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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 30/1 |
La foresta è una miniera di materie prime per
fabbricare moltissime cose, ma nel Medioevo il suo sfruttamento
(fortunatamente!) non era così intenso e distruttivo come è diventato oggi in
generale, ad esempio negativo, nella foresta del Mato Grosso. Almeno molta parte
della foresta europea si conservò, ma moltissima altra scomparve per…
ricavarne terreno da coltivare! L’idea che si andava affermando in quegli anni
di fervore cristiano, appoggiata dalle dichiarazioni dei molti santi (perlopiù
irlandesi) dell’alto Medioevo, era che nella foresta si nascondessero il
paganesimo e i suoi sacerdoti diabolici per cui, solo distruggendola, si poteva
eliminare il rifugio del demonio e dei suoi servi. Inoltre si offriva la
possibilità a sempre più numerose persone di trovare una vita cristiana
lavorando la terra e guadagnandosi il paradiso col sudore della fronte. Detto con le parole di un grande studioso come Roland Bechmann: Malgrado la sistematica distruzione, che rimanesse pure qualche lembo di
bosco per la caccia dei cavalieri nobili e per l’indispensabile raccolta di
qualche prodotto fondamentale per la vita economica! Allo stesso tempo, che
tutto fosse sotto controllo, parcellizzato e… santificato! Non solo! Quando la domanda per i prodotti silvicoli andò aumentando
nei secoli X-XIII in Occidente, la foresta nordica diventò
l’unica risorsa delle indispensabili materie prime e la dinastia di
Rjurik fondò la propria esistenza economica e politica durata fino
alla morte di Giovanni il Terribile esclusivamente sul traffico di ciò
che si ricavava dalla foresta! Si capisce dunque che la protezione di
questo tipo di ambiente diventò interesse primario della Rus’ di
Kiev e già iniziò simbolicamente con Olga di Kiev a metà del X secolo,
quando costei riservò a suo uso personale alcune zone forestate del
nord. Naturalmente lo sfruttamento restò a disposizione di tutti
coloro che vivevano intorno ad essa, con quasi nessuna limitazione
giuridica, purché lo smierd e i suoi continuassero a
raccogliere non solo ciò che serviva loro per la propria economia di
villaggio, ma anche ciò che serviva per produrre prodotti e
semifiniti da passare a Kiev come tributo. A quei tempi inoltre, non
esistendo alcun contratto sociale con l’élite al potere del tipo
dell’obbligo di assistenza sanitaria o economica verso i sudditi,
alla foresta era affidato un ulteriore compito: quello letterale di
rappresentare per lo smierd, persino e soprattutto, il luogo
dove trovare la soluzione a tutti i problemi quotidiani! Vediamo di
capir meglio quest’ultima affermazione come essa si è conservata
attraverso la mitologia slavo-orientale ricostruita dai ricercatori
russi più specializzati. Fra gli alberi abitano gli esseri dai poteri soprannaturali che regolano il mondo per conto del Creatore e dunque, se c’è un evento è possibile contrastarlo o evitarlo con la loro mediazione oppure, alla stessa maniera, è persino possibile provocarli. Abbiamo già detto che il tempio degli dèi slavi è qui fra gli alberi e dunque la mediazione del volhv per alcuni problemi della vita talvolta è indispensabile, ma in altri casi bisogna arrangiarsi da soli. Ma di quali problemi stiamo parlando? Un malanno fisico? Un disagio psichico? Un problema economico? E davvero è possibile trovare soluzioni efficaci vagando fra gli alberi? Sicuramente lo smierd si trovava ad affrontare problemi personali di varia natura, ma come membro di una grande famiglia trovava sempre assistenza e aiuto concreti in tutti i campi da parte di tutti gli altri membri e non sempre era necessario ricorrere alla preghiera e ai sacrifici per una mediazione con le forze divine. Inoltre tutti sanno che l’infinita provvidenza del Creatore
dell’Universo in caso di crisi aveva formato animali e piante per
servire all’uopo! Ma come fare a riconoscere la pianta o l’animale
giusto? E qui s’innestava la secolare esperienza che gli antenati
avevano accumulato e che avevano tramandato di uomo in uomo e di donna
in donna nella grande famiglia slava. Bastava chiedere a quelle
persone che sapevano ed esse vi avrebbero aiutato a trovare la pianta
o l’animale destinati a voi. C’erano però
delle regole da rispettare. Questo sì! Ad esempio, l’uomo nella
selva è un ospite in casa d’altri e quindi deve sempre chiedere il
permesso al Lescii, lo spirito che la governa. La foresta è
viva e noi non abbiamo il diritto di uccidere i suoi abitanti per
nostro piacere, ma solo se debitamente “autorizzati”! Occorre
quindi chiedere il loro aiuto nei casi giusti ed essi, se implorati
nel modo corretto, sia piante sia animali si presteranno volentieri a
sacrificarsi al posto nostro perché sanno che anche noi faremmo lo
stesso per loro. Ne segue che è inutile affaticarsi a cercare piante
e animali con insistenza perché ce ne potrebbe cogliere male, in
quanto molte sono le forze maligne che
stanno a guardarci e quando siamo
nel dubbio sono pronte a ridurci in loro ostaggi (zalòzhniki).
