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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 68 |
Le minacce cattoliche e il giogo tataro sulla Rus'
Carta d'insieme degli itinerari mercantili (da E. Knobloch, Russia & Asia, N.Y. 2007).
Il nuovo stato dell'Orda d'Oro, non dobbiamo dimenticarlo, è multietnico e a causa di ciò è facile notare sia nei reperti archeologici sia nei documenti che ne parlano certe prospettive assimilatorie di usi, costumi, finalità religiose, progetti di vita futura e sim. che crogiolavano all'interno dei gruppi d'élite non tatari chiamati – da associati – a cogestirlo e – da assoggettati, ma non assimilati – a subirlo pur non comprendendolo appieno. Logicamente è una ricca costellazione di atteggiamenti personali che si impongono sull'agire degli attori politici coinvolti e persino difficili da investigare per la loro intrinseca complessità, ma l'aria pesante del sospetto reciproco doveva essere ben percepibile. La stragrande maggioranza degli incontri fra russi e tatari per decisioni finali o sentenze avveniva a Sarai in un ambiente sicuramente sentito ostile. Tuttavia, per quanto ci compete e tenendo presente che la partecipazione a una vita d'élite condizionata in ogni momento da imposizioni provenienti da un potere considerato incomprensibile estraneo e minaccioso, comportava in quelle stesse élites dei cambiamenti nei rapporti con qualsiasi interlocutore al suo interno o all'esterno in difesa della propria personalità e autorità e per saperne un po' di più ci siamo rivolti ai racconti di viaggio degli ospiti stranieri (italiani, francesi, inglesi e tedeschi, persiani) in visita nelle Terre Russe di nordest. Purtroppo questi stranieri diventano numerosi (!) solo a partire dal XV sec. d.C. e sono loro che notano abitudini curiose e inedite presso i moscoviti e presso gli Slavi “orientali” a loro soggetti nella gestione dell'economia sia nella società cittadina e rurale sia nelle leggi, se non addirittura nella religione ancora paganeggiante. Nei loro scritti, ad esempio, sottolineano la ricchezza della corte russa moscovita, ma allo stesso tempo ne criticano l'aria “troppo orientale” quando il notabile o il sovrano stesso tratta i sudditi come bestie battendoli, ciò che per il Rinascimento europeo pieno di pregiudizi sul despotismo orientale è considerato un agire non cristiano da aborrire. È addirittura ridicolizzata la goffaggine del bere smodato, del rapporto con le donne tanto che spesso si parla di uno “spirito russo” cioè di un'indole strana e distinta dagli altri spiriti nazionali considerati più normali. Benché questo “spirito russo” si vada forgiando proprio nei frangenti del XIV sec. d.C. che la nostra storia sta attraversando, l'argomento è vastissimo e dobbiamo tralasciarlo, salvo un concetto particolare: il “giogo tataro”. È un “concetto difensivo” che viene sbandierato nelle eterne lamentele delle CTP per questo periodo tataro detto “oscuro” e che è stato ereditato dalla storiografia sovietica per il Medioevo Russo. Perché concetto difensivo? Perché in realtà nei primi due secoli della dominazione tatara chi ci racconta la storia medievale russa è esclusivamente la Chiesa Russa e questa organizzazione sta attraversando la sua grave crisi di identità. La sua perdita di autorità è palpabile nella spasmodica ricerca di giustificazioni a quanto sta accadendo dopo gli anni di esaltazione e di gloria cristiana nella ricca e dorata Kiev che ora è in rovina. Occorre allora tornare un momento indietro nel tempo, prima della conquista tataro-mongola, poiché le fratture di pensiero e di azione all'interno dell'organizzazione ecclesiastica kievana scaturiscono da una serie di vicende strettamente legate alla conquista “franca” di Costantinopoli del 1204 più che dall'invasione tataro-mongola ossia quando inaspettatamente il Papa di Roma era riuscito a sopprimere il Patriarcato Ecumenico ortodosso esistente definendolo eretico e lo aveva sostituito con uno latino-cattolico! In breve alla fine del XII sec. d.C. l'imperatore Manuele I Comneno, sentendosi assediato dalla marea crescente dell'Islam che aveva sottratto porzioni enormi e economicamente importanti al suo dominio e vedendo come l'Occidente con le Crociate qualcuna di quelle regioni l'avevano pur recuperata nel Medio Oriente intorno alla prestigiosa Gerusalemme, aveva iniziato le pratiche per richiederne la restituzione cioè le trattative col Papa di Roma e con l'Imperatore Romano d'Occidente, Federico Barbarossa. La conditio sine qua non posta dai due interlocutori? La riunione delle due chiese, Cattolica e Ortodossa, col riconoscimento del primato della sede di san Pietro (Roma) su quella di sant'Andrea (Roma Secunda). Poi i due romani imperatori, Manuele e Federico, erano morti e nel 1204 un'alleanza di latini (Franchi e Veneziani, in maggioranza) assaltò la capitale sul Bosforo e la conquistò e, dopo il saccheggio dei canonici tre giorni, su trono imperiale fu posto Baldovino di Fiandra mentre il