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   MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 69


  Mortenera

Mosca e la Morte Nera

   

Gli anni del XIV sec. d.C. sono densi di eventi in certo modo avversi al destino che sembrava disegnato per un'Orda d'Oro trionfante e alcuni di essi li racconteremo con qualche particolare in più giacché, come per il resto dell'Europa, il Trecento fu un periodo di calamità e di morte e, di conseguenza, pure di grandi mutamenti. Sarai-Berke come sappiamo viveva dei traffici e allo scopo di migliorarli e di espanderli era stato permesso ai mercanti italiani di fondare nuove fortezze e nuovi approdi sulle coste della Crimea. Nella penisola già dal tempo della conquista “franca” di Costantinopoli del 1204 Veneziani e Genovesi si erano spartiti gli antichi porti e ora in questa nuova fase storica era facilissimo incontrarli impegnati a fare affari nella capitale tatara oppure lungo le rive dei grandi fiumi russi... quasi sempre sotto lo sguardo benevolo del khan.

Ai Genovesi in particolare nella seconda metà del XIII sec. d.C. era stata concessa l'occupazione di alcuni punti sulla costa a supporto logistico della navigazione che spostava merci verso il Mediterraneo occidentale in collaborazione coi Catalani e ciò aveva ravvivato gli scambi e reso fiorenti e ricche molte città in Italia, in Spagna e lungo il Reno... un po' meglio dei Veneziani! Purtroppo, come vedremo, i Genovesi ebbero con questi loro contatti in Crimea un ruolo funesto in particolare perché non solo cambiarono la geografia politica della Pianura Russa, ma addirittura la scena fisica e antropica dell'Europa intera con la maledetta Morte Nera.

Una delle merci più vendute e più care erano gli schiavi e sembra che ciò allo stesso tempo  indispettisse il tataro Tohta khan poiché con tale traffico di giovani Kipčaki venduti ai Mammelucchi d'Egitto, specialmente, si privavano le sue armate dei migliori cavallerizzi. Ad un bel momento con la scusa di una lite fra mercanti decise di arrestare i mercanti italiani presenti senza distinzione nella capitale mentre mandava un'armata a assediare il porto genovese di Caffa (oggi Teodosia o Fiodosija in russo). I Genovesi a questo punto preferirono far terra bruciata dietro di loro e dettero fuoco alle istallazioni portuali, pur sapendo che i Tatari avevano poca dimestichezza col mare, e si spostarono all'interno. Le tensioni con il khan Tohta non migliorarono comunque, almeno finché il sovrano fu vivo. Soltanto il suo successore Özbeg, percependo l'importanza dei mercanti legati al potente Papa di Roma, decise che i Genovesi fossero indispensabili e si affrettò a richiamarli a Caffa. Anzi! Allargò le concessioni ai Veneziani che invece si stabilirono a Tana (Kerč) alle foci del Don a due passi dallo spartiacque col Volga e quindi da Sarai-Berke.

E qui è da notare che gli italiani non ebbero contatti con Grande Novgorod probabilmente a causa di accordi previ con i mercanti tedeschi che da tempo controllavano i flussi mercantili baltici. Schematicamente si ammetteva una competenza esclusiva dominata dalla Hansa di Lubecca sul flusso mercantile settentrionale Grande Novgorod>Mar Baltico>Reno e un traffico meridionale Caucaso-del-nord>Don>Crimea>Bosforo>Dardanelli>Mediterraneo dominato da Venezia e Genova in pratica e senza infastidirsi reciprocamente. In mezzo c'era poi Sarai-Berke che dal suo crocevia gestiva l'intero movimento permettendo il convogliamento di ogni tipo di merce e di curiosità fisiche e culturali mentre riscuoteva i balzelli per il servizio di protezione reso.

Volgiamo allora l'attenzione sulla Rus' di nordest attraversata in lungo e in largo dagli itinerari commerciali detti dove nella regione ristretta fra Tver e Suzdal/Vladimir-sulla-Kliazma i principi di questi udel dovevano garantire il servizio di protezione per conto del khan.

Il leggendario eroe e santo Alessandro Nevskii aveva avuto 4 figli, in ordine di età: Basilio, Demetrio, Daniele e Andrea. Alla sua morte, tolto di mezzo Basilio, il jarlyk di Principe Anziano fu preteso da Demetrio, ma per una qualche ragione il khan preferì darlo ad Andrea e proprio quando Mosca era stata assorbita nell'udel di quest'ultimo, a causa della morte di Daniele nel 1303. Secondo la prassi del tempo, essendo morto questo Daniele prima di essere arrivato al rango di Principe Anziano, ciò escludeva i suoi figli e i loro discendenti da ogni pretesa a tale titolo! La logica conseguenza della nuova situazione fu un litigio eterno per gli anni a venire fra i due rami del casato Nevskii, Mosca e Tver', e infatti l'anno dopo, 1304, quando morì anche Andrea, Michele di Tver' e Giorgio di Mosca si trovarono l'uno di fronte all'altro a confrontarsi sulla questione di chi dovesse essere il Principe Anziano. Giorgio sapeva bene che per la tradizione non vi avrebbe potuto concorrere, ma sapeva anche che molto dipendeva dal khan Tohta e dai regali che quest'ultimo s'aspettava di ricevere per concedere il jarlyk all'uno o all'altro pretendente. Se i regali erano determinanti per risolvere la questione formale, per Mosca le chances restavano minime giacché a nostra conoscenza finora non era riuscita a accumulare abbastanza ricchezze per battere Michele e doveva ricorrere perciò a altri espedienti più subdoli. Al contrario Michele di Tver', sponsorizzato dalla Lituania che era pronta a concorrere nelle spese e dal vescovo lituano Andrea, capo della chiesa locale, nel 1304 ottenne il jarlyk dal khan Tohta. Non solo allora però poiché il titolo gli fu riconfermato successivamente anche dal khan successore, Özbeg, nel 1312.