è bene quindi aver pazienza e quanto ci serve comparirà davanti a
noi senza neppur fare un gesto giusto, perché gli spiriti sanno
leggere nel nostro pensiero e conoscono i nostri desideri. Evitare
l’ingordigia è anche importante, e bisogna
lasciare sempre agli abitanti
della foresta una parte di quello che si è consumato, scusandosi con
loro se è troppo poco. Ecco! Questo è il tipo di comportamento che lo smierd deve
mantenere di fronte alla “sua” foresta. Soltanto così si riesce a
vivere con meno preoccupazioni possibili o, detto in maniera più
cinica, a consolarsi e rassegnarsi nel modo meno doloroso. Dio sarà
pure il creatore di tutto questo, ma deve mantenere l’uomo in vita,
se vuole essere servito da lui a dovere! Nella concezione mitologica, all’uomo erano assegnati dalla nascita un
certo numero di anni da vivere (rok) trascorsi i quali si
prendeva la via per il mondo dei morti. Osservando la natura, in cui
ogni anno il rito alterno delle morti e delle nascite si ripeteva
fedelmente senza grandi cambiamenti, non c’era ragione per non
credere che non dovesse accadere lo stesso alle persone. Durante il
periodo “attivo” della vita però capitavano imprevisti che
potevano abbreviare o allungare, danneggiare o deviare il rok
personale. Se il corpo umano era costruito più o meno come quello
degli altri animali, doveva funzionare regolarmente per il tempo
assegnato e, solo quando una forza maligna penetrava all’interno, si
scombussolava il meccanismo ed ecco dolori, malattie, disagi psichici
e simili. Non la morte! Questa comunque arrivava per consumazione e
vecchiaia, purché non prima del previsto e nei modi ammessi! Morire
prima o vivere troppo, questo era l’imprevisto! E l’imprevisto
solitamente era provocato dalla capricciosa intromissione di forze
invisibili nel corpo vivo e nelle cui azioni il Creatore non
interveniva, se non dovutamente implorato e pregato dall’uomo
colpito. La ricerca del benessere fisico e psichico (se è possibile fare tale
distinzione!) è un bisogno naturale e diffuso! Anche qui vale
l’osservazione degli animali nostri simili. Certo! Anche gli animali
subiscono talvolta, ma rarissimamente, disagi fisici, ma poi in breve
tempo ritornano come prima dopo essersi aggirati nella foresta ed aver
ingurgitato qualche sostanza che ridona loro la vita! Qualche esempio?
Tutti coloro che hanno in casa un gatto sanno benissimo che ogni tanto
questo piccolo dolce carnivoro ha bisogno di cercare la cosiddetta
erba gattaia. Questa erba ha effetti vomici che al gatto serve per
vomitare i peli che ha accumulato nello stomaco a causa delle varie
pulizie con le leccate periodiche che fa della propria pelliccia. è evidente che ha un disagio e deve liberarsene. Ancora! Qualsiasi
pescatore sa che se mette sul suo amo una certa esca pescherà un
certo pesce e se invece ne metterà un’altra pescherà altri pesci.