Patriarcato Ecumenico fu occupato dal veneziano latino-cattolico Morosini. Accadeva ora che gli ortodossi (e non solo gli slavo-russi) dipendenti dal Patriarcato di Costantinopoli si trovarono a dover obbedire ad un'autorità che non tutti i vescovi erano disposti a riconoscere visto che avrebbero dovuto farsi rinominare e correre persino il rischio di essere sostituiti da prelati latini più bravi nell'agone politico. Per quanto riguarda la Chiesa Russa, strettamente legata all'ortodossia e fortemente ostile al cattolicesimo, all'improvviso l'autorità di riferimento veniva a mancare e andava pertanto crescendo il timore che qualche vescovo russo, appoggiato da Riurikidi ambiziosi si ribellasse. Infatti Kiev, che raccoglieva la decima da tutti gli udel per la Chiesa Russa, se la vide diminuire in quei tristi momenti invece che aumentare ora che la parte per il Patriarca appena soppresso non si sapeva come e a chi mandarla e ciò significava non soltanto un'indebita trattenuta alla fonte di qualche udel “ribelle”, ma soprattutto una china aperta verso la frammentazione e l'autocefalia delle sedi suffraganee e un chiarissimo invito a confluire nel sistema cattolico romano. La vittoria del Papato Romano in quel 1204 seguiva non soltanto allo scisma unilaterale del 1054, ma concludeva una lotta a larghissimo raggio per affermarsi in campo economico nelle zone slave dall'estremo nord ai Balcani e dalla Pianura Russa al Mar Nero contro Costantinopoli (Roma Secunda) e riusciva finalmente a far decadere il Patriarca ortodosso costringendolo insieme con le famiglie nobili vicine ai Comneni a rifugiarsi oltre il Bosforo ormai impotente. Lo scopo vero di queste lotte “travestite” di religione era tuttavia altro. Un documento chiamato l'Appello di Magdeburgo (oggi è ancora un vescovado nella Germania nordorientale) ben noto negli archivi del Papa di Roma e alle élites cattoliche di tutta l’Europa, rende chiara l'operazione contro Costantinopoli e le “crociate” volte pure verso il nordest. Il documento è controverso per l’anno della sua apparizione e forse è da collocarsi non oltre il 1125 e l’autore è pure sconosciuto, sebbene racconti con chiarezza come i pagani Slavi Vendi rivalsisi sui Sassoni e ripresisi le loro terre si erano vendicati sui cristiani rimasti fra loro torturandoli e sacrificandoli agli dèi. Per questi motivi l’autore aggiunge che, come i Crociati in Terra Santa hanno liberato Gerusalemme dagli infedeli, così si deve fare ora nel Mar Baltico dove si estende la terra degli Slavi Vendi ribelli e pagani. L’Appello chiude: «E quindi per quelli di voi più in vista fra i Sassoni, Franchi, Lorenesi e Fiamminghi, questa è l’occasione per salvarvi l’anima e, se lo volete, di appropriarvi della migliore terra dove vivere». È quest'ultima frase che colpisce nel segno perché nell'Europa Occidentale, nella Valle del Reno in particolare, c’era stata in quel secolo una crescita demografica significativa che aveva spinto la gente alla ricerca di terre vergini da sfruttare ovunque possibile nell'est del continente. Erano sorti così non solo nuovi centri abitati da contadini fiamminghi, specialmente nelle marche di frontiera dal Mar Baltico all’Oder e fino all’Elba, ma molti migranti si erano altresì trasformati in cacciatori di animali da pelliccia per la semplice ragione che il traffico di questi prodotti dava un lucro di gran lunga maggiore del coltivare i campi. D'altronde la caccia nelle foreste non era proibita com'era in altri luoghi dell'Europa occidentale e insomma bastava accordarsi coi pagani locali nell'affittare a questi ultimi i campi in quiescenza come terra da pascolo per ottenere in cambio i prodotti della foresta ossia le preziosissime pellicce, il miele e la cera che erano prodotti costosi e richiesti dalle classi abbienti costituite in quei tempi e in quei luoghi dalle corti vescovili. Nessuno e quindi neppure la Chiesa si era curata troppo delle conseguenze della deforestazione che aveva procurato in Occidente una gran penuria di prodotti importanti per la vita umana e così, con la scusa che deforestando si distruggevano i templi pagani, anche la foresta boreale cominciò a arretrare sotto la guida e la protezione della Chiesa di Stato (Reichskirche) che gli Ottoni avevano creato anni prima. In realtà lo scopo di questa politica poco ecologica era anche quello di legare col lavoro agricolo alla terra la gente soggetta e, con l'aumento demografico in atto che dicevamo, le terre dell'est andavano colonizzate disboscandole. Ciò andava in senso contrario allo sfruttamento che indicavamo qui sopra causando disguidi e litigi continui. Gli imperatori germanici inoltre vedevano chi partiva per la Terra Santa nelle famose Crociate come un emigrato definitivo e dunque delle mani in meno da impiegare per il “Progetto Est” tanto che alla fine nel 1147 il papa Eugenio III, su pressione imperiale, proclamò un'altra Crociata stavolta contro gli Slavi rifacendosi appunto all’Appello. Il papa inoltre, essendo