezzo (minimo) di 10 nomismi d’oro o due rotoli di seta in
area bizantina nel IX secolo.
Una schiava negra invece costava soltanto 4 nomismi, sempre a
Costantinopoli! I
prezzi dati sopra sono comunque somme molto alte rispetto al tenore di
vita del tempo della gente semplice (2 nomismi era il salario d’un
intero anno di un uomo libero al lavoro dipendente!) che viveva dove
questi schiavi venivano comprati e perciò solo un re o un signore di
pari potenza economica poteva permettersi di averne o di usarne. Come
esempio, aggiungiamo che per un servizio sessuale con una schiava di
un altro padrone il prosseneta incassava dal cliente ben 36 nomismi
per una notte!! Gli
acquirenti registrati comunque sono fra i più notevoli: La corte
musulmana di Baghdad, Costantinopoli, il Papa di Roma, le corti
carolingie,
l’Egitto, Palermo, l’Arcivescovato di Magonza, Ingelheim etc. etc. Ed
ecco che si presenta il problema di individuare quali erano gli
itinerari mercantili più frequentati che portavano gli schiavi slavi
dal Nord russo al Mediterraneo e come erano fra loro collegati e come
evolsero, almeno fino al XIV secolo. Prima
di addentrarci in questo argomento diciamo subito che qui non lo
esauriremo e aggiungeremo che in questi traffici l’unica città
russa nel X sec. che ci guadagnò più delle altre fu Kiev con le
gabelle (in natura ossia proprio “pagando” qualche schiavo per
mercante, di solito poi assegnato alla druzhina del knjaz)
e che la raccolta maggiore era nell’attuale Bielorussia in cui
Polozk e Druzk mantennero le vendite di schiavi più cospicue fino al
1430! E proprio dalla Bielorussia i traffici di schiavi viaggiavano
“via terra” (in realtà viaggiavano lungo affluenti interni del
Danubio) e poi entravano nell’Impero Franco attraverso il posto di
dogana di Raffelstetten in Austria odierna (passando prima dalla
franca Ratisbona, un’altra delle “fabbriche d’eunuchi”) fino
al XI sec. Una città slava che fiorì con questo commercio era
proprio all’uscita dell’itinerario che passava per Raffelstetten:
Praga (anch’essa centro di castrazione). Ce lo dice un visitatore
ebreo andaluso interessato a questi traffici, Ibrahim ben Jaqub, che
passò da queste parti intorno al 965 d.C. Val
la pena leggerlo in qualche rigo: «Praga
è la città più ricca per i traffici … in questo paese. I Russi e
gli Slavi portano qui le loro merci passando da Cracovia. Anche i
musulmani, gli ebrei (rahdaniti) e i turchi dal Bilad al-Atrak
portano le loro merci e i pezzi d’argento per trafficare. … (Qui
comprano) schiavi, stagno e vari tipi di pellicce (pregiate)…».
