TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI PORDENONE
in sintesi
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a cura di Marta Tinor
«Il Castello che dà il nome alla località risale alla prima metà del X secolo. Non è un unico edificio, ma un luogo fortificato su uno spiazzo di una collina. Oggi è fortemente degradato; rimangono solo alcuni tratti di cinta, tre torri quadrate ed una rotonda, i resti del mastio e del torrione originario, alcune abitazioni posteriori, la chiesa castellana. Quest'ultima è la chiesa parrocchiale di Santa Maria e Giuliana, fatta costruire dalla famiglia Trevisan (in sostituzione della precedente) nel 1589. La facciata rinascimentale mette in risalto il semplice portale e ai lati due nicchie ove sono collocate le statue di San Pietro e San Paolo, opera dello scultore Agostino Rubini. L'interno ad una sola navata ha il presbiterio sopraelevato per dare spazio ad una piccola cripta dove si trova un "Vesperbild" (Madonna seduta con il Cristo morto sulle ginocchia) di cui si hanno pochi altri esemplari in Diocesi. L'altare maggiore degli inizi del secolo XIX è fiancheggiato da due statue barocche dell'Annunciazione, le pareti del coro presentano due dipinti: in uno è raffigurata Santa Giuliana, nell'altro la Madonna, il Bambino e gli Angeli. Sull'altare di sinistra spicca la bella pala del '500 con San Nicolò e i Santi di anonimo pittore veneto, su quello a destra in una nicchia è collocata la statua policroma della Madonna con il bambino. Diversi gli arredi di interesse: l'elegante acquasantiera dell'inizio '600, opera di Alessandro Pavanello, il fonte battesimale del tardo '500, il lavabo della sacrestia e diversi armadi intagliati di stile secentesco. Sono di S. Nicolò, un dipinto della scuola veneta del '700 raffigurante la Decollazione di S. Eurosia ad alcuni preziosi oggetti di argenteria ed oreficeria. Nel cimitero del Castello si trova la primitiva chiesa dedicata a Santa Giuliana, che risale al 1329. Detiene grande importanza artistica per le opere che conserva, tra le quali sono da ricordare particolarmente le serie di affreschi attribuiti a scuole diverse, ma con sicuri influssi bizantini e post giotteschi che decorano le navate e l'arco trionfale. Esse sono senz'altro tra le opere di maggior rilievo presenti nella regione. A Castello è necessario ricordare un altro monumento sacro: la Chiesa di San Gregorio, semplice costruzione quattrocentesca sul modello di altri edifici votivi presenti in Friuli, arricchita all'interno da una serie di affreschi del primo rinascimento raffigurante la Passione, attribuiti al pittore Gianfrancesco da Tolmezzo che ha saputo caratterizzare significativamente ambienti e personaggi. Tra gli altri edifici di pregio, si può ricordare Villa Policreti, il cui nucleo più antico risale al 1500; nell'Ottocento fu arricchita nella parte posteriore con un colonnato dorico e venne creato il grande parco uno dei più belli del Friuli, oggi sede del Golf Club».
http://www.prolocoaviano.it/corpo_storia_arte.htm
Castelnovo del Friuli (castello)
«Il territorio di Castelnovo era abitato almeno mille anni prima di Cristo, come testimoniano reperti archeologici ritrovati in questi ultimi anni. Parlando di reperti che testimoniano l'attività dell'uomo in queste zone è interessante il ritrovamento di alcuni cocci ceramici decorati, risalenti al XV-XVII secolo, ritrovati in loc. Cruz (di Castelnovo) ove era ubicata una fornace. I cocci sono stati restaurati ed esposti in mostra permanente dal nome "Scodelle", presso "Villa Sulis" sita in località Costa, 17 di Castelnovo del Friuli. L'etimologia del toponimo Castelnovo "Castrum Novum" è legata alla storia del Castello eretto nell'anno 920, allo scopo di difesa contro le sempre più minacciose invasioni degli Ungari. Fu detto "novum" perché posteriore di molti secoli ad altri antichissimi castelli del Friuli. Questo castello appartenne inizialmente ai signori di Castelnovo; passò poi nelle mani di molte famiglie nobili, fino a quando la Repubblica di Venezia, che l'ottenne a spese del Patriarca d'Aquileia, lo concesse ad Antonio e poi a Gerolamo Savorgnan. va detto che, particolarmente scellerato fu l'esercizio del potere da parte di questi ultimi, che regnarono per quasi tre secoli, e sottoposero il popolo ad ogni sorta di angherie ed ingiustizie. I dati riferiti alla popolazione, tratti da un documento ufficiale datato 6 settembre 1784, parlano di 1.600 abitanti nelle allora sei contrade di Castelnovo (Oltrerugo, Mondel, Riviera, Vidunza, Celante e Paludea) di cui 500 condannati ad emigrare e 659 costretti a questuare in condizioni di estrema povertà. La famiglia dei Savorgnan si estinse nel 1856. Questo evento segnò l'inizio di una vita più libera per le popolazioni locali che per la prima volta nella storia si trovarono a vivere senza un dominatore. Estinta la famiglia, anche per il castello iniziò un inesorabile decadimento fino a quando si ridusse in rovina. Con l'andare del tempo il castello perse la sua importanza - anche militare - e andò in rovina, tanto che, nel 1881, fu utilizzato come "cava di pietra" per l'ampliamento della vicina chiesa di San Nicolò. Va ricordato, particolarmente nefasto, l'anno 1348, nel corso del quale prima un terremoto (avvenuto il 25 gennaio e considerato il più intenso e distruttivo di tutti i tempi) e poi la peste, fecero danni immani e vittime non quantificabili. Del castello oggi è visibile la torre, adibita a campanile, assieme ad alcuni resti dell'antica costruzione. Si tratta di un luogo simbolico per il paese, testimonianza di antichi scenari, e di suggestive atmosfere. Importante dal punto di vista storico è anche Colle Monaco (Loc. Celante). Su questo colle, che domina la vallata del torrente Cosa, si trovava una chiesetta cinquecentesca rasa al suolo dal terremoto del 1976 ed ora ricostruita. Di questa chiesa si conservano una statua di pietra del santo titolare (datata 1514) firmata dal Pilacorte e due altari lignei della scuola tolmezzina, ora custoditi nella chiesa parrocchiale di San Carlo a Paludea. La presenza di resti di fortificazioni fa supporre che in epoca tardo-antica Colle Monaco fosse un luogo di vedetta e di controllo della Val Cosa. In seguito vi si stabilì un monaco eremita; questo spiega, forse, l'origine del nome».
http://www.provalcosa.it/it/territorio.html
Cavasso Nuovo (palazzo Polcenigo o Palazat)
«Il “Palazat” è un castello-palazzo situato in piazza Plebiscito e fu costruito tra il 1562 e il 1594 dai conti Fantussio ed Antonio Polcenigo-Fanna, che proseguirono il casato dei Polcenigo nel 1222. è una costruzione insolita per la nostra zona perché molto grande e scenografica. Ai lati della facciata si alzano due torrioni rotondi con poche e piccole finestre. Il palazzo è caratterizzato da una lunga facciata che termina ai lati con due torri a pianta circolare. Esse gli conferiscono l’aspetto di una fortezza, ma al di là dell’apparenza, ha avuto al suo sorgere funzione di residenza. Ha finestre e portali delimitati da bugnato e il portone d’ingresso è sovrastato dal blasone della famiglia. Al piano terreno si trova una sala di rappresentanza con affreschi raffiguranti per lo più divinità mitologiche dipinti di scuola veneta del XVIII e XIX secolo. A fianco e un po’ arretrato rispetto al Palazat sorge Palazzo Ardit, costruito nel XV secolo dai Polcenigo ed ampliato all’inizio del Settecento. Vi si accede attraverso una torretta con un grande portale un tempo sormontato da un orologio con campana che batteva le ore. Il palazzo annovera la Cappella Gentilizia ed una quarantina di vani, una parte dei quali affrescati e decorati con stucchi. Fu saccheggiato negli anni della prima guerra mondiale, furono rubati quadri, mobili, oggetti di valore, e l’intero patrimonio della documentazione della nobile famiglia. Dal terremoto del 1976 è inagibile. Il Palazat ospita, oltre alla sede municipale di Cavasso Nuovo, la sezione Lavoro ed Emigrazione del Museo Provinciale della Vita Contadina "Diogene Penzi". Lo stesso palazzo, tra gli anni '20 e gli anni '50 del secolo scorso, è stato anche sede di un'importante Scuola di Disegno Professionale. Nello stesso periodo sono sorte anche nei paesi limitrofi altre scuola professionali simili. In un territorio caratterizzato, a quei tempi, da una forte emigrazione, queste scuola hanno rappresentato per centinaia di giovani della Pedemontana Pordenonese l'unica possibilità per acquisire una buona base professionale, utilissima al momento di affrontare la via dell'emigrazione. La Cellula Ecomuseale "Scuole Professionali ed Emigrazione" vuole essere un punto di raccolta di tutte queste esperienze ed affiancandosi alla sezione museale "Lavoro ed Emigrazione" diventare un punto di riferimento regionale per quanto riguarda il tema emigrazione».