a conoscenza che nelle precedenti migrazioni verso nordest i capi-spedizione (preti e vescovi) si erano addirittura accordati con i migranti su come procurarsi i prodotti della foresta (le famigerate pellicce pregiate!) invece di preoccuparsi di evangelizzare i pagani, vietò espressamente che ciò si ripetesse senza la sua dispensa. L’operazione crociata doveva fondare parrocchie nuove con la relativa decima per Roma e procurare battesimi dei pagani. Gli affari più lucrosi? Soltanto dopo e sotto la direzione vescovile. Anche i polacchi erano interessati alle terre del nordest e sin dai tempi di Boleslao Boccastorta (1085-1138) il loro grosso ostacolo era stato cacciar via i Prussiani ossia il popolo non slavo che abitava le coste baltiche da sempre e che intendeva restare indipendente e con le sue usanze. Incapace per insufficienza di uomini e per impreparazione logistica ad affrontarli, il sovrano polacco era ricorso all’aiuto della Rus' di Kiev che era, sì!, intervenuta, ma che, nelle condizioni di sfaldamento in cui si trovava, aveva poi rinunciato e si era ritirata dall'affare. La corsa alla conquista delle terre baltiche aveva altri contendenti pure fra tedeschi e scandinavi che abitavano le rive meridionali del Mar Baltico, benché costoro si spingevano più a est in quello che oggi è il Golfo di Riga! Raccontano le cronache di parte tedesca che nel 1158, a causa di una tempesta, un gruppo di navi mercantili provenienti dall’isola di Gotland, dalla famosa città di Visby, naufragarono sulle coste della terra dei Livoni (ugro-finnici poi assimilati dai Lettoni). Pare che il vento ed altre circostanze non permettessero il ritorno a casa per quella stagione e così i mercanti dovettero costruirsi un rifugio ai margini della fitta foresta. I Livoni, incuriositi dai nuovi venuti e dalla possibilità di aprire delle trattative commerciali con gli intrusi, chiesero di far mercato. I Tedeschi mostrarono i loro articoli: stoffe e arnesi di metallo e i Livoni i loro: cera miele e pellicce pregiate e lo scambio fu fatto. Per i tedeschi, lo scambio era stato molto favorevole per il valore delle pellicce acquisite che nelle corti si vendevano a prezzi altissimi e fu chiaro a questo punto che si potesse battere la concorrenza bulgaro-slava di Grande Novgorod con degli insediamenti stabili alleandosi con i Livoni. Ciò implicava nelle regole del tempo il battesimo dei partners commerciali e alla fine dello stesso secolo da Visby si decise così di mandare un prete cattolico che procedesse all'evangelizzazione e su una delle isole che chiudono il Golfo di Riga si costruì una prima chiesa di legno con deposito e ricetto per i mercanti e allo stesso tempo con una caserma per le armi. Il primo predicatore cattolico, Mainardo, monaco agostiniano del Monastero di Segeberg del Vescovado di Amburgo-Brema vi si installò e cominciò il suo lavoro di “colonizzazione” a partire dalle anime. Abbiamo addirittura i nomi dei primi Livoni che si fecero battezzare: Ilo, Kilevene e Viezo! Naturalmente la presenza dei tedeschi disturbò i mercanti slavo-russo-variaghi che risiedevano poco più a sud, a Polozk, come pure attirarono l’avidità dei Lituani vicini, incuneati fra Krivici (antenati dei Bielorussi di oggi) e Livoni. Abbiamo notizia così che Mainardo vide andare a fuoco la sua chiesa e che decidesse di ricostruirla in pietra, materiale che si fece trasportare direttamente dalla Germania. Nel 1180 si costruì ancora un’altra chiesa di mattoni a Uexküll (Ikskile in lettone) che diventò poi il duomo locale e nel 1186 Mainardo fu consacrato vescovo. A questo punto il papa Alessandro III poté dichiarare che la Livonia era diventata parte del Patrimonium Sancti Petri e che ogni azione della chiesa locale e del suo vescovo aveva la benedizione della Santa Sede Romana. Mainardo nel 1196 muore e gli succede un certo Bertoldo, abate cistercense di Lockum, trasferito qui quasi di forza come racconta Enrico il Lèttone, nella sua Cronaca Tedesca. Qui si racconta anche che il monaco facesse arrivare in Livonia dopo aver subito delle angherie dai Livoni molti colleghi... armati crociati. Il 24 luglio 1198 ci fu, infatti, lo scontro coi Livoni e, mentre costoro «...gridavano e urlavano al loro modo pagano... il vescovo (Bertoldo) non riuscendo a trattenere il suo cavallo fu trascinato suo malgrado nella mischia dove venne ucciso da un certo Ymaut e successivamente fatto a pezzi dagli altri». Ci fu una tregua e alcuni Livoni furono battezzati sul posto. Tuttavia tutto continuò come prima e non appena se ne presentò l’occasione, i Livoni insorsero ancora contro i Tedeschi e li cacciarono via: armati, mercanti e preti. Quello stesso anno, un altro gruppo di mercanti da Gotland cercò di mettere piede in fondo al golfo di Riga sempre allo scopo di rendere i traffici più sicuri, ma soltanto l’anno seguente con 23 navi ben armate e con il nuovo vescovo a capo della spedizione, Alberto di Buxthöfden, canonico del Vescovado di Amburgo-Brema si riuscì ad avere