GIACOMO
ANNIBALDIS
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Così l'artista volle mettersi in bella vista
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Artifex
bonus: il pittore e il vetraio, lo scultore e l'architetto, il miniaturista e l'orafo, il bronzista e la ricamatrice... Tanti
medaglioni, per raccontare il mondo creativo
del Medioevo. Ma mancano del tutto le figure, pur importanti, dell'Italia meridionale
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Sarà una deformazione mentale, magari un po' provinciale. Ma ogniqualvolta mi capiti di sfogliare un volume sul Medioevo, l'aspettativa è di poter leggere qualche accenno, se non proprio delle pagine, sulla storia e sui personaggi del meridione d'Italia, e della Puglia in particolare. Un'attesa giustificata dal ruolo significativo che il nostro Sud ebbe in quei secoli, almeno ai tempi di Federico II di Svevia. E, invece, spesso il legittimo desiderio è disatteso. Prendete, ad esempio,
Artifex bonus, il recente volume curato da Enrico Castelnuovo per la Laterza e che delinea profili e professionalità per raccontare «Il mondo dell'artista medievale».
Sono venticinque medaglioni di artigiani vissuti dalla caduta dell'Impero romano fino al Quattrocento: alcuni notissimi - come Giotto e Simone Martini, Ghiberti e Giovanni Pisano -, altri sconosciuti - come Gerlachus e Tuotilo, o Mabel la ricamatrice inglese. Tra questi non trova posto nessuno del Mezzogiorno d'Italia. Eppure, non mancarono grandi figure: basterebbe citare tra gli scultori, Acceptus e Nicolaus de Apulia, Anseramo di Trani e Romualdo da Canosa; e tra i bronzisti il pur noto Barisano da Trani e Ruggero da Melfi (ai quali un accenno viene riservato, insieme a Oderisio da Benevento, nel capitolo che riguarda un altro artista del bronzo, il pisano Bonanno. Ma si sa, la Puglia rivendica il primato con ben cinque porte bronzee). Mentre, tra tanti frescanti, pittori, scultori, orafi... non avrebbe sfigurato Pantaleone, l'autore dello strepitoso pavimento mosaicale d'Otranto (1163-65)? Strabismo storico.
Al di là delle scelte, che troverebbero sempre qualche scontento,
Artifex bonus è comunque un libro utile e interessante. Con un metodo «prosopografico» - l'attenzione rivolta ai personaggi piuttosto che agli eventi complessivi - s'intende tracciare le linee di una storia dell'arte durante il Medioevo. Dal Vicino Oriente alla Spagna, dall'Inghilterra alla Russia, dalla Germania alla Francia..., frugando nei monasteri ma anche nelle corti e nelle città. E soprattutto illuminando il percorso del concetto di «artista», sostanzialmente ignoto ai contemporanei medievali, e via via affermatosi attraverso una conquistata consapevolezza del ruolo sociale dell'artigiano, che portò all'acquisizione anche di un agio economico. Sino a sfociare nella rappresentazione di sé nell'interno delle proprie opere: ciò che avviene con il
magister Ursus, lo scultore di età longobarda dell'VIII secolo che schizza un rudimentale autoritratto, o con il vetraio Gerlachus che nel XII secolo si autoraffigura in una vetrata di Arnstein; o con i bronzisti Barisano e Ghiberti che non mancano di «fotografarsi» sulle formelle dei portali.
L'artista conquista un tale spazio di notorietà spesso ai danni del committente, l'unico cui si addica sin dall'inizio il diritto a tramandare il proprio nome sull'opera. Perché, come constatava Boezio (nel VI sec.), «i nomi delle epigrafi poste sugli edifici non designano chi li ha portati a termine con il proprio zelo e il proprio sapere, ma quei potenti che ne hanno comandato e disposto la costruzione». L'«autore» riconosciuto era dunque il committente, cioè l'«auctor» nel senso di colui che contribuisce a far crescere, ad aumentare. Difatti, a volte, non si trattava di un semplice mecenate, ma di un raffinato cultore che partecipava anche all'ideazione e sovrintendeva all'esecuzione dell'opera. Come fu Bernoaldo di Hildesheim, vescovo di età ottoniana (tra X e XI secolo), cui vien dedicato uno dei 25 capitoli.
Volti e stili noti e poco noti sfilano nel medagliere. Ci sono gli orafi come Nicolaus de Verdun (XII-XIII secolo), cui è assegnato il primato in questa tecnica durante il Medioevo, e la cui vita è avvolta da molti enigmi, a dispetto dello splendore di ori e smalti che caratterizza i suoi pregevoli manufatti. O Teofilo (Ruggero), che fu sì un noto orefice del XII secolo, ma anche autore del trattato
De diversis artibus, riguardante la pittura, l'arte vetraria e quella orafa: a quanto pare, fu lui il primo ad applicare la parabola evangelica dei talenti al campo dell'arte e della genialità. Di Tuotilo, invece, sappiamo che fu monaco del celebre monastero di San Gallo (IX sec.) e mostrò il suo ingegno multiforme scolpendo avori, forgiando croci con oro e pietre preziose, dipingendo pitture, perdute. Un certo rilievo è dato all'arte libraria, e in particolar modo alla miniatura: da Eadfrith vescovo dell'isola inglese di Lindinsfarre (VIII sec.), che ci ha lasciato manoscritti miniati; ai monaci dello «scriptorium» di Tavara in Spagna, Florentius ed Emeterius, che si intravedono intenti a copiare codici nella Torre labirintica, e che vollero tessere le lodi del loro duro lavoro nel colophon, le righe finali, di un manoscritto. Senza tralasciare il maestro Honoré di Amiens i cui alti onorari sono ben documentati (fu un vero manager) e «di cui possiamo seguire con chiarezza la biografia oltre che lo sviluppo stilistico»: visse a Parigi nel XIII secolo.
Ovviamente nella galleria di artisti non potevano mancare gli scultori: dal
magister Ursus, che sulle lastre a rilievo (a Ferentillo e Terni) mostra un'espressività alquanto primitiva e tuttavia orgogliosa. E se Wiligelmo di Modena e Giovanni Pisano sono figure note attraverso i manuali d'arte, meno noti al lettore appariranno il geniale Mateo che scolpì il meraviglioso Portico della Gloria a Santiago di Compostela (secondo la leggenda anche lui vi si volle rappresentare in ginocchio davanti ai profeti); come anche i boemi Parler (XIV sec.) e il borgognone Claus Sluter; nonché gli «Embriachi», intagliatori di avorio con atelier a Venezia. E poi la pittura, il ricamo, l'architettura, l'arte marmorara dei pavimenti...
Spesso, ognuno di questi protagonisti si tira dietro tutta una produzione viciniore, precedente, contemporanea e successiva, completando il quadro delle varie arti e arricchendo l'anagrafe degli
artifices con nomi onorati fuggevolmente dalle cronache. Grazie alle loro opere, una grande enciclopedia visiva di storie bibliche e di vite edificanti di santi si proiettava davanti agli occhi del popolo medievale. Perché, come incitava papa Gregorio Magno (inizi VII sec.) le immagini pittoriche e scultoree sono per gli analfabeti che le guardano «ciò che è la scrittura per coloro che sanno leggere», una dilettevole e più immediata «lezione per le genti».
Giacomo
Annibaldis
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