http://www.scuolacavasso.it/palazat.htm
a cura di Marta Tinor
«Palazzo Freschi-Piccolomini. Dentro la cerchia murata, a fianco dell’antico castello (e utilizzandone alcuni edifici di pertinenza), tra il 1669 e il 1704 i nobili Attimis fecero costruire un elegante palazzo; era il momento in cui rafforzavano la presenza in Cordovado, essendosi imparentati con i Ridolfi, già capitani del luogo per conto dei vescovi. Il palazzo è a tre piani, la facciata è caratterizzata da un ampio portone d'ingresso, sovrastato da una trifora che illumina il salone principale. Si accede al portone attraverso una scalinata che corrisponde a un ponte levatoio dello scomparso fossato del castello. Per successione ereditaria l'edificio passò ai Freschi e poi ai Piccolomini, attuali proprietari. Assieme alle adiacenze, il palazzo è immerso nel verde di un parco che si apre sulla campagna. Palazzo Beccaris Nonis. Al centro del borgo che dal tardo medioevo si espanse a Settentrione del castello, lungo la strada principale, si nota fra tutti l’imponente mole cinquecentesca del Palazzo designato dal nome delle due famiglie che lo vollero, Beccaris, e che poi lo abitarono, Nonis. Solidi nuclei della borghesia locale, impegnata nel notariato, nel sacerdozio, nell’amministrazione, nella proprietà ancora nel XVI secolo, i Beccaris e i Nonis contribuirono non poco alla storia civile e culturale di Cordovado. L’edificio, compatto e massiccio ma non privo di linearità e armonia, si alza su un porticato a tre aperture. Palazzo Agricola e Palazzo Bozza. Dirimpetto al castello, nel medioevo sorse una fila di edifici, adibiti ad abitazioni del personale e a sedi di servizio (capitano e gastaldo). Dal loro sviluppo tardomedievale e moderno, furono enucleate due residenze signorili, conosciute con il nome di Palazzo Bozza-Marrubini, a ridosso della Porta dell’Orologio, e Palazzo Agricola (più a Sud). L’aspetto delle due case è rinascimentale, con ampie arcate che contraddistinguono l’accesso al pian terreno e file di aperture, tra cui ampie trifore. Il retro dà su parchi e giardini. Palazzo Bozza-Marrubini è internamente affrescato con cicli di Gio. Francesco Zamolo (1704-1712), importanti non tanto per le scene mitologiche, quanto per le raffigurazioni dello scenario urbanistico di castello e altri edifici d’allora entro la cerchia murata. Palazzo Cecchini, Palazzo Mainardi e Palazzo Marzin. Il complesso conventuale dei Domenicani, edificato a partire dai primi decenni del Settecento, utilizzando anche alcune preesistenze, pervenne nel XIX secolo in mani private, acquistato a lotti da famiglie che ne hanno perpetuato il nome: Palazzo Cecchini, Palazzo Mainardi, Palazzo Marzin. Le maggiori trasformazioni riguardarono Palazzo Cecchini, rifatto nella facciata in forme di gusto medievaleggiante, mentre le rimanenti parti conservarono il porticato che corre lungo tutta la fronte; gli interni e gli spazi retrostanti subirono modifiche solo parziali. Di notevole interesse sono gli affreschi ottocenteschi che ornano gli interni delle diverse sezioni, con episodi che spaziano da scene allegoriche e patriottiche, a grottesche e paesaggi dal sapore pompeiano o neogotico».
http://www.comune.cordovado.pn.it/Ville-e-Palazzi-Storici.20276.0.html
«Il Castello di Cosa si trova nella località omonima del comune di San Giorgio della Richinvelda, in provincia di Pordenone. Con lo stesso nome scorre nei pressi il torrente che proviene da Travesio. Qui pare che già nel IX secolo ci fosse un fortilizio con scopi difensivi sul Tagliamento, probabilmente in seguito alle numerose invasioni ungare. Un Wolftrigel signore di Cosa viene citato nell’opera di August von Jaksch Monumenta historica ducatus Carinthiae, e risulta un feudatario al seguito del Patriarca. Sappiamo anche che un documento del 1164 cita "Ulfcherus et Olvradus de Cosa". Sarà questa famiglia che probabilmente acquisirà anche il predicato di Spilimbergo. Nel XVII secolo, proprio i conti di Spilimbergo trasformano il Castello in residenza, come succedeva un po’ in tutto il Friuli, venendo meno le esigenze strettamente militari. Mantiene però la forma rettangolare con quattro torri angolari. Vengono aggiunti un timpano nella facciata ed una scalinata. La proprietà in seguito passò ai conti d’Attimis-Maniago. Durante la prima guerra mondiale fu sede di una guarnigione militare e risultò pesantemente danneggiata dalle vicende belliche, specie dopo la rotta di Caporetto, quando fu bombardata e quindi incendiata. Nel 1921 il castello di Cosa viene ricostruito, marcando ulteriormente il passaggio dalla forma ingentilita di castello residenziale a vera e propria villa palladiana. La proprietà, mantenuta fino agli anni Sessanta del Novecento dai d’Attimis Maniago, passò a varie famiglie fino al 1974 quando fu acquistata da Gian Franco Furlan. Questi nel 1978 pose qui la sede delle cantine Castelcosa. Alla villa si giunge dopo un lungo viale sul quale si affaccia l’edificio dalle forme neoclassiche, con la facciata racchiusa dalle torri angolari e sormontata da un timpano e con la parte centrale ripartita da sei lesene. Il piano nobile è formato da quattro ampi saloni con affreschi e soffitto retto da possenti travi. Presso la villa si trova un bel parco con alberi secolari, circondato da un muro seicentesco. Le stalle sono state in seguito ristrutturate e trasformate ad uso di foresteria o bed & breakfast. Oggi, oltre a sede delle cantine, ospita un ristorante e la villa-castello viene utilizzata per ospitare eventi. Si può visitare su appuntamento».
http://www.viaggioinfriuliveneziagiulia.it/wcms/index.php?id=10206,0,0,1,0,0
Domanins (palazzo fortificato)
«Il palazzo fortificato risale probabilmente alla seconda metà del secolo XIV, periodo in cui Walterpertoldo di Spilimbergo attuò la divisione dei beni del proprio casato fra tre suoi nipoti, creando così i nuclei familiari degli Spilimbergo-Trussio, Spilimbergo-Domanins e Spilimbergo-Solimbergo. L'assetto tardo trecentesco di questo palazzo, affrescato internamente da Borsatti e da Canal nel 1803, non è evidente nella lettura dell'attuale struttura, frutto dei rifacimenti tardo settecenteschi. L'edificio, che sorge in un antico villaggio nelle vicinanze di San Giorgio della Richinvelda, presenta alcune peculiarità architettoniche tipiche di una casaforte. Esso è infatti caratterizzato da muri molto spessi ed è definito da due torri angolari poste nel fronte volto a mezzogiorno, austero con il suo portale molto semplice e inadorno e la sequenza di altrettanto semplici finestre nei tre piani dell'edificio. Lo studioso Ferruccio Carreri lo definì un "maniero" e "palazzo fortificato", ricordando che era prassi comune munire gli edifici dei casati importanti in rapporto ad effettive necessità di difesa».
http://www.consorziocastelli.it/icastelli/pordenone/domanins
a cura di Luca Baradello
«Porta d'accesso alla Val Meduna o Tramontina in una zona strategicamente importante – sul colle San Martino, venne edificato nel 1136 per volere del vescovo di Concordia e fu assegnato in feudo alla famiglia omonima. Dal 1192 il castello fu assegnato ad un “gastaldo” del vescovo, successivamente il luogo divenne feudo del Patriarca di Aquileia. Nel 1318 ci fu una violenta lotta, scaturita per problemi di preminenza, tra la famiglia di Meduno ed i signori di Maniago. A pace fatta tra questi contendenti, nel 1363 il castello fu assalito e danneggiato dagli armigeri dei signori di Spilimbergo, Strassoldo, Prata, Polcenigo e Urusbergo, alleati al duca Rodolfo d'Austria contro il patriarca Lodovico della Torre. Nel 1385 fu cinto d'assedio dalle truppe di Francesco da Carrara. In numerose occasioni i signori di questo castello furono alleati alla città di Cividale nelle controversie che dividevano il Friuli patriarcale. Passato ai Valentinis agli inizi del '400, in seguito ad alleanze e compravendite venne restituito al vescovo di Concordia e, di conseguenza, ai signori di Meduno. Danneggiato dal terremoto del 1776, venne in seguito abbandonato e con ogni probabilità le sue belle pietre squadrate servirono per costruire altre strutture murarie nel paese sottostante. I resti del maniero sono posti su un crinale a quota 369.6 sopra il centro abitato. Dal punto di vista planimetrico, la cinta muraria, con andamento curvilineo, descrive una singolare forma allungata, con asse maggiore in direzione sud-ovest/nord-est (dim. 70 x 15 m ca.). La muraglia lungo il lato nord-ovest è alquanto spessa e si sviluppa per una discreta altezza, mentre a sud-est appare di spessore inferiore ed è preceduta da terrazzamenti a loro volta delimitati da muri. Le indagini archeologiche realizzate, su concessione ministeriale, nel 2009 hanno individuato 5 fasi di vita del castello che datano dalla prima metà del XII secolo, quando il rilievo venne munito di cinta fortificata, fino al XVI-XVII secolo, quando avvenne il progressivo abbandono del luogo con conseguente graduale spoliazione delle strutture. Parte del settore nord della struttura fortificata dei resti del castello di Meduno, è stata oggetto di un approfondito scavo archeologico e di un conveniente intervento di restauro conservativo, realizzati con fondi regionali (L. R. n° 10 del 2000), volti a promuoverne il recupero e la valorizzazione. Si è provveduto alla pulizia dalla vegetazione e al consolidamento dei tratti murari in precario stato di conservazione. Tramite listello di metallo, posizionato sul margine superiore esterno dell'ultimo corso originale, si è distinta la parte originale di muratura da quella ricostruita; le integrazioni sono state realizzate utilizzando le pietre di risulta disponibili in loco. Il pendio e i piani di terreno esternamente alla cinta sono stati rimodellati per facilitare la visita al pubblico e rendere più sicuro il luogo».
http://castelliere.blogspot.it/2012/06/il-castello-di-mercoledi-6-maggio.html
«All'imbocco della Val Tramontina sorge Meduno, l'antica Methodunum già conosciuta dai Celti per la ricchezza d'acqua e la protezione offerta dalle montagne. Luogo di suggestivo valore artistico è la chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, risalente alla metà del XIX secolo. All'interno una preziosa fonte battesimale del Pilacorte (1485), una pala d'altare di Gianbattista Piazzetta (1744) e l'organo a canne del 1860. Altrettanto interessante è palazzo Colossis: residenza signorile edificata nel XVI secolo, oggetto di successive modifiche e ampliamenti fino al XVIII secolo, ora sede di uffici pubblici e di attività culturali».
http://www.arcometa.org/index.php?id=152
«...Già dal suo apparire, nei documenti storici, il castello di Mizza non si configura, a differenza di Caneva, Aviano e Maniago, come un’abitanza di più famiglie. Solo nel 1222 i di Polcenigo dividono a metà il castello attribuendolo ai due diversi rami famigliari. La stessa localizzazione sembra porre dubbi su una precedente struttura fortificata. ... Personalmente sono portato a collocare le motivazioni strategiche che giustificano l'insediamento di Mizza all’interno del clima di contrasto che, sul finire del XII secolo, vide i di Polcenigo e i trevisani contrapporsi al patriarca e al vescovo di Concordia. Anche per Degani la costruzione del castello va attribuita esclusivamente alla volontà dei giurisdicenti, ma le motivazioni restano non dette. Ci viene facile credere che il castello di Cavasso dovesse controllare la strada che transitava per la forcella dei rii Mizza e allo stesso tempo dovesse controllare a vista i castelli di Meduno, Toppo e Solimbergo, saldamente in mano al vescovo concordiese e ai suoi seguaci. Solo gli scavi archeologici potranno stabilire, attraverso l'analisi stratigrafica, le modalità di consolidamento dell'imprendibile fortezza, ma mi sembra di poter avanzare l'ipotesi che ci troviamo di fronte a una struttura più recente (quindi non il castellare del 1186) rispetto a Peressini e Mieli. La divisione del 1222 tra i due rami della famiglia di Polcenigo ci fornisce molte informazioni sulla consistenza del castello qualche decennio dopo la sua fondazione. Sappiamo, per esempio che c’erano due abitazioni signorili, una domum majorem e di conseguenza una minore.
