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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI PESARO-URBINO
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
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Le foto degli amici di Castelli medievali
«è situato nel Comune di Cagli in località Abbadia di Naro. Il castello passò dalla famiglia guelfa dei Siccardi (1200) a quella ghibellina dei Mastini (1300) con Nolfo Mastini che sposò Calapretissa, sorella del Conte Antonio di Montefeltro, per poi passare nella seconda metà del Cinquecento ai Berardi che si estinsero con la morte del conte Camillo. Nel 1798 il castello venne ceduto ai Moscardi di Cagli ai quali subentrò prima la famiglia Priori e poi la famiglia Cresci. Gli odierni proprietari sono i De Sirena che consentono l'accesso al pubblico una volta al mese. L'esterno del castello è rimasto quasi intatto nel tempo e ricorda vagamente la carena di una nave. Attraverso un portale ad arco a sesto acuto si accede al recinto del castello; un'ampia struttura semicircolare va fino allo sperone di roccia a strapiombo. Per entrare nell'edificio si passa da un portale ogivale posto in cima ad una rampa. Numerose sono le sale con le volte, una di essa ha volta ad ombrello, così come numerosi sono gli affreschi che è possibile ammirare, in particolare la "Chiamata di Sant'Andrea", copia della pala che il Barocci eseguì a Pesaro e che ora si trova a Bruxelles. Sembra inoltre, secondo alcuni storici, che il castello fosse munito di un lungo passaggio sotterraneo».
Auditore (borgo fortificato, torre)
«Sulla fascia collinare, alla sinistra del fiume Foglia, si erge il Comune di Auditore. Questo antico borgo fortificato, arroccato sulle pendici del Monte San Giovanni, fu conteso, per la posizione strategica, dalle famiglie dei Malatesta e dei Montefeltro e venne utilizzato come luogo in cui discutere cause e controversie: da qui viene fatta risalire la denominazione di Auditore (dal latino Auditorium). Il minuscolo “paese-castello” limitato a tre file parallele di case è ben conservato. Per l'odierno visitatore l'abitato conserva ancora le antiche mura con due torrioni e la torre civica a base circolare e cella ottagonale (sec. XV) che domina sul borgo medievale. Immediatamente fuori dalle mura, la chiesa parrocchiale custodisce una tela "La Pentecoste" eseguita nel 1772 da Marino Medici. Il quadro è oggetto di una singolare devozione popolare, probabilmente antichissima, ma ben viva anche in tempi recenti, legata a prodigiose guarigioni dall’epilessia e documentate in scritti custoditi nella sagrestia. Un tempo famoso per la lavorazione del bronzo e per la produzione di campane e cannoni, Auditore era composto da tre comunità: Auditore, San Giovanni e Castelnuovo. Questi ultimi due borghi fortificati mantengono ancor oggi la struttura difensiva, con le mura, i ruderi dei castelli, dei torrioni e dei bastioni».
http://www.museimontefeltro.it/index.php?id=14732
«Barchi oggi è un piccolo centro sede del Comune omonimo. La parte antica del paese è racchiusa all'interno di mura invalicabili e contiene palazzi antichi e case di più semplice fattura. Tutta l'impostazione data al "castello" alla fine del 1500 dall'architetto bolognese Filippo Terzi e voluta nel 1571 dal Duca d'Urbino Guidobaldo II, si mantiene ancora integra. Il "castello" di Barchi viene considerato l'unico esempio completo dell'architetto bolognese realizzato in Italia prima di passare al servizio dei Reali di Spagna e Portogallo. Lo stesso Filippo Terzi disegnò anche i più importanti monumenti barchiesi: Palazzo Comunale, Torre, Porta Nova, Chiesa e Palazzo dei Duchi; inoltre progettò anche la Piazzetta di S. Antonio fuori le mura sotto la ripida salita della Porta Nova per unire castello e borgo che già aveva una sua chiesa. La tradizione divide l'intero abitato antico in rioni: il Castello, il Borgo, il Prato. Quest'ultimo si riferisce alle case addossate alla base delle mura lungo la strada che conduce a Fossombrone. Lo sviluppo moderno è avvenuto lungo la strada che conduce a Orciano e sul pendio della collina in posizione panoramica. Non avendo una rocca, il "castello" di Barchi ha sempre affidato le sue difese al recinto murario. Tra il 1571 e il 1575 sono annotati negli atti consigliari restauri e pulizie con l'imposta di nuove tasse. I lavori sono stati condotti da Filippo Terzi e possono essere confrontati stilisticamente con quanto realizzato dallo stesso a Urbino, nella fortezza Albornoz: i curiosi torricini circolari innestati direttamente sulla muraglia scarpata sono del tutto simili. Il Baldi nel libro 7° della vita di Federico raccontando della conquista di Barchi fatta da Federico ai danni di Sigismondo Malatesta (1457) scrive: "… Barchi castello assai grosso, posto sull'alto, e sì per natura, come per umana industria, secondo què tempi assai forte… ebbe ardire di resistere …". Federico riuscì a convincere alla resa i soldati a difesa del castello promettendo di "lasciar andar liberi" gli abitanti "con tutte le robe loro". I suoi soldati volevano fare il saccheggio come era consuetudine dopo un assedio, ma di fronte alla resa Federico per dimostrare riconoscenza fece uscire i castellani, chiuse le porte d'ingresso, consentì il saccheggio solo a coloro che sarebbero riusciti a valicare le mura "con scale ed artefici". Anche il Guicciardini parla del castello di Barchi definendolo nella Storia d'Italia, al capitolo dedicato alla "guerra d'Urbino" fra Medici e Della Rovere, di cui egli fu diretto testimone, come di un "…sito forte, ove non poteva andarsi se non per cammino facile..." (era perciò impossibile valicare le mura se non passando per le porte d'ingresso). L'impresa risultò tanto difficile che le truppe medicee guidate da Giovanni Delle Bande Nere e capeggiate dal duca Lorenzin De' Medici, dopo giorni di assedio, rinunciarono ad attaccarlo e furono costrette alla fuga, subendo una disastrosa sconfitta che portò alla vittoria finale dei Della Rovere. L'evento porta la data dell'anno 1517 e viene citato come "Battaglia di Barchi"».
http://www.lavalledelmetauro.org/standard.php?lingua=it&id_sezione=8&id_sottosezione=31&id_sottosottosezione=10&record=8017 - 5441
«L'elegante Porta Nova è attribuita all'intervento di Filippo Terzi, architetto bolognese che nel 1571 fu incaricato dal Duca d'Urbino Guidobaldo II di ristrutturare interamente il borgo di Barchi sia dal punto di vista urbanistico che architettonico. Originariamente pare fosse destinata ad uso militare. Successivamente fu innalzato l'arco trionfale nelle forme attuali. Costruito in mattoni, ad unico fornice e a tutto sesto leggermente rientrante, è sormontato da una robusta cornice aggettante e da un'edicola a timpano raccordata ai lati del corpo della porta da due pennacchi sormontati da sfere di pietra».
http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/mura-porte-torrioni/barchi-porta-nova.html
Belforte all'Isauro (castello del barone di Beaufort)
«Il castello di Belforte all'Isauro edificato nel tardo medioevo su un precedente insediamento longobardo del VI secolo dopo Cristo si erge quasi a protezione del paese che si adagia fra le colline dell'Appennino Marchigiano proprio in quel lembo di terra che si incunea fra l'Umbria e la Toscana. Le sue origini vengono fatte risalire dagli storici al VI-VII secolo d.C. si hanno testimonianze di numerosi rifacimenti, ma l'impronta definitiva si deve all'estro del noto architetto Francesco di Giorgio Martini che lo riedifico' per il volere del Duca Federico da Montefeltro. Nel 1874 un nobile barone prussiano Hermann De Tenneret barone di Beaufort, convinto che in passato il castello fosse appartenuto ai propri avi lo acquistò per poi donarlo definitivamente al comune di Belforte all'Isauro» - «Anticamente considerato il primo baluardo a difesa della Massa Trabaria, viene fatto risalire al VI-VII secolo d.C., e dopo aver subito numerosi rimaneggiamenti assunse l'attuale aspetto per opera del noto architetto Francesco di Giorgio Martini, che lo riedificò per volere del Duca Federico da Montefeltro. Completamente ristrutturato, oggi è sede della "Scuola di Lingua e Cultura Italiana Giacomo Leopardi"».