un caposaldo. Non fu facile insediarsi nell’area scelta un po’ a monte della foce della Dvinà (lettone Dàugava) e, solo dopo aver avuto il permesso dal principe “russo” di Polozk, si poté procedere alla costruzione della chiesa con annesso deposito-merci e case per il resto della nuova comunità in armi sul piccolo affluente della Dvinà, il fiume Riga, visto che Uexküll era troppo arretrato rispetto al mare e considerato per ora un luogo insicuro. Non staremo qui a rivedere le crociate condotte contro i baltici pagani e, perché no?, pure contro gli eretici russi, ma diciamo solo che lo sguardo della Chiesa di Roma non s’era fermato sui soli territori dei Vendi e dei Prussiani, ma si era volto oltre tanto che il Papa Alessandro III aveva allargato il diritto alla santa conquista delle terre baltiche più lontane ai reucci scandinavi e nel 1209 Innocenzo III successivamente lo aveva assegnato giusto al re danese Valdemaro II incitandolo contro gli Slavi. Le mini-crociate contro i pagani baltici della costa pomeranica da parte di Danesi e Svedesi quindi continuarono finché nel 1219 Valdemaro II decise di condurre una vera e propria campagna di conquista nella Terra dei Ciudi (l’odierna Estonia) dove c’era l'avamposto stagionale svedese. Si impadronì di tutta la costa fino alla foce del fiume Narva e il piccolo insediamento di Kalyvan diventò la danese Tallinn (estone Taani Linn, Porto dei Danesi) oggi capitale dell’Estonia. Come i Danesi si erano attestati sulla costa estone così gli Svedesi tentarono di impadronirsi della Finlandia meridionale partendo da un loro antico caposaldo, Abo (Turku odierna), per giungere a controllare la foce della Nevà dove oggi c’è San Pietroburgo. Concludiamo indicando un'altra presenza minacciosa sulla scena baltica: i Cavalieri Teutonici di Ermanno di Salza che nessuno riuscirà a vincere fino al 1410! Fra’ Ermanno, ufficialmente invitato dal duca polacco Corrado di Masovia, arriva in Polonia con grande entusiasmo e prende subito il posto dei monaci cistercensi nell'operazione “evangelizzazione dei popoli pagani” lì presenti. Con le forze di tutto il suo Ordine monastico armato, si mette in moto prima per fare una prospezione dei territori dell’alta Slesia fra la Vistola e il Nieman e poi per studiare come stabilirsi nella regione da dove partire per colonizzare i Prussiani e i loro congeneri e fondare un vero e proprio stato, visto che nei castelli d'Ungheria (Romania) in cui l'Ordine aveva ben vissuto finora combattendo contro i Polovzy/Cumani non sarebbe più tornato. L’Ordine non aveva i titoli per fondare organizzazioni statali come quello che si chiamerà successivamente lo Stato dell'Ordine Teutonico (in tedesco Ordenstaat, antesignano della Prussia guglielmina) e trasformare un Gran Maestro in una specie di principe-re perché ciò era in contrasto coi bandi papali del 1216 e del 1220 e anche perché oltre al Papa non c'era altro capo supremo di ogni ordine crociato. In più c’era Corrado di Masovia che vantava diritti di sovranità sul territorio affidato dapprima in esclusiva al controllo dei Cistercensi per la propaganda religiosa e ora passato ai Teutonici e ciò creava in sostanza due posizioni inconciliabili fra Corrado e i Teutonici che in modo compromissorio si risolveranno soltanto nei secoli che seguirono. A questo punto si capisce bene come, una volta assicuratisi delle posizioni al nordest, attaccare e conquistare il Bosforo nel sudest diventava il completamento di una manovra a tenaglia diretta alla conquista delle Pianura Russa. Eppure quando i Crociati franchi e i Veneziani conquistarono Costantinopoli nel 1204, l'Impero venne scomposto territorialmente e politicamente in vari domini fra i litigiosi cavalieri crociati, gli avidissimi Veneziani e gli Slavi dei Balcani, inclusi i Bulgari di Giovanni II Asen, e tutti sembrarono in lotta contro tutti. Insomma l'Impero Romano d'Oriente non esisteva più neppure come giurisdizione territoriale unitaria. Sappiamo che gran parte dei territori imperiali mediterranei erano stati travolti dalla marea arabo-musulmana e incorporati nel nuovo califfato arabo, ma dobbiamo tener da parte l'Anatolia occupata da tempo dai Turchi Selgiuchidi con il loro Sultanato Romano o di Rum. In particolare tra il tardo XII e il XIII sec. d.C. questo piccolo stato prese ai bizantini alcuni porti strategici sulle coste del Mar Nero e, benché vivesse bene col sistema di razzia su un territorio ben coltivato dai contadini greci, pensò allo stesso tempo di incoraggiare lo scambio di beni industriali e di consumo dal Centro Asia. Si intrecciarono i commerci con l'altra sponda del Mar Nero e cioè con Genovesi e Veneziani quasi che il Sultanato tentasse di costruirsi sperando in un futuro ingrandimento un suo Impero Romano, seppur rimanendo – l'élite almeno rispetto al resto dei sudditi – nell'Islam. Fu promettente per il Sultanato in quest'ultimo senso quando nel 1204 nella fuga delle famiglie nobili costantinopolitane sulle coste meridionali del