All’interno del recinto fortificato c’erano diverse altre case (domibus), ma i documenti non chiariscono il loro carattere. Certo è che l’atto di divisione dei beni feudali di Varnerio e di Aldrigo dimostra che già nel secolo precedente si era previsto il consolidamento di Mizza, abbandonando le strutture di Mieli e di Colbirlon, che in questo importante atto non vengono nemmeno citate. In tal senso possiamo credere che i due luoghi forti fannesi fossero considerati come una sorte di patrimonio indivisibile e quindi non soggetti alla divisione stessa, ma funzionali a un obiettivo comune ai due rami della famiglia: lasciare ai villici la possibilità di rinforzare quei rifugi in occasione di guerre o incursioni. Per contro, le altre proprietà che rimanevano comuni ai due rami famigliari, ma funzionali agli stessi, come il brolo e il castagneto di Mizza, compaiono in modo esplicito nella divisione. Il ramo polcenighese più interessato territorialmente a Fanna aveva vantato anche alcuni diritti feudali all’interno dell’abitanza di Maniago. Si trattava certamente di una delle case-torri poste in aderenza al settore del castello riservato al patriarca. Un dipinto cinquecentesco ricorda il carattere di quelle residenze e possiamo immaginare che la torre di Mizza, nella quale fece testamento Tommasina di Polcenigo, non fosse molto diversa70. Torri di difesa e torri d’abitazione facevano parte del patrimonio difensivo di Mizza, patrimonio che fu ulteriormente rafforzato nel 1386, a seguito di alcuni non meglio precisati danni. Già a partire dal XV secolo le funzioni residenziali del castello vennero meno e le residenze signorili subirono una deriva verso il piano. Il castello si trasformò in una sorta di deposito semiabbandonato e cominciò a degradare. Solo all'esterno, l'attività dei contadini garantiva l'originario e ordinato paesaggio al quale non siamo più abituati».
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd...
Montereale Valcellina (resti del castello)
«I resti del "Castrum Montis Regalis" sorgono sulla cima di un colle situato alla destra del Cellina. La posizione strategica permetteva il controllo della valle sottostante, percorsa dalla strada di collegamento dei diversi siti fortificati che sorgevano lungo la pedemontana pordenonese (tra i quali si possono ricordare in particolare quelli di Maniago, Meduno, Toppo e Pinzano). I primi documenti che citano il castello risalgono al 1203 e numerosi altri attestano le sue vicende sino al XV secolo. Nel documento del 1203 il vescovo di Concordia ottiene l'"abitanza" di Montereale e si fa rappresentare da un "miles" che doveva abitare sopra la torre portaia del castello. Nel castello si sono svolte cinque campagne di scavo sistematico tra gli anni 1983-1986 e il 1990. Tali indagini hanno permesso di verificare, dopo una prima frequentazione del sito in epoca protostorica documentata solo da reperti sporadici, una continuità di utilizzo del monte a scopo difensivo a partire dall'epoca tardo antica. In particolare è stato possibile ricostruire una prima occupazione, da datare al IV secolo d.C., e successivamente una fase, detta "delle fucine" perché caratterizzata da numerose tracce di lavorazione del ferro, che con ogni probabilità risale al periodo altomedievale. Le strutture del castello vero e proprio furono costruite intorno al 1200. Il complesso allora si articolava in una grande torre con cortina muraria, in alcuni edifici, forse abitativi, appoggiati alle mura e in una torre portaia che ne costituiva probabilmente l’accesso principale. Gli archeologi hanno poi riconosciuto testimonianze riconducibili all'abbandono degli occupanti ufficiali del castello, e a posteriori fasi relative a insediamenti provvisori, alla frequentazione da parte di pastori, a crolli e a spoliazioni delle strutture. Gli studiosi ritengono che l'abbandono definitivo del sito sia avvenuto in seguito ai devastanti effetti dei terremoti del 1511 e del 1575. ... Tra i reperti più curiosi provenienti dall'area del castello si deve ricordare il più antico esemplare di scacciapensieri trovato in Friuli, databile al XVI-inizi del XVII secolo».
http://siticar.units.it/div/pdf/report/itinerario.faces?id=2
Morsano al Tagliamento (castrum de Mursiano, palazzo Giraldi))
a cura di Marta Tinor
Panigai (palazzo dei conti Panigai-Ovio)
«Il palazzo dei conti Panigai-Ovio [è] situato proprio al centro di Panigai, frazione di Pravisdomini. L’attuale palazzo, il cui primo nucleo è stato costruito nel XVI secolo, è stato trasformato intorno al 1750 su progetto dell’architetto veneziano Piero Checchia, autore tra l’altro del primo teatro La Fenice. Attualmente il complesso si presenta caratterizzato da un corpo centrale di tre piani sovrastato da un timpano, come la maggior parte delle ville venete, e da due ali laterali. L’ala destra è rimasta incompiuta e conserva l’aspetto tardo rinascimentale originario, inoltre all’interno al piano terra si trova una cucina d’epoca con bancone in muratura, veramente molto interessante! Il giardino conserva un tocco di romanticismo, soprattutto il lato posteriore in riva al Sile. All’interno si trovano affreschi del Settecento e tutti gli arredi sono stati mantenuti intatti dalla famiglia, insieme a oggetti e carte appartenute ad alcuni antenati. Proprio questa cura nel conservare oggetti di famiglia rende il palazzo particolarissimo e gli conferisce un’atmosfera molto affascinante. Il palazzo sorge probabilmente sul luogo dove era costruito l’antico castello di Panigai, anche in ragione della posizione strategica a ridosso del fiume. Il castello era stato probabilmente edificato tra XI e XII secolo a difesa dei confini occidentali del Patriarcato di Aquileia, resi insicuri dalle incursioni dei signori della Marca trevigiana. Agli inizi del XVI secolo il castello doveva trovarsi in uno stato di decadenza avanzata, forse per ragioni concomitanti come le invasioni turche e il violento terremoto che colpì il Friuli nel 1511. I Panigai con il tempo acquisirono un territorio ampio, compreso tra Motta di Livenza, Chions e Panigai, come dimostra il consistente archivio familiare conservato all’Archivio di Stato di Udine (che a detta della guida conta ben 300 faldoni)».
http://pordenonestoria.wordpress.com/2013/04/18/il-palazzo-panigai-ovio-di-panigai-di-pravisdomini/
Pasiano di Pordenone (villa Luppis)
«S. Martino Ripae Ruptae, era questo il nome dell’antica struttura conventuale sorta qui, alla confluenza dei fiumi Livenza e Meduna, confine tra Veneto e Friuli, ad opera dei monaci Camaldolesi agli inizi dell'XI secolo. Passata attraverso varie vicissitudini, tra cui un più importante rifacimento verso il 1500 a seguito dei danneggiamenti subiti durante la guerra tra la Repubblica Veneta e gli Asburgo, San Martino venne secolarizzata da Napoleone agli inizi del 1800 ed acquistata dalla famiglia Chiozza-Luppis. Trasformata in un’importante residenza di campagna, divenne un’elegante dimora destinata ad essere un centro di relazione e mondanità al servizio delle attività industriali e diplomatiche dei nostri avi».
Pasiano di Pordenone (villa Saccomani)
«La costruzione sorge al centro di Pasiano. In origine era un castello piuttosto rudimentale, che con il passare dei secoli si è trasformato in palazzo nobiliare. Recentemente restaurata, è la sede municipale. Si presenta con un corpo centrale con sobri prospetti frontali e timpani ingentiliti, dalle triplici aperture al piano superiore. Nel 1700, quando la villa era di proprietà dei Montereale-Màntica, fu ospitato Giacomo Casanova, ancora giovanissimo. La proprietà in seguito passò ai Saccomani, famiglia di mugnai di Treviso, ai quali si deve l’attuale conformazione».
http://www.comune.pasianodipordenone.pn.it/Le-Ville-Venete-a-Pasiano.84.0.html
«Il Castello Ceconi, situato nella foresta Ceconi (1883). Ultima costruzione realizzata da Giacomo Ceconi, famoso per essere stato uno dei più importanti costruttori di ferrovie e strade nell'Impero austro-ungarico. Giacomo Ceconi (1833-1910), di umili origini diventato grande costruttore di ferrovie e creato nobile dall'imperatore Francesco Giuseppe I e conte da re Umberto I, ampliò enormemente la casa natale negli anni 1890-1908 facendole assumere le linee di un castello ghibellino, con statue e affreschi sulla facciata. Dopo il sisma del 1976, l'edificio è stato riattato dall'Azienda Regionale delle Foreste. Facciata principale con le statue di quattro poeti: Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso, statue erette a decorare la facciata del palazzo. Il castello Ceconi, imponente costruzione neo-gotica dallo stile eclettico con venature di liberty e dai riflessi medioevali e rinascimentali, presenta merlature e balconi gotici accanto a finestre rettangolari. I loggiati dalle calde tonalità cromatiche fanno da contrappunto agli affreschi che si snodano lungo le due ali del palazzo e a quelli inseriti nelle lunette dei finestroni gotici. Accanto alle figure del genio italiano, vi è un unico straniero: George Stephenson, l'inventore della locomotiva. Nelle due lunette delle finestre, situate ai lati dell'ingresso principale, si trovano gli affreschi, a sinistra di Stephenson e a destra di Alessandro Volta. La raffigurazione della Madonna con Bambino, sopra il portale principale. Nell'ordine superiore, sopra le tre finestre del primo piano sono raffigurate Irene di Spilimbergo, Vittoria Colonna. Tra le due figure muliebri trova posto nella lunetta centrale Leonardo da Vinci. Uno degli imponenti torrioni merlati reca l'effigie di Alessandro Manzoni. Fra le torri la più alta e sottile era stata così concepita per accogliere una campana che era servita nei cantieri per chiamare a raccolta gli operai. Il piazzale antistante al palazzo si apre imponente fra i boscosi pendii montani. Tale piazzale viene impreziosito da una fontana in cemento, a forma circolare e a due piani concentrici».
