ALFONSO PALOMBA
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Lungo i sentieri della memoria con
i duchi di Sangro |
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è
in libreria il nuovo volume di Lucia Lopriore
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Fedele
ad un appuntamento divenuto ormai «ciclico»
con gli studiosi e con il suo pubblico di «affezionati»
è ritornata in libreria Lucia Lopriore con un
libro interessante, che può essere considerato
un vero e proprio unicum nel panorama degli
studi condotti sulla "storia locale".
Il libro, infatti, - Aristocratici
napoletani tra Capitanata e Valle d’Itria:
i duchi di
Sangro, Foggia, Edizioni del Rosone, 2007 -
appartiene al filone della ricerca genealogica
ed è caratterizzato da uno straordinario rigore
filologico che ricorda la migliore tradizione
erudita di ascendenza positivistica. «Racconta»
cioè Lucia Lopriore la storia familiare dei
duchi di Sangro, a partire da Rinaldo I, morto
nel 1248 - terminus
a quo la genealogia diventa più sicura
rispetto a quella incerta che ha inizio con
Oderisio (1093) - fino in nostri giorni, ma ha
l’autrice anche il grande merito di saper
superare i rischi del municipalismo
storiografico di vecchio stampo, restituendo del
passato un'immagine a più dimensioni, in una
sorta di spirale, che ad ogni voluta tocca punti
sempre più lontani dal proprio centro, eppure
sempre ad esso tenacemente legati.
Così l'impianto genealogico del libro si arricchisce di
una molteplicità di aspetti, che vanno
dall'architettura dei palazzi abitati nel tempo
dai duchi di Sangro alla pittura, dai risvolti
familiari alle istituzioni e alle problematiche
sociali e politiche del regno di Napoli e dei
Borbone: tutti elementi di grande rilevanza
culturale e storica che confluiscono,
armonicamente nell'ordito dei libro e che
rendono prezioso il saggio di Lucia Lopriore,
che apre in questo modo un nuovo filone di
ricerca. all'interno della linea tracciata nel
dopoguerra da Luigi Dal Pane che invitava i
giovani storici a consultare le fonti ancora
rimaste inesplorate.
Lucia Lopriore ha seguito tale consiglio e per 7 anni ha
consultato, da ricercatrice sofisticata com'è,
archivi privati e statali e documenti di vario
genere, ha sentito direttamente testimoni
privilegiati contemporanei e ha fatto emergere
dattiloscritti rimasti nel cassetto per poter «confezionare»
il suo libro sulla storia familiare dei duchi di
Sangro, che ha il sapore delle «cose
belle» vissute dall’autrice con lo spirito di
un’avventura significativa per unicità
e significato.
Accanto all’«originalità» del libro - che inaugura a
livello di studiosi locali un nuovo filone di
ricerca; accanto alla «scientificità»
dell'opera - caratterizzata da un rigore
metodologico tale da spingere Lucia Lopriore ad
un'incessante verifica critica e che la dice
lunga sull’odissea sofferta a monte di questa
pubblicazione - esiste – last
but non least – un terzo elemento
caratterizzante, quello di un ulteriore donum
per la città di Ortanova, terra di nascita
dell'autrice che oggi vive ed opera a Foggia.
«Ni te plus oculis
meis amarem Ortanova!», sembra dire Lucia Lopriore, che in linea con le opere
precedenti dedicate alta sua città natale (Ortanova
tra 700 e ‘900, Storia urbanistica ed
architettura, Foggia, Bastogi, 1999; Il
camposanto di Ortanova, Genesi e sviluppo,
Foggia, Bastogi, 2000) - continua con queste
pagine ad aggiungere listelli importanti alla
conoscenza delle «patrie cose», nella
consapevolezza che senza la coscienza del
passato non ci si può sentire né contemporanei
né proiettati verso il diveniente e il
possibile.
In questa logica - quella della storia locale come
ricostruzione dell’identità di una comunità
- Lucia Lopriore «racconta», con la puntualità
che deriva solo dalla consultazione dei
documenti originali, i legami intercorsi tra il
duca don Nicola Maria de' Sangro e Orta di
Capitanata, quando l'aristocratico napoletano
acquistò il feudo nel 1795 ed ebbe il diritto
di patronato sulle chiese locali (pp. 43 - 65).
Non è un'operazione di poco peso quella di Lucia
Lopriore, perché non solo «Noi
siamo il nostro passato» com'era scritto
sul frontone della Scuola di Pitagora qualche
millennio fa - ma soprattutto perché, per dirla
con Cesare Pavese (La luna e i falò, Einaudi, Torino 1973), «Un paese ci vuole… »
per far rifiorire la passione e l'amore per la
città in cui viviamo la nostra storia, per far
sì che essa sia sempre più vissuta ed amata e
non solo abitata!
Alfonso
Palomba
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