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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 30/2 |
II parte
Un altro albero della
foresta che ci ha impressionato è il Ginepro (russo buzinà,
Juniperus communis sp.). Se lasciato crescere lentamente come
avviene nei climi più freddi l’individuo può raggiungere
l’altezza di 6 m dal suolo, se invece lo si lascia vivere nelle
vicinanze delle case (che la pianta preferisce) allora diventa un
arbusto magico dalle proprietà misteriose e utilissime: probabilmente
è la pianta dell’Ovinnik poiché dove c’è il Ginepro topi
e sorci non si avvicinano! Naturalmente è la donna dello smierd che conosce meglio tutte
queste cose e a causa di ciò quando il suo uomo la vede cuocere acqua
e foglie, ha paura! Come mai? Qui c’è la storia del rapporto fra
donna e fuoco, fra un essere impuro ed inferiore come lei e il
purificatore per eccellenza. Come mai la donna è un essere impuro,
pur essendo un essere molto simile all’uomo e destinata persino a
riprodurlo nel proprio corpo? Non possiamo dirlo con chiarezza poiché
è un vecchio dibattito ancora senza una risposta fra gli etnografi e
gli antropologi, ma possiamo solo azzardare un’ipotesi
“funzionale”. Per un certo
periodo della sua vita la donna perde sangue ogni 28 giorni e, invece
di morire per questo, rinnova la sua potenza creatrice che mette a
disposizione dell’uomo per i prossimi 28 giorni. Questo ciclo
coincide con quello della luna e dunque luna e donna devono essere
in qualche modo legate. La luna, al contrario del sole, non
suscita paure poiché il suo ciclo è sempre uguale e senza
interruzioni o variazioni, né da essa dipende la crescita delle
piante e quindi la produzione del cibo, ergo è un dio (o dea)
inferiore! L’universo però può esistere senza la luna? Certamente
no! Altrimenti non esisterebbe la donna. Qual è la relazione della
donna allora con il mondo della notte, del buio e del misterioso?
Forse la donna è la personificazione della luna? Dalle ricerche di
J. Frazer, di M. Eliade, di H. v. Glasenapp ed altri alla donna è
sempre impedito l’accesso ai recinti sacri dai diversi popoli del
nord Europa e quindi non dovrebbe essere diverso anche nel caso degli
Slavi Orientali. Nel kapisce il fuoco acceso dalla brace di un
incendio generato dal fulmine arde sempre in onore del suo dio,
vegliato dal volhv. Tuttavia il fuoco generato dal cielo può
essere anche riprodotto in modo meno spettacolare e terribile (come è
stato insegnato agli uomini da Perun stesso nella notte dei tempi,
probabilmente), sfregando due legni… di quercia! L’abbiamo visto
fare nella grande festa di Kupala. Da che cosa deriva allora quella
certa speciale relazione fra donna e fuoco e come si concilia con la
natura femminile “lunare”? Semplicemente perchè l’izbà
si può paragonare al kapisce, ma nella casa dello smierd
il fuoco arde nella pec’ka, ed è vegliato dalla donna. Nella mitologia slavo-orientale il dio del fuoco è Svarog, che
abbiamo già incontrato, e suo figlio è proprio il fuoco stesso ossia
Svarozhic’ (figlio di Svarog). Il fuoco però non solo
distrugge, ma anche purifica e rende qualsiasi cosa un vapore talmente
fino che sale fino al cielo. Proprio a questa sua proprietà purificatrice e divinizzante è legata
la cerimonia, che si conservò per molto tempo anche dopo
l’introduzione del Cristianesimo, di bruciare i morti con il corredo
dei loro arnesi e con qualche frutto a loro più gradito, sacrificando
persino una delle mogli sulla stessa pira funebre. Attraverso quella
cerimonia del fuoco (krada o klada) il morto si
ricongiungeva al suo Creatore e viveva la sua vita più lunga fino al
Giorno del Giudizio (Strasc’nyi Sud). Spegnere dunque un
fuoco generato da un’azione divina (o per volere divino) è dunque
sacrilego e non si deve mai farlo perché significherebbe offendere
Svarozhic’! Di qui ne segue lo strano atteggiamento dello smierd
(a cui abbiamo già accennato in altro luogo) di fronte ad un incendio
generato da cause ignote (e dunque divine) e il biasimo per colui che
sputa sulle fiamme! E come può mai accadere che la donna, essere impuro e inferiore, riesca