Mar Nero in Asia Minore la città di Trebisonda accolse un primo autoproclamatosi Imperatore e più o meno nello stesso territorio intorno anche Nicea (Iznik) accolse un'altra sedicente realtà imperiale romana d'Oriente. Il consenso e la protezione del detto Sultanato di Rum insieme con l'aiuto militare dell'intraprendente regina Tamara della Georgia (sposa di Giorgio, il figlio di Andrea Bogoliubskii morto precocemente nel 1190) aveva coperto le fuggitive famiglie nobili “ortodosse” e ricacciato al di là del mare i Franchi “eretici cattolici” che avevano tentato di stabilirsi lungo queste coste. L'indebolito Patriarcato ortodosso prese sede a Nicea e da esso continuava a dipendere Kiev non avendo scelto la Chiesa Russa – è importante prenderne nota – di rendersi autocefala come invece avevano fatto alcune chiese ortodosse dei Balcani approfittando del marasma del 1204. In conclusione la situazione di debolezza e di sfascio dell'Impero d'Oriente al tempo di Batu Khan rende facilmente comprensibile che i Tataro-mongoli non si curassero di attaccare l'Anatolia e la Tracia e che le loro scorribande in Europa non si spingessero oltre a sud dell'Ungheria. Il Sultanato di Rum invece suscitò il loro interesse successivamente perché lo riconoscevano in qualche modo un loro “congenere” e, benché nel 1242 Batu khan ne avesse distrutto la capitale Erzurum e l'anno dopo – essendosi i Selgiuchidi ancora una volta ribellati – li avesse battuti definitivamente in una battaglia nei pressi di Sivas, ricevettero da lui diventati ora suoi soggetti il ruolo importante di mediatori fra gli occupanti latini di Costantinopoli (fino al 1261), i pretendenti imperatori e la sua Orda d'Oro. Mediazione che certamente non cessò quando la famiglia imperiale dei Paleologhi ritornò nella vecchia capitale sul Bosforo e restaurò la sede del vecchio Patriarcato ecumenico recuperando, seppur per una piccolissima parte, dei lembi dell'antico dominio. Sullo stesso terreno l'Orda d'Oro stabilirà delle reti di contatti indipendenti con la Chiesa Cattolica affinché i mercati compratori europei occidentali, con l'apprensione degli intriganti e sensibilissimi mercanti Veneziani e Genovesi della Crimea, non fossero privati delle forniture dei prodotti della foresta nordorientale europea e delle merci del Centro Asia allora in forte sviluppo industriale e scientifico. Gli eventi qui raccontati sono notevoli per la Chiesa Russa poiché costituiscono la parte sostanziale del bagaglio concettuale, storico e politico che i suoi prelati accumularono per adeguarsi senza attriti alle nuove disposizioni del nuovo potere tataro ormai chiaramente in vigore nella Pianura Russa meridionale a metà del XIII sec. d.C. Lo stesso non accadde invece per i principi russi, più restii ai cambiamenti e con orizzonti geografici limitati. Sempre in lite fra di loro alla ricerca di facile ricchezza, il problema di non poter più esercitare atti arbitrari su gabelle, passaggi, scorrerie etc. né su contadini né su altri soggetti dei loro udel era quello che li preoccupava di più e che, se restava insoluto, li metteva in profonda crisi. Si era già in gran parte interrotto a loro svantaggio il vecchio andazzo di passare da un udel all'altro e, da quando il controllo tataro sull'uso delle armi era diventato stretto e severo, non era più permesso incorporare un territorio con le armi in pugno per ingrandirsi e potenziarsi. Forse anche questo aspetto, il pochissimo viaggiare per i loro domini, li rendeva inferiori culturalmente rispetto ai Tatari informatissimi su quasi tutto... I khan per di più avevano affidato il controllo del territorio, contemporaneamente militare e fiscale ossia con la riscossione dei tributi (in natura e in uomini), ad appaltatori stranieri che esercitavano ispezioni nei villaggi che riuscivano a individuare e a raggiungere per le riscossioni, privando gli udel di risorse umane e materiali finora godute a piene mani. Con le tasse che inoltre esigevano, si permettevano perfino di finanziare a interessi altissimi i principi russi degli udel più piccoli e meno abbienti spingendoli a trovare nuovi cespiti e nuovi metodi vessatori per incassare e, in caso di mancata restituzione o di pagamento non eseguito, questi principi finivano spesso in schiavitù, se non proprio sommariamente giustiziati. Tali situazioni spinsero a rivolte e proteste anti-tatare da parte dei cittadini sobillati dal proprio riurikide e a noi sembra che la lotta delle genti della Pianura Russa era diretta contro i principi russi e le loro angherie piuttosto che contro gli “invasori infedeli” e che i contadini si ribellassero oltre misura, se vedevano i “loro” principi insieme coi Tatari a scompigliare i campi coltivati in inutili scorrerie. Rivolte, ad esempio, ce ne furono nelle città di Rostov e di Grande Novgorod in cui è appunto difficile distinguere chi sono gli antagonisti nell'ambiguo linguaggio delle CTP. E a proposito di Grande Novgorod, a metà del XIII sec. d.C. quando Kiev ormai