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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 34 |
Una rappresentazione "classica" del vampiro (dal sito forum-auto.com)
Oggi forse attribuiremmo quei suoni strani e
inaspettati solo a qualche bandito che magari potrebbe saltar fuori
dal buio per assaltare la nostra izbà, se abbiamo tanta
fantasia, oppure pensiamo ad un branco di lupi famelici che è
là in agguato e rabbrividiamo per lo spavento, tanto da veder già
scintillare le loro zanne nel chiarore lunare. Trasferiamoci indietro
in quel tempo ed ecco che queste sensazioni di paura e di mistero, pur
uguali a quelle odierne, suscitavano sentimenti molto più intensi.
Quella cupa realtà, oggi quasi sempre scientificamente spiegabile,
era oltremodo difficile da descrivere allora se non immaginandola
abitata dai spiriti malevoli che agivano contro la nostra vita proprio
di notte, proprio col buio. Gli spiriti malevoli ad ogni buon conto esistono e agiscono protetti dal buio della notte e dal dio Cernobog. Chi sono? Quanti sono? Di solito si aggirano intorno all’izbà e sono uomini e donne morti non naturalmente, ma uccisi o affogati o morti al freddo o suicidi e, a causa di questo modo innaturale di essere morti, non sono riusciti ad essere accolti dalla Madre Umida Terra che li rifiuta, non facendoli passare nel mondo sotterraneo. Anche quelli che i pietosi parenti hanno sepolto, con una tomba lontana dai sopki e dai kurgany di famiglia a causa dell’impurità del defunto, vagano inquieti nella notte. Sicuramente confusi con gli spiriti malvagi del paganesimo transilvano dal XV secolo, sono chiamati vampiri (in russo antico upìr’) e si raccomanda a chiunque non voglia fare una brutta fine di non avvicinarsi troppo a loro e ai luoghi dove essi giacciono, perché l’upyr’ si impadronirebbe di un tale incauto uomo curioso e lo metterebbe nella sua tomba al suo posto. Questi esseri hanno bisogno di nutrirsi e cercano aiuto dalle loro antiche famiglie o dai loro discendenti. Tornano così al villaggio con le sembianze di un amico o di un’amica ben conosciuta per riuscire a prendersi il corpo vivo di un uomo normale e portarselo via ovunque essi abitino. I giorni più pericolosi erano proprio quelli
del cosiddetto Semik quando si aggirano numerosi fra le izbe.
Tuttavia in queste notti potevano persino essere interrogati per
predire il futuro, dato che non vivevano più nella dimensione
temporale umana. Guai però a venir fuori e a guardarli in viso! Gli upyri
non sanno essere gentili e ricorrono facilmente alle brutalità o
all’assalto improvviso. E fanno questo non solo con gli uomini, ma
anche con gli animali di casa! Dunque ripetiamo, attenzione! Nella foresta, dove vivono, hanno invece tantissimi alleati e d’inverno si pongono a capo di branchi di lupi affamati o si travestono essi stessi da lupi cercando di assaltare le izbe. Essendo ormai in parte disfatti, non sanno mangiare con la bocca e devono succhiare il sangue ai vivi: Sono diventati cioè dei lupi mannari! Aborriscono il sole e perciò di giorno si nascondo nel folto e diventano invisibili, ma appena cala la notte e il cielo è dominato dal plenilunio, eccoli là ad ululare come lupe in calore. Che fare per difendersi da loro? Si suggerivano vari metodi. Prima di tutto bisognava trovare le loro tombe perché, se c’erano, il vampiro poteva essere neutralizzato meglio qui. In questo caso bastava porre sul cadavere o sulla copertura tombale un grosso pentolone di coccio con tanti carboni ardenti e lasciare il tutto a bruciare fuggendosene via. Il vampiro sarebbe scomparso per sempre. Probabilmente i kurgany o i sopki erano saccheggiati e maledetti dalla gente proprio a questo scopo nei giorni di Màsleniza e, addirittura, siccome in queste tombe erano sepolti dei nobili morti in guerra, nell’intreccio mitologico slavo questi stessi trapassati erano visti come i veri ed eterni vampiri originari che, anche da morti, riuscivano a tormentare gli smierdy nei villaggi continuando a comportarsi da… lupi famelici come quando, ancora in vita, venivano a prendersi i frutti del loro duro lavoro, sotto forma di tributo!