La fonte di ricchezze tradizionale dell'intera Pianura Russa, lo rammentiamo, restava Grande Novgorod e la repubblica non accettava la prerogativa che Michele, ora Principe Anziano, potesse essere l'unico a fornire un'armata per l'ingaggio nella difesa della città. Voleva mantenere la propria autonomia di scelta su quale družìna e su quale principe la comandasse, libera da ogni impegno e sebbene in quegli anni anche Grande Novgorod alla fine si trovasse sotto l'influenza politica dei lituani che la frequentavano ai livelli più alti. Naturalmente (le fonti non sono troppo chiare a riguardo) la questione era legata al fatto che Michele aveva ricevuto l'onere di riscuotere l'odiato contributo per Sarai per conto del khan e ne aveva fissato persino l'ammontare con una bella sovrattassa d'aggio per sé e ciò rendeva tutta la faccenda scomoda e invisa.

Non andremo nei particolari, ma rileviamo che ci furono parecchi conflitti fra Grande Novgorod e Tver e notiamo persino che Giorgio di Mosca, alcuni di questi scontri, riuscisse a fomentarli allo scopo ultimo di fiaccare Michele e riuscire in qualche modo a deferirlo al khan per un qualche errore e prenderne finalmente il posto. La tensione fra Tver e Mosca era insomma incandescente.

Nel 1305 inoltre, quando si trattò di sostituire il vescovo di Vladimir-Suzdal e la scelta del Patriarca di Costantinopoli fu di mandare come nuovo Metropolita nel nordest Pietro, egumeno di nazionalità greca da tempo vivente nei Carpazi, il clero di Tver (con il detto vescovo lituano Andrea) non lo volle accogliere. Pietro aveva già rappresentato la mela della discordia fra Kiev e Galič perché era sorto il sospetto che quest'ultima sede vescovile attraverso lui potesse diventare autocefala e sottrarsi a Kiev addirittura passando sotto il Papa di Roma. Comunque sia, Pietro fu accusato di simonia e sottoposto a processo in un sinodo convocato ad hoc a Tver nel 1310.

Giorgio – da Mosca – prese le parti di Pietro contro Michele e Andrea e alla fine, sciolto il prelato da ogni accusa, pur non accettato da Tver Pietro si installò nelle sue funzioni a Vladimir-sulla-Kliazma e per gratitudine dichiarò che nel futuro sarebbe stata Mosca il luogo più degno dove farsi seppellire. La tradizione dice che fu egli stesso a scavarsi la tomba (!) a Mosca...

Per Giorgio fu uno dei momenti di trionfo, seppur parziale, e lo spinsero all'unico passo possibile per guadagnar terreno: Andar a servizio del khan Özbeg per un po' di mesi. Qui riuscì a guadagnar tanto credito da farsi dar in sposa la sorella del khan Končaka e, con la consorte e con la promessa di un prossimo jarlyk da Principe Anziano, tornò nella sua Mosca in gran pompa. Michele restò male per l'improvviso cambiar della sorte e Giorgio, con grande spocchia si spinse a attaccare Tver con la truppa tatara che l'accompagnava. Lo scontro finì a favore di Michele che sconfisse i Tatari e catturò Končaka. Malauguratamente la principessa tatara morì in prigionia e subito si dedusse che fosse stata avvelenata. A questo punto Michele fu chiamato a darne conto insieme con Giorgio a Sarai e fu giustiziato, mentre Giorgio diventò il Principe Anziano con l'incarico di raccogliere il tributo per Sarai da tutto il nordest, compresa Grande Novgorod.

In realtà a guardare bene le cose Mosca ancora era la parte piccola e povera dell'udel di Vladimir-Suzdal, sebbene avesse incorporato ora qualche altro territorio in più, ed essere Principe Anziano significava restare totalmente succubi alle voglie del khan e poi riuscire a dominare e soggiogare gli altri Riurikidi e quindi l'esposizione a attacchi e scontri militari restava una minaccia costante e reale. E poi c'erano sempre i problemi di Grande Novgorod e della Lituania che avevano loro proprie logiche politiche non facilmente controllabili da lontano, senza costosi ricatti.

Özbeg aveva fatto logicamente tale scelta proprio in base alla situazione in atto e il suo scopo era col solito machiavellismo di mantenere un principe contro l'altro affinché si sfiancassero in liti e scontri. Dunque gli scontri fra Mosca e Tver si intensificarono sempre di più tanto che Giorgio, minacciando il figlio di Michele, Demetrio detto Occhi-minacciosi, di dar fuoco alla sua residenza, riuscì ad estorcere al giovane la promessa di rinunciare al rango di Principe Anziano per il prossimo futuro e di consegnare a Giorgio il tributo di Sarai giacché sarebbe stato lui a portarlo al khan.

Fu questa una mossa falsa per il moscovita a causa di un contrattempo.

