UMBERTO
ECo |
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Il bello è brutto e il brutto è bello?
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Cyborg, splatter, i
"disaster movies" ci servono per esorcizzare una bruttezza più profonda che ci assedia e che vorremmo ignorare
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Hegel aveva osservato che solo col cristianesimo erano entrati nelle rappresentazioni artistiche il dolore e la bruttezza, perché
«non si può raffigurare nelle forme della bellezza greca il Cristo flagellato, coronato di
spine, crocifisso, agonizzante». Aveva torto, perché il mondo greco non era solo quello delle Veneri in marmo candido ma anche quello del supplizio di Marsia, delle angosce di Edipo o della passione mortifera di Medea. Ma nella pittura e nella scultura cristiana i volti sfigurati dal dolore, anche senza arrivare al sadismo di Mel Gibson, non mancano. In ogni caso la deformità trionfa, ricordava sempre Hegel (pensando in particolare alla pittura alto tedesca e fiamminga), quando si mostrano i persecutori di Gesù.
Ora qualcuno mi ha fatto osservare che in un celebre
quadro di Bosch sulla passione (conservato a Gand) appaiono, tra altri carnefici orrendi, due che farebbero impazzire d'invidia molti cantanti rock e i loro giovani imitatori: uno con un doppio
piercing al mento e l'altro con il volto tutto trafitto da vari ammenicoli metallici. Salvo che Bosch voleva in tal modo realizzare una sorta di epifania della malvagità (anticipando la persuasione lombrosiana che chi si tatua o altera il proprio corpo sia un delinquente nato), mentre oggi si possono nutrire sentimenti di fastidio di fronte a giovanetti e giovinette con la perlina sulla lingua, ma risulterebbe se non altro statisticamente errato considerarli geneticamente tarati.
Se poi riflettiamo che molti di questi stessi giovani poi vanno in deliquio di fronte alla bellezza 'classica' di George Clooney o di Nicole Kidman, diventa chiaro che essi fanno come i loro genitori: i quali da un lato acquistano automobili e televisori disegnati secondo i canoni rinascimentali della divina proporzione, o affollano gli Uffizi per provare la sindrome di Stendhal, e dall'altro si dilettano di film
splatter dove la materia cerebrale si spappola sui muri, comperano dinosauri e altri mostriciattoli ai figli piccoli, e vanno ad ammirare
l'happening di un artista che si trafigge le mani, si tormenta le membra o si mutila i genitali.
Sia i padri che i figli non stanno rifiutando ogni commercio con il bello, scegliendo solo ciò che nei secoli passati era considerato orribile. Questo accadeva caso mai quando i futuristi, per stupire il borghese, proclamavano
«facciamo coraggiosamente il brutto in
letteratura», e Palazzeschi (ne Il
controdolore del 1913) proponeva, per educare sanamente i bambini alla bruttezza, di donare loro, come giocattoli educativi,
«fantocci gobbi, ciechi, cancrenosi, sciancati, etici, sifilitici, che meccanicamente piangano, gridino, si lamentino, vengano assaliti da epilessia, peste, colera, emorragie, emorroidi, scoli, follia, svengano, rantolino,
muoiano». Semplicemente oggi si gode in certi casi del bello (classico), e si sa riconoscere un bel bambino, un bel paesaggio o una bella statua greca, e in altri casi si trae piacere da quello che ieri era visto come insopportabilmente brutto.
Anzi, talora si elegge il brutto a modello di una nuova bellezza, come accade con la 'filosofia'
cyborg. Se nei primi romanzi di Gibson (William questa volta, e si vede che
«nomina sunt numina») un essere umano in cui vari organi erano stati sostituiti da apparati meccanici o elettronici poteva ancora rappresentare un preoccupato vaticinio, oggi alcune femministe radicali propongono di superare le differenze sessuali attraverso la realizzazione di corpi neutri, post-organici o 'trans-umani', e Donna Haraway lancia come slogan
«preferisco essere cyborg che dea».
Secondo alcuni questo significa che nel mondo post-moderno si è dissolta qualsiasi opposizione tra bello e brutto. Non si tratterebbe neppure di ripetere con le streghe di
Macbeth, «il bello è brutto e il brutto è
bello». I due valori si sarebbero semplicemente amalgamati perdendo i loro caratteri distintivi.
Ma è vero? E se certi comportamenti dei giovani o degli artisti fossero solo fenomeni marginali, celebrati da quelle che sono minoranze rispetto alla popolazione del pianeta? In televisione vediamo bambini che muoiono di fame ridotti a scheletri dalla pancia gonfia, apprendiamo di donne stuprate dagli invasori, sappiamo di corpi umani torturati, e d'altra parte ci tornano continuamente davanti agli occhi le immagini non molto remote di altri scheletri viventi destinati a una camera a gas. Vediamo membra dilaniate appena ieri dall'esplosione di un grattacielo o di un aereo in volo, e viviamo nel terrore che ciò possa accadere domani anche a noi. Ciascuno sente benissimo che queste cose sono brutte, e nessuna coscienza della relatività dei valori estetici ci può convincere a viverle come oggetto di piacere.
Forse allora
cyborg, splatter, La Cosa che viene da un altro
mondo, e i disaster movies sono manifestazioni di superficie, enfatizzate dai mass media, attraverso le quali esorcizziamo una bruttezza ben più profonda che ci assedia, ci atterrisce e vorremmo disperatamente ignorare, facendo finta che tutto sia per finta.
Umberto
Eco (La bustina di Minerva,
"L'Espresso", 15 settembre 2006)
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