http://www.comune.belforte.pu.it/c041005/zf/index.php... - http://www.weagoo.com/it/card/19129/castello-di-belforte-allisauro
CAGLI (castello di Naro)
«Il castello di Belforte all'Isauro edificato nel tardo medioevo su un precedente insediamento longobardo del VI secolo dopo Cristo si erge quasi a protezione del paese che si adagia fra le colline dell'Appennino Marchigiano proprio in quel lembo di terra che si incunea fra l'Umbria e la Toscana. Le sue origini vengono fatte risalire dagli storici al VI-VII secolo d.C. si hanno testimonianze di numerosi rifacimenti, ma l'impronta definitiva si deve all'estro del noto architetto Francesco di Giorgio Martini che lo riedifico' per il volere del Duca Federico da Montefeltro. Nel 1874 un nobile barone prussiano Hermann De Tenneret barone di Beaufort, convinto che in passato il castello fosse appartenuto ai propri avi lo acquistò per poi donarlo definitivamente al comune di Belforte all'Isauro» - «Anticamente considerato il primo baluardo a difesa della Massa Trabaria, viene fatto risalire al VI-VII secolo d.C., e dopo aver subito numerosi rimaneggiamenti assunse l'attuale aspetto per opera del noto architetto Francesco di Giorgio Martini, che lo riedificò per volere del Duca Federico da Montefeltro. Completamente ristrutturato, oggi è sede della "Scuola di Lingua e Cultura Italiana Giacomo Leopardi"».
http://www.comune.belforte.pu.it/c041005/zf/index.php... - http://www.weagoo.com/it/card/19129/castello-di-belforte-allisauro
«Il Torrione è tutto ciò che rimane dell’antica fortezza, progettata da Francesco Di Giorgio Martini, che faceva parte di un piano di difesa voluto dal duca Federico da Montefeltro. Notizie sull'edificazione sono riferite dal Gucci, il quale all'anno 1481 narra che "circa questi tempi fabricavasi da Federico la fortezza del Monte di S. Domenico in quel luogo appunto sopra Cagli dove già era il Monasterio di S. Ghironzo e questa memoria si ha da un decreto fatto dal vescovo Guido nel 1481, contra quelli che havevono beni nella Corte della Città, e ricusavano di pagar la decima del grano, vino, e lino al Vescovado e Canonica poiché esso imponeva à trasgressori, oltra la scomunica, la pena d'un fiorino d'oro per ciascuno e l'applicava per la metà alla Sua Camera e per l'altra metà alla fabrica della fortezza che si edificava nel Monte di San Domenico". La fortificazione cagliese fa parte di quel grande piano difensivo voluto dal duca Federico da Montefeltro e per il quale venne chiamato il senese Francesco di Giorgio Martini. L'uso delle armi da fuoco, che nella seconda metà del Quattrocento comincia a farsi sempre più massiccio, impone agli architetti militari di escogitare nuove soluzioni. La Rocca di Cagli, della quale rimane integro il solo Torrione, è considerata una delle strutture più significative e di forte contenuto innovativo, progettata da Francesco di Giorgio nelle Marche settentrionali". Il Torrione venne costruito a cavallo della cinta muraria medioevale, di cui si intravedono i resti all'interno del fossato parzialmente riaperto durante i lavori di restauro conclusi nel 1989. Nell'odierna pavimentazione stradale una fascia semicircolare di pietra bianca indica il livello ove è stato rinvenuto il muro di contenimento del fossato che fino al Settecento conteneva acqua di risulta dell'acquedotto comunale. Durante l'opera di riapertura parziale del fossato è stata trovata la base di appoggio del ponte levatoio. Al di sopra della stretta porta situata verso la città sono le due asole attraverso le quali scorrevano le catene del ponte levatoio. Superata la porta lignea a due ante si accede ad un breve corridoio, con volta a botte munita di spioncino comunicante con la sovrastante zona di manovra del ponte stesso.
Il vano del primo piano si presenta come gli altri estremamente spartano, con le cinque grandi troniere, delle quali una verso la città permette di controllare la sottostante via, un tempo molto stretta, che porta alla piazza maggiore. Buona parte delle troniere è ancora munita del "fumigante", ovvero il camino di aspirazione dei fumi delle armi da fuoco. Ognuna di queste postazioni da tiro, ricavate nel forte spessore della muratura, reca la lastra di pietra con la tacca per la mira ed il foro circolare per l'innesto dell'arma da fuoco. Quasi al livello del pavimento ci sono dei fori quadrati paralleli che servivano per posizionare l'arma da fuoco per mezzo di stanghe di legno. Nella parte sinistra della stanza ovoidale si trova il condotto finestrato che permette di attingere acqua dalla sottostante cisterna. Al di sotto della stanza del primo piano, e dunque a livello del fossato, ci sono due locali semicircolari voltati e non comunicanti, ai quali si accede con due separate scale. Da uno di questi si imbocca il lungo "soccorso coverto", ossia il camminamento segreto costituito da 367 gradini che, scavato nelle viscere del vicino colle conduce alla piazza d'arme della sovrastante Rocca. Oggi il camminamento è aperto al pubblico. La stanza ellissoidale del secondo piano non presenta alcuna bocca da fuoco, bensì due strette aperture che permettono di controllare le antiche mura cittadine in parte atterrate durante il Novecento. Il Torrione si distingue rispetto alle antiche torri medioevali per essere molto elevato, ma decisamente più compatto, e per l’andamento curvilineo delle sue cortine. Le scale lumacate che scompaiono nel forte spessore delle murature conducono tanto al piccolo vano dal quale per mezzo di argani, veniva sollevato il ponte levatoio, quanto all'ultima stanza che si differenzia dalle altre per la sua copertura a capriate e che forse non è andata esente da rimaneggiamenti cinquecenteschi. L'intonaco reca graffiti uno stemma e il motto che recita "CARO MIO CONPAGNO AMA DIO E LA SUA MADRE SIGNORE CONTE RUBERTO [BOSCHETTI] SIGNORE ROSO RIDOLFIADI 24 DE NOVEMBRE 1519". L'ampio ballatoio presenta 58 caditoie per la difesa piombante, ora chiuse da botole di legno, e 15 feritoie. Il Torrione è oggi sede del Centro di Scultura Contemporanea ed ospita sculture di: Alamagno, Coletta, Gastini, Icaro, Kounellis, Lorenzetti, Mattiacci, Nagasawa, Nunzio, Paolini, Porcari, Uncini, Zorio».
http://www.urbinoeilmontefeltro.it/CMDirector.aspx?id=2405 (da Il forestiere in Cagli di Alberto Mazzacchera)
«Il castello di Candelara, con la cinta muraria ancor oggi ben riconoscibile, è sorto dopo il Mille e costituisce un gioiello della architettura militare del '400 per la cui realizzazione intervenne anche l'architetto Matteo Nuti. è un luogo ameno e panoramico dove si respira un'aria d'altri tempi. In questo castello si rifugiò Federico Barbarossa nel 1176 dopo aver subito la sconfitta ad opera della Lega Lombarda capeggiata da Alberto da Giussano. Dalla piazzetta, in cui fino a poco tempo fa era aperta una caratteristica osteria, si accede nell' antico borgo che conduce verso la restauranda Chiesa di San Francesco, a sinistra si trova invece la quattrocentesca Chiesa di San Giovanni. Da non perdere la visita alla Pieve di Santo Stefano, centro della vita religiosa di un piccolo insediamento umano, qui dedicato a Santo Stefano protomartire, ha origini molto antiche, risalenti al VI-VII secolo, sorta cioè prima del Castello...».