a governare il fuoco tutto il tempo affaccendandosi a cucinare e
quindi ad usarlo a suo piacimento? Evidentemente con le sue arti, come la donna fa innamorare l’uomo così
riesce ad ammaliare il fuoco. Lo vezzeggia e lo corteggia, lo chiama Nonno
Focherello! La notte lo mette a dormire coprendolo con la cenere
con molta attenzione affinché nessuno lo disturbi all’interno della
pec’ka e il giorno lo ravviva con legna nuova degli alberi
che a “lui” piacciono. E in più, visto che la donna è sempre
vicino a lui evidentemente subisce la sua azione purificatrice e per
questo acquisisce nuove abilità da Svarozhic’ riuscendo a
trasformare in cibo commestibile e bevande bevibili con piacere tutto
ciò che altrimenti sarebbe non ingeribile! La mitologia d’altra
parte suggerisce che il fuoco proviene dalla terra e che tende ad
andare in cielo per poi ritornare nel grembo della Umida Terra Madre
sotto forma di serpenti di fuoco come chiunque può osservare al 10 di
agosto quando i fuochi celesti (stelle cadenti) precipitano sulla
terra e scompaiono nelle sue viscere. è evidente che talvolta di
questi serpenti sputafuoco se ne possono trovare in buche e caverne
perché addirittura sono stati messi a guardia di tesori immensi e
solo una donna può congiungersi col drago guardiano per portarli via!
Ecco dunque un’altra utilità della donna per il mir…
confermata dalle byline! La figura femminile affaccendata davanti al fuoco di una pec’ka
genera perciò paure e timori a causa di tutte queste relazioni con
mondi oscuri e misteriosi. Il cibo che lei prepara è dato da mangiare a tutti e se la donna vi ha
messo delle sostanze velenose o erbe magiche ecco che il cibo diventa
magico e pericoloso allo stesso tempo. A questo scopo prima di
mangiare è bene premunirsi contro qualsiasi forza malefica che si sia
nascosta nel cibo e solo dopo una “benedizione” si può
consumarlo! Non solo! Una volta che il pranzo sia terminato e che
tutto sia filato liscio, chi ha finito deve ringraziare le forze
benevole che l’hanno protetto e lo hanno preservato da qualsiasi
danno intenzionale o inconscio che la donna può aver cercato di
produrre! Certo, nei casi in cui il corpo sia stato assalito e penetrato da
qualche forza malefica, è necessario ricorrere a qualcuno per
liberare il malato e rimetterlo in vita integra e sana, ma a chi? In primo luogo occorre definire quale forza malefica ha agito e, una
volta individuato il nemico invisibile, cercare il rimedio. Il primo
tentativo per un malato grave è proprio quello col fuoco. Si
preparano attraverso gli uffici del volhv due o tre fuochi
all’aperto e il malato lo si fa passare attraverso le fiamme e se ne
vede l’effetto. Se la situazione migliora, bene! Altrimenti bisognerà
rivolgersi… alla donna! Sebbene ammalarsi non fosse una cosa frequente a quei tempi per il
semplice fatto che il bimbo che sopravviveva dalla nascita ad una
adolescenza dura di privazioni e di fatiche era sicuramente molto più
resistente ai malanni di un adulto di oggi sterilizzato e facilmente
esposto ad allergie e ad epidemie, la malattia più preoccupante per
lo smierd era… la fame! Dolori, ulcere, ferite? Passavano col
tempo oppure si conviveva con essi… ma la fame!!! Si moriva abbastanza giovani. A 40-50 anni al massimo! E la morte era
accettata – a quanto pare – con tutta tranquillità… perché il rok
era finito! Addirittura sembra che i vecchi, quando si accorgevano di
essere diventati inutili per il resto della famiglia “attraversavano
il fiume” e si allontanavano per non ritornare mai più! Confessiamo in ogni caso che allo stato attuale delle nostre conoscenze
tutte queste rappresentazioni della vita, della malattia e della morte
sono molto contraddittorie e incomplete specialmente se da assegnare a
epoche diverse e a luoghi diversi nelle tradizioni “russe”,
rispetto ad altre cerimonie e credenze che invece sono rimaste quasi
immutate per alcuni secoli. Per questo motivo il nostro racconto qui
può essere solo raccogliticcio e non unitario. A questo punto però si pone la questione delle streghe e degli