non contava più, la nordica città era in pieno sviluppo con un territorio sterminato e ricchissimo, ma pochissimo abitato, da difendere dalle voglie e dalle ambizioni dei riurikidi invidiosi del nordest. La repubblica era uno dei luoghi chiave per il commercio e i Tataro-mongoli, sebbene mai direttamente e da lontano, tentavano di trattarla col metodo del bastone e della carota. Ad ogni buon conto senza Grande Novgorod gran parte dei traffici che sostenevano l'economia tatara si sarebbero estinti e alla città nordica andava tollerata e concessa una certa indipendenza, impedendo – come e quando si poteva – gli interventi dei riurikidi arruffoni. Se l'autonomia commerciale novgorodese nella scelta dei mercati da servire andava contro gli interessi dei principi di Rostov e specialmente di Vladimir-sulla-Kliazma, aveva invece il plauso di Sarai per i motivi detti. Da parte loro, se avessero potuto esercitare liberamente il loro potere, i Riurikidi avrebbero imposto alla repubblica il loro luogotenente e avrebbero volentieri rinunciato al degradante contratto d'ingaggio nelle pieghe del quale era previsto che l'ingaggiato non dovesse in alcun modo intrufolarsi negli affari e nella politica della repubblica. Nel frattempo l'Europa Occidentale stava diventando un insieme molto cospicuo e ricco di mercati compratori (l'Ungheria in prima fila!) e la collaborazione fra Grande Novgorod e l'Hansa tedesca che agiva da mediatore cattolico e quindi preferenziale nel Mar Baltico forniva tutti i mezzi per un grandioso sviluppo e la presenza limitante di un intrigante riurikide per di più ortodosso non era assolutamente indispensabile. Per rendere un'idea dell'autonomia e della potenzialità della repubblica nordica, ma allo stesso tempo dell'impossibilità per le autorità tatare di intervenire in situazioni irraggiungibili troppo a nord dal loro centro direzionale, ricordiamo che nel 1240, allarmata dalla situazione che si era creata alle porte dei domini novgorodese dal lato nord, la repubblica chiamò un principe russo del nordest a nome Alessandro figlio di Jaroslav a scontrarsi con il duca svedese Birger in agguato nelle paludi del fiume Nevà. Questo fiume scarica le acque del lago Ladoga nel Mar Baltico, ma riceve pure quelle del fiume di Grande Novgorod, il Volhov, in un sistema frequentatissimo di comunicazioni fluviali. Il giovane Alessandro riuscì a ricacciare il nemico in mare e dopo una ricca ricompensa si meritò anche la fama e il soprannome di Alessandro della Nevà (in russo Aleksandr Nevskii). Aggiungiamo che per questa impresa e per un'altra sua leggendaria battaglia vinta un anno dopo contro i Cavalieri Teutonici (stavolta per conto di Pskov, la città sorella-vassalla di Grande Novgorod) e in più per aver respinto la proposta del Papa di Roma di passare al Cattolicesimo, la Chiesa Moscovita lo proclamò santo nel XVI sec. d.C. quando ormai Grande Novgorod era collassata sotto i duri colpi di Mosca nel 1478. E qui salta fuori la questione del famoso “giogo tataro” che opprimeva le Terre Russe e ne impediva lo sviluppo. Si è scritto infatti che la conquista tataro-mongola fu una specie di valanga distruttiva totale di quanto esisteva e che alla distruzione fisica delle persone e delle cose seguisse una cappa di potere pesante, oscura e minacciosa distesa su quasi l'intera Pianura Russa. Ci chiediamo anche alla luce dell'archeologia: Ci furono davvero queste massicce distruzioni? E i Tatari perché e come impedirono la rinascita delle genti “russe”? Si è scritto pure che il giogo tataro producendo “martiri” russi, fra cui alcuni riurikidi, e sacrifici pesanti per i russi, non si estese sul resto dei popoli europei proprio grazie a loro che lo sopportarono per oltre due secoli... senza fiatare! In realtà si parla di una popolazione russa che non c'è e di uno stato russo che nella Pianura Russa non si è mai coagulato, ma soltanto idealizzato nella Rus' di Kiev. In altre parole non troviamo elementi reali per dire che lo sviluppo materiale e spirituale in atto nella nuova etnia (superethnos, come lo chiama il defunto turcologo L.N. Gumiliòv) slavo-orientale o Grande Russa che oggi domina nella Pianura Russa abbia subito impedimenti al tempo dell'Orda d'Oro. D'altronde quando i Tataro-mongoli entrarono nel sud della Pianura Russa, non trovarono molte città e molta gente come nelle oasi del Centro Asia nelle steppe ucraine. Qui c'erano soltanto i nomadi e i pochi contadini che vivevano in minuscoli e rari villaggi che non offrivano alcunché da razziare, salvo i ragazzi e le ragazze puberi. Le città piuttosto erano nel nord ai margini delle foreste e intorno alle confluenze del Volga con il Kama – Bulgar – o con l'Okà – Vladimir-sulla-Kliazma – etc. e lungo le rive dei fiumi e fra esse poche valeva la pena di attaccare e di conquistare per ricavarne bottino. Erano più che altro città-fortini o semplici postazioni di guardia facilissime da espugnare, ma di certo povere. In conclusione, siccome la maggioranza della