Essendosi recato con la sua družìna a dare una mano a Grande Novgorod contro la Svezia invece che portare subito il tributo a Sarai e chiedere le truppe o almeno l'autorizzazione a condurre una guerra nel nord, fu sospettato da Özbeg di volersi appropriare dei soldi raccolti e gli fu intimato di recarsi a Sarai immediatamente. Giorgio ubbidì, portando con sé tutto il suo tesoro, ma Demetrio, in attesa al varco, lo spogliò di tutti gli averi in un'imboscata. Il fattaccio fu riportato a Sarai e Demetrio e Giorgio furono sottoposti a giudizio nel 1325. Demetrio, forte dell'appoggio del suocero Ghedimino, saltò ogni tribunale e vendicando suo padre uccise Giorgio e logicamente ottenne il jarlyk di Principe Anziano!

Il destino moscovita passava ora nelle mani del fratello di Giorgio, Giovanni, che nel 1327 vivrà una prima clamorosa (per Mosca!) vittoria su Tver.

Si racconta che in quell'estate il Baskak incaricato era venuto a Tver a riscuotere il tributo di Sarai, accompagnato dal cugino di Özbeg in qualità di ambasciatore in visita presso Alessandro, il fratello succeduto a Demetrio. Il ricevimento dei Tatari in città però non fu caloroso, anzi! I componenti dell'ambasciata furono uno per uno trucidati! Non appena ne venne a conoscenza, Özbeg chiamò Giovanni di Mosca e gli affidò un'armata di 50 mila cavallerizzi (il numero al solito è esagerato) per la rappresaglia punitiva contro Tver.

In realtà ci furono ancora varie manovre e scontri e nel 1338 Alessandro di Tver riuscì a strappare il jarlyk a Giovanni. Non per molto però, giacché le delazioni moscovite portarono Alessandro a Sarai dove fu giustiziato. Stavolta fu un trionfo vero per Giovanni soprannominato nelle CTP il Borsello (Kalità) per il fatto che, per la Chiesa, era pronto a soccorrere i poveri. In realtà così prodigo con i poveri Giovanni non era e da quando era diventato il fidato esattore delle tasse per conto dei Tatari, si era reso inviso a tutti i suoi parenti. Infatti aveva garantito al khan il gettito fiscale futuro col proprio esiguo patrimonio, da un lato, e, dall'altro lato, pretendeva denaro per conto del khan, lo prestava ai principi che ne avevano bisogno e in seguito si curava di ricuperare lo stesso credito “moltiplicato più volte” sotto la minaccia della rappresaglia armata. Le somme totali raccolte ora rappresentavano il tributo che Giovanni, pulito degli aggi e degli interessi che finivano nella sua tasca, finalmente era consegnato al khan. In tal maniera accumulò per sé e per la sua famiglia tantissimi beni, che, quando finalmente morì, nessuno si meravigliò che i suoi figli lo rimpiangessero dal “profondo del cuore”. Per di più, sebbene l’immensa eredità fosse divisa fra poche persone, la porzione di ricchezza ereditata da ciascuno era tale e tanta che, figlio o fratello, tutti si trovarono comunque all'improvviso enormemente arricchiti.

Un anno prima della sua morte, al momento della sua partenza per la città di Sarai, dove si stava recando per ricevere l’investitura di Principe Anziano, Giovanni aveva già messo insieme il suo testamento. Nessun principe a quei tempi purtroppo era sicuro di ritornar vivo, a quanto ci raccontano le CTP, se ci si metteva in viaggio per Sarai, né tanto meno Giovanni che era stato spessissimo in viaggio “d’affari” fra Mosca e Sarai! Quella volta evidentemente temendo il peggio decise di affidare le sue ultime volontà nelle mani della moglie e il suo testamento con i necessari sigilli, quello d’oro personale e quelli di piombo dei testimoni (ecclesiastici), comincia così: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo Non sapendo che cosa l’Altissimo ha preparato per me (nel mio viaggio) all’Orda dove mi sto recando, lascio questo mio testamento spirituale, stilato da me nelle mie piene facoltà fisiche e mentali». Un preambolo di stampo tradizionale che abbiamo riportato affinché il lettore possa immaginare in qual modo e quanto grande fosse l’influenza della Chiesa nella corte moscovita già allora e soprattutto se si trattava di patrimonio. Dall'ulteriore lettura del testo (che non riportiamo) notiamo però un'importante innovazione. Il tradizionale sistema di successione non permetteva il lascito di beni immobili ai propri epigoni, mentre qui con un'evidente e forte mediazione delle donne, mogli o figlie, vengono assegnati villaggi e terreni ai figli… Insomma il testamento rappresenta il primo tentativo giuridico di creare per la dinastia moscovita dei diritti esclusivi sulle proprietà immobiliari trasmissibili genitori a figli così che nessun parente potesse aver vantare pretese su un villaggio o terreno comprati e non concessi.

Oltre a accennare all’eredità è bene dare qualche altro ragguaglio.