http://digilander.libero.it/giasilvano/ceconi/ceconi1.htm
Pinzano al Tagliamento (resti del castello)
a cura di Marta Tinor
«L’artista friulano Armando Pizzinato, avvantaggiato dal suo occhio di pittore, ha riconosciuto in Poffabro l’esempio di architettura spontanea più razionale e fantasiosa delle Prealpi. Per questo stesso motivo, e per molti altri, il pittoresco villaggio di Poffabro è entrato a far parte del Club dei Borghi più Belli d’Italia. Abbarbicato a 525 metri nel cuore della Val Colvera, sui pendii della prealpi carniche, il borgo è frazione del comune di Frisanco, in provincia di Pordenone, ed è uno dei tanti gioielli di cui il Friuli Venezia Giulia va fiero. Forte di una lunga storia, come testimonia la strada romana Julia Concordia che un tempo costituiva un importante accesso alle Alpi, Poffabro è conosciuto soprattutto per la particolarissima architettura rurale, che utilizza i materiali naturali del territorio. Le pietre tagliate a vivo e i balconi di legno danno un’idea semplice e austera allo stesso tempo, comunicando solennità e raccontando le storie di chi ha realizzato quelle case con tenacia e pazienza. Le corti interne agli edifici, cui si accede tramite stretti passaggi ad arco, hanno il sapore di un villaggio segreto, intimo e familiare, e le abitazioni cinquecentesche se ne stanno schierate senza paura, contente di farsi scrutare. Neppure nel 1976, quando un forte terremoto colpì la zona, le costruzioni di arenaria o calcare diedero grandi segni di cedimento, e i ballatoi lignei hanno resistito fino ad oggi. Particolarità di Poffabro è l’assenza di palazzi lussuosi, superbi, riccamente decorati, a cui gli abitanti hanno preferito la genuinità degli archi in sasso, delle scalinate tortuose e dei pilastri. Il borgo, dunque, non vanta chiese sontuose contenenti tesori di valore inestimabile, ma parla di una fede sincera e umile, fatta di chiesette minori e innumerevoli capitelli votivi, sparsi ovunque nel territorio verdeggiante friulano. La costruzione di certi edifici di culto è dovuta ad episodi singolari, forse leggendari, come nel caso dell’oratorio di San Floriano in crociera: il punto esatto in cui fu eretto, nel XV secolo, sarebbe stato indicato da un gregge di pecore».
http://www.ilturista.info/guide.php?cat1=4&cat2=8&cat3=20&cat4=19&lan=ita#.UdmRHvm-2dk
«Il castello di Polcenigo sorge in cima ad una collina che, in posizione strategica, domina tutta la vallata. Una leggenda sostiene che nell'875 Carlo il Calvo assegnò, con incarico militare, questo prezioso posto di avvistamento ad un luogotenente del seguito, il conte di Blois di Francia. Nel 973 il Vescovo di Belluno, a cui era stato ceduto il territorio da Ottone I, riconfermò l'investitura militare conferendo il titolo di Conte di Polcenigo al capitano d'arme Fantuccio, il primo di un lungo e nobile casato. Da allora la fortezza diventò un vero e proprio castello medioevale con cinta merlate, torri e camminamenti; in seguito sorse il borgo, la cui prima menzione storica si trova in un atto del 1200 con il quale i Signori Aldrigo e Guarnerio di Polcenigo concedevano il permesso a chiunque di fabbricare una casa entro le mura del castello. Da allora il borgo si sviluppò sempre di più e si affermò anche economicamente, soprattutto dopo l'avvento della Repubblica di Venezia (1420). Forse distrutto da un incendio, il castello venne ricostruito nel sec. XVIII, nelle forme di una villa veneta, pare su progetto dell'architetto veneziano Matteo Lucchesi. Ora purtroppo dell'antico splendore non restano che le pareti: sono scomparsi l'adiacente cappella di S. Pietro e le dipendenze, il tetto, il salone da ballo e la scalinata di 365 gradini che scendeva fino al borgo, ma la facciata del castello domina ancor oggi la piazza, come un tempo».
http://www.comune.polcenigo.pn.it/it/pagine/index.php?id=118
Porcia (castello dei Conti di Porcia e Brugnera)
a cura di Marta Tinor
«A partire dal XII secolo divenne dimora permanente della nobile famiglia dei Porcia, che governò queste terre per ben otto secoli. I Porcia derivano dai di Prata, il cui capostipite - o almeno il primo ad essere citato in fonti documentate - fu Gabriele, che troviamo nel 1112 e nel 1140 quale avvocato delle chiese di Concordia e Ceneda. Dopo Gabriele troviamo Gueccello di Prata, che nel 1188 ebbe la prima investitura Patriarcale “cum comitatu”. Successivamente la famiglia di Prata, Porcia e Brugnera si divise in due famiglie distinte allorché i due figli di Guecello di Prata, morto dopo il 1203, Gabriele e Federico, nel 1214 si spartirono il patrimonio paterno: a Gabriele rimase il castello di Prata, a Federico quelli di Porcia e Brugnera, castelli dei quali assunse il nome, che ancor oggi viene trasmesso ai suoi discendenti. I di Prata, invece, dopo la distruzione del loro castello da parte dei Veneziani nel 1419, andarono in esilio e si estinsero nel secolo seguente. Il castello di Porcia divenne, così, il centro di importanti vicende politiche e culturali della storia friulana. Qui soggiornarono imperatori quali Carlo V (1532) ed Enrico III d'Asburgo, apprezzandone, come riportano i memoriali dell'epoca, il buon vino, la cucina e l'ospitalità. Nel corso del tempo il Castello ha subito pesanti devastazioni soprattutto ad opera di eventi sismici che ne hanno compromesso l'architettura originaria. Le ricostruzioni successive hanno restituito un complesso eclettico, formato cioè da edifici di stili differenti come un palazzo rinascimentale e un edificio di gusto veneziano, che si sono affiancati a ciò che è rimasto del vecchio Castello, ossia l'imponente torre centrale d'epoca medievale. Tale mastio, mozzato sul finire del XIX secolo, risale con ogni probabilità all'anno Mille, anche se alcuni studiosi lo datano addirittura al periodo romano, e ha alla base muri dello spessore di circa tre metri. Dopo la presa del potere da parte della Serenissima i Porcia ne furono fedeli servitori. E ciò fino all'epoca napoleonica, quando finì il potere feudale, ma i Porcia rimasero saldamente nel loro castello avito. Nel fabbricato attualmente adibito alle cantine si sono conservati anche alcuni resti del Salone degli Stemmi e dei diamanti, distrutto da un incendio nel XVI secolo».
http://castelliere.blogspot.it/2012/09/il-castello-di-venerdi-28-settembre.html
«Una tipica torre portaia che serviva a difendere l'accesso al paese. Oggi appare come una costruzione massiccia, di impianto medievale, con al culmine delle merlature e con due quadranti dell'orologio: uno rivolto all'interno e l'altro all'esterno del borgo. Era probabilmente dotata di un ponte levatoio per superare il fossato difensivo del centro e di portoni di accesso che venivano richiusi durante la notte. In origine la torre era più alta di come oggi la vediamo e doveva essere stata costruita solo su tre lati, il quarto, che dava verso l'interno del borgo era aperto secondo una tipologia tipica delle torri portaie. L'edificio, dissestato dalle scosse di un terremoto, venne abbassato nel 1873 e, in quell'occasione, furono ricostruite anche le merlature, che ricordavano quelle precedenti. In una stanzetta, all'ultimo piano, troviamo il meccanismo dell'orologio che pare essere molto antico. La Torre, essendo chiamata anche Porta di Sopra, aveva una torre sorella detta Porta di Sotto. Purtroppo quest'ultima non ha resistito alle insidie del tempo e venne demolita nell'Ottocento. Anche la Torre dell'Orologio, nell'Ottocento, rischiò la demolizione in quanto considerata pericolante ma fortunatamente prevalse l'idea di restaurarla e di conservarla come ancor oggi la vediamo».
http://www.altolivenza.eu/luoghi-da-visitare/monumenti/52-torre-orologio-porcia
«Costruito su di un'altura ad oriente del primitivo insediamento abitativo, forse sul luogo della più antica "torre con muta" la rocca di Pordenone ha sempre costituito un fatto estraneo alla città. E questa estraneità dai luoghi della città non deriva solo dalla posizione del manufatto, marginale rispetto al sistema insediativo e "orientato" verso il territorio, ma dall'intera vicenda edilizia priva di interrelazione tra edificio e città. Istituito dagli imperatori tedeschi insieme con il porto ed il mercato (sembra sia stato eretto dopo il 1270 da un Ulrico Filippo di Carinzia), ospitò per secoli il "capitano cesareo" asburgico; luogo-forte isolato dalla città medievale e da questa separato da un fossato e dal soprastante ponte levatoio, anche dopo essere ricompreso all'interno dell'area urbana dalla terza cerchia di mura e dalla conseguente urbanizzazione dell'area di Prà di Castello. In seguito, con la Serenissima, il castello fu sede dei Provveditori-Capitani veneziani. Fu cenacolo di letterati nel primo Rinascimento; decadde nel 1600-1700; fu in seguito abbandonato agli usi più strani. Nel 1857 l'Austria ne progettò inutilmente il ripristino, finché nel 1883 l'Italia lo destinò a carcere, totalmente e vergognosamente trasformato ed umiliato, rimane».