Quando giunse il cristianesimo il pop
locale al Semik veniva chiamato a celebrare una liturgia
apposita per le anime senza tomba stabile su una fossa comune vuota,
sempre scavata lontanissima dal villaggio. Se non si fosse fatto ciò
quegli upyri avrebbero portato siccità, carestia e malattia a
tutti… L’ultima speranza per tener lontane queste
forze impure rimaneva sempre la pianta magica per eccellenza contro le
presenze infauste, ma non l’aglio che ormai è stato
consacrato a quest’uso dal romanzo di Bram Stoker e nelle leggende
intorno al principe valacco Vlad Ţepeş detto il Diavolo (in
rumeno Dracul), bensì la cosiddetta Uva della volpe o Erba
crociata (Paris quadrifolia sp.) chiamata in russo Volc’ja
jàgoda/Волчья
ягода, per fortuna comune anche da noi! L’aglio però quale mezzo per respingere gli
spiriti maligni non è un prodotto della fantasia del sopradetto
romanziere, ma un vecchissimo mezzo contadino europeo per riconoscere
i veleni. Specialmente nelle Terre Russe si tenevano in alto conto
questo bulbo non solo per usarlo come un farmaco per moltissime
malattie, ma posto nella ladànka del proprio marito o dei
propri figli scongiurava automaticamente il malocchio e gli spiriti
delle malattie e soprattutto avvisava della presenza di sostanze non
normali magari propinate da un mago cattivo. Prima di mangiare
qualcosa preparata da uno sconosciuto dunque, controllare il colore di
uno spicchio del proprio aglio dopo averlo mondato e dopo averlo messo
a contatto col cibo sospetto! Se annerisce, non toccare quel cibo per
tutto l’oro del mondo! A volte gli upyri erano assimilati ai navi/нави nel loro aspetto e nelle loro azioni, assolutamente ostili all’uomo vivo, ossia con le anime degli antenati i quali, scacciati dalla vita alla luce del sole, cercavano in certi giorni di ritornare dai loro parenti per vendicarsi di torti ricevuti. Il loro ritorno però avrebbe causato in qualsiasi caso uno scompiglio nell’ordine ormai stabilito dopo la loro morte e perciò andavano respinti nel mondo oscuro con riti propiziatori in modo da non scatenare la loro ira e da immobilizzarli con scongiuri e riti particolari nelle loro tombe, se ne avevano. Nel 1092 questi maledetti navi avevano sconvolto addirittura l’intera città di Polozk. Ecco come ce lo raccontano le Cronache dei Tempi Passati: «A Polozk è successo qualcosa di assolutamente turpe! Di notte per le vie della città si sono sentiti dei sospiri quasi umani, uno scalpitio di cavalli misteriosi. Questo ha gettato la città nelle mani del demonio. Purtroppo nessuno degli abitanti di Polozk ha visto anima viva e quanto succedeva fuori, perché, se qualcuno osava mettere il naso fuori di casa o socchiudere solo la finestra, moriva immediatamente perché il diavolo che era lì fuori lo colpiva a morte non si sa come. Allora i cittadini di Polozk non uscirono più di notte dalle loro case, anche se le armate del demonio di giorno sparivano. Fra strettezze e confusione (quindi) morirono tantissimi uomini e donne a Polozk e nei villaggi vicini. Era stata insomma un’armata intera di demoni che aveva scorrazzato per la città a cavallo, ma invisibile ad occhio umano, che aveva tuttavia lasciato dietro di sé le impronte dei cavalli. Da allora era nato un proverbio qui a Polozk quando scoppiava una pestilenza: si affermava che “succedeva la stessa cosa di quella volta dei morti (viventi) che uccisero i cittadini di Polozk» [traduz. di A. C. Marturano].