Giovanni, come d’abitudine, si è consultato col suo consigliere spirituale, il Metropolita, che a volte viene ad abitare nei pressi della sua residenza cioè nella zona recintata al centro di Mosca o Cremlino. Ha assistito alla funzione liturgica celebrata tutta per lui nella Chiesa dell’Assunzione, costruita anni prima su suo ordine in mattoni e con i soldi della decima del suo patrimonio, a copia dell’omonima chiesa della vicina Vladimir-sulla-Kliazma. Dopo la cerimonia con i doni per il khan e con suo figlio maggiore da presentare al signore tataro quale suo successore, si mette finalmente in viaggio per il sud. Tutti i suoi pregheranno per lui per tutto il tempo che rimarrà via, perché sanno che si sono accumulati certi spiacevolissimi problemi proprio a causa dei frequenti e cospicui “prelievi” sul tributo che Giovanni ha raccolto e trasformato in proprietà personali. Per sua fortuna tuttavia, quella volta tornò dall’Orda d'Oro vivo e con la riconferma del jarlyk, e non solo! Era riuscito persino a convincere il khan che, nel territorio di Vladimir-sulla-Kliazma e negli udel vicini, non sarebbe stato più necessario che il khan si preoccupasse di mandare in giro per il controllo alcun baskak nel futuro e che il khan avesse accettato di buon grado e si tramanda che gli avesse persino regalato, come segno di stima, il famoso cappello che in seguito servì ad incoronare i Riurikidi moscoviti e di cui un esemplare oggi si conserva nel Museo del Cremlino, col nome (improprio e anacronistico) di Cappello di Vladimiro Monomaco (Sciapka Monomaha).

Ormai si diceva di lui, quando appariva fuori dal suo palazzo col suo famoso borsello fra le mani, che sicuramente era in giro per raccogliere danaro e chi poteva cambiava strada. Forse erano però le male lingue a parlare in questo modo e, comunque sia, la “funzione d’esattore” costringeva il pagatore a doversi umiliare davanti ad un principe di rango minore, com’era considerata la dinastia moscovita. Certo, si poteva litigare e misurarsi con lui militarmente, ma era di solito cosa impossibile da farsi per la presenza degli invincibili Tatari e in più: come scontrarsi senza aver poi i quattrini per mettere insieme delle truppe ben equipaggiate?

Mosca a quei tempi era circondata da una grandissima distesa di fitte foreste, abitate oltre che da animali famelici di gran mole e da altri più piccoli, dal pelo pregiatissimo e molto richiesti dal mercato, persino… da banditi e briganti, pericolosi quanto le belve, che assaltavano i traffici lungo il Volga e l'Okà. I mercanti novgorodesi spesso usavano la Moscova e la Kliazma come “scorciatoia di sicurezza” prima di immettersi nel Volga dallo spartiacque del fiume Lamà (Volok Lamskii) e avevano sicuramente apprezzato gli investimenti che Giovanni aveva intrapreso per rendere più sicure le “sue” vie d’acqua.

La strada fluviale verso sud via Mosca non è affatto più corta né più semplice, dal punto di vista dei fiumi da percorrere, ma quando Giovanni si sforzò di liberarle dai banditi (in russo tati) e sebbene in cambio elevasse e moltiplicasse i pesanti dazi che ora percepiva per il suo servizio di polizia fluviale e terrestre, i traffici realmente si fecero più tranquilli.

Già da tempo tutto il corso della Moscova gli apparteneva. A partire dalla cittadina di Možaisk (ai confini col principato di Smolensk) fino alla confluenza nell’Okà dove si trova Kolomna (ai confini con Rjazan e a immediato contatto coi territori propriamente tatari) il pattugliamento di frontiere così estese, lo aveva reso esperto sul controllo territoriale da giustificare gli alti dazi. È anche chiaro che una piccola deviazione dei traffici dalle rotte consolidate procurava microcrisi economiche in qualche zona di un paese agricolo a bassissima resa di raccolto ed esportatore solo di beni di lusso. Per questi motivi i principi limitrofi, impoveriti per aver perso una parte dei traffici deviati da Mosca per una stagione o per il fatto di non riuscire a respingere le angherie e le devastazioni dei Tatari che pure c'erano, cominciarono a dipendere, prima economicamente e poi militarmente e quasi senza accorgersene, dalle voglie e dagli intrighi moscoviti, benché Mosca s’incaricasse di far da paciere e da arbitro con i Tatari o ripristinasse a pagamento i traffici deviati per rappresaglia o per dispetto!

Come noi sappiamo dai tempi di Andrea Bogoliubskii, a causa della vecchia consuetudine per la quale nessun principe poteva comprare terreni nell’udel di un altro e quindi allargarsi a spese del confinante con il semplice acquisto, si diffuse direttamente o indirettamente attraverso l’aiuto della chiesa e della sua capillare organizzazione la propaganda ben orchestrata che invitava la gente dei territori intorno a venire a Mosca. C'erano difficoltà economiche? Si avevano propri beni mobili? Servi e schiavi? Mosca prometteva, garante il khan, esenzioni, indennizzi e favori, ottenibili solo in questa parte di quel mondo senza problemi di religione o fede politica… purché tutti giurassero fedeltà (e soggezione) al principe e si dichiarassero pronti a combattere nelle file dei suoi soldati. In questo modo persino i principi degli udel che si spopolavano e s’impoverivano cominciarono a vedere in Mosca l’unica salvezza. Oltre a ciò le diminuite scorrerie tatare nel territorio moscovita, dava l'illusione di pace e attraeva soprattutto la gente ricca, i cosiddetti boiari, dagli udel vicini. Costoro, andando ad ingrossare in pratica la “combriccola di potere moscovita”, volentieri si legavano mani e piedi al principe, affidandosi non tanto alla sua protezione, quanto perché, in cambio della loro fedeltà giurata e soprattutto per il gran numero di raffinati artigiani e specialisti che recavano con sé, ottenevano vantaggi economici e partecipavano ai traffici internazionali.

