GIACOMO
ANNIBALDIS |
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I Normanni tornano a conquistarci
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La XVI edizione del convegno biennale, organizzato dal Centro di Studi normanno-svevi dell'Università di Bari, dedicato all'approfondimento di un periodo storico tanto caro alla nostra Regione
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Fu forse il leggendario Melo di Bari il primo ad avere l'idea di arruolare un gruppo di cavalieri normanni, eccellenti mercenari. Il nobile ribelle barese, che vestiva alla bizantina ma che contro Bisanzio aveva giurato guerra continua, li incontrò sul Gargano nel 1016, presso il santuario di san Michele, l'arcangelo guerriero tanto caro soprattutto ai Longobardi. I biondi cavalieri del Nord, che le cronache dell'epoca definivano «Franci», avevano fatto tappa sul santo Monte, di ritorno dal pellegrinaggio in Terrasanta. A costoro Melo confidò la sua storia di esilii e di conflitti; a costoro propose di combattere per la sua causa, promettendo lauti guadagni e adeguati bottini, una volta conquistata la città di Bari e una volta strappata la Puglia al dominio di Bisanzio.
Le cronache raccontano che i cavalieri si impegnarono ad aiutarlo, dopo aver raccolto in Normandia un adeguato drappello di compagni d'avventura. Pochi anni dopo i Normanni sono di nuovo nel Sud Italia. Da qui incomincia la loro irresistibile ascesa, che li porterà nel giro di un secolo, dal 1030 al 1130, a costituire il primo vero
Stato italiano e il più duraturo (circa sette secoli), il Regno di Sicilia.
Ma chi sono questi conquistatori, dalla cui etnìa scaturirà infine Federico II di Svevia, figlio di Costanza d'Altavilla? Chi sono questi Rainulfo Drengot, Guglielmo Bracciodiferro, Roberto il Guiscardo, Tancredi e gli Altavilla che, provenienti dall'attuale Normandia giunsero nel Mezzogiorno d'Italia e vi si stanziarono costituendo una sintesi vincente tra i popoli qui esistenti, greci e musulmani, longobardi ed ebrei...? A queste domande risponde da circa quarant'anni un istituto dell'Università di Bari, il Centro di Studi normanno-svevi. Una lunga esistenza fatta di ricerche e di incontri, di appuntamenti biennali (le «giornate normanno-sveve») e di relativi volumi editi, e giunti ormai alla XVI edizione, che si svolgono da oggi all'8 ottobre a Bari.
Insomma uno dei centri di eccellenza operante nella cultura italiana, che ha assemblato in questi decenni un consistente patrimonio di indagine storica, restato finora perloppiù sotterraneo, inattingibile, a disposizione solo di studiosi e specialisti. «Uno scrigno dorato», che invece andrebbe finalmente aperto a tutti, «riversato» nel territorio, propugnato nelle scuole. È questo l'intento di «apertura» che si è prefisso il Centro e presentato alla vigilia del convegno dai medievisti Raffaele Licinio e Cosimo D. Fonseca, presidente e vicepresidente dell'istituzione.
Il Centro di studi normanno-svevi - ha sottolineato Fonseca - è una istituzione unica nel suo genere, in Italia. È vero che a Lagopesole (Potenza) è stato costituito un centro per gli Studi federiciani, e che similari istituti sono sorti in Normandia e a Goettingen in Germania: e tuttavia essi indagano soprattutto l'età sveva. Non stupisce il radicato interesse della Puglia per i Normanni: qui sorsero i loro castelli, ben trentanove se ne contano tra le
domus per i sollazzi dei signori e i manieri veri e propri; qui molti centri abitativi rivendicano la loro nascita e identità proprio nei Normanni.
Eppure, i pugliesi poco continuano a sapere su questi cavalieri, tanto odiati e tanto amati. Per ovviare a questa «separatezza» tra studiosi e cittadini, il Centro ha deciso allora di promuovere azioni adeguate, di accordi con le amministrazioni territoriali. In questa prospettiva il
Comune di Bari, che è socio fondatore del Centro dalla sua nascita, e tuttavia perpetuamente poco interessato, si riaffaccia e si riappropria dell'attività del Centro, da «sfruttare» - come si è espresso l'assessore Nicola Laforgia - per rendere la città e il suo territorio più «attrattivi». Ma soprattutto l'incontro più proficuo sarà con le istituzioni scolastiche. È ciò che prevede Raffaele Licinio per il prossimo futuro: l'ipotesi è di giungere il prossimo anno a un convegno internazionale sull'insegnamento della Storia medievale, e a un'analisi del ruolo giocato a quell'epoca dal Mezzogiorno d'Italia. Ruolo immenso e determinante, eppure quasi del tutto eluso nella manualistica scolastica. Negli intenti del Centro - sostiene Licinio - c'è anche un accordo con il Cidi, il coordinamento di insegnati democratici.
Tutto ciò per scongiurare che, nel vuoto informativo determinatosi tra gli studiosi e il pubblico, non continui a imperversare quella turba di invasati medievisti, che negli ultimi quindici anni hanno offerto ai lettori una visione «neo-templare» del Medioevo, intriso di misteri e santi graal, di segreti esoterici e liturgie arcane. In gran parte frottole, ma di evidente gradimento. «Quanto è difficile per uno specialista correggere questa deriva», si rammarica Licinio.
Insomma questi Normanni, spregiudicati e astuti, tornano a farci visita, a rivendicare nella nostra memoria meridionale un posto significativo. E lo fanno ammiccando all'attualità, a quel conflitto di religioni e di civiltà, che loro seppero ben risolvere, raggruppando sotto le loro energiche bandiere l'islam di Sicilia, la cristianità romana e quella scismatica bizantina, gli ardori longobardi con le raffinatezze costantinopolitane. Bandiere non certo tolleranti (il concetto di tolleranza è ben lungi dall'affermarsi), ma sicuramente capaci di rivalutare e amalgamare in una sintesi i diversi apporti culturali. Scenari così lontani, eppure evocativi per noi
moderni.
Giacomo
Annibaldis
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