http://www.castellipordenone.it/pordenone_storia.htm
«Il simbolo del centro storico di Pordenone è sicuramente l’antica Loggia comunale, realizzata nel XIII secolo completamente in laterizio, sulla parte più alta del promontorio che si affaccia alle acque del fiume Noncello. L’edificio è a pianta trapezoidale e parte del pianoterra è semichiusa da ampi archi ogivali; il primo piano è occupato completamente dalla sala del Consiglio comunale. Ha trovato la sua conformazione definitiva con l’inserimento del corpo centrale sporgente realizzato nella prima metà del Cinquecento, a sancire simbolicamente l’accorpamento del territorio pordenonese alla Repubblica Veneta. Nella parte superiore dell’elemento inserito sulla facciata fu realizzato un grande orologio astronomico-lunare, sulla cui sommità furono posti due cosiddetti mori (in realtà due paggi che reggono lo scudo con lo stemma della città ed i segni del dominio di casa d’Austria) in pietra, battenti le ore (recentemente ristrutturati e sostituiti da due copie. Gli originali sono collocati presso il Museo d'arte). In tempi recenti, nel 1928, l’edificio è stato ampliato dall’architetto Cesare Scoccimarro, che ha sfruttato lo spazio libero dietro il corpo di fabbrica che lo separava dai vecchi edifici verso sud. Qualche decennio dopo, alla fine degli anni Sessanta, a seguito dei risultati di un concorso pubblico nazionale, è stato realizzato l’edificio che ha accorpato molti servizi comunali, su progetto dell’architetto milanese Ignazio Gardella, che ha inoltre previsto il riutilizzo di tutti i vecchi edifici dell’isolato che si affaccia su piazza S. Marco. La nuova struttura di Gardella segue in parte lo stile di questo maestro dell’architettura moderna, già espresso nella famosa Casa alle Zattere di Venezia. Il Palazzo comunale di Gardella presenta però, oltre ai materiali tradizionali storici dell’architettura veneta, come il paramento in cocciopesto rosa e le profilature in pietra bianca d’Istria, degli elementi caratteristici propri. In particolare, la facciata si presenta quasi sospesa, per effetto del notevole sbalzo delle strutture orizzontali verso l’esterno, che hanno alleggerito notevolmente l’aspetto complessivo dell’edificio, facendolo somigliare a un merletto chiuso verso il basso da particolari archetti in pietra ribassati».
http://www.pordenonewithlove.it/it/luoghi-cultura/o/487/Palazzo-del-Comune-Municipio?id_cat=16
«Palazzo Ricchieri è uno degli edifici più antichi della città, ma in origine non era come lo vediamo: era molto più piccolo ed aveva l'aspetto di una casa-torre fortificata, così come venivano costruiti i palazzi medioevali, per essere maggiormente difendibili. L'edificio era stato costruito durante il Duecento nell'antico centro storico di Pordenone, per scopi difensivi, in prossimità dell'ingresso alla città dal porto fluviale sul Noncello. Il nucleo più antico corrisponde alla parte d'angolo del palazzo verso il campanile e la loggia del comune. Proprietaria del palazzo è la famiglia Ricchieri, che riceve il titolo di nobiltà sia dalla Casa d'Austria (1383), cui è sottomessa allora la città di Pordenone, sia dalla Repubblica Veneta (1389). L'importanza politica ed economica della famiglia cresce sempre più, tanto che nel corso del Quattrocento i Ricchieri decidono di ingrandire e rinnovare la propria dimora, adeguandola al nuovo gusto architettonico, per testimoniare la ricchezza ed il potere del casato, che nel 1468 riceve anche il titolo di Conti del Sacro Romano Impero dall'imperatore di passaggio a Pordenone. La piccola casa-torre viene trasformata in un grande palazzo stile veneziano, con la facciata divisa in tre parti: i corpi laterali pieni ed il corpo centrale più arioso, per la presenza delle finestre ravvicinate. Questa suddivisione corrisponde all'interno al grande salone centrale ed alle quattro sale laterali più piccole. Il modello della casa veneziana si ritrova inoltre nell'uso del mattone e degli affreschi, nella forma orientaleggiante delle finestre a gruppi di due (bifore). Purtroppo oggi si può solo intuire come appariva allora il palazzo, perché nel corso del Seicento la facciata fu rinnovata con l'apertura di nuove finestre. Nella trifora (finestra a tre aperture) del primo piano è stata ritrovata una iscrizione con la data 1667 ed il nome di Ferdinando Ricchieri, che fece eseguire i lavori. Oggi, grazie ai restauri, si possono ritrovare le tracce degli interventi, che hanno modificato nei secoli il palazzo, e che raccontano la sua storia. Sulla pubblica via si apre l'ampio ingresso, il portico, in cui si entrava con le carrozze, che portava anche al cortile interno al palazzo, dove si trovavano le stalle, i locali di servizio, i magazzini. Un'ampia scala in pietra conduce ai due piani superiori, dove viveva la famiglia. Ad ogni piano si trova un'ampia sala, con le finestre sulla strada e sul cortile interno, utilizzata come sala d'onore e di rappresentanza in cui ricevere gli ospiti, e le stanze laterali più piccole, usate in modo privato dalla famiglia».
http://www.comune.pordenone.it/it/comune/in-comune/strutture/museoarte/storia
«Attualmente dell'antico sito castellano di Rivarotta è superstite solamente una casa fortificata munita di una torre circolare. Dobbiamo quindi fare uno sforzo d'immaginazione per vedere quello che nell'888 veniva definito come «Curtis de Ripafracta» dall'imperatore Berengario I, nel confermare alcune donazioni al monastero di Sesto. Citato come curtis, probabilmente questo luogo fu "un insieme di costruzioni adibite a magazzini per viveri e abitazioni ubicate attorno a un palazzo signorile". Comunque sia, si testimonia l'esistenza già nel IX secolo di un fortilizio posto a presidio di questa parte di territorio, che doveva avere una certa importanza, se «già Carlo Magno, nel 781, confermando all'Abbazia di Sesto i beni donati dal re longobardo Adelchi fa riferimento alla corte di proprietà regia di Rivarotta. Luogo di pertinenza dei vescovi di Concordia, fu infeudato verso la metà del Duecento ai signori di Prata, che lo tennero attraverso loro gastaldi o capitani».
http://www.consorziocastelli.it/icastelli/pordenone/rivarotta
Sacile (mura e torrioni medievali)
«Originariamente Sacile era difesa da una cinta muraria con cinque torrioni, di questi oggi ne rimangono tre, dei quali il più antico risale al dodicesimo secolo, quando furono erette le mura a difesa della città. Si trova dietro il Duomo di San Nicolò, ai margini della passerella sul Livenza che conduce a Campo Marzio e che apre la vista sul Canale della Pietà e sui palazzi di Piazza del Popolo. Gli altri due, più recenti, sono quelli di San Rocco e del Foro Boario eretti tra il 1470 ed il 1485 a difesa della città minacciata dall'invasione turca. Facevano parte di un grosso sistema difensivo ed erano collegati tra loro da cunicoli sotterranei. L'imponente torrione di San Rocco con resti di mura in Largo Salvadorini, acquisisce una dimensione dal significato importante, vista la presenza del Leone alato di San Marco, residuo visibile e testimonianza diretta della presenza della Repubblica della Serenissima con l'allora doge Giovanni Mocenigo. Il Foro Boario, con il torrione ben conservato e le mura difensive della città, permette invece una buona, seppur ridotta visione d'insieme di come doveva essere il sistema difensivo della città, sorto intorno a vecchio castello patriarcale, successivamente divenuto sede dei primi podestà veneziani. Recenti interventi di riqualificazione dell'area, hanno permesso la creazione di una passeggiata esterna alle mura, lungo il fiume Livenza, che prosegue con una suggestiva passerella che costeggia il torrione fino al parco di Pra' Castelvecchio».
http://www.altolivenza.eu/luoghi-da-visitare/monumenti/85-torrioni-medievali-sacile
Sacile (palazzo Comunale, palazzo Ragazzoni-Sacile)
«Palazzo Comunale. Rappresenta uno degli edifici più caratteristici del centro cittadino che meglio si identifica con la storia della città. L'attuale struttura risale in parte al 1483, opera di Donato da Como che ampliò e sopraelevò una precedente "loggia" del Trecento. Alla stessa data sono riconducibili anche le rifiniture pittoriche realizzate dal pittore bergamasco Antonio Zago delle quali rimangono solo alcuni tratti ed un affresco ("La Sacra Famiglia") posto sotto la volta della loggia a fianco. In età comunale lo spazio della loggia era luogo di riunione dei capi famiglia in occasione del pubblico arengo che si teneva il 23 aprile, giorno di San Giorgio. Il palazzo fu poi sede delle adunanze del Consiglio Nobile di Sacile e archivio storico del Collegio Notarile. A partire dalla seconda metà del Cinquecento, il salone centrale del palazzo ospitò le rappresentazioni teatrali di attori dilettanti locali e compagnie di passaggio. Nel 1785 l'edificio fu trasformato, su disegno del veneziano Bianchi, in un vero e proprio teatro: la facciata esterna fu allungata, i balconi furono sostituiti con finestre a pergolo e fu predisposto un granaio per gli archivi. Quando, agli inizi del Novecento, l'attività teatrale cessò, il palazzo fu ristrutturato e adibito a sede del municipio (1930). Sotto la loggia si trovano i busti dei padri della patria (Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele II). Nella colonna centrale è scolpito lo stemma dell'allora podestà di Venezia. All'esterno, due lapidi recano rispettivamente il Bollettino della Vittoria (1918) ed i caduti sacilesi nelle guerre risorgimentali. Più sopra si conservano due antichi stemmi della città e l'insegna dei Savoia, la colonnina sull'angolo ricorda una delle tante concessioni relative ai mercati.