Non erano però solo i cosiddeti boiari a migrare. Al loro seguito c’erano mercanti russi e stranieri e piccole folle di contadini impoveriti e questi “uomini liberi” o “parzialmente dipendenti” senza sforzo chiedevano ed ottenevano l’autorizzazione a risiedere nei dintorni di Mosca. L'apporto demografico e tecnologico cominciò dunque a crescere, rispetto alle vicine città di Vladimir-sulla-Kliazma (Giovanni conservava il titolo nominale di Principe Anziano di quest'ultima città) o di Rostov che continuarono a spopolarsi e lentamente a decadere.

Un'altra vittoria moscovita c'era stata già prima quando il Metropolita Pietro era morto e era stato sepolto con tutti gli onori nella Chiesa della Dormizione a Mosca, secondo i suoi desideri. Il suo successore nel 1339 lo aveva proclamato santo e aveva trasformato la sua tomba in un luogo di pellegrinaggio cristiano elevando Mosca a futura capitale metropolitana della nuova Rus' di nordest. Non solo! Anche la casata di Giovanni acquisiva in questo modo un'aura provvidenziale di sacralità come sponsor/protetto del defunto santo prelato. Alla fine dal punto di vista formale dei rapporti con Sarai, Mosca poteva ora diventare la sede di ben due jarlyk: quello di Principe Anziano e quello di Vescovo Metropolitano in concorrenza con la sede kievana e contro Tver. Non solo! Se teniamo presente che  il Vescovo e tanto più il Metropolita erano il notaio, il giudice, il consigliere supremo del Principe, riuscire a avere in casa il “Metropolita di Tutta la Rus'” significava poter avanzare qualsiasi genere di pretesa politica sui principi avversari e di tener quasi per scontata l'approvazione del khan su ogni atto approvato e mediato dal prelato.

A parte ciò, saltiamo le tante lotte con gli altri principi russi che si contrapposero in quegli anni affinché Mosca non diventasse un udel a sé troppo importante, e diciamo che Giovanni I (possiamo chiamarlo così) muore nel 1340, dopo aver regnato più a lungo di altri suoi predecessori – quasi undici anni – visto che era successo a suo padre Daniele nel 1328 e lascia il trono a suo figlio Simeone detto il Superbo mentre, dicono le CTP, una gran pace regnava su tutta la Terra Russa “per quei quarant’anni”. Una pia esagerazione del cronachista suggerita forse dalle ondate di peste che si susseguirono malauguratamente nei vent'anni seguenti.

Simeone era un tipo tutto particolare e non amava avere concorrenti intorno a lui. Abituato a sentirsi superiore a tutti, era stato educato nel modo che oggi definiremmo “da bambino viziato” in un ambiente ricco, orgoglioso e provinciale. Forse la prima vittima di questo suo modo di fare altezzoso è proprio la matrigna, spinta a chiudersi in convento e a non intromettersi più negli affari di stato. I suoi atteggiamenti indisponenti da signore ricco e potente erano sicuramente boriosi e lui usava tutti i mezzi possibili per mettere in soggezione coloro che gli comparivano davanti per farli sentire degli esseri inferiori e i molti episodi riportati dalle CTP giustificano pienamente il soprannome attribuitogli: Il Superbo!

Addirittura s’inventò una nuova tassa chiamata la tassa nera (čornyi bor in russo) imposta alla povera gente (la gente nera in russo) per la città Mercato Nuovo (Toržok). La cittadina era una proprietà esclusiva della repubblica novgorodese, sebbene sorta in territorio moscovita, e si era rifiutata di pagare l'aumento del canone annuale per il pedaggio lungo i fiumi di Mosca. Per questa questione Simeone nell'iniziare la trattativa coi novgorodesi lasciò, non si sa per quanti giorni a piedi nudi e nel freddo, il posadnik, la massima autorità politica di Grande Novgorod insieme al suo Capo della polizia, finché i due non si piegarono alle sue pretese. Si sposò ben tre volte e non ci sarebbe in questo niente di male, se fosse rimasto vedovo prima di riprendere una nuova moglie. Il fatto è che dopo la morte della prima moglie Aigusta, figlia di Ghedimino e ribattezzata Anastasia, si risposò con Eupraxia, figlia del principe di Smolensk, Teodoro. Dopo un anno di secondo matrimonio, s’innamorò della figlia di Alessandro di Tver, Maria, e non potendo in altro modo liberarsi di Eupraxia ancora viva, pensò di accusare quest’ultima di frigidità e di non esser in grado di concepire. Tentò di ottenere con questi motivi l’annullamento del matrimonio con l’intervento diretto del Patriarca di Costantinopoli e, messi insieme i doni più fastosi (il Metropolita gli procurò invece tutti i documenti necessari), in gran pompa inviò una sua missione sul Bosforo affinché gli fosse accordato “l’annullamento” al più presto. Naturalmente ottenne quanto desiderava…

La mano divina però (così si espressero le cattive lingue del tempo) sembrò punirlo di tutto il male che aveva fatto compreso il matrimonio “illegittimo”, perché nel 1353, a 36 anni, morì, a causa della maledetta peste, arrivata dal Baltico! Non solo, ma la stessa peste aveva colpto prima di lui i suoi figli Giovanni e Simeone il Giovane oltre che il Metropolita Teognosto che lo aveva appoggiato nell'affare matrimoniale! Ironia della sorte, Algirdas, suo suocero e avversario, scampò invece alla peste e gli sopravvisse fino al 1377...