stregoni. Esistettero come tali oppure erano solo dei sacerdoti pagani
condannati ad un rango inferiore dalla propaganda della Chiesa cristiana? Molto si è scritto su questo argomento! Per di più è difficile
prescindere dalle conclusioni a cui si è giunti in ambito occidentale
europeo senza tenerne conto anche per le Terre Russe. Ad ogni buon conto l’accumulazione della conoscenza in poche menti
crea sempre un’élite intellettuale alla quale si rifà tutta la
comunità nei casi di problemi e di soluzioni dubbie, ma quando questa
conoscenza viene bollata di diabolico ecco che questi “archivi
viventi” da élite che erano sono costretti a recedere e a
nascondersi, sebbene non disposti a sparire per sempre, sic et
simpliciter! La gente meno accorta (ma è proprio così?) infatti
continua a credere nelle loro parole e nei loro poteri poiché sono
anche cose che hanno circolato per secoli nel mir e che hanno
risolto tantissime circostanze sfavorevoli nel passato. La nuova
scienza imposta dall’élite al potere cercherà di ridicolizzarli
per impedire loro di accrescere o migliorare la conoscenza che hanno,
ma sarà sempre molto difficile trovare una ragione valida per
eliminare questi stregoni e queste streghe senza causare sommosse
popolari. La nuova élite intellettuale (leggi qui la Chiesa Russa) li
accuserà di inganno, di desiderio di far male, ma non riuscirà a
proporre un’alternativa altrettanto valida…
A questo riguardo è utile leggere A. Sinjavskii che dice: Con l’affermarsi del potere cristiano nelle Terre Russe la soluzione
applicata in Occidente di distruggere la foresta per scovare e
annientare streghe e stregoni non era auspicabile per i motivi economici e politici che abbiamo già
detto e l’unico modo per combattere il Paganesimo concorrente
restava quello di penetrare nella foresta direttamente fondando
conventi e chiese fra gli alberi! Sarà proprio questa la politica che
san Sergio di Radonezh inaugurerà e rafforzerà, ma solo nel XIV secolo
e a partire dalle vicinanze di Mosca! In quel periodo infatti con
ripetuti scontri armati coi villaggi si fondarono nella Foresta Russa
centinaia di conventi, si distrussero molti boschetti sacri (sempreché
si riuscisse a trovarne!), ma sempre con scarso successo. Già prima però era avvenuta una grande rivoluzione nell’ambito
dell’arte del guarire e del curare: L’introduzione del sapere
medico bizantino in Terra Russa! Quando parliamo di sapere medico deve
essere anche chiaro che esso si esplicava in un’attività non
limitata soltanto a curare e a guarire, ma piuttosto ad intermediare
fra le forze della natura (buone o cattive) e corpo umano in disagio. Presso il Monastero delle Grotte, dunque, intorno all’XI secolo viene
fondato un primo cosiddetto ospedale dove un monaco chiamato lecèz
cura i fratelli ammalati del convento ed eventualmente, ma
eccezionalmente, i feriti dei continui scontri fra i knjaz di
Kiev per il potere. L’ospedale a poco a poco diventa famoso e
ammalati da tutte le parti sono portati qui per le eventuali cure. Il
“servizio sanitario” tuttavia non era per tutti e per chiunque, ma
solo per l’élite al potere e per i suoi accoliti e dunque lo smierd
viene respinto al suo mondo pagano. Un certo monaco Antonio che ha studiato a Monte Athos diventerà famoso
come lecèz e subito dopo di lui un altro a nome Agapito (morto
ca. 1095 d.C.). Quest’ultimo addirittura riuscì con un miscuglio di
erbe medicinali da lui stesso coltivate o raccolte a guarire
nientedimeno che il futuro Velikii Knjaz di Kiev, Vladimiro
Monomaco. Benché poi si spargesse la voce delle eccellenti arti di
questo lecèz, non risulta che Agapito operasse alla stesso
modo con gli smierd. è una situazione classista che durerà
praticamente fino al XVII secolo nelle Terre Russe… Da questo è facile intuire che nel villaggio le donne continuarono ad
agire da medichesse insieme ai volhv e, sebbene marchiati di
streghe e stregoni, rimasero ancora per tanto tempo (quando i volhv
scomparvero nell’oblìo definitivamente) le custodi di un sapere