Palazzo Ragazzoni-Sacile. Elegante palazzo cinquecentesco, che porta il nome delle ultime famiglie che lo abitarono, è forse l'edificio meglio rappresentativo del passato di Sacile. Fu edificato su un precedete fabbricato quattrocentesco intorno agli anni Settanta del Cinquecento. A volerne la riqualificazione fu l'illustre famiglia dei Ragazzoni, armatori e mercanti veneziani stabilitisi a Sacile per rafforzare le proprie proprietà terriere; il palazzo si configurava non soltanto come lussuosa dimora ma anche come luogo di convoglio delle produzioni e dei commerci. Dell'antico impianto architettonico, oggi resta solo l'elegante nucleo principale, con le sue preziose facciate: quella che dà sul Livenza presenta una pentafora con davanzale all'altezza del piano nobile, mentre la facciata sulla strada evidenzia una trifora e una luminosa quadrifora con balaustre colonnate e fregi di gusto secentesco. Nel cortile d'onore rimangono dodici statue in stucco della scuola di Alessandro Vittoria (1525-1608). All'interno sono conservati gli splendidi affreschi eseguiti a fine '500 dal celebre pittore manierista Francesco Montemezzano, artista della scuola del Veronese. Il suggestivo ciclo pittorico consta di sei grandi scene inserite in pregevoli motivi decorativi e raffiguranti le glorie dei fratelli Giacomo e Placido Ragazzoni, con i sovrani del tempo: Maria Tudor, Filippo II di Spagna, Enrico III di Francia, Maria D'Austria, il Doge Venier e il Gran Visir di Costantinopoli. Adiacente al salone in quella che non era la sua posizione originale, ma frutto di successive riduzioni della struttura del palazzo, si può ammirare una cappella privata, con pregevoli decorazioni a stucco dei primi del Settecento raffiguranti dei putti e motivi floreali».
http://www.altolivenza.eu/luoghi-da-visitare/ville-castelli/80-palazzo-comunale-sacile - 84-palazzo-ragazzoni-sacile
San Cassiano di Livenza (Villa Varda)
«Il nome Villa Varda deriva dal toponimo di origine germanica warda, di una certa formazione medievale. Warda è stato tradotto in italiano in “Guarda” o “Guardia” ed è stato associato a diversi significati: “luogo d’osservazione”; “postazione di guardia”; “luogo di vedetta”. Questi significati sarebbero pienamente giustificati dalla posizione privilegiata del luogo, posto nei pressi del fiume Livenza. La tesi della presenza di una qualche opera a guardia dell’abitato o delle strade o del vicino fiume (con tutta probabilità di tipo militare) è infatti, senza dubbio credibile, considerato il ruolo strategico che questa località ha assunto nei secoli scorsi. Nella seconda metà del ‘400 i nobili Mazzoleni acquistarono dai conti principi di Collalto e dai conti di Porcia le proprietà agricole del borgo di Guarda (o Varda) e vi costruirono la villa patronale: da quel momento, si cominciò a parlare di “Villa Varda”. L’identificazione del villaggio con il complesso economico del palazzo si completò definitivamente nel ‘700 quando la consuetudine decretò che l’edificio era per ormai tutti “Villa Varda”, eliminando dal nome qualsiasi riferimento ai proprietari della stessa. ... Il parco di Villa Varda assunse l’attuale configurazione nella seconda metà dell’Ottocento, quando Carlo Marco Morpurgo, appartenente ad una facoltosa famiglia di Trieste, acquistò la tenuta ed avviò gli interventi di ristrutturazione degli edifici e di sistemazione paesaggistica secondo gli stilemi del parco all’inglese. Così sistemato e come si presenta oggi, il parco era ed è considerato uno dei migliori esempi del gusto dell’epoca, tanto che in una esposizione dei giardini italiani tenutisi a palazzo Vecchio di Firenze nel 1931, quello di Villa Varda è presente con alcuni pannelli. ...».
http://www.villavarda.it/L-origine-del-nome.2883.0.html - ...Il-parco.2902.0.html
San Vito al Tagliamento (castello)
«Le origini del centro storico di San Vito sono legate ad un edificio fortificato, nato proprio come semplice rocca difensiva con le sue cinta murarie, documentata già prima del XIII secolo. Il castello di San Vito fu donato al potente Patriarcato di Aquileia che ne fece propria dimora e divenne successivamente anche residenza della nobile famiglia Altan. Quello che rimane oggi del castello è una struttura che riecheggia più la residenza nobiliare che l’edificio difensivo medievale. Un edificio di certo imponente, risultato della sommatoria di più fabbricati aggregati, con il primo giro di cinta muraria della cittadina, la fossa ed il basamento delle mura in parte riemerso e ricostruito. Affascinanti gli affreschi rinvenuti, sia lacerti esterni che resti nelle facciate interne, di epoca e fattura diverse; decorazioni quattrocentesche e settecentesche, raffigurazioni di stemmi nobiliari sanvitesi e friulani e due dolci volti di guerrieri risalenti al primo ventennio del ‘500. Parte di questi, intere splendide scene e figure di sibille, sono stati salvati e strappati negli anni ’50 dallo studioso Federico De Rocco a cui è dedicato l’attuale museo Civico Archeologico, dove rimangono in attesa di rientrare nella loro sede di origine».
http://www.pprg.infoteca.it/easynet/FormDOC.asp?IDD=10810&ICN=JPG&Code=SVTACom
San Vito al Tagliamento (palazzo Altan)
«Il Palazzo Altan fu edificato nel corso del '600 in borgo di Taliano dove, nel 1603, la famiglia dei conti Altan aveva acquistato un modesto edificio. Con alcune modifiche edilizie e con l'acquisto della Torre Grimana, nel 1751, e la costruzione dell'oratorio neoclassico, si venne a definire architettonicamente il complesso edilizio, così come oggi si presenta. Interessante è il giardino all'italiana. È delimitato dalle due barchesse e disegnato a est da un'esedra, con tracce di pittura seicentesca, attribuibili al pittore tedesco Anton Joseph, che ricorda il classico ninfeo. Il perimetro sud ed est del complesso è racchiuso dalle antiche fosse ed è perimetrato da mura e da una torre circolare attribuita all'espansione urbanistica del patriarca Marino Grimani. L'impianto distributivo interno è l'insieme aggregato di due piante tripartite, di cui una è caratterizzata da un corridoio interno posto lungo l'asse longitudinale. Si segnalano inoltre gli ambienti della biblioteca settecentesca e delle sale ornate da stucchi ed affreschi. Sul soffitto della camera che certamente fu di Leandra Altan venne eseguito, presumibilmente nell'ultimo quarto del XVII secolo, un ciclo a fresco raffigurante alcuni episodi tratti dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Gli episodi qui narrati sono: "L'apparizione dell'Angelo Gabriele a Goffredo di Buglione"; "Armida chiede a Goffredo di Buglione l'invio di soldati tra cui Rinaldo"; "Il sonno di Erminia in riva al fiume"; "Battesimo e morte di Clorinda"; "Rinaldo nel giardino incantato di Armida". Il ciclo, attribuito a Lucillo Candido, mostra evidenti limiti ed impacci tecnici dell'autore, quali le pose dei personaggi sgraziate e disarticolate, l'incapacità di gestire gli spazi e le palesi ingenuità formali, ma, nondimeno alcuni dettagli risultano gradevoli anche per l'aurea favolistica che pervade il tutto. Il palazzo attualmente è di proprietà della Provincia di Pordenone che lo ha destinato a sede del Museo della Vita Contadina».
http://www.palinsesti.org/2006/palazzo-altan
San Vito al Tagliamento (torri, porte)
«Torre Scaramuccia (o di San Nicolò). Le torri Scaramuccia e Raimonda risalgono al 1200 per volere dell’allora patriarca Raimondo della Torre. Un radicale restauro ha riportato la torre all’impianto originale che ne evidenzia la destinazione militare. Era provvista di un ponte levatoio principale e un secondo per il passaggio pedonale. Attualmente è sede espositiva per mostre e manifestazioni d’arte. Torre Raimonda. Coeva della Torre Scaramuccia, volute dal Patriarca Raimondo della Torre a difesa della città, se si raffrontano appaiono evidenti gli interventi architettonici effettuati agli inizi del 1900. è diventata l’immagine più rappresentata di San Vito. Ora è sede del Museo Civico “Federico De Rocco”. Vi si trovano reperti archeologici che vanno dalla preistoria al medioevo provenienti da locali scavi e ritrovamenti, opere lignee e un ciclo di affreschi che il prof. De Rocco è riuscito a salvare in seguito alla ristrutturazione edilizia degli anni ’50/’60 di un palazzo Altan di borgo Castello. Torre Grimana. Porta di accesso a San Vito sull’asse sud. La torre fu voluta dal patriarca Marino Grimani (da qui la denominazione), assieme allo stradone che oggi porta alla frazione di Savorgano, in seguito all’espansione della città con l’inserimento entro le mura di parte del borgo Taliano Linteris (secolo XVI)».
http://iv3ogt.altervista.org/SanVito/Mappa/page45/ - http://iv3ogt.altervista.org/SanVito/Mappa/page46/ -
Sesto al Reghena (abbazia fortificata di S. Maria in Sylvis)
a cura di Stefano Favero
Solimbergo (resti del castello)
a cura di Luca Baradello
Solimbergo (resti del castello) 2
a cura di Stefano Favero
Spilimbergo (castello, palazzo Dipinto)
«La storia del Castello si confonde con quella dei Signori di Spilimbergo, gli Spengenberg, famiglia di nobili di origine carinziana, fedeli all’Impero, tra le più ragguardevoli in Regione e fra quelli presenti nel Parlamento del Friuli, “ministeriales” del Patriarcato di Aquileia. Facendo leva sul loro potere e prestigio, entrarono spesso in contrasto con il Patriarca e in più di un’occasione complottarono contro di lui. L’episodio più celebre e drammatico avvenne nel 1350, durante la guerra civile feudale che insanguinò il Friuli: nella piana della Richinvelda, pochi chilometri a sud della città, in un agguato alcuni feudatari partiti dal Castello di Spilimbergo e guidati dagli Spengenberg affrontarono e uccisero il vecchio ma energico patriarca (poi proclamato Beato) Bertrando di San Genesio. Si meritarono, da allora, l’appellativo di bertramini o beltramini, termine con cui, ancora oggi sono chiamati, per dileggio, gli Spilimberghesi. Il Castello sostenne numerosi assedi nel corso delle guerre medievali tra i signori veneti e friulani, resistendo ai ripetuti assalti dei da Camino. Non è possibile ricostruire come il Castello apparisse all’epoca, poiché venne distrutto, demolito, ricostruito e ampliato più volte. Ciò che oggi è visibile del Castello di Spilimbergo, dunque non risale ad un originario edificio, ma ad una serie di modifiche che si sono venute a sommare durante i secoli. Già danneggiato da un terremoto, il Castello nel 1511 fu incendiato nel corso di una rivolta popolare; l’ala sud non fu più ricostruita, si salvò solo il cosiddetto Palazzo Dipinto. Fu ancora modificato nel 1566; nel 1865 fu demolita la torricella sul ponte e ampliato l’ingresso; furono inoltre effettuati altri cambiamenti (scomparsa del ponte levatoio, delle torri, delle merlature, di terrazze e giardini) che portarono all’attuale configurazione.