E così via. Insomma, per farla breve, se gli animali sanno tenersi in
forma con quello che la natura offre loro, se hanno i loro gusti
quanto al cibo che trovano esplorando la natura, così gli uomini, non
molto diversi, possono scoprire nell’ambiente ciò che serve in
tutti i casi particolari di bisogno o di necessità. Dunque nella foresta c’è il rimedio a tutto! Ciò che metteva in ansia lo smierd però non era il malanno o il
guaio in sè, ma il non poterlo prevedere o il non aver colto i segni
che ne indicavano l’approssimarsi! Ogni qual volta era possibile
prevedere e premunirsi, l’uomo viveva meglio… come è ancora oggi!
C’era dunque tutto un apparato di rituali scaturiti dalla conoscenza
degli antenati, che abbiamo già in parte esaminato, da eseguire a
scopo scaramantico. Interi libri di scongiuri per qualsiasi caso della vita sono stati
raccolti, numerosi amuleti, specialmente di pietre semipreziose, sono
stati classificati e vari luoghi “sacri” (i crocicchi
specialmente) sono stati individuati e descritti, e tutto questo
materiale è così minuzioso e preciso che è impossibile immaginare
che lo smierd fosse senza difesa contro il male, benché non
avesse né le medicine né gli specialisti di cui noi oggi (a
pagamento!) disponiamo! Quanto poi questa difesa fosse efficace,
questo rimarrà per noi un mistero… Oggi comunque non è cambiato molto negli atteggiamenti umani davanti
alle forze della natura e persino i mezzi materiali sono ancora gli
stessi. Infatti dopo un secolo di intense ricerche chimiche e fisiche
ci siamo accorti che le molecole che noi fabbrichiamo nelle nostre
industrie farmaceutiche per curare o lenire tutta un’infinità di
malanni e disagi, siano essi provocati dal modo di vivere siano essi
inventati per ragioni di economia o di pubblicità, cominciano a
costarci troppo in inquinamento e in risorse sprecate. Ci siamo
accorti che varrebbe forse la pena di cercare quelle stesse molecole
nelle piante ed estrarle da esse o dal mare o dagli animali senza
sprecare energia e vite umane in inutili e complicati procedimenti
artificiali. Perché non utilizzare le delicate fabbriche, sperimentate da milioni di
anni di equilibrio biologico che sono sotto i nostri occhi sotto forma
di erbe e di animali piccoli e grandi? E non è già questo che si
comincia a fare con la bioagricoltura? E invece, abbagliati da
superficie lucide a specchio, da scintillii e showroom, continuiamo ad
eliminare erbe e fiori, insetti e animali come se fossero un qualcosa
in più nel mondo abitato! Non stiamo auspicando un ritorno al tempo
antico o un regresso tecnologico! No! Crediamo che sia giunto il
momento di riflessione per organizzare meglio il nostro pianeta senza
trasformarlo ulteriormente in una parte dei nostri rifiuti
irriciclabili, altrimenti fra non molto non troveremo più posto
neanche per noi stessi! Nel fondo del paganesimo slavo e nelle
tradizioni conservatesi in questa parte d’Europa si legge proprio
questo desiderio umile di mantenere un equilibrio con il resto della
natura al di là di chi l’avesse creata, un dio cristiano o un dio
pagano… Entriamo allora fra gli alberi e cerchiamo quanto ci serve per il nostro benessere. Abbiamo già dato una rapida occhiata alle tante piante che oggi, magari, non sapremmo neppur riconoscere e che tornavano invece utili allo smierd, poiché dobbiamo continuare il nostro viaggio per vedere come, oltre al cibo, queste piante fornivano altre sostanze che in modi diversi potevano dare felicità e liberare da disagi. Tuttavia, come abbiamo sempre ribadito, non è possibile strappare
un’erba, un fiore, una bacca senza il consenso dello spirito
protettore rispettivo e la raccolta non è mai una semplice operazione
di routine, ma un rito sacro che non può essere eseguita
semplicemente da chiunque in qualsiasi momento libero… come facciamo