Tuttavia
la via preferenziale degli schiavi saqaliba fu il Dnepr e il
Mar Nero. Dalle Terre Russe del Nord via Chersoneso in Tauride si
andava fino a Costantinopoli. I traffici diretti in Spagna, per
al-Andalus, invece usufruivano dei trasporti via mare che collegavano
(ce lo dicono le carte della famosa Ghenizà del Cairo) velocemente le
coste palestinesi o Alessandria d’Egitto con Almeria sul
Mediterraneo o con Siviglia al di là dello Stretto di Gibilterra. Per
queste ragioni le carovane dopo aver percorso il Volga non
attraversavano il Caucaso da Derbent, ma aggiravano il Mar Caspio
lungo la riva orientale nel territorio della Coresmia e poi scendevano
verso Baghdad e di qui proseguivano per il litorale mediterraneo. Il
Mar Nero era escluso a causa dei nomadi delle steppe ucraine e delle
ostilità con Costantinopoli. Alla fine il Mar Mediterraneo fu e si
affermò come la strada più frequentata da questo traffico. Infatti
sappiamo che anche i rahdaniti risalivano il Rodano fino a Lione con i
loro carichi entrando dalla foce con le navi noleggiate… La
concentrazione lungo le coste meridionali baltiche di tesoretti
composti di monete d’argento coniate nel Vicino Oriente musulmano ci
dicono che gli schiavi passavano anche per di qua, certamente insieme
con altre merci altrettanto costose e importanti. Andavano nelle corti
del Regno Franco? Non ne abbiamo la certezza, ma visto che i Vichinghi
norvegesi trovavano mercato per i loro prigionieri lungo il Mare del
Nord, è possibile che anche gli schiavi slavi prendessero le stesse
vie visto che le monete coniate in Inghilterra cominceranno ad
aumentare nel Baltico intorno alla fine del X sec. Può anche darsi
che, dalle coste del Golfo di Biscaglia (allora praticamente
disabitata e quindi terra di nessuno), i carichi arrivassero di nuovo
in terra musulmana di Spagna. Una
domanda però è d’uopo a mo’ di conclusione: a
chi e a che cosa serviva circondarsi di tanti servitori? Come
abbiamo visto i clienti-padroni erano tutti facoltosi e nel Medioevo
ciò significava avere potere sugli uomini per poter imporre il
diritto di prelievo e l’obbligo di produrre un surplus e questi
ricchi, la loro famiglia e il loro gruppo avevano la necessità di
mostrare questo potere attraverso l’ostentazione del prestigio e la
legittimazione quotidiana attraverso l’ideologia religiosa
dominante. Dedicavano tutti i loro sforzi, ideologici e finanziari, a
questo scopo: lo spettacolo del potere. Ciò logicamente implicava
l’allestimento di continui eventi che richiamassero la gente
soggetta ad applaudire e ad approvare (processioni, mercati, sagre,
compleanni del signore e simili liturgie) in cui occorreva non solo
materiale e oggetti preziosi, ma anche tantissimo tempo perché le
cerimonie e la preparazione alle stesse lo richiedevano. Per questi
motivi una numerosa servitù era importante per fornire il tempo
libero occorrente e ciò era tanto più vero quanto più l’esercizio
del potere era concentrato nelle mani di re e reucci, di nobili e
signori della Chiesa. Nel
mondo musulmano gli spettacoli del potere erano alquanto meno
imponenti e, se possiamo esprimerci così, più popolari poiché la
società voluta da Maometto non ammetteva capi o imperatori, ma solo
difensori della fede e grandi credenti. Questa differenza è
qualitativamente incisiva per distinguere la visione del mondo da
quella del Cristianesimo. Nell’Islam sia il ricco notabile sia il
califfo o l’emiro dedicavano tutto questo tempo libero… alla
cultura! E non solo impegnandosi personalmente, ma anche attraverso
elargizioni e fondi. Quel mecenatismo che
veniva dai vertici era una specie di zakat (elemosina
obbligatoria rituale) verso quelle menti inclini alla ricerca
scientifica, ma prive dei mezzi necessari! La ricchezza infatti era
un’elargizione divina e veniva affidata a pochi uomini non perché
ne disponessero a proprio piacimento, ma per aiutare i più deboli e
per spingere nei modi permessi al progresso comune! E qui i nomi di
emiri o califfi colti e di uomini indigenti forniti di mezzi dal
califfo o, pensate, dai ricchi mercanti per impegnarsi nella scienza
pratica sono una lista lunghissima… Tutto
al contrario del mondo “cristiano” che invece amava la pompa e le
discussioni vuote sui temi più astrusi vietando alle menti più
libere di indagare la natura. Malgrado
ciò, non ci interessa tanto sottolineare che in quel periodo il mondo
islamico fosse più avanti nel progresso materiale e spirituale,
quanto invece il risultato generale ove tutta l’Europa progredì e
una delle cause scatenanti (lasciamo al lettore giudicarne il peso e
l’importanza) di questo progresso fu proprio l’aumentare del tempo
libero per l’élite… in conseguenza dei servigi resi dagli
schiavi!
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©2008 Aldo C. Marturano.