Il già ricordato Ibn Battuta pare che avesse sentito parlare del terribile morbo nel 1332 nel suo viaggio lungo lo Himalaya diretto a Sarai, sebbene oggi sappiamo che il centro maggiore di diffusione della malattia erano state le rive del lago Baikal qualche decennio prima. È probabile che pure i mercanti lungo le Via della Seta ne abbiano avuto loro stessi notizia e che l'abbiano considerata una mattana certo spaventosa, ma che sarebbe passata via senza grandi danni come era finora successo. Non sapevano però che ne erano loro stessi i diffusori a causa di qualche ratto domestico infetto accorso durante le loro soste carovaniere e poi annidatosi fra le granaglie dei basti. Sarebbe auspicabile che si potesse rilevare anche che i prezzi di certi prodotti a causa della mancanza di produzione per la morte fisica dei produttori fossero saliti o che certe merci fossero addirittura sparite dal mercato, ma i documenti a riguardo sono troppo poco chiari e dunque dobbiamo considerare l'arrivo della peste nelle steppe ucraine come una vera sorpresa storica.

La prima manifestazione morbosa registrata nelle steppe ucraine è al tempo del khan Janibeg, succeduto a suo padre Özbeg. Il nuovo khan in quegli anni aveva rinnovato le concessioni a Veneziani e Genovesi, ma nel 1343 dopo dei tafferugli a Tana fra cristiani e musulmani il khan aveva cacciato i Veneziani che s'erano rifugiati a Caffa. Per ritorsione i mercanti italiani alleatisi avevano in pratica bloccato il traffico lungo le coste del Mar Nero, con grandi perdite per Sarai.

Che fare per il khan? L'unica possibilità era attaccare il centro delle ostilità logicamente da terra.

Ed ecco il racconto del notaio piacentino che visse a Caffa l'ultimo degli assedi alla città da parte del khan nel 1347. Scrive: «In questo momento l'epidemia colpì i Tartari. L'intero loro esercito fu colto dal panico e ogni giorno erano in migliaia a morire. Agli assediati (Genovesi) sembrò come se dal cielo fossero scagliati dardi di vendetta che tenessero a freno la spavalderia dei nemici (Tatari). Dopo poco tempo questi mostravano nei loro corpi i sintomi caratteristici cioè umori raggrumati alle giunture e all'inguine. Quando a tutto ciò faceva seguito la febbre della putrefazione, morivano e i medici non erano in grado di offrire loro né consiglio né aiuto. Quando i Tartari, indeboliti dalla battaglia e dalla peste, sgomenti e completamente allibiti, dovettero prendere atto che il loro numero si riduceva sempre più e riconobbero di essere in balia della morte senza speranza alcuna di salvezza, legarono i cadaveri (dei loro compagni) sulle catapulte e li lanciarono così all'interno della città di Caffa affinché tutti morissero di quella peste insopportabile. …», ciò che infatti avvenne e che svuotò Caffa. E solo chi riuscì a aver la forza di mettersi in mare fuggì verso l'Italia con le conseguenze funeste che noi sappiamo.

Il nostro autore aggiunge che in quegli anni il male aveva già flagellato il Centro Asia, il Turkmenistan e il Caucaso e, quando era passata dalla Crimea alla costa opposta del Mar Nero, aveva spazzato pure Cipro, l'Egitto e la Grecia. Fra il 1347 e il 1348 a partire da Messina, dove approdò la nave di Caffa con i pochi superstiti fuggitivi e piena di cadaveri e di ratti impestati, fu una catastrofe demografica per tutta l'Europa e il continente perse circa 1/3 della sua popolazione. Molte città furono abbandonate completamente e tantissime attività scomparvero del tutto. Le ondate virulente si susseguirono nel seguito degli anni finché si estinsero, almeno temporaneamente per qualche secolo.

Evidentemente anche le relazioni interpersonali, i poteri, le ricchezze cambiarono di mano e di valore e, se questa era la situazione nelle steppe ancora nel 1347, al nord della Pianura Russa in realtà la peste non giunse, se non qualche anno più tardi, sia a causa del clima che congelava la pulce pestifera contagiosa, sia perché visitatori e mercanti che potessero portare il morbo addosso non riuscivano a coprire da vivi grandi distanze fra sud e nord e l'effetto fu solo l'interruzione dei contatti. Per quanto poi concerne gran parte della popolazione rurale, i contadini avevano pochi e rarissimi contatti con il mondo cittadino e quindi rimasero immuni dal contagio. Addirittura la peste arrivò a Grande Novgorod portata dall’Arcivescovo Basilio (al secolo Gregorio Kalekà) che la prese a Pskov nel 1351 dove il prelato si era recato per fermarla con le armi della religione e la trasferì alla sua città... dalla sua tomba posta aperta in venerazione ai fedeli che avrebbero dovuto impetrare la guarigione toccandola e baciandola! Né bastò spopolare la repubblica del nord. I novgorodesi la portarono fino a Lago Bianco che fu pure desertificata...

Si svuotò Mosca, partendo, si può dire, dal vertice con la morte di Simeone.

È biasimevole che sull'argomento “peste e Medioevo Russo” poco si sia ricercato e pochissimo si sia scritto, benché gli effetti negativi del morbo letale si siano sentiti a tutti i livelli, viste le numerose ondate di morbilità ripetutesi per una ventina d'anni e, pare, fino al XV sec. d.C.