http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/borghi/pesaro-candelara.html
CANTIANO (palazzo del Comune, palazzo del Vicario)
Palazzo del Comune. «Sito in piazza Luceoli, costruzione del 1800 in puro stile rinascimentale si appoggia all'antico Palazzo del Podestà ed a quello dei Priori. Nell'atrio è in vista una colonna miliare risalente al 305 d.C. di provenienza dalla antica via Flaminia dove segnava il miglio CXL da Roma (140°). Nella bella sala consiliare si trova, tra le altre, una tela raffigurante un "Mane nobiscum Domine" di Felice Damiani da Gubbio, un antico camino di pietra serena proveniente dal Palazzo Priorale insieme ad una bellissima lumiera in vetro di Murano. Dipinti, fregi, stemmi ed ornamenti ne fanno una delle più bele sale consiliari della provincia. Nell'ufficio del Sindaco è posta una autentica "Savonarola" con lo stemma dei Della Rovere e le lettere "FM" che la farebbero appartenuta al duca Francesco Maria II. Nella biblioteca comunale sono collocate numerose pregevoli opere antiche tra cui alcuni incunaboli: prezioso un De Bello Gallico del 1480, insieme ad una raccolta di pergamene riguardanti gli interessi della Comunità, scritte in lingua dei primi del 1400. All'esterno, particolare interesse ha l'orologio pubblico...» Palazzo del Vicario. «Era l’abitazione del vicario (poi podestà) che rappresentava in loco l’autorità centrale (duchi di Urbino e legati pontifici) e, in qualità di giudice, amministrava la giustizia nei limiti consentiti dallo statuto comunale. Consta di un piano terra e di due superiori. Sul riquadro del portone, in ferro battuto, è riportato lo stemma della comunità e sull’arco superiore del portone è incisa la scritta “UNICUIQUE SUUM TRIBUENS”. Durante l’inagibilità del Palazzo Comunale di Piazza Luceoli accolse gli uffici amministrativi».
http://www.comunecantiano.eu/PalazzoComunale.asp - http://www.comunecantiano.eu/PalazziStorici/02_PalazzoVicario01.htm
Altri Palazzi: www.comunecantiano.eu/PalazziStorici/PalazziStorici.htm
Carpegna (Palazzo-fortezza dei Principi)
a cura di Renzo Bassetti
Castelnuovo (borgo fortificato)
«Il Castello di Castelnuovo sorge ad Auditore all'interno della bella Valle del Ventena. Fino alla metà del 1300 anche Castelnuovo seguì le vicende politiche di tutto il comprensorio riminese fra Conca e Foglia, segnato dal solco del torrente Ventena. I Canonici di Rimini già nel 1202 affittavano a un certo Bernardo "de Castro Novo" un manso di terra esteso 15 tremissi. Quindi Castelnuovo risulta costantemente sotto il dominio religioso e anche amministrativo del vescovo di Rimini. Nella seconda metà del '200 il vescovo Giacomo pretese la restituzione di i suoi antichi castelli, fra cui Saludecio, Castelnuovo, Inferno, Pian di Castello, Ripassana e Valle Avellana, Girone. Dispersa la famiglia signorile dell'Auditore, i Malatesti di Rimini cominciarono a dominare tutto il contado, compreso Castelnuovo. Per oltre quattro secoli, Castelnuovo rimase legato alle vicende storiche di Pesaro, anziché a quelle di Rimini, come un'isola amministrativa. La causa di questo strano assetto territoriale risale alla politica di spartizione a scacchiera fra i vari rami della famiglia malatestiana. In epoca medioevale Castelnuovo ebbe una consistente popolazione. Nel 1371 la comunità venne censita per 25 fuochi (famiglia imponibili): un po' meno di Tavoleto ma più di Auditore, che contavano rispettivamente 30 e 21 fuochi».
Cavoleto (palazzo Cosmi e borgo)
a cura di Renzo Bassetti
«Il nome, Cerasa, pare risalga al Monte della Ceregia, dove il castello fu ricostruito dopo la distruzione del primo, detto castello di Quercifissa e dipendente dall'abbazia di San Paterniano di Fano, come attesta un documento del 1156. L'abitato presenta un perimetro murario scarpato abbastanza integro, con tracce di beccatelli, torri e porta. Oltre alla piazza e ai suggestivi vicoli tra piccole case a schiera con orti, sulla piazza da notare è il portale in mattoni e arenaria di casa Giraldi con stemma in cotto di Eugenio Beauharnai» - «Nel periodo che va dal XII al XV secolo, nascono e si sviluppano numerosi castelli del “Comitato di Fano” sul piano e sulle colline a sinistra del fiume Cesano. Tra questi castelli, risulta anche quello di Cerasa di cui, il suo antico passato, è ancora oggi testimoniato dalla poderosa, seppur in parte manomessa, cinta muraria a scarpa con tracce di beccatelli, dalla porta d’ingresso e dalle due alti torri. Le prime notizie su Cerasa, attualmente frazione del territorio comunale di San Costanzo, risalgono alla Bolla di papa Adriano IV del 7 maggio 1156, confermate poi dalla analoga Bolla di Alessandro III del 18 aprile 1178. I due importanti documenti pontifici, riguardano i beni e i privilegi posseduti dall’Abbazia di San Paterniano di Fano, erede dell’antichissima Abbazia benedettina di San Martino, ora non più esistente, sorta lungo la via consolare Flaminia a circa mezzo chilometro dall’ arco di Augusto, sul luogo del primitivo Eremo fondato da Paterniano uno dei primi vescovi di Fano. In entrambe queste bolle il “Castello” di Cerasa è citato con la sua originaria denominazione di “Querciafissa” o “Quercia Scissa”. Allorquando nel XIII secolo questo primitivo “Castello” venne demolito, con le sue macerie i monaci di San Paterniano ne fecero costruire uno nuovo sulle sommità di un colle non molto distante e chiamato “Monte della Ceregia”, da cui derivò l’attuale denominazione di “Cerasa”. Questo “Castello”, all’epoca dipendente per l’amministrazione della giustizia dal Presidiato (tribunale) di San Lorenzo, il 2 aprile 1279 venne ceduto dai monaci a Giovanni di Sant’ Andrea. Nel 1380, Domenico Martinozzi, abate di San Paterniano fece restaurare e fortificare il “Castello” di Ceregia, con la solidale e gratuita opera di tutti i castellani. Nel 1432 Ceregia, pur essendo un piccolissimo centro, per difendere l’integrità dei suoi confini, non esitò a sfidare la vicina San Costanzo e la potente Fano malatestiana. Soltanto il provvidenziale intervento di Egidio, vicario di San Lorenzo in Campo e incaricato dal governatore della Marca Giovanni Vitelleschi vescovo di Recanati, riuscì a risolvere la controversia. Nel 1346, per volere di Bernardo Martinozzi, abate del monastero di San Paterniano, all’interno del “Castello” di Cerasa fu edificata la Chiesa parrocchiale dedicata a San Lorenzo martire. ...».