I navi si commemoravano nei giorni di Radunizy
di cui abbiamo già parlato ed erano temuti (più che rispettati)
anche perché questi “parenti” si radunavano di solito (insieme al
Bannik) intorno alla puerpera che stava per partorire e
potevano decidere il destino del nuovo nato. D’altronde gli antenati
potevano essere sempre d’aiuto continuando a vivere intorno alle izbe
sotto forma di spiriti e si poteva perciò sempre chiedere loro di
dare una mano nelle vicissitudini della vita! Qui aggiungeremo ancora
che questa convivenza con i propri parenti morti è rimasta una
caratteristica degli Slavi orientali e i Radunizy, raggruppati
dalla Chiesa Russa in alcune feste commemorative, in realtà rimasero
nell’abitudine rituale di ogni giorno in cui si lasciava un posto
vuoto a tavola per i propri defunti. Quando si finiva di mangiare
occorreva ringraziare sempre questi convitati invisibili! In realtà i
navi erano dei morti che la Madre Umida Terra non accoglieva
volentieri poiché avevano condotto una vita non buona e quindi erano
destinati a vagare sulla strada dei vivi per scontare le loro
malefatte! Il lupo tuttavia è un commensale del tutto particolare. è un altro animale totemico (specialmente per i nomadi a sud di Kiev) da rispettare e per lui c’era una speciale finestrella ricavata raso terra nell’izbà attraverso la quale gli si lasciava qualcosa da mangiare quando, durante gli inverni più duri, lo si sentiva ululare in cerca di cibo o annusare intorno alle izbe. Aveva paura del suono delle campane, si diceva, tanto che a Novgorod e dintorni quando c’era il duro inverno si andava in giro scotendo dei campanacci e dicendo scongiuri contro il lupo intorno alle stalle! Né bisogna dimenticare la malattia tipica dei canidi selvaggi: La rabbia! Questa malattia, se presa da un essere umano, dava quel ghigno particolare e terribile prima di portare alla morte! E qui conviene ritornare sull’argomento lupo mannaro come commensale magico dello smierd associato al lupo rabbioso, se possiamo così dire. Nella storia russa il primo lupo mannaro appartiene alla casta nobile rjurikide! è Vseslav Briacislavic’ ossia il nonno di sant’Eufrosina di Polozk, Patrona della Bielorussia! Nato nel 1029 probabilmente da madre ciuda (estone), già dalla nascita si mostrò nella sua natura magica poiché aveva una grossa voglia pelosa sulla testa, talmente deturpante per un principe che fu costretto ad indossare per tutta la vita una berretta che la nascondesse.
Tuttavia il lupo mannaro diventò
popolarissimo come mito e come realtà “patologica” proprio in
pieno secolo. XIII. Una ragione molto importante per questa svolta
culturale fu proprio la deforestazione nell’Europa Occidentale che
privò il lupo del suo ambiente e lo spinse ad aggirarsi
minacciosamente intorno alle stalle e quindi a coinvolgere anche
l’uomo nella propria bestialità. In sé l’animale, a detta di Gherardo
Ortalli che lo ha ben studiato proprio per il periodo medievale, non
è aggressivo verso l’uomo che anzi schiva, specialmente se non è
col branco. Tuttavia, da bestia curiosa e sensibile, osserva sempre
con attenzione la colonizzazione che gli uomini conducono nelle radure
della sua foresta ed è attratto specialmente dai mansueti animali
d’allevamento. Certamente non quelli di mole troppo grossa che il
lupo non assalirebbe, ma quelli più piccoli come le capre o i
maialetti. Basta però che compaia l’uomo che, ritto sulle gambe, si
mostra ancor più grande e più minaccioso perché il lupo scompaia
nel folto. Solo in inverni troppo lunghi si aggira, come abbiamo
visto, fra le izbe alla ricerca di cibo e la donna si preoccupa
persino di venirgli incontro lasciando qualcosa attraverso la finestra
dell’izbà detta giustamente “del lupo”. Nella sua società
la bestia è monogama, affettuosa coi suoi piccoli, rigida
osservatrice delle regole del branco e ubbidiente al capobranco. In
altre parole è molto più simile all’uomo di qualsiasi altro
animale della foresta! E per questo la Chiesa Russa (lo sottolineiamo
perché era tutto il contrario del punto di vista della Chiesa Latina)
ha affidato il controllo dei lupi ad un santo “inventato”, san
Giorgio… Il
lupo ha delle qualità che qualsiasi uomo ardito vorrebbe avere in sé
e in altre parole: corre veloce (addirittura si diceva che avesse le
ali e lo si riconosceva nel dio Simargl e nel suo kumir
fra gli altri del pantheon vladimiriano) e con una resistenza da
maratoneta, è silenzioso e paziente negli agguati, ha un buon odorato
anche se la vista non è così buona, tanto che deve aspettare la luna
piena per aggirarsi con più sicurezza fuori dal bosco. Tutto questo