Di certo si ebbero tre effetti che vengono subito alla mente:

     1.       Se le città si spopolarono, diminuì in esse bruscamente l'attività artigianale che invece aveva pian piano cominciato a crescere in quell'epoca e di conseguenza dovette diminuire l'esportazione di oggetti e prodotti di lusso e la possibilità di pagare con questi il tributo nella misura e nella quantità precedenti, sebbene i mercati d'Occidente visitati dalla peste anni prima erano depressi anch'essi..

     2.       Siccome la peste colpì più duramene e per primi i nomadi delle steppe, il traffico di schiavi diminuì drasticamente, specialmente quello dei ghulam. Se non dimentichiamo che la cavalleria costituiva una forza armata altamente specializzata e di élite, quando il numero di ghulam “trattati” sui mercati “militari” del Centro Asia e del Nord Africa diminuirono, di conseguenza ne risentirono gli scontri armati in generale in quelle zone. Parallelamente diminuirono i giovani da cooptare nelle družiny dei principi o da mandare a Sarai per i contingenti militari tatari e ciò abbassò le difese pericolosamente dal lato russo che pagava il tributo con i ragazzi per il servizio militare.

     3.       Un effetto curioso e malamente studiato è che gli abitanti contadini o raccoglitori delle foreste, visto che la peste li toccò di striscio o quasi per niente, nel nord della Pianura Russa si accrebbero alquanto nel numero. Tuttavia dire che queste stesse persone, conoscendo le città da lontano con una fama di disordine morale e di guerre continue, si sentissero attratte a andare a ripopolarle sarebbe irrealistico, salvo che non facessero parte di clientele di potenti, come abbiamo detto prima.

Per chi ama i numeri riassumiamo qui i dati dedotti e raccolti da C. Goehrke (v. bibliografia).

In generale fra il 1347 e 1348 nell'intero continente europeo, compresa la Pianura Russa, morirono all'incirca i 2/3 della popolazione sia per la peste sia per le conseguenze (carestie etc.). La prima ondata deve aver toccato Polozk già nel 1349 e arriva a Pskov nel 1351 e, come abbiamo visto, poi dilaga in Grande Novgorod giungendo fino a Belo Ozero che resta a lungo un mercato deserto. Nel 1352 giunge a Kiev e a Cernìgov e di lì dilaga nel nordest e a Mosca appare nel 1353. La seconda ondata tocca di nuovo Pskov nel 1360 e di lì va a Novgorod-della-Bassa e tocca Mosca e assale subito dopo Sarai. Nel 1366 ritorna nella Pianura Russa, via Lituania stavolta, e dicono le CTP (redaz. Nikonovskaia): «E molte corti e molti villaggi furono abbandonati e vuoti».

Insomma non si può prescindere dagi effetti della terribile epidemia nel raccontare il seguito della nostra storia e è certo che ci fu un terribile tracollo del commercio e che Sarai s'impoverì e decadde insieme con moltissimi altri centri in quei disgraziati anni. L'élite tatara al potere decimata dal morbo, addirittura lasciò eredi più esigenti in termini di tributi nei confronti dei sudditi rimasti in vita e che riconoscevano ancora l'autorità del khan, ma per gli effetti che abbiamo appena detto purtroppo era aumentata l'impossibilità di pagare e si diffuse perciò una forte opposizione al vecchio regime esattoriale con numerosi tentativi di trattarne la diminuzione, se non proprio l'azzeramento, fuggendo dai censimenti e dai baskak.

Fra i rivolgimenti nell'élite dell'Orda d'Oro, dopo la morte di Janibeg nel 1357 e l'assassinio del successore Berdibeg nel 1359, il potere vero passò nelle mani del generale tataro Mamai. Costui, non potendo essere riconosciuto khan perché non era di ascendenza cinghizide, non osò sedersi sul trono di Sarai e con i suoi uomini da una nuova Orda creata nelle steppe ucraine suscitava colpi di stato su colpi di stato e appoggiava, metteva sul trono e proteggeva o isolava il khan legittimo, ma accondiscendente, che gli andasse bene senza badare all'età o alle facoltà fisiche e mentali del designato e eliminando invece chi non sapesse accomodarsi con lui. Mamai allo stesso tempo pretendeva però, attraverso i suoi khan-marionetta, di concedere jarlyk e di conseguenza pretendere tributi.

In questi anni sulle rovine demografiche della Morte Nera si stava tentando il consolidamento dello stato lituano nelle mani dei figli di Ghedimino e l'avanzata territoriale dell'influenza lituana dal nucleo tradizionale di Novogrudok continuava a progredire. Nell'autunno del 1322 i Lituani addirittura stavano amministrando ormai Galizia, Podolia e Kiev e il fratello di Algirdas, Kestutis, risiedeva stabilmente a Kiev dove era riuscito a raccogliere qualcuno dei Riurikidi che risiedevano nei dintorni. Siccome poi sappiamo che gran parte dei territori incorporati erano praticamente soltanto foresta e marcite, la colonizzazione fu eseguita ad imitazione delle politiche immigratorie dei Cavalieri Teutonici e cioè invitando gente da tutte le parti d'Europa e persino comprando schiavi-ostaggi per ricavare campi e coltivarli. Con la falcidia della Morte Nera la necessità del potere lituano di accrescere il numero di soggetti produttori si era evidentemente accresciuta mettendosi persino in concorrenza con le esigenze dell'Orda d'Oro per lo stesso problema, ma ora tutti i piani erano da ripensare.