Il Castello si presenta oggi come un agglomerato di residenze signorili, disposte ad anello attorno all’ampia corte centrale, ed è circondato per metà da un profondo fossato, mentre per il resto è a picco su di una scarpata del Tagliamento. Attraversato il ponte sul fossato, si passa sotto la torre d’accesso e si giunge nel cortile. A sinistra sorge il Palazzo Tadea (1566), già sede Municipale, fatto erigere da Bernardo e completato da sua moglie Tadea di Spilimbergo nel 1566: presenta al suo interno, al primo piano, un bel salone con stucchi cinquecenteschi. Adiacente ad esso è il Palazzo Ciriani (ora Furlan), che conserva all’interno un fregio con stucchi di Giovanni da Udine del 1542 circa e resti di affreschi del XVI secolo. Di seguito, il Palazzo Troilo (XVI secolo), edificato da messer Troilo, in seguito all’incendio del 1511, fu affrescato nel 1544 da Marco Tiussi, con pitture che ben presto si rovinarono; nel 1864, quando il Friuli era sotto l’autorità austriaca, il Palazzo fu affidato al Comune e fino al 1968 fu utilizzato come carcere; oggi si possono ancora vedere 2 celle al pianterreno. Il primo piano è invece adibito ad archivio comunale. Più a destra sorge il Palazzo Dipinto, vanto del complesso castellano, l’edificio più importante e di maggior effetto scenico, ricostruito alla fine del Trecento sulle rovine di un edificio preesistente, distrutto dall’ennesimo incendio: ospitò Carlo V nel 1532, Bona Sforza, regina di Polonia, ne, 1566 e anche Enrico III di Francia nel 1574. La graziosa e affascinante facciata reca affreschi che raffigurano cavalli e palafrenieri, Virtù teologali e Cardinali attribuiti ad Andrea Bellunello (XV secolo), oltre a 2 trifore, una in stile gotico e l’altra in stile rinascimentale (1582); ad abbellirla ulteriormente, non mancano elementi in pietra realizzati dal Pilacorte: 2 balconi triforati e un poggiolo. Il prolungamento del Palazzo Dipinto è testimone delle precedente presenza di un’altra ala del Castello, che raccordava l’ala est con quella ovest: questa parte però, in seguito all’incendio del 1511 non venne più ricostruita e oggi permette quindi un’ampia e suggestiva vista sul Tagliamento. L’angolo sud-ovest è occupato da un edificio la cui antichità è attestata da resti di finestre archiacute e dall’inusitato spessore dei muri perimetrali. Il complesso si chiude con la grande ala occidentale, costituita da un complesso di edifici del XVI e XVII secolo, di proprietà privata, che chiudono l’anello, permettendo di giungere nuovamente alla torre d’ingresso. Delle originarie strutture difensive costituenti in un doppio ponte levatoio, in poderose mura di cinta ed in svariate torri, non rimane che qualche pallida traccia».
http://www.comune.spilimbergo.pn.it/index.php?id=202
Spilimbergo (palazzo di Sopra)
«I primi documenti che attestano l'esistenza del Palazzo di Sopra risalgono agli inizi dei 1300, quando a Fulcherio venne assegnata la "cerchia" di Valbruna, in seguito a una divisione patrimoniale, con il compito di costruivi un "castrum" e un fossato. Nel maggio del 1499 un concordato permise a Paolo (figlio di Odorico di Spilimbergo) e ai nipoti, di ampliare e migliorare l'edificio esistente. Sta di fatto che il Palazzo venne completamente ristrutturato: da edificio medievale, venne creata una villa cinquecentesca, che si rifaceva ai modelli dettati dal gusto veneziano con ampie sale dai soffitti molto alti e finestroni luminosi. La notorietà di questo Palazzo è legata al fatto che ospitò la sede dell'Accademia Parteniana tra il 1538 e il 1541, istituzione sostenuta da Adriano di Spilimbergo e diretta da Bernardino Partenio. Nelle ampie sale della villa gli studenti studiavano il latino, il greco e l’ebraico. La vita dell'Accademia fu molto breve e non sopravvisse molto tempo dopo la morte di Adriano di Spilimbergo. Il possesso della villa e la zona circostante rimase ai conti fino al 1920, anno in cui la proprietà venne rilevata dalla famiglia Ciriani. Dopo successivi passaggi di proprietà e diverse funzioni svolte dal palazzo (residenza signorile, stabilimento bacologico e ricovero per l'esercito), lo stesso è stato acquistato dal Comune di Spilimbergo che, in seguito a un articolato restauro, lo ha adibito a propria sede nel 2002. L'attuale aspetto del palazzo è riconducibile a una serie di interventi effettuati tra Cinquecento e Seicento: questi portarono alla realizzazione dello scalone e della trifora sulla facciata; in seguito vennero eseguiti altri lavori di restauro d'importanza minore. Dopo il terremoto del 1976 però, il palazzo, che aveva conosciuto momenti di splendore, venne abbandonato. Solo nell'ultimo decennio si recuperò l'interesse per il palazzo, e, in seguito all'acquisto della proprietà da parte del Comune, iniziarono gli ultimi restauri. La facciata del palazzo conserva l’originaria decorazione, che si rifà a temi mitologici, storici e floreali, conferendo all’edificio una certa maestosità ed eleganza. All’interno la maggioranza delle opere artistiche è stata perduta, ma ciò che è giunto testimonia la ricchezza e il gusto rinascimentale. Il restauro interno ha portato alla luce, in due stanze al piano terreno, gli stucchi dell'artista friulano Giovanni Battista Piccin, realizzati con maestria attorno al 1776. Altri elementi decorativi testimoni della ricchezza dei palazzo sono le eleganti specchiere, le grandi cornici ovali e con il restauro sono stati rimessi a nuovo i pavimenti a terrazzo in stile veneziano. Ciò che rende ancora più ricco questo luogo è il panorama che si gode: si può infatti ammirare il letto dei Tagliamento e il territorio circostante fino ai monti della Carnia. Il Palazzo si inserisce nella caratteristica Valbruna, borgo basso medioevale dai tipici caseggiati popolari, vicoli stretti, portici e cortiletti interni».
http://www.prospilimbergo.org/palazzo.php
Spilimbergo (torri, portici, palazzi)
«Borgo di antiche origini, ebbe grande splendore nel Medioevo e nel Rinascimento. Come conseguenza dell’impetuoso sviluppo commerciale, nel ‘300 il piccolo nucleo abitato, sorto attorno al Castello, crebbe a dismisura, tanto che furono erette tre successive cinte murarie. La Torre Orientale (1304) faceva parte della prima cerchia. Tra i palazzi si può ammirare la Casa Dipinta, affrescata nel XVI secolo con scene della vita di Ercole. Superata la Torre, si aprono il Borgo di Mezzo e il Borgo Nuovo, tagliati a metà dal Corso Roma, asse portante della città storica. Lungo questa via le famiglie arricchite edificarono tra il ‘500 e il ‘700 i loro palazzi con i bei portici (un tempo su entrambi i lati del Corso), in particolare il Palazzo Monaco (XVI secolo), dalla facciata affrescata, con le aperture gotiche, che si congiunge ai resti di Palazzo Cisternini, di cui rimangono solo le colonne con i fregi e le decorazioni (fu bruciato nell’anno 1799 quando al passaggio di una colonna russa al comando del generale Suwaroff, i soldati trovarono rifugio in una parte del palazzo: era il mese di aprile e pioveva a dirotto; i soldati fradici, accesero grandi fuochi per asciugarsi e provocarono un incendio così vasto che ciò che rimaneva della costruzione dovette essere demolito). Di fronte ai resti di Palazzo Cisternini si trova il settecentesco Palazzo Marsoni-Asquini. Fra questi due palazzi passava la seconda cinta muraria. Da qui possiamo ammirare Corso Roma, una scenografia di palazzi, case, caratteristici vicoli che si dipartono a pettine a nord e verso sud, portici e colonne in fuga, fino alla Torre Occidentale, costruita nel 1339 , che faceva parte della terza cerchia di mura. Ai margini dei borghi principali, oltre al borgo popolano della Valbruna, il Broiluccio (ora Piazza Borgolucido) con i suoi caratteristici edifici, un tempo spiazzo aperto destinato alle riunioni dell’Assemblea popolare».
http://www.comune.spilimbergo.pn.it/index.php?id=207
«Il palazzo, costruito dopo il crollo del vicino castello, risale al 1543, ma un documento del 1671 rende incerta la data di costruzione e fa pensare a una probabile preesistenza di un edificio anteriore al XVI secolo. Attualmente l'edificio presenta una parziale riforma settecentesca dei balconi e delle finestre, è a corpo doppio e di dimensioni contenute. Porta d'ingresso e finestre sono ad arco romanico, seguendo il modello del castello, cui si conformano anche le grosse e rettangolari pietre. Sull'ampia finestra che sovrasta il portone spicca, entro una cornice di marmo, lo stemma di famiglia, sul quale si stagliano due scaglioni argentei su sfondo azzurro. Proprio la ridotta estensione della costruzione e il mancato ampliamento (subito da molte altre costruzioni nel XVIII secolo), fanno supporre che l'edificio non avesse funzione produttiva, ma fosse solo la sobria residenza di campagna della nobile famiglia. Sul retro della costruzione c'è un piccolo cortile rustico con la stalla e il fienile e, in contiguità, un piccolo appezzamento di terreno recintato da un alto muro. La collocazione del palazzo e l'organizzazione degli spazi esterni fanno pensare a un sedime di casa a corte, mentre la struttura dell'edificio richiama quella di un palazzo urbano, sia per la conformazione dell'androne d'ingresso, sia per l'ampia sala in stile veneto sita al primo piano. L'ampia soffitta, anticamente utilizzata come granaio e come deposito di materiali, è stata recuperata in seguito alla recente ristrutturazione. Da fonti documentarie certe si sa che la paglia, in tutte le arie rurali del Friuli, era il materiale prevalentemente usato per la copertura dei tetti. Originariamente, quindi, anche il palazzo presentava tale peculiarità: il tetto così realizzato era caratterizzato da falde molto inclinate e da un intenso color ocra. Dal cortile antistante si accede alla cappella gentilizia di San Gerolamo. Edificata, presumibilmente, nel tardo XVII secolo, la chiesetta presenta un unico vano rettangolare senza capriate. Al suo interno sono conservati due dipinti, di attribuzione non certa. Verosimilmente considerati opera di un artista settecentesco ancora legato a canoni antecedenti. Le forme nervose ed eleganti rimandano allo stile di Gian Battista Pittoni. Sulla porta della sacrestia, a sinistra del presbiterio, è posto il "Giudizio di Salomone". Accanto, un'altra raffigurazione biblica, nella quale lo studioso De Martin ha creduto scorgere la "Conversione di San Paolo"».