noi oggi! Messici allora in
quest’ottica, cominciamo dal più straordinario e dal più sacro
degli esseri viventi: la Quercia. Se mai vi capiterà di trovarvi davanti ad una quercia viva con un’età di qualche secolo, ne rimarrete di certo folgorati poiché lo spettacolo è indescrivibile quanto a grandiosità. Si è di fronte ad un albero di altezza impensabile (fino a 50 m!) che domina su tutta una vasta zona da solo poiché intorno ad esso raramente crescono altre piante. Persino solo alcune specie di funghi crescono alla base del tronco. Ciò è dovuto alla secrezione di sostanze inaccettabili al metabolismo di moltissime specie vegetali del sottobosco o di altri alberi che la quercia immette nel terreno dalle profondissime radici. La chioma invece incombe enorme e con le sue grandi foglie lobate copre tutto il cielo sopra di noi. Se non sapessimo che quest’albero, quantunque grandioso ed alto, ha comunque una cima, penseremmo che esso davvero raggiunga le nuvole. Mettetevi ora nei panni di uno smierd che si muove sempre in pianura e non ha mai occasione di dare un’occhiata al paesaggio da un’altezza da cui poter ammirare il suo inferno verde! Potrebbe immaginare tranquillamente che una quercia raggiunge la dimora degli dèi! Tocca il cielo! Se avrete l’occasione di recarvi sul Dnepr, nei dintorni di Zaporozhe
(l’ultima grande cataratta prima di arrivare al Mar Nero) a sud di
Kiev c’è un isola chiamata Hortiza, famosa anche perché era una
base dei famosi Cosacchi del Don. Visitatela perchè qui esiste una
quercia davvero enorme. La chioma ha un diametro di poco meno di 50 m
e il tronco di base ha una circonferenza di oltre 6 m. A quanto pare
ha oltre 600 anni e si dice che alla sua ombra si riposasse l’eroe
cosacco nazionale ucraino Bogdan Chmelnizki. E non è la sola in
Europa con tale veneranda età! Roland Bechmann ne nomina qualcuna per
le foreste di Francia ed ultimamente è stato pubblicato un atlante
delle querce annose tedesche! Insomma stiamo parlando della regina degli alberi della selva. Giustamente la denominazione latina contiene la parola che significa forza
(ossia Quercus robur) proprio perché, finché l’uomo
non ebbe gli arnesi adatti, una quercia era difficilissima, se non
impossibile, da abbattere. Per di più il fatto che la vita di un uomo
non riusciva a vederla morire insinuò anche l’idea che l’albero
fosse eterno e che il fulmine la evitasse. E che dire dei frutti,
delle ghiande? Suscitavano l’idea del maschio, del dominatore, della
potenza dell’uomo rispetto alla donna debole e coatta. In latino il
nome per glande umano è uguale a ghianda e così in
russo e in tedesco per la grande somiglianza fra frutto e parte
superiore del fallo! Insomma, quest’albero, una volta diffusissimo
nelle foreste europee, con la sua dissacrazione imposta dal cristianesimo e con l’uso delle asce di ferro a poco a poco ridusse
la sua diffusione e moltissimi individui furono abbattuti e ridotti a
materiale da costruzione. La toponimica europea malgrado ciò ne
conservò il ricordo ed è piena di nomi che ancor oggi ricordano la
sua presenza. Forse più di altri è così nell’area slava dove la
città di Dubrovnik (chiamata Ragusa dai Veneziani) ne è l’esempio
più clamoroso! Nella Pianura Russa poi i nomi che ricordano la
quercia sono parecchie centinaia e molti di essi sicuramente si
rifanno alla presenza dei piccoli querceti sacri dove il volhv
celebrava i riti pagani fino a qualche secolo fa in onore di Perun e
della sua paredra. Abbiamo già nominato questo dio slavo-baltico. Aggiungiamo che lo
ritroviamo nel polacco Piorun, nello slovacco Perom e addirittura è Pargianja
in sanscrito e Fjorgyn in norreno e, se ci è permesso
azzardare un’ipotesi, potrebbe essere persino identificato con Quirinus
(dal latino *quir-c- per quercia), il dio particolare di Roma.