In questo agone l'élite moscovita ebbe veramente pochissimo peso, lacerata com'era dalle lotte contro Tver e gli altri udel di nordest e mentre la Morte Nera uccideva Simeone e Andrea, suo fratello. L'unico  membro adulto rimasto in vita a far da capo-famiglia nel 1353-1354 era Giovanni (II) detto il Rosso (da krasnyi, rosso in russo, probabilmente perché nato la settimana dopo Pasqua che in russo era chiamata il Dì della Collina Rossa oppure, se accettiamo il vecchio significato di krasnyi, il Bello). Le CTP lo dipingono come persona coscienziosa e misericordiosa, predisposto a fare solo il bene degli altri, in realtà come sovrano fu una vera frana. Della sua incapacità aveva dato un primo saggio nel 1356 quando non aveva saputo intrigare per difendere dagli attacchi armati di Algirdas un paio di grossi villaggi soggetti a Mosca che così erano passati in mano lituana.

Giovanni aveva sposato in seconde nozze Alessandra, la figlia di Basilio Veliaminov, immigrato da Rostov e discendente da un variago Jakun (Haakon), antenato diventato famoso per essersi battuto contro i nomadi Cumani nel 1068 nelle steppe ucraine.

Come mai tale sposa? Che alleanze erano state messe insieme per Giovanni?

La storia è vecchia, ma è bene conoscerla per rendersi conto delle circostanze che si formavano intorno al trono moscovita.

Ecco come la raccontano le CTP. Alla morte di Giovanni il Borsello c’era stata una rivolta dei boiari moscoviti capeggiata da un certo Alessio detto La Coda (Hvost' in russo). La ribellione era dovuta al fatto che il jarlyk di Principe Anziano implicava al solito un rimescolamento dei ruoli chiave di corte e Alessio La Coda non intendeva rinunciare alla competizione per la carica di Capo della Polizia o Chiliarca con Basilio, il figlio del precedente Chiliarca, Protasio Veliaminov. Alessio così si era autonominato protettore del debole Giavanni il Rosso e alleatosi con altri boiari dissidenti aveva montato una congiura per eliminare il successore di Giovanni il Borsello, Simeone, che parteggiava per i Veliaminov e mettere al suo posto appunto Giovanni. Simeone però, scoperta la congiura ai suoi danni, punì Alessio, cacciandolo via e sequestrandogli i beni. A questo punto Alessio insieme con i suoi alleati decisero di lasciare Mosca, portando con loro tutte le ricchezze mobili compresi uomini e servi (questo, come sappiamo dalle regole immigratorie fissate anni prima, era un loro diritto).

La situazione, in definitiva una specie di serrata padronale, rischiava di diventare disastrosa per le casse moscovite e Simeone corse ai ripari imponendo al povero fratello Giovanni il Rosso, suo successore eventuale, che in qualsiasi momento non lasciasse giammai passare né tanto meno accogliesse nei suoi villaggi nessuno dei boiari ribelli che sostenevano Alessio La Coda e, per averlo dalla sua parte,  gli concesse di dividere con lui i beni sequestrati.

Poi Simeone era stato falciato dalla peste e Alessio La Coda si era presentato a corte da Giovanni il Rosso che lo aveva riabilitato nominandolo finalmente Chiliarca che a Mosca restava comunque un posto chiave sia politico che militare.

Nel febbraio del 1357 all’alba di un freddissimo giorno il cadavere di Alessio, ucciso a colpi di pugnale, fu trovato in mezzo alla piazza (oggi Piazza Rossa) e il sospetto cadde naturalmente su Basilio Veliaminov. La faccenda si complicava e per paura delle rappresaglie Basilio con i suoi se ne fuggì a Sarai e si appellò al giudizio supremo del khan.

Intervenne persino il Metropolita Alessio che consigliò personalmente a Giovanni il Rosso di recarsi a Sarai-Berke e di riappacificarsi in qualche modo con Basilio Veliaminov e i suoi per convincerli a tornare a Mosca senza timore. La pace infine fu fatta e fu suggellata dal matrimonio di Giovanni, allora vedovo, appunto con Alessandra Veliaminova.

Costei, non appena venne a mancare il marito, insieme con suo padre pensò bene di prendersi immediatamente cura della reggenza e dell’amministrazione dei beni di famiglia ossia di Mosca e i suoi possedimenti in attesa della maggiore età del figlioletto Demetrio e cercando in tutti i modi di non far tornare a galla la vecchia storia del “delitto La Coda”.

Neanche Alessandra probabilmente fu risparmiata dalla Morte Nera e alla fine della grande famiglia dei Jaroslavidi di Mosca rimasero soltanto due ragazzi in vita: Demetrio (detto poi del Don o Donskòi) figlio di Giovanni il Rosso e il figlio del fratello di quest'ultimo, Andrea, a nome Vladimiro (detto poi di Serpuhòv).

I due ragazzi, coetanei e cugini germani, rimarranno affidati al Metropolita di Mosca Alessio (I) per la loro educazione e resteranno uniti nei destini della costruzione del nuovo stato russo moscovita fino alla morte, ognuno rispettando lealmente la posizione dinastica dell'altro.

  

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  ©2015 Aldo C. Marturano.

  


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