http://www.arcometa.org/index.php?id=125
«Fortilizio forse già edificato in epoca longobarda, ma una bolla di Urbano III del 1186 ne documenta la certa esistenza. Nel 1188 Ursino da Toppo ricopre la carica di “dapifero” presso Gotofredo, patriarca d’Aquileia. Fu acquistato dalla famiglia Ragogna nel 1220 e il ramo dei Pinzano-Ragogna si trasferisce assumendone il nome. Purtroppo nel 1348 un terremoto danneggia il castello e muoiono alcuni membri della famiglia. Con l'avvento della Serenissima, nel 1426 la Repubblica di Venezia vende la quarta parte della giurisdizione dei Toppo ai Conti di Porcia e il motivo resta ancora sconosciuto. Un documento risalente al 1567 lo descrive come “castello rovinato…”, in abbandono, i cui materiali sono messi in vendita. I Toppo infatti hanno trasferito la loro residenza nella casa più in basso e vicina al paese. Verso la fine del ‘700 la famiglia Toppo è a Udine e incarica i Colossis di Meduno delle esazioni serbando i poteri. Nel 19° secolo la famiglia Toppo si estingue con Francesco: i suoi beni, e quelli della moglie Wassermann, sono donati al Comune di Udine (Udine era provincia anche per la pedemontana pordenonese fino agli anni ’60). Il castello è delimitato da due cinte murarie tuttora visibili di cui, la più vecchia è quella più interna ed è alta più di 15 metri. All’interno della stessa un’abbondante vegetazione impediva di riconoscere l’unico muro superstite del mastio dell’altezza di circa 10 metri e la vicina abitazione sui cui muri perimetrali si potevano ancora individuare i timpani che sorreggevano la copertura, alcune finestre, due sedi di caminetti, mensole di sostegno delle banchine dei solai».
http://www.ecomuseolisaganis.it/it/c/2skanj3/castello_di_toppo.html
TORRATE (torre del castello Sbrojavacca)
a cura di Luca Baradello
a cura di Marta Tinor
«A Tramonti di Sopra, non distante dal villaggio alpino, recentemente è stato rintracciato un sito castellano molto importante. Nella borgata una delle strade più importanti era identificata con il toponimo di castello, ma non era ben chiaro dove potesse trovarsi questa struttura e, soprattutto, se negli anni l'antico maniero era andato perduto a causa di qualche distruzione. Negli anni '80 Carlo Guido Mor aveva rintracciato un documento medioevale che si riferiva a questo enigmatico castello, ma nessuno si curò di indagare ulteriormente sulla sua localizzazione e sulla sua consistenza, tanto che nella serie di volumi sui castelli friulani curata da Tito Miotti non c'è nessun riferimento alla fortificazione tramontina. Nel 2003 una ricerca sulla microtoponomastica del catasto napoleonico del 1808 della Valle del Meduna ha permesso di individuare a quali mappali veniva attribuito il termine castello. In questo modo si sono potuti riscontrare sul sito i segni di un'antica struttura fortificata relativamente eccentrica rispetto al centro abitato della Villa di Sopra. Sul bordo sud-orientale dell'ampio terrazzo della "taviella" del paese, in corrispondenza di una profonda incisione in roccia determinata dal millenario lavoro delle acquea del Viellia, sono stati rinvenuti alcuni resti di strutture che possono essere ricondotte ad un insediamento Antico o Altomedioevale. Si tratta di un castello precedente al periodo della feudalizzazione della Patria del Friuli (XI secolo) caratterizzato da tecniche costruttive molto semplici e lontane dalla cultura del muro legato con al calce.
Sul luogo i segni più evidenti sono i resti, in parte interrati, di un ampio fossato e del parallelo argine difensivo. Infatti questa zona è chiamata anche la "Fous" per la profonda forra del torrente che garantiva la naturale difesa del castello su tre lati. Per i costruttori era stato sufficiente costruire le difese sul solo lato occidentale separando con opere artificiali la grande piana ghiaiosa della "Taviella" dall'ultima propaggine rocciosa della stessa. La difesa era probabilmente costruita con un setto di legna e terra, una sorta di grande cassone ligneo riempito con il terreno recuperato dalle operazioni di scavo nel fossato. Questa linea difensiva si attestava su un piccolo rilievo roccioso probabilmente difeso con strutture lignee. All'interno del recinto veniva protetto uno spazio abbastanza ampio da poter accogliere le cose più preziose del villaggio, le persone, i raccolti e gli animali. Questo maniero non si trasformò mai in una residenza feudale perché la riorganizzazione territoriale di età patriarcale fece perdere importanza al passo Rest rispetto alle altre vie commerciali per la Germania. La valle dei Tramonti rimase in possesso ad un importante ente ecclesiastico, il vescovo di Concordia, che si limitò a fortificare l'imboccatura della vallata con la costruzione del castello di Meduno. Il semplice maniero tramontino non fu più ristrutturato e degradò in modo rapido. Oggi queste semplici forme sono un patrimonio importantissimo perché, pure nella leggerezza dei segni, testimoniano un'arte della guerra precedente alla riscoperta delle fortificazioni in pietra e calce. A Tramonti è possibile percepire come erano fatti gli antichi castelli in legno e terra prima che in età Bassomedioevale si procedesse alla loro ricostruzione in muratura. Proprio per questo motivo questo sito archeologico è singolare e merita di essere studiato dagli archeologi».
http://www.protramontidisopra.it/cosa-vedere/150-il-castello-di-tramonti-di-sopra (a cura di Moreno Baccichet)
a cura di Luca Baradello
«Questa villa, che sorge a Visinale, è una delle più antiche del Friuli occidentale: fu ultimata nel 1542, per volere dell’importante famiglia veneziana Cavazza. Alla metà del XVII secolo la proprietà passo ai Querini, anch’essi veneziani, che apportarono subito modifiche strutturali, la più imponente delle quali è la scala a rampe sovrapposte per accedere al piano nobile. La costruzione si presenta suddivisa in tre parti, delle quali quella centrale con aperture laterali trabeate e centrale ad arco. Al secondo piano, subito sotto il timpano, è posto lo stemma dei Querini. All’esterno dell’edificio troviamo un oratorio del XVIII secolo, dedicato a San Pietro in Vincoli, una meridiana ed il muro di cinta ornato da pregevoli statue settecentesche».
http://www.comune.pasianodipordenone.pn.it/Le-Ville-Venete-a-Pasiano.84.0.html
Zoppola (castello dei Panciera)
«Fu probabilmente fatto erigere intorno all'anno Mille su un guado del Tagliamento, a difesa della strada che portava a Pordenone, e di esso si hanno documentazioni già nel 1103. In origine il maniero, di proprietà dei duchi d'Austria, sorgendo in un territorio pianeggiante era difficilmente difendibile; per questo fu munito fin dall’inizio di diversi sistemi difensivi, quali due fossati, tre cinte murarie, porte, torri. Dell'antico e articolato sistema difensivo si può ancora oggi vedere, seppure mozzata, la torre maestra, posta quasi al centro dell'attuale complesso castellano. Nei secoli successivi il castello passò di proprietà in proprietà (agli Zoppola, ai signori di Valvasone e a quelli di Mels-Prodolone) e nel Cinquecento venne parzialmente distrutto dalla sommossa popolare guidata da Antonio Savorgnan. Nel 1405 venne infeudato alla famiglia del patriarca d'Aquileia Antonio Panciera, già vescovo di Concordia e poi cardinale. I Panciera nei secoli successivi attuarono alcuni lavori di miglioramento delle strutture murarie e difensive. Nel 1567 lo storico Gerolamo da Porcia lo descrive come “Castello con tre giri di fosse, ma dentro quasi niuna casa, eccettuata quella dei magnifici Signori, i quali dimorano nell’ultimo circuito”. L’intervento di ammodernamento dei conti Panciera riguardò anche l’aspetto artistico e decorativo del castello, che fu arricchito con opere d’arte e mobili d’epoca. Particolarmente interessanti sono gli affreschi sulle facciate interne del cortile, opera di Pomponio Amalteo, che affrescò arcate, poggioli, mentre all’interno si conservano sale affrescate (esiste ancora il minuscolo, ma suggestivo studiolo del cardinale Antonio con un'antica stufa in maiolica e un soffitto ligneo dorato e dipinto, opera di Giovanni Battista Tiepolo e Pietro Longhi) e soffitti a cassettoni (in un salone sono decorati con gli stemmi delle casate parlamentari friulane), stipiti scolpiti attribuiti al Pilacorte o alla sua scuola, mobili e suppellettili. Il fronte principale del castello, all’interno del primo fossato che si supera con un ponte, appare piuttosto imponente perché molto sviluppato in lunghezza ed in altezza; non mancano gli elementi decorativi, tra i quali tre balconi cinquecenteschi con arco a tutto sesto e balconi in pietra (uno sostenuto da mensole con testa di leoncini), una linea di archetti pensili e tracce di affreschi nella linea di sottogronda. Fanno parte del complesso castellano anche degli edifici del XV-XVII secolo, che costituiscono il borgo castellano, ed un ampio parco realizzato a metà dell’Ottocento. Il maniero, in buono stato di conservazione, appartiene tuttora alla famiglia Panciera ed è sede di un'azienda agricola».
http://castelliere.blogspot.it/2011/07/il-castello-di-mercoledi-20-luglio.html
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