I Celti davano alla foresta della Gallia lungo il Reno il nome di Hercynia
Silva (come ci informa Cesare) in cui si nasconde la stessa radice
*hercu- di quercia per la grande diffusione di questo
albero sacro ai Druidi! Una cosa però non è certa: che Perun fosse in cima all’olimpo slavo!
Dai documenti ci risulta al contrario che questo dio fu elevato a tale
preminenza da Vladimiro e che prima ogni clan o tribù aveva i suoi dèi
particolari fra i quali Perun era assente! Ad onor del vero fra gli
Slavi Occidentali il dio supremo è un altro a nome Svantevit/Svjatovit.
Tuttavia Perun viene già nominato al tempo di Igor e di Oleg, ma
dicono le Cronache Russe che nell’anno 980: «… (Vladimiro)
si mise a governare da solo a Kiev e pose i kumiry (i simulacri
divini) sulla collina vicina allo spiazzo davanti al suo terem:
Perun di legno (di quercia, naturalmente!) con una testa (ricoperta)
d’argento e con i baffi d’oro…», con evidente atto di
devozione in quanto Perun lo aveva protetto fino a quel momento e che
quindi, da vincitore, ora Vladimiro lo imponeva quale dio maggiore di
ogni altro! Dunque la quercia e il suo legno sono sacri e non possono essere
destinati ad altri usi se non quelli in cui si onora il dio che
“abita” la pianta. Attenzione! Ciò non significa che proprio per
ragioni sacre non possano essere abbattute delle querce per per
costruire costruzioni sacre, come le fortificazioni. E non solo! Il porco è ghiotto di ghiande e quindi il suo posto
preferito nella tarda estate, prima che la sua padrona lo richiami
dalla foresta, è proprio sotto le querce dove la scrofa addirittura
si accoppiava con il cinghiale. Pure in questo si può riconoscere una
sacralità speciale e un legame di questo animale con Perun… è anche chiaro perché, ancora oggi in Bielorussia, all’ospite gradito
e onorato venga offerto come piatto speciale il lardo di porco
tagliato a dadini e fritto nel burro! E che dire dell’orso? Anche lui è grande amante delle ghiande… E
non soltanto, poiché le ghiande nel lontano passato venivano tostate
per il consumo umano. Dalla farina che se ne otteneva si faceva un
infuso che oggi possiamo raffrontare nel gusto al caffé sebbene molto
meno amaro di questo. Probabilmente anche questo consumo era
ritualizzato e sacro… Le foglie di quercia poi, abbastanza grandi (fino a 20-25 cm), quando
l’albero in autunno se ne spoglia nel mese di Listopad,
vengono raccolte con cura e servono ad avvolgere il karavai e
dargli quella bella crosta bruna lucida di cui abbiamo già parlato, a
causa dell’imbrunimento dei tannini esposti alla temperatura della pec’ka.
La corteccia dell’albero poi con l’avanzare dell’età si fessura
e si spacca e questa corteccia è molto importante per conciare le
pelli. Anche le sue schegge quindi erano raccolte e pestate e, immerse
nell’acqua impediva la marcescenza delle pelli con l’azione dei
tannini. La quercia però non è il solo monumento vivente che si può trovare
nella selva: ce n’è molti altri e altrettanto
(sebbene un po’ meno) notevoli, ma che facevano molto comodo allo smierd.