gente viveva sparsa nella foresta dove lavorava i campi che riusciva a ricavare col metodo del taglia-e-brucia nelle poche radure e che a volte si incontrava in qualche mercato lungo i fiumi per scambiare con altri quanto possedeva, i bersagli dei Tataro-mongoli non erano i villaggi nel fitto che persino i principi degli udel ignoravano dove si trovassero, ma i pochi e grossi agglomerati urbani a partire da Kiev. E se Kiev nel 1240 fu distrutta, non è sicuro che la stessa sorte sarebbe toccata a Grande Novgorod da parte dei Tataro-mongoli, rappresentando la repubblica una fonte senza uguali di ricchezza produttiva. E a proposito di Kiev, da quando neppure il suo Dnepr era frequentato come nel passato, fu rasa al suolo perché era un centro di potere e, una volta svuotata, fu abbandonata. Lo stesso Metropolita, non trovando degno risiedere in una città in rovina e senza risorse, scelse di essere un prelato itinerante da un vescovado all'altro (a spese dei principi e delle popolazioni locali) in permanente ispezione degli affari della chiesa soffermandosi presso i principi dei vari udel per consigliarli e per dare una “dritta” alla loro eventuale ingenuità politica. E allora perché mai inventare o introdurre un'idea di pesante soggezione imposta da uno stato oppressivo straniero su sudditi russi fino allora felici e contenti? Non c'è grande scelta fra le fonti che ne parlano e, siccome la Chiesa Russa è l'unica redattrice della storia ufficiale che noi oggi leggiamo nelle numerose redazioni delle CTP ed è uno splendido modello di classe intellettuale centralizzata dominante il “clima morale” di un'intera civiltà, è in queste pagine che si deve cercare e si deve trovare la concezione dei Tatari oppressori di sudditi schiavizzati e incapaci di ribellarsi. E cominciamo con l'idea-guida di una storia universale tracciata dal dio cristiano. A noi uomini comuni essa è celata nei suoi disegni e quindi è imprevedibile nel suo svolgersi, ma è sicuro che sia finalizzata alla salvezza dell'umanità peccatrice. Moneta corrente nel periodo che ci tocca nella dottrina classica della Chiesa Costantinopolitana in cui trovava posto l'intera vicenda della Rus', se nella cristianità occidentale a poco a poco con i vari movimenti riformatori scomparirà come impostazione e metodo per raccontare gli eventi umani, nell'Ortodossia al contrario tale concezione si conservò a lungo e in Russia fin quasi ai tempi di Pietro I. In questa cornice cova l'idea di “giogo tataro” dipinto come una struttura negativa alla quale attribuire ogni insuccesso, tracollo, epidemia e mattana di qualsiasi genere. Anzi! La salvezza da ogni calamità è nell'intervento divino che però deve essere sollecitato dall'uomo peccatore mediante sacrifici e penitenze e con l'aiuto dei ministri della chiesa, purché il peccatore sappia a chi ricorrere e sappia unirsi nello sforzo a coloro che il dio cristiano ha posto in cima alla scala gerarchica della società ossia ai principi e ai loro consiglieri ecclesiastici che mettono in guardia su eventuali errori. C'è quindi il concetto del potere che pochi uomini esercitano sui molti e che deve essere riconfermato e giustificato continuamente. La facoltà è concessa unicamente dal dio cristiano che sceglie le persone giuste per i suoi fini reconditi! Ne segue che persino un principe o un regime di potere “cattivo” può rientrare nella scelta divina poiché una vita di dolori e di stenti può essere il modo per riscattarsi e giungere alla salvezza finale, se il dio lo vuole. Dunque anche il khan è un uomo che ha ricevuto (senza saperlo) il potere dal dio cristiano e dunque va venerato e rispettato. Una tale concezione nel nostro caso andò bene alla Chiesa Russa finché il khan Özbeg (1313-1341) non proibì l'uso della lingua mongola e non adottò la lingua araba come lingua di corte e amministrativa e non dichiarò religione ufficiale del suo stato l'Islam. Da quel momento l'Orda d'Oro e i Tatari diventarono genericamente dei nemici dei cristiani ortodossi russi e quindi da combattere con ogni mezzo... Naturalmente nel ribellarsi era esclusa in principio la violenza, purché la ribellione non si trasformasse in una guerra santa, sull'esempio di come erano considerate le Crociate dalla Chiesa Cattolica. La Chiesa Russa con prudenza non seguì questa via apertamente fino al XV sec. d.C. e invitò invece alle penitenze, ai digiuni, alle preghiere. E a proposito della salvezza divina quali principi fra quelli disponibili erano quelli giusti per condurre e vincere la battaglia finale: lituani, polacchi, turchi selgiuchidi? Nel seguito del XIV sec. d.C. con l'esigenza di esaltare il ruolo di un ramo della dinastia riurikide in auge, fu concepito – sempre in ambiente ecclesiastico – l'incarico/compito/destino che i moscoviti avrebbero ricevuto dal dio cristiano contro il nemico tataro-mongolo e che perciò essi soltanto fossero autorizzati a usare le armi a questo scopo, ove necessario. Sotto il comando “divino” moscovita di turno, le genti