http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/borghi/san-costanzo-cerasa.html - http://iat-tourismofficesancostanzo.jimdo.com/cerasa
Cerignano (borgo fortificato, torre)
«...Tornando da Certalto verso Macerata è possibile imboccare una via in direzione Cerignano. Si oltrepassa così il minuscolo borghetto di Ca Madìa, lasciandoselo sulla sinistra. Qui restano abitazioni rurali avvolte dalla leggenda che vorrebbe, in questo luogo, la presenza di alcune grotte che oltrepassavano il colle dove, un tempo, gli abitanti locali vi riponevano attrezzi e formaggi. Da Ca Madìa la strada prende a discendere; in alto, su un vicino colle, compare il borgo di Palazzo Dolcino e, in basso, la torre di Cerignano. Si tratta di una torre poligonale residua di una piccolissima fortificazione qui piantata a guardia della valle. La torre ha subìto recenti interventi di restauro ed oggi si presenta in buono stato di conservazione. A prima vista, non prestando troppa attenzione a questo manufatto, ci si chiede il senso di una torretta posta praticamente in piano, nel fondo di una valle, circondata soltanto da qualche fratta ed un fosso spesso in secca. Qui, nel medioevo, si trovavano importanti percorsi che permettevano a chi proveniva dal vicino castello di Montecerignone (dalla seconda metà del 1300 sede del “Comune di Montefeltro” e, dunque, luogo importante) di tagliare verso Urbino, città comitale. In più, proprio alle spalle di Cerignano, verso est, si trovava l’importante centro di Valle di Teva (ora in comune di Montecerignone). Cerignano sorge dunque in un importante crocevia, come centro nelle mani dei Malatesti di Rimini . La sua torretta, quattrocentesca, che però non doveva essere isolata, ma circondata da mura e, probabilmente, da altre torri simili, somiglia particolarmente a quella presente all’ingresso del castello di Frontino, sempre nel Montefeltro, appena superato il cimitero cittadino. ...».
http://www.provincia.pu.it/fileadmin/grpmnt/1024/02_macerataFeltria.pdf
Certalto (resti del castello o borgo fortificato)
«...Si parte dunque, alla volta di Certalto che un tempo fu castello ed oggi una piccola frazione a cavallo di un poggio boscoso. Sale la via, dai 300 m s.l.m. di Macerata Feltria ai 530 di Certalto. Questa frazione, nel medioevo, fu vero e proprio castello con cinta di mura e porta cittadina. La porta è ancora presente; sebbene l’intonaco, steso in epoca moderna, non permetta oggi di cogliere la sua reale antichità, era comunque parecchio stretta ed affiancata da murature scarpate. La vecchia cinta è, per gran parte, crollata, ma procedendo verso sinistra, all’esterno dell’abitato se ne possono ancora scorgere i ruderi, che sono in pietra arenaria. Dopo il crollo del paramento della muratura resta a vista il retrostante sacco, appoggiato alla cima stessa del poggio. Una volta entrati all’interno dell’abitato si notano alcune case in pietra a vista, recentemente restaurate e la chiesetta del borgo al culmine della salita che fende l’abitato. ...».
http://www.provincia.pu.it/fileadmin/grpmnt/1024/02_macerataFeltria.pdf
«La costruzione non può essere più tarda del 9 d.C., data ricavabile dall'iscrizione del fregio (certamente un tempo a bronzee lettere dorate) che fa riferimento al XIII consolato e al XXXIII tribunato di Augusto, mentre è da ritenere un errore di scalpello il XXVI (al posto di XVI) per la carica di 'imperator'. Pressoché intatto in tutta la zona basale a grossi conci di pietra arenaria, esternamente rivestito da un perfetto paramento a blocchi di pietra del monte Nerone, è un tipico esempio di opus quadratum, notevole per la stesura compatta e levigatissima della superficie su cui si distaccano le sottili liste d'ombra delle modanature dell'estradosso del fornice maggiore con chiave di volta a protome zoomorfo e su cui sporge l'elemento conclusivo della trabeazione. Superiormente, purtroppo, a parte i pittoreschi resti ancora visibili, il grande attico a pseudoportico corinzio fu diroccato dalle artiglierie di Federico da Montefeltro durante lo storico assedio di Fano che segnò la fine della dominazione dei Malatesti sulla città (1463), mentre le pietre cadute furono successivamente riutilizzate nella costruzione delle adiacenti chiesa e loggia di S. Michele. Del suo aspetto originario resta comunque il ricordo figurativo nell'altorilievo rinascimentale scolpito su un lato della facciata della chiesa suddetta, mentre dal fregio dell'attico abbattuto proviene il frammento con la scritta AVGVSTO incastonata sul lato opposto della stessa facciata. Il frammento è parte dell'iscrizione (DIVO AVGVSTO PIO CONSTANTINO PATRI DOMINORVM) che aveva fatto supporre in passato che detto attico fosse più tardo (337 d.C.), mentre ora viene dato per certo che in epoca post-costantiniana fu solo aggiunta l'iscrizione, come fu certo aggiunta quella della zona inferiore relativa a Lucio Turcio Secondo Asterio, figlio del prefetto di Roma Aproniano, curatore di un restauro del monumento eseguito dopo il 339 d.C. Una costruzione, dunque, che svolgeva il duplice ruolo di opera commemorativa dell'intervento voluto da Augusto che murum dedit e di barriera e filtro dell'ampio rettifilo urbano, oggi notevolmente ristretto dai fabbricati che hanno otturato sul retro i due fornici minori e invaso l'area del propugnaculum. Del tutto manomesso è ormai il prospetto interno dell'arco, né in condizioni ottimali si presenta il superstite torrione sulla sinistra del fronte esterno che dopo il 1493 ha perduto il suo gemello sul lato destro. Solo con l'aiuto della fantasia è possibile pertanto immaginare l'aspetto originario del monumento, tenuto anche conto del livello stradale un tempo più basso (quello delle due trincee che fiancheggiano la costruzione) e del rapporto proporzionale di due terzi a uno fra la zona inferiore e l'attico abbattuto».
http://www.infofano.it/fanocity_architettura_arcoaugusto.htm (a cura di Franco Battistelli)
«Fu il timore dei corsari saraceni, diventati famosi per i loro sbarchi improvvisi e per le razzie e carneficine di cui nel 1480 la città di Otranto era stata la vittima più illustre, a indurre i fanesi a progettare (già dalla fine del secolo XV) la costruzione di un nuovo potente baluardo al vertice sud-orientale della cinta murata. Il progetto cominciò però a concretizzarsi solo nel 1532 quando da Roma fu inviato a Fano l'architetto camerale Antonio da Sangallo per il risarcimento delle mura sul lato mare, diroccate allora in più punti, e per progettare il suddetto baluardo. Certo è che i lavori procedettero con lentezza, causa la cronica mancanza di denaro e per il continuo stato di pubblica turbolenza; nel 1549 le opere non erano ancora terminate e solo nel biennio 1551-52 fu possibile portarle a termine sotto la direzione di Luca da Sangallo, ponendo al sommo dello sperone angolare il grande stemma in pietra con l'arma di papa Giulio III e la scritta a ricordo dell'anno giubilare 1550. Da allora il bastione, simile nella struttura a quello di maggiori dimensioni inserito dal Sangallo nella cinta delle mura Aureliane a Roma, ha rappresentato il punto nevralgico della difesa costiera della città, insieme con la vecchia rocca Malatestiana e con il lungo tratto di mura scarpate che ancora oggi fronteggia il mare. Quella che pochi conoscono, causa lo stato di degrado interno in cui si trovava il fortilizio prima dei recenti restauri portati a termine nel dicembre del 2003, è la suggestiva veduta della costa adriatica (dal monte S. Bartolo a nord, al monte Conero a sud) che si può godere dalla sommità del terrapieno addossato agli spalti. Il suddetto ricordato restauro ha finalmente consentito il recupero di tutti gli spazi interni (scoperti e coperti), dal cortile e dal portico che lo caratterizza sul lato orientale, ai terrapieni a più livelli, al grande ambiente usato un tempo per il deposito delle polveri da sparo, ai cunicoli e camminamenti segreti sotterranei. Un monumento che con il coevo tratto di mura che si spinge fino al largo della scomparsa porta Marina è testimonianza esemplare del grado di perfezione raggiunto dall'arte fortificatoria a metà del secolo XVI per opera di autentici specialisti come furono i componenti la famiglia dei Sangallo».