pagano che la nuova mitologia cristiana non riusciva a sopraffare. è un fatto che la maggior parte delle sostanze usate nell’arte
medica fossero e rimanessero vegetali! Se il volhv
probabilmente con le sue arti agiva sui disagi psichici più che su
quelli somatici, la donna in particolare continuava ad avere la
vocazione per tutti i disturbi “organici”. D’altronde è logico,
data la sua attività domestica, e, sebbene la Chiesa Russa
rappresentasse la donna come strega quando agiva con pozioni e
decotti, per secoli nessuno prese mai il suo posto di medichessa
popolare, malgrado le maledizioni e gli anatemi. La cucina e la pec’ka
dunque antri demoniaci? Le bevande fermentate o cotte, pozioni magiche
per far male alla gente? C’è uno stereotipo che ci piace più di
altri: Quello in cui una strega scarmigliata gira e rigira col mestolo
una qualche zuppa magica in un pentolone! Insomma è giusto vedere
nell’arte culinaria un certo mistero, una certa segretezza che si
addice ai riti pagani connessi col cibo e non meraviglia più chi ci
ha seguito fin qui! A quale scopo però chiamare la donna che sa
curare, strega malefica, o metterla insieme ai sacerdoti pagani,
quando lei stessa negli scongiuri e nelle invocazioni non fa altro che
nominare divinità cristiane, a partire dall’introduzione del
Cristianesimo? Nella misoginia innata nel Cristianesimo bizantino una donna deve essere
solo la serva di suo marito, far figli e dargli il piacere sessuale
quando le è richiesto, curare il bestiame, mantenere in ordine la
casa, allevare i bambini, tessere e far da mangiare. Altro non è
permesso (così recita il Domostròi, una galateo russo del XVI
secolo). Una donna che sappia curare e persino guarire non può
esistere, se non come personificazione di forze diaboliche o agente
succuba del demonio! Forse c’è una spiegazione più prosaica per tale atteggiamento.
Indubbiamente il ciclo vitale della donna è molto diverso da quello
dell’uomo e con la menopausa interviene in lei un tale mutamento
psicologico che porta la donna ad essere esclusa dall’economia
domestica che finora nella sua casa stata tutta la sua vita ed ora si
vede costretta ad un isolamento sociale ingiusto. La donna normalmente
sopravvive all’uomo e perciò da vedova deve cercarsi una nuova
posizione nell’antica famiglia se vuol sopravvivere. Ecco! Si renderà
utile con il sapere che ha accumulato in tutti questi anni. Ma quale
sapere? Quello della conoscenza delle erbe e delle sostanze
medicamentose per curare e guarire. E così, seppur marchiata come
essere inferiore, si trasforma in sapiente (znaharka o
ved’ma), veggente (vesc’cia), maga (koldunja)
etc. e riesce a mantenere l’antica dignità, spesso aumentando la
stima (o l’invidia e la paura) degli altri verso di lei. Nella credenza popolare la “strega” è di due tipi: Quella che ha
ereditato il sapere dai suoi antenati (detta perciò rozhdjònnaja)
e colei che ha imparato (ucjònaja) da quelle “ereditarie”.
La differenza fra le due sta nella qualità delle fatture rispettive:
Quella ereditaria sa di più ed è molto affidabile, benché libera di
fare fatture maligne o benigne, mentre quella “autodidatta” fa
solo fatture maligne. Ciò sarà importante specialmente
nell’istruzione dei processi contro di loro… Si dicevano molte cose su queste “streghe”, ma per la stragrande
maggioranza non erano negative, proprio a causa del loro ruolo
social-sanitario. Con l’avvento del Cristianesimo e la diffusione
delle famiglie mononucleari, il numero delle vedove solitarie che
rimanevano ad invecchiare in un’izbà isolata si accrebbe e
molte byline raccontano di come queste “nonne” (baba)
potessero ammaliare il viandante che veniva da esse ospitato. Un
indizio della loro solitudine era quando la notte di Kupala venivano a
chiedere della brace per riaccendere il fuoco nella propria pec’ka…
Le “streghe” si circondavano di tanti inservienti sotto forma di
animali, quali rane, rospi e gatti specialmente. Questi erano mandati
in giro nella notte di Kupala per svuotare, le cantine dei vicini,
succhiando loro il latte e la panna acida (smetana) che poi
rigurgitavano per dar modo alla loro padrona di preparare il pasto!