russe e non russe si sarebbero presto “liberate” dai tormenti finora subiti con rassegnazione e avrebbero abbattuto il famigerato “giogo tataro”. Il racconto delle CTP sui termini della relazione fra chiesa e sovrani moscoviti è malgrado tutto molto antico e il processo di costruzione ideologica del sovrano salvatore risale alla fine del X sec. d.C. non appena si instaurarono i rapporti classici fra l'organizzazione ecclesiastica importata da Costantinopoli e il principe riurikide vittorioso, san Vladimiro. Fu lui che in primo luogo da Kiev si assicurò i rapporti economici con l'Impero fondati su solidi trattati commerciali già inaugurati da sua nonna Olga di Kiev verso la metà del X sec. d.C. in quanto di qui san Vladimiro traeva la decima del valore delle sue entrate principesche che poi passava nelle mani del vescovo o arcivescovo per coprire le spese per il servizio reso da quest'ultimo. Quale servizio? La chiesa cristiana ortodossa del Medioevo può essere identificata in termini moderni come il più grande impresario teatrale o cinematografico, se si vuole, in grado di allestire, con ingenti spese naturalmente, spettacoli pubblici che affascinassero gli spettatori con emozioni talmente forti da legarli in stato di soggezione/dipendenza fisica al principe sovrano sponsorizzatore. Questa è infatti l'impressione ricevuta dai messi di san Vladimiro mandati a Costantinopoli e accolti in Santa Sofia per vedere come funzionasse la Chiesa. Scrivono le CTP: «Ci siamo recati nella Terra Greca e ci hanno condotto dove costoro servono il loro dio e non sapevamo se eravamo in terra o nei cieli poiché non c'è spettacolo più bello. Non sapremmo neppure raccontarlo e sappiamo soltanto che lì arriva certamente dio fra gli uomini...». Lo ripetiamo, gli spettacoli costavano moltissimo, se già si pensa alla costruzione di un tempio o alla strada da pavimentare con pietre e mattoni o ai costumi confezionati con materiali costosi affidati a artigiani sopraffini etc. per tacere del sostentamento delle persone coinvolte. Se mettiamo nel conto che una buona parte della decima andava di diritto al Patriarcato costantinopolitano che assegnava le cariche prelatizie e benediceva i rituali, le cifre da erogare si gonfiavano ulteriormente. Ed ecco quindi le richieste strumentali della Chiesa: 1. il palcoscenico-teatro ossia un tempio o la strada o la corte, 2. degli attori: i monaci e il personale ecclesiastico, 3. i costumi sfarzosi 4. i vari ammennicoli che andavano dalle icone da porre in mostra a tutti gli altri strumenti usati nelle cerimonie oltre ai canti e alle musiche. L'organizzazione della chiesa non si limitava tuttavia alle apparizioni teatrali per le vie e nei templi di Kiev, ma aveva come impegno/lavoro più quotidiano il far propaganda nelle campagne e nelle foreste fra la gente semplice, visto che gli stessi Riurikidi non riuscivano a tenere sotto controllo il territorio con i mezzi insufficienti del tempo. I preti, con la scusa di stanare e distruggere il paganesimo, affrontavano i contadini in casa loro e bollavano l'eventuale loro rifiuto dell'autorità del principe sotto la cui egida essi agivano come un tremendo peccato (concetto nuovo della paura latente fra gli Slavi!) che preludeva a castighi atroci non solamente in vita, ma anche dopo la morte. L'entrata successiva dell'Orda d'Oro nei giochi del potere e la distruzione dell'economia abbastanza elementare dei principi riurikidi kievani sconvolse l'auspicata evoluzione dello stato slavo-russo sostenuto dal sistema “chiesa e principe interdipendenti” e si installò di forza come il nuovo potere primario che si arrogava il diritto di ridimensionare le competenze e di ripartire i cespiti d'entrata senza troppo riguardo ai costumi antichi in vigore. Certo, la Chiesa cristiana fu esentata dal khan da gabelle e da imposizioni, ma così si preparò il terreno per un suo abnorme arricchimento a dispetto dei principi e si permise al vescovo di avere un peso maggiore e unico nelle decisioni politiche e in quelle economiche. Addirittura si pensi che a Grande Novgorod l'Arcivescovo era il vero capo dello stato repubblicano e che le mura nuove della città erano state costruite a spese dell'Arcivescovado stesso... Logicamente il nostro lettore è avvertito che quanto detto fin qui rappresenta un'anticipazione dello svolgersi di un processo lungo e lento che attraversa un paio di secoli e soprattutto nelle città e che il suo esito finale sarà percepibile ai suoi primi bagliori non prima della seconda metà del XIV sec. d.C. e in ogni caso non riuscirà a raggiungere la popolazione rurale... fino ai nostri giorni! Sia come sia, rimandiamo chi volesse approfondire l'argomento comportamenti post-Orda-d'Oro e “spirito russo” al pregevole lavoro di D. Tschiževskii (D. Čiževskii) riportato nella bibliografia.
BIBLIOGRAFIA
J.L. Abu-Lughod – Before
European Hegemony, The World System AD 1250-1350, Oxford 1989
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©2015 Aldo C. Marturano.