l’uomo conosce e apprezza da sempre, visto che da millenni ha
adottato il lupo come suo miglior amico addomesticandolo e
trasformandolo in un ubbidiente cane! E se noi oggi sognamo astronavi
per muoverci velocemente su grandi spazi o armi mai viste per
conquistare paesi lontanissimi, nel Medioevo si sognava di diventare
dei lupi per intraprendere grandi imprese, ma come si fa a
trasformarsi in un lupo? A detta dei racconti popolari il lupo mannaro è una specie di malattia indotta da un incantesimo malvagio! In ragione di ciò, e l’abbiamo visto nell’esaltazione di Vseslav Brjacislavic’ Ciarodei, in certi frangenti il mago o lo stregone riesce con i propri poteri a trasformarsi in lupo per utilizzare le qualità di questa bestia (sortilegi) e agire contro i suoi avversari! Il mago può anche agire da “capobranco” e così trasformare lo smierd in una bestia al suo servizio e mandarlo in missione per suo ordine e conto (avevamo già prima accennato ai ritornanti!). Ecco che si parla di uomo-lupo ossia in russo volkodlak/волкодлак o, secondo la lettura del grande poeta russo A. Pusc’kin, vurdalak/вурдалак! L'uomo-lupo (volkodlak/волкодлак) (dal sito tmn.fio.ru) Secondo noi, vista anche l’etimologia della
parola che è analoga a berserkr salvo che invece di Pelle
d’orso qui il significato è Pelle di Lupo, il lupo
mannaro è quanto rimane dello spavento nell’immaginario
collettivo per la crudeltà delle razzie variaghe nei villaggi dove
improvvisamente torme di uomini vestiti di pelli di lupo invadevano il
villaggio in nome d’un dio maligno sgozzando gli uomini per
impadronirsi delle pellicce preziose da commerciare e catturando le
donne e i bambini per venderli in schiavitù! Altro che malattia o
sortilegio! Era un rito sanguinoso… a vantaggio delle avide bande
variaghe! Secondo la mitologia popolare i maghi potenti mandano il loro sortilegio col vento e questo vento maligno può colpire lo smierd ignaro. Il malcapitato, quando è il tempo poi, si sente male mentre si vede crescere il pelo ovunque sul corpo e a volte non riesce a stare in piedi sulle gambe! Insomma lentamente si va trasformando in lupo, ma prima che divenga tale è già fuggito dalla sua izbà per compiere ciò che il potere magico lontano gli ha ordinato attraverso meccanismi telepatici. Ci sono addirittura maghi i quali, si racconta, riuscivano a trasformare un’intera allegra compagnia riunitasi per festeggiare in un branco di lupi i quali poi razziavano selvaggiamente a comando la regione intorno. Anzi, secondo altre ricerche, lo stregone in una festa di matrimonio può essere proprio l’amico dello sposo che fa da maestro di cerimonia, il cosiddetto druzhko, invidioso del fatto che costui abbia sposato la donna che invece toccava a lui. Per questo si trasforma in volkodlak, rapisce la sposa e la porta lontano. è pur sicuro che il volkodlak è “innamorato” della Luna perché tenta sempre di azzannarla e divorarla e talvolta ci riesce, nelle rare eclissi, ma poi deve risputarla perché è un boccone troppo grosso. Come si fa per rientrare nelle sembianze umane? Se per diventare volkodlak occorreva passare attraverso una fila di coltelli piantati in terra con la punta e la lama all’insù, per ritornare in sè bisogna rifare il passaggio, ma all’incontrario! Se poi capita che qualcuno abbia spostato o cambiato l’ordine dei coltelli, il volkadlak rimarrà lupo per sempre benché qualche volta riesca ancora ad usare bene la lingua degli uomini e sarà riconoscibile perché la sua ombra ha conservato i tratti dell’uomo che è in lui. Chi è diventato volkodlak una volta è però segnato a vita ed è destinato a trasformarsi in un morto vagante e cioè in upir’/упирь. Per questo, chiunque sappia di uno smierd che sia stato volkodlak, deve avvisare alla morte i suoi affinché nella tomba gli si sigilli la bocca o gli si ponga sulla lingua una moneta che serva per pagare e liberarsi del sortilegio. Solo così gli è evitato di diventare upir’! Un commensale incomodo, a quanto pare, questo
uomo-lupo, se persino poteva far parte della famiglia e, sebbene, e
questo occorre dirlo, al contrario dei lupi veri il volkadlak
è subito riconoscibile poiché non riesce a mangiare carne cruda e
difficilmente riesce a sbranare un animale nella stalla benché lo si
veda tentare!
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Dal
libro di Aldo C. Marturano: VITA DI SMIERD, Cibo e Magia nel Medioevo Russo
(in collaborazione con William Lamberti, presidente dell'associazione dei
Ristoratori italiani di Mosca, e con la MGU - Università di Mosca - Progetto
SOKOL), in corso di stampa.
©2007 Aldo C. Marturano