http://www.infofano.it/fanocity_bastionesangallo.htm
«Il castello di Montegiove è una prestigiosa e raffinata Country House, che sorge alle porte di Fano, sulle prime pendici del colle omonimo dalle quali si gode la vista del mare, della città e delle verdi collini circostanti. Il complesso, realizzato tra fine '800 e inizi '900 in stile neogotico, è reso inconfondibile dalla suggestiva torre ottagonale merlata che lo sovrasta e svetta tra gli alberi secolari. Un vasto parco, infatti, un tempo riserva di caccia, il campo pratica golf, la piscina scoperta ed i giardini dalle aiuole fiorite incorniciano questa incantevole residenza, che, destinata in origine alla villeggiatura estiva, comprende anche la casa del custode e l'edificio che accoglieva gli spazi di servizio come la scuderia, i magazzini, le serre, ora armonicamente saldati al corpo centrale mediante un portico e una piazzetta».
http://www.icastelli.net/localita-128-1-castello_montegiove.html
Fano (cinta muraria, porte, bastione di Matteo Nuti)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La Porta Maggiore, davanti all'Arco di Augusto, era una delle porte di Fano verso la terraferma realizzata ai tempi dell'ampliamento della città nel 1227. Nel 1425, sotto Pandolfo III Malatesta ma a spese del Comune, la porta era stata rinforzata da un torrione. Attualmente il fronte esterno della porta si presenta, dopo i restauri di primo Novecento, con due accessi, carraio e pedonale, e una merlatura. Le mura sulla sinistra sono state tagliate in epoca fascista per consentire un accesso in asse con l'arco romano. Il bastione a sinistra della porta è attribuito al celebre architetto fanese Matteo Nuti, che nel 1464 iniziò i lavori di restauro della Porta Maggiore o Malatestiana. In fondo al fossato precipitava l'acqua dei Molini Albani detti del Vallato. All'interno, nel 1933, sono stati ricavati i 'giardini Roma' (questa zona è detta anche "il Pincio" ), dove, su indicazione del Sovrintendente Amedeo Maiuri, direttore del Museo di Napoli, nel 1937 è stata collocata una moderna copia bronzea nel noto Augusto di Primaporta».
http://oldsite.comune.fano.ps.it/pagina.aspx?pag=1151
«Arbitrariamente ribattezzato nelle guide ottocentesche e in quelle del nostro secolo come Palazzo della Ragione, si presentava in origine isolato su tutti e quattro i lati con un triplice loggiato che ne occupava l’intero piano terra e un grande salone con pareti affrescate che si estendeva al piano superiore. Direttamente imparentato con i palazzi gotici lombardi ed emiliani, non cede però al fascino dell’arco acuto. Inferiormente è tutto in pietra viva, con accurate modanature nelle basi e nelle cornici d’imposta dei pilastri e degli archi; superiormente è invece tutto in laterizi con la sola eccezione delle colonnette in pietra delle quadrifore (rifatte però nel secolo scorso) e degli antichi stemmi podestarili quasi tutti oggi abrasi. Un’arbitraria aggiunta ottocentesca è la classicheggiante merlatura del ricco elaborato cornicione. Un’epigrafe, ben visibile sul pilastro angolare di destra, riporta nomi e date: quello di papa Bonifacio VIII e quello del piacentino Bernabò di Lando che fu 'primus capitaneus gubernator et defensor et reformator populi comunis civitatis Fani', l'anno 1299 ed il giorno 2 di maggio in cui ‘inceptum fuit hoc opus'. Sul bordo della cornice è inoltre indicato il nome dell’architetto: 'Magister Paulutius me fecit'. Il periodo, quindi, più aspro e difficile delle libertà comunali, minato dalle faziose competizioni interne delle famiglie Del Cassero e Da Carignano ed insidiato dalle aspirazioni esterne di Malatestino Malatesti, il dantesco ‘traditor che vede pur con l'uno'. Fra quelle antiche mura dovette quindi spesso adunarsi il Gran Consiglio dei capi famiglia per discutere, decidere e deliberare sulle sorti delle alleanze, della pace e della guerra. E sempre qui vuole la tradizione che il cardinal Egidio d’Albornoz abbia convocato quel Parlamento della Marca (aprile 1357) da cui uscirono promulgate le famose 'Constitutiones Aegidianae'. Sull'arcata centrale del prospetto è posto il Trittico dei Protettori che risale a due epoche distinte. La nicchia centrale (con la statuetta in pietra di S. Paterniano, la cattedra ed il ricco tortiglione) è infatti dei primi anni del secolo XIV, mentre le nicchie laterali (con le statuette in cotto di S. Fortunato e S. Eusebio) e la classica incorniciatura in pietra sono opera del sec. XVI. La moderna, brutta Torre Civica (1950) è stata discutibilmente eretta in sostituzione del settecentesco ‘campanile di piazza', diroccato a mine dalle truppe tedesche in ritirata (insieme con tutti gli altri campanili delle maggiori chiese fanesi) nell'agosto del 1944».
http://www.comune.fano.ps.it/index.php?id=268
Fano (palazzo e corte Malatestiani)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«L’edificio è situato sul lato est di Piazza XX Settembre, su un'area che già in epoca romana aveva ospitato edifici importanti, come documentato dalla presenza di mosaici risalenti alla fine II o inizi del III secolo d.C. La parte più antica, che oggi ospita gli uffici e la direzione della Cassa di Risparmio di Fano, sorse per volere di Galeotto I Malatesta dopo il 1357, anno in cui divenne Vicario Apostolico, e di fatto Signore, di Fano. Notevole è la grande volta trecentesca a crociera già facente parte della casa malatestiana e attualmente sede della presidenza della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano. La torretta scalare cilindrica che è visibile dalla corte sul lato di mezzogiorno non è di facile datazione, ma si presume sia tra le parti più antiche del palazzo. La parte più recente, quella che occupa il lato di tramontana ed è oggi sede di Pinacoteca e Museo Civico, fu invece fatta erigere da Pandolfo III Malatesta fra il 1413 ed il 1423. Attualmente l'edificio appare largamente rimaneggiato da vari interventi, fra cui va citato quello dell'architetto Alberto Calza Bini che nel 1929 operò varie aggiunte "in stile" alla struttura originaria. Rimangono comunque degne di nota le bifore gotiche in cotto lavorato presenti sia sul fronte nord orientale della corte che sul fronte posteriore, databili a dopo il 1420. Lo scalone e la loggia furono ricostruiti come appaiono oggi nel 1544, per opera dello scalpellino Giovanni Bosso, in un tempo nel quale la signoria dei Malatesta era da tempo tramontata e nel palazzo si era insediato il civico Magistrato. Notevole anche l'Arco Borgia Cybo (ultimi anni del 1400), che permette l'accesso da Piazza XX Settembre. Nell'androne retrostante che conduce alla Corte si trova una nicchia con la Madonna dei Martinozzi, cinquecentesca, qui trasferita nel 1849 dal vicino Palazzo del Podestà. Il palazzo è inoltre collegato al Palazzo del Podestà tramite un pontile, ricostruito ma presumibilmente presente anche nella struttura originaria».