Infatti un segno di riconoscimento della presenza vicina di una ved’ma
era l’improvviso scomparire del latte nella vacca, nella notte
fatidica di Kupala. Un altro segno era come queste donne sedevano a
causa… della coda! Come si va da una znaharka per chiedere aiuto o cure? E come fa
essa una diagnosi? Secondo la mitologia slava le malattie che potevano
colpire il corpo umano (ossia gli spiriti maligni “femminili” che
potevano penetrarlo e causare una morbilità) erano dodici ed erano
chiamate Febbri o Tremori (Lihodarki oppure Trjasovizi).
Per ognuna di essa c’era una pianta curativa apposita e gli
scongiuri relativi, prima di ogni intervento farmacologico. Che poi
l’uso delle pozioni, del decotto e della bevanda che la znaharka
preparava e assegnava al malato potesse essere il più diverso e
persino il più pericoloso, non ricadeva nelle sue responsabilità, ma
nell’uso che la gente ne faceva a sua insaputa! Rarissimamente infatti vedremo nei racconti popolari una donna del
popolo che vive ed è ben nota nel villaggio, eliminata fisicamente
per aver sbagliato una cura. Tutt’al più la si batterà in pubblico
o la si esporrà al ludibrio di tutti costringendola a fuggire via
nella foresta per abitare in un’izbà piantata su una zampa
di gallina acquisendo la mala nomea di baba jagà…
Una sola malattia
però era sicuramente causa di una fattura maligna: La consunzione
o porcia! Male assolutamente inguaribile, a
meno
che non si
riuscisse ad eliminare la fattura o ad uccidere la donna che l’aveva
fatta! Vediamo invece
qualche altra pianta più curiosa che la donna trovava nella foresta e
proponeva poi come cura ai vari malanni. Il più notevole vivente per stranezza è un fungo detto ciagà (Inonotus
obliquus sp.) il quale non solo è il più longevo che si conosca
– si sviluppa e cresce per circa 15 anni – ma anche il più grosso
visto che riesce a raggiungere il peso di 5 kg e più! La ciagà
cresce sulla corteccia della Betulla (anche del Tiglio e dell’Olmo,
ma questi individui sono giudicati inefficaci) formando degli strani
ed enormi tumori orizzontali di color gialliccio-brunastro. Una volta
che una donna lo abbia scoperto, tiene il segreto per sé poiché la ciagà
è una specie di panacea per qualsiasi tipo di ferita o tumore esterno
(trattamento omeopatico) e, siccome ne basta qualche grammo per farne
una miscela efficace, per anni si può sempre sfruttare lo stesso
fungo. è chiaro che col passar del tempo invecchia e diventa sempre
più compatto e più duro, ma lo si può ancora usare per intagliarvi
amuleti contro… gli spiriti maligni! E non solo medicamenti vegetali si trovano nella foresta! Anche la
famosa Acqua Acidula (kislaja vodà o narzàn) che
sgorgava da certi pozzi del Valdai (vicino a Novgorod la Grande) era
bevuta a scopi terapeutici o usata nelle pozioni (da chi riusciva a
procurarsene!) e si diceva che con quest’acqua qualsiasi audace
caduto in uno scontro poteva ritornare in vita bevendone. E che dire della polvere dei palchi di corna delle alci o degli escrementi delle capre o quelli del maiale, animali entrambi sacri? Questi ultimi prodotti, raccolti dalle donne sui campi, seccati nella pec’ka e ridotti in polvere erano anche utili farmaci… Forse l’unico contributo maschile a questa farmacopea di villaggio
medievale “russo” prettamente femminile era il fegato fresco dei
grandi pesci di fiume che serviva non solo come cibo prelibato, ma
anche come fonte di vitamina D per i bimbi di pochi mesi… E qui ci fermiamo pur raccomandando al nostro lettore di leggersi il
racconto di A. Pusc’kin, Ruslan e Ljudmila in cui un vecchio
Finno fa rivivere l’eroe del racconto, Ruslan, proprio con l’acqua
viva di una fonte per la gioia di Ljudmila.
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Estratto
ed adattato dal libro: RASDRABLIENIE, STORIA DELLA RUS’ A PEZZI, di
Aldo C. Marturano, 2005.
©2006 Aldo C. Marturano