Di solito ogni regione ha i suoi alberi caratteristici ai quali la
gente del luogo è affezionata e la Betulla è quello al quale i
popoli della Pianura Russa sono legati di più, ma che i loro antenati
considerarono indispensabile addirittura per la vita. Della nordica
Betulla (berjòza in russo, Betula sp.) generazioni di
slavi hanno goduto (e godono), delle sue proprietà e dei suoi
prodotti utilissimi. Era così caratteristica che ha dato il nome a
vari fiumi e laghetti, a cittadine e a villaggi del nord. In
particolare è probabile che il Dnepr abbia preso il nome
“classico” del suo corso superiore, registrato nelle Storie di
Erodoto come Boristhenes, proprio dalle betulle e cioè dal suo
affluente Berezinà (fiume di betulle o qualcosa del genere)
dove secoli dopo fu battuto Napoleone in Russia! La caratteristica più famosa è il colore della sua corteccia, bianco
argentato! Non tutte le cortecce di Betulla sono però dello stesso
colore e ce n’è anche specie con la corteccia nera, ma che non
appartengono alla foresta europea. Nella Pianura Russa se ne conoscono
circa una cinquantina di specie e sottospecie e la più comune è
quella che ha ricevuto il nome di Betula alba sp. L’albero
è molto longevo e vi sono individui con oltre cento anni di età! Lo si idealizzò nelle poesie e nei canti russi quando si descrisse
l’eleganza delle sue forme, il lungo e sottile tronco, la bianca e
lucente corteccia che scintilla alla luce della luna. Soprattutto però
lo smierd aveva un rapporto speciale con la betulla. Questa gli
comunicava ogni giorno, attraverso l’aspetto della sua chioma e
delle sue foglie, come stava andando il tempo! è come un calendario
delle stagioni poiché la Betulla ha degli abiti che muta non appena
sente che sono cambiate temperatura, pressione dell’aria e umidità.
Comincia dominare il colore dorato? Ormai l’inverno è vicino!
Appare il verde? è arrivata la primavera! Per di più se il verde
appare prima del solito lo smierd si rallegra perché vuol dire
che l’estate sarà più calda… Riportiamo un vecchissimo indovinello russo sulla betulla che dice: «C’è
un albero che conosce quattro arti. La prima: illuminare il mondo; la
seconda: far tacere il grido [v. più oltre su questa strana malattia
medievale]; la terza: guarire i malati; e la quarta: mantenere la pulizia
del corpo!». E davvero la Betulla esaudisce tutte queste cose: col
suo succo (linfa, che si può tirar via in gran quantità dalle
betulle destinate ad essere abbattute nel famoso rito del podsek
e cioè del taglia-e-bruci), con gli infusi dalle sue foglie,
con i suoi rami (veniki) usati per battere il corpo nudo nella banja
per ravvivare la circolazione del sangue e mantenere la pelle
giovane. Con la primavera sale lungo il tronco il più prezioso dei
suoi prodotti, il succo, che sgorga lentamente al taglio leggero sulla
corteccia e si può raccoglierlo per berlo fresco o allungato con
acqua e persino leggermente fermentato. Ha un sapore fra il dolce e il
salato, ma è molto diuretico e perciò aiuta alla pulizia interna del
sangue con l’urinare frequente. Sulle biforcazioni dei rametti giovani poi si formano delle verruche (borodòvki)
gonfie di resina (djògot) che si usa come unguento medicinale
e si usava (ma ancor oggi!) per guarire gli erpeti facciali! Usato
sulla pelle delle donne, la ringiovanisce e tutti sanno che le
ragazze, quando si devono preparare per la festa, in segreto vanno nel
bosco dove ci sono betulle e si spalmano con questo balsamo (oppure
col succo, detto pasok) per acquistare un bel colore rubizzo
sulle guance. A maggio quando appaiono i suoi fiori è il tempo di
raccogliere le foglie per gli infusi. I rami di betulla però si usano
anche da bruciare nella pec’ka e i rametti più fini per far
luce (la cosiddetta lucìna usata dalle tessitrici per
illuminare il lavoro serale d’inverno!) per l’effetto del djogot
sopra detto che brucia bene e non fa fumo. E che dire della corteccia?
Ottima come supporto per scrivere, la scorza di betulla (berjòsta)
è rimasta importantissima nella storia russa per essere stata usata
come carta da lettere fra i secoli XI e XIII specialmente nella zona
della coltissima Novgorod la Grande.
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Estratto
ed adattato dal libro: RASDRABLIENIE, STORIA DELLA RUS’ A PEZZI, di
Aldo C. Marturano, 2005.
©2006 Aldo C. Marturano