«Lo fece erigere dalla fondamenta il nobile Francesco Martinozzi a partire dal 1564, anno in cui gli fu concessa l’autorizzazione ad abbattere l’antica chiesa di S. Maurizio per utilizzarne l’area. Della chiesa abbattuta restano tuttora tracce evidenti sulla parete esterna che delimita lungo via Arco d’Augusto il fianco settentrionale del palazzo. Qui infatti la costruzione non risulta essere stata eretta ex novo, ma utilizzando parte delle murature preesistenti, tamponandone le aperture (fra queste una monofora tribolata e una stretta apertura ad arco acuto simile alla cosiddetta ‘porta del morto’) e conservando incastonata un’interessante croce romanica in pietra. Più avanti, a delimitare lo spigolo posteriore di nord-est, sopravvive la zona inferiore (quella superiore è solo un rifacimento moderno) di un’antica casa-torre medioevale. Una pura e semplice ipotesi che non trova alcun riscontro nei documenti è l’attribuzione del disegno della bella facciata a Jacopo Sansovino: facciata che solo nel 1937 ha potuto emergere in tutta la sua severa monumentalità in seguito all’apertura del piazzale degli Avveduti. Ai lati stanno le robuste fasce verticali dei due spigoli a bugnato, raccordate a metà dalla ben evidenziata fascia marcapiano, orizzontalmente tesa a suddividere la zona inferiore da quella superiore, conclusa questa dal raffinato cornicione a mensole binate. Al centro della zona inferiore domina il bel portale, caratterizzato dal motivo squisitamente rinascimentale dell’incorniciatura a punte di diamante e dalle strette paraste scanalate. Il tutto in pietra arenaria, come le altre parti ornamentali simmetricamente distribuite: dalle incorniciature delle nove grandi finestre con timpani triangolari e arcuati, ai cinque caratteristici finestrotti ad apertura ottogona del sottotetto».
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Sorge all’estremità nord-orientale dell’antica cinta murata ed aveva al suo vertice angolare una severa imponente torre di vedetta, il Mastio, vittima della barbarie degli uomini in guerra (1944). Alle massicce fondamenta della superstite base scarpata si riallaccia oggi quanto resta dell’antico camminamento merlato che corrisponde verso l’interno all’area occupata dalla cosiddetta Rocchetta; certamente la parte più antica del fortilizio, sorta sui resti di opere di difesa romane e medioevali e forse precedente all’intervento edificatorio iniziato nel 1438 d’ordine di Sigismondo Malatesti che ne curò molto probabilmente anche la progettazione con la collaborazione dell’architetto Matteo Nuti. Intervento che si concluse nel 1452 con l’erezione del ricordato mastio: ideale avamposto per la sorveglianza costiera e, all’occorrenza, anche faro per guidare la rotta del naviglio fanese e malatestiano che aveva i suoi approdi muniti di ‘palate’ proprio sotto il fortilizio. La costruzione subì poi, in relazione al mutare delle esigenze difensive e degli eventi storici, adattamenti e modificazioni, mantenendo peraltro nel suo complesso la fisionomia originaria di ampio rettangolo fortificato, delimitato da cortine scarpate con robusti torrioni angolari. Un doppio ponte levatoio munito di rivellino permetteva di superare il fossato e di accedere all’interno, là dove è oggi il doppio ponte in muratura che dall’alberato piazzale Malatesti raggiunge l’atrio, sfociante a sua volta nel vasto cortile a prato, delimitato dal muro di sostegno dei camminamenti e dal basso fabbricato che sul lato orientale ospita le vecchie celle e la piccola cappella. In origine terrazzato, quest’ultimo fu più tardi sopraelevato e coperto a tetto per ospitare una capiente stalla a cui si accedeva tramite la caratteristica rampa a mattoni posta sulla destra dell’ingresso: un ambiente oggi utilizzato per esposizioni e mostre d’arte.
Nel sottosuolo gallerie e passaggi segreti mettevano in comunicazione la rocca con la città e l’esterno, ma oggi tale rete di comunicazioni è del tutto impraticabile, né esistono rilievi che ne permettano l’esplorazione. Certo è che le condizioni di degrado dell’intero monumento ne reclamano un accurato restauro scientifico che si spera possa essere realizzato quanto prima. Alla storia della rocca resta particolarmente legato il nome di Roberto Malatesti detto il Magnifico (figlio naturale di Sigismondo e della fanese Vannetta Toschi) che vi sostenne l’assedio del 1463 e vi firmò quei trattati e quegli articoli di pace che segnarono la fine della dominazione malatestiana su Fano. Ultimo avvenimento di rilievo la sosta di Giuseppe Garibaldi con la sua legione che nel 1848 vi trovò riposo e ristoro durante la marcia dalla Romagna verso Roma. All’estremità orientale di piazzale Malatesti ha inizio il percorso dell’antico camminamento delle mura malatestiane: mura che corrono parallele alla costa adriatica fino al largo della scomparsa Porta Marina (oggi piazzale Rosselli) e dai cui spalti era un tempo possibile far spaziare l’occhio sugli orti costieri e sul mare. Sotto la cortina, più volte risarcita in epoca pontificia e anche ai tempi nostri, è stato rimesso in luce un breve tratto di muro romano in opus reticulatum che gli esperti sono propensi a datare al periodo repubblicano. Sempre dal piazzale Malatesti, prendendo in direzione sud la via Nolfi e deviando a destra in via Vitruvio, si raggiunge l’alta molte della sconsacrata chiesa di S. Agostino».
http://oldsite.comune.fano.ps.it/pagina.aspx?pag=831
«Prendendo via Nolfi in direzione sud, si incontra subito sulla sinistra la cosiddetta Torre di S. Elena, antica casa-torre medioevale riutilizzata come campanile della scomparsa chiesa di S. Croce (vulgo S. Elena) che era la chiesa dell’antico omonimo ospedale sulla cui area sorge oggi il moderno Istituto delle Maestre Pie Venerini». La torre di Sant'Elena, «recentemente restaurata, è il tronco inferiore di una antica torre medievale, un tempo addossata alla chiesa di S. Croce, con funzioni di campanile. La chiesa e l'ospedale di S. Croce, risalenti entrambi al secolo XIV e sviluppatisi in epoca malatestiana, oggi non esistono più».
http://oldsite.comune.fano.ps.it/pagina.aspx?pag=834 - ...pag=1147
«Il piccolo borgo di Farneto dentro le mura dell'antico maniero risalente al X sec. ha mantenuto intatta la sua struttura e da cui si gode un magnifico panorama. Luogo strategico, dove nel XV secolo vi soggiornarono gli eserciti di Francesco Sforza e di Sigismondo Malatesta e luogo di preghiera, dove venne fondata l'Abbadia Benedettina di S. Tommaso in Foglia, che divenne chiesa rinomata e ricca in particolare nei secoli XII e XIII. Nell'abitato si trova una grande e rustica piazza chiusa da case in mattone e la chiesa di San Martino (nella foto sopra, sullo sfondo) che è ben conservata e ornata da un curioso campanile. Le mura circondano ciò che resta dell'antico Castello di Farneto che, fondato sulle rovine del tempio di Priapo, fu sottoposto alla giurisdizione dell'Abbadia della quale seguì le sorti. Oggi rimangono parte del caseggiato e le mura che fanno da terrazza per chi vuole ammirare la bella campagna circostante».
http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/borghi/montelabbate-farneto.html
Fermignano (torre medievale, ponte romano)
«Il Ponte “Romano” e la Torre Medioevale sono i simboli di Fermignano, costituendo il quadro urbano più rappresentativo e suggestivo dell’antico abitato. Il Ponte che attraversa il fiume Metauro viene considerato, dalla tradizione locale, di epoca romana; presenta una struttura a tre archi, costruita in blocchetti di pietra disposti in bassi filari e con tratti di restauro a mattoni. La matrice romana del ponte è confermata anche dalla tipologia dei piloni e dalla pianta in generale, proprio come altri antichi ponti conservati lungo la vicina Flaminia. A metà ponte è situata un’edicola, con una struttura a capanna, dove si può ancora oggi ammirare una Madonna con Bambino di fattura tardo quattrocentesca, questo porterebbe a confermare che l’edicola sia stata eretta o abbellita in occasione di un risarcimento del ponte per volere di Federico da Montefeltro, probabilmente sotto la direzione di Francesco di Giorgio. La Madonna con Bambino è da inserire nella produzione cinquecentesca di scuola urbinate, è stata di seguito racchiusa in una cornice ovale e rimaneggiata in forme neoclassiche, mentre dieci anni fa fu riportata alle sue forme originarie ovvero coperta da un paliotto ligneo dorato e decorato da baccellature con ovali che rendono visibili solo i volti. La Torre si erge tra il ponte e la cartiera ed è in asse con la via principale del centro storico. Le sue origini non sono ben stabilite, infatti, pare molto probabile che sia sorta proprio con il ponte, svolgendo un importante ruolo di controllo sul Metauro, di stazione, di pedaggio e di difesa cittadina. Ponte e Torre sembrano costituire un unico complesso monumentale, di fondamentale importanza strategica della viabilità, soprattutto medioevale. La torre pare essere una tipica fabbrica medioevale; i suoi canoni costruttivi, il massiccio fusto in pietra, le enormi masse murarie e le piccole feritoie, rientrano perfettamente in quelli medioevali, ad eccezione della parte terminale. Quest’ultima sembra essere stata rimaneggiata da Francesco di Giorgio durante la sua permanenza ad Urbino al servizio dei duchi, deducibile dalla tecnica costruttiva e dalle proporzioni adottate al coronamento in mattoni della sommità. Nel 1886, veniva costruita ai piedi della Torre la fontana pubblica: il Mascherone».
«È uno dei quattro castelli (insieme a Casteldimezzo, Gradara e Granarola) edificati tra il X ed il XIII secolo, al fine di costituire un organico sistema difensivo per il controllo del valico della Siligata, nell'area di confine tra la Chiesa Ravennate e la Chiesa Pesarese prima, e tra i Malatesta di Rimini e quelli di Pesaro poi. Il borgo, denominato originariamente Fiorenzuola, assunse nel 1889 la specificazione di Focara, probabilmente per la presenza nell'antichità di fuochi che segnalavano ai naviganti la posizione, o per la presenza di "fornacelle" dove si cuocevano laterizi e terrecotte (dal dialetto romagnolo fuchèr o fughèr, cioè focare per cuocere i laterizi). Rimangono, quali testimonianze della sua storia, qualche portale del '600-'700, alcuni picchiotti ai portoni, resti delle mura medievali. Interessante anche la porta sulla quale una targa rievoca i versi danteschi (Inferno, XXVIII) relativi ad un fatto avvenuto sul mare antistante. Da segnalare inoltre la chiesa di Sant'Andrea, sulla quale esistono documenti fin dal XII secolo. È particolarmente suggestivo passeggiare per questo piccolo borgo, che conserva intatta nei suoi vicoli e nelle sue piazzette la memoria del passato».
http://www.parcosanbartolo.it/Itinerari/Fiorenzuola.htm
Fossombrone (Corte Alta o palazzo Ducale)
«Edificato da Federico da Montefeltro a partire dal 1464 come sede ducale in Fossombrone, l'edificio della Corte Alta si presenta oggi come un volume imponente nella sua mole, posto a cerniera fra la parte più antica della città (Cittadella) e i quartieri rinascimentali e sei-settecenteschi. Risulta costituito da più corpi: uno centrale più basso, affiancato da due volumi emergenti: il loggiato pensile ad est ed il salone del teatro ad ovest, cui si collega un quarto corpo rimasto incompiuto. La Corte Alta, che vide spesso Federico fra le sue mura e dove il figlio Guidubaldo morì, andò poi soggetta ad un progressivo abbandono e fu spogliata dei suoi arredi e delle sue decorazioni architettoniche. A testimonianza del suo splendore restano oggi, nel piano nobile, i bei soffitti lignei con consistenti tracce della policromia originaria (motivi floreali, stemmi ducali, scritte: FE DVX), i camini, l'ampio fondale da teatro con ruderi antichi, edifici e motivi paesistici. L'edificio è oggi sede del Museo Civico e della Pinacoteca Civica "A. Vernarecci"».
http://www.lavalledelmetauro.org/standard.php?lingua=it&id_sezione=21&id_sottosezione=10&record=5378 (testo di Giancarlo Gori)
Fossombrone (Corte Bassa e Corte Rossa)
«Si ricorda principalmente come abitazione del cardinale Giulio Della Rovere, fratello del duca Guidubaldo II. La facciata è abbellita da un grande portale bugnato e da una serie di finestre riquadrate da una semplice cornice modanata. Pur avendo perduto gran parte dell'antico splendore, l'edificio presenta ancora molte caratteristiche degne di rilievo: l'ampio cortile con portico su di un lato, cui fanno riscontro, sul lato opposto, l'elegante ballatoio (attribuito all'architetto Ludovico Carducci) ed il sottostante ninfeo; i portali in arenaria, i soffitti lignei a cassettoni. Di particolare rilevanza la cappella privata del Cardinale, con pregevoli stucchi raffiguranti fatti della vita di S. Pietro, attribuiti al Brandani. Nell'edificio è documentato l'intervento dell'architetto Gerolamo Genga» (testo di Giancarlo Gori).
«Dopo la guerra roveresco-medicea (1517-1522) la Corte Alta venne abbandonata, preferendole, quale residenza, alcune "case rosse" poste lungo l'attuale Corso Garibaldi, che, unificate con altri edifici retrostanti, formarono un tutt'uno dall'area di poco inferiore a quella della Corte Alta. L'architetto Girolamo Genga (1476-1551) progettò una ricucitura degli edifici in via C. Battisti, detti Corte Bassa, collegandoli con un ballatoio coperto alla Corte Rossa, che fungeva da zona giorno (cucina, tinello, ecc.), nella ripartizione delle funzioni fra i due corpi di fabbrica. La duchessa Eleonora Gonzaga, moglie di Francesco Maria I della Rovere, vi soggiornò a lungo e ivi si spense nel 1550. Il suo secondogenito, il cardinale Giulio della Rovere (1535-1578), trasformò i palazzi nella sua corte, aggiungendo il portale d'ingresso a bugne grezze alternate, l'ala Est con il gioco del pallone, la cappella a stucchi di Federico Brandani dedicata a S. Pietro, il secondo ballatoio coperto e il ninfeo, opere dell'architetto Ludovico Carducci, il cortiletto superiore e il giardino segreto. Con il trasferimento a Pesaro della capitale e con la morte del cardinale Giulio, le residenze ducali vennero abitate solo saltuariamente dai membri della famiglia roveresca e dai nobili della loro corte. Dopo la devoluzione del ducato d'Urbino alla Chiesa i palazzi, gli arredi e le proprietà dei Della Rovere passarono alla famiglia Medici di Firenze» (testo di Renzo Savelli).
http://www.lavalledelmetauro.org/standard.php?lingua=it&id_sezione=21&id_sottosezione=10&record=5379
Fossombrone (palazzi Cattabeni, Comunale, Dedi)
«Palazzo Cattabeni. Cinquecentesco palazzo lungo la sinistra di corso Garibaldi detto anche del Monte di Pietà, la sua facciata è a bugnato con un portico a tre arcate e con tre alte finestre in pietra liscia. La famiglia Cattabeni originaria di Ferrara, si imparentò con i Seta-Rufo grazie al matrimonio del cavalier Flaminio ereditando così il sontuoso palazzo cinquecentesco. L'edificio fu interamente restaurato e consolidato dopo i danni subiti durante la guerra, racchiude una cappella decorata a raffaellesche e sale con soffitti lignei e cassettoni. Palazzo Comunale. Il palazzo fu opera di Filippo Terzi nel XVI secolo, la facciata a bugnato in arenaria e il portico a quattro arcate con alti pilastri, dopo un fregio in pietra liscia possiede un ordine di finestre a fronti triangolari. ... Palazzo Dedi. Si trova poco oltre palazzo Cattabeni, sulla destra di corso Garibaldi, edificato alla fine del XV secolo, la facciata è in bugnato piatto, con portico a tre arcate su robusti pilastri e finestre adornate da piccoli piastrini sormontate da trabeazione» - «Palazzo Comunale. Costruito fra il 1564 ed il 1571, è opera di Filippo Terzi, architetto del duca Guidubaldo II, i cui simboli araldici (l'ermellino, le tre mete, ecc.) si alternano con la torre che simboleggia Fossombrone nei piedistalli delle lesene che scandiscono la parte superiore della facciata. Dell'edificio originario resta integra solo la facciata in bugnato, con portico a quattro arcate intramezzate da un'apertura mediana di luce rettangolare, sopra la quale un'epigrafe ricorda il voto fatto dai forsempronesi per la nascita di Federico Ubaldo, figlio dell'ultimo duca di Urbino. Un cornicione dal forte aggetto costituisce la base d'appoggio per le ampie finestra coronate da un timpano triangolare, aperte tra il fitto bugnato del piano superiore. Sotto il portico si possono notare, sulla destra, le barre di ferro per la misura delle armi bianche da punta e da taglio ; sulla sinistra entro una nicchia, una copia della statua lignea dell'Immacolata, voluta dalla Comunità come ex voto dopo i disastrosi terremoti del 1703 e del 1781, dai quali Fossombrone non ebbe a subire particolari danni».
http://it.wikipedia.org/wiki/Fossombrone#Architetture_civili - http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/ville-palazzi-dimore...
Fossombrone (ruderi della rocca malatestiana)
«Situata alla sommità del colle di Sant'Aldebrando, entro il recinto della "cittadella" che domina l'abitato, la Rocca di Fossombrone costituiva uno dei capisaldi del sistema fortificatorio del Ducato di Urbino, a controllo della media valle del Metauro e della via Flaminia. L'impianto planimetrico - costituito da un recinto quadrilatero con torrioni angolari - si deve ai Malatesta, che nella seconda metà del XIV secolo ampliarono e trasformarono un precedente fortilizio duecentesco. A partire dal 1444, quando il feudo fu acquistato da Federico da Montefeltro, la rocca assunse l'assetto definitivo, adeguandosi alle esigenze militari e alle nuove tecniche difensive conseguenti all'uso delle armi da fuoco. I primi interventi federiciani portarono alla trasformazione del torrione sud-occidentale in baluardetto con alto saliente (1447) e alla costruzione di nuove mura perimetrali di scarpa. è negli anni successivi, tuttavia, che la rocca fu oggetto delle modifiche più radicali, con l'aggiunta a sud del corpo avanzato del mastio, ovvero di un possente rivellino dal profilo carenato al centro del lato meridionale (1470 circa). Per la conformazione di questo elemento, che corrisponde al caput degli schemi antropomorfici delineati da Francesco di Giorgio Martini, sembra oggi plausibile l'ipotesi di un diretto intervento del celebre architetto senese. In tal senso, se il primo intervento - quello relativo alla trasformazione del torrione medievale in baluardetto - rappresenta una delle prime risposte alle esigenze conseguenti alla comparsa della bombarda, il caput rivolto verso la città costituisce indubbiamente uno dei rari esempi applicati di rivellino teorizzati dal Martini. Smantellata nel 1502 in seguito alla guerra contro il Valentino, la rocca - un complesso costituito nel suo insieme da due torri poligonali collegate da un'alta muraglia sul fronte nord, dal baluardetto a sud-ovest, dai resti di una quarta torre poligonale a sud-est e dal caput carenato a sud - cadde in rovina, e tra le sue mura venne successivamente eretta la chiesetta di Sant'Aldebrando. Scavi recenti, effettuati a partire dal 1968, hanno riportato alla luce i muri di scarpa del lato occidentale, la base del torrione crollato ad est, e la parte sepolta del caput carenato, con le sue feritoie per il tiro radente, le sue sale voltate, i servizi ed i cunicoli di collegamento. Oggi le condizioni generali della rocca sono abbastanza precarie. Del resto la sua distruzione e le mutilazioni successive hanno via via alterato la sua fisionomia».
http://www.cultura.pesarourbino.it/elenco/rocche/fossombrone-rocca.html
Frontino (borgo, castello di Frontino)
«Ecco la piccola, grande Frontino (315 m s.l.m.) tranquillamente aggrappata al suo rilievo che i seri geologi definiscono “marnoso-arenaceo”. Superato un minuscolo cimitero alle porte del paese, una torre poligonale (originariamente pentagonale) molto simile a quella presente nella frazione di Cerignano di Macerata Feltria, accoglie il visitatore curioso. La torre è databile alla seconda metà del XV secolo ed alcuni sostengono che la paternità del manufatto sia del senese Francesco di Giorgio Martini, che per il duca di Urbino restaurò un importante numero di fortificazioni, ma la costruzione presenterebbe anche delle analogie con altre, sicuramente malatestiane. Ora si sale, controllati dalle mura ellittiche e si gira attorno al paese sino a trovare un varco d’accesso al corso cittadino. Le case sono ancora in pietra con inserti in laterizio che impreziosiscono le strutture, molte delle quali con le murature contraffortate originali di epoca medievale. Malgrado dei restauri piuttosto liberi e invasivi, si riescono a cogliere le strutture essenziali del castello come le mura (in parte ricostruite) e la torre civica, situata proprio al centro del tessuto urbano. Sul fondo del paese il palazzo dei Vandini, di periodo umanistico, famiglia che ebbe modo di legare inscindibilmente il suo nome a questo castello e agli stessi Montefeltro , per la sua fedeltà al ducato. Ma quale è il senso di Frontino? Un senso percepibile affacciandosi, con pazienza, dalle sue mura. Il paese odierno, come la maggior parte dei centri della provincia di Pesaro e Urbino, trova la sua origine nei secoli di mezzo. Il nome completo di questo castello è “Frontino di Massa” e già da solo spiega il perché dell’intero agglomerato. Ad essere puntigliosi il castello non farebbe parte del Montefeltro storico. Il territorio di Frontino, infatti faceva parte, originariamente, della storica “Massa Trabaria” o Massa Beati Petri. Ecco allora il senso di questo castello perso nella valle del torrente Mutino, sorto a poca distanza dal centro di Carpegna, ma che, con questo, non ha niente da spartire. Il confine tra papato e impero, in questa epoca di conflitti, correva proprio lungo il torrente Mutino.
S’immagini allora questo lembo di provincia tra XII e XIII secolo. I Carpegna e i Montefeltro vantavano possedimenti che, praticamente, quasi circondavano la piccola Frontino. Il torrente costituiva un confine talmente labile da essere attraversato, da ambo le parti, in continuazione. Le scaramucce tra le due fazioni erano all’ordine del giorno; queste, di tanto in tanto, potevano trasformarsi in vere e proprie lotte che giungevano sino all’orecchio dei pontefici, creando legittima apprensione alla Santa Sede. Il castello comunque resse bene agli urti derivanti dalla sua posizione di confine ed assolse al suo originale dovere sino al XIV secolo. Poi, un po’ a causa della prolungata assenza dei papi da Roma, nel periodo Avignonese, un po’ per il sempre maggiore potere acquisito dai conti di Urbino, i Montefeltro, per Frontino iniziarono i guai. Il castello fu devastato dai ghibellini il 4 giugno del 1332. Il delegato papale nella Marca, cardinale Egidio Albornoz, riuscirà comunque a recuperare i territori di San Pietro, ma li terrà per poco. Nell’anno 1378 infatti, un ormai prostrato papa Urbano IV, incapace di arginare o eliminare definitivamente la piaga delle famiglie nobili feretrane, scelse la via del compromesso e concesse al conte Antoniodi Montefeltro il definitivo dominio sul castello di Frontino (oltre che su altri centri del Montefeltro). Ora si può affermare che il castello diviene parte integrante del Montefeltro. Frontino si troverà a suo agio nelle mani della famiglia Montefeltro che, sino a qualche anno prima, aveva così intensamente avversato. Questo castello infatti si dimostrerà fedele al casato feltrio in più occasioni. Oggi Frontino è un paese defilato e tenacemente aggrappato al suo sasso che purtroppo, in alcuni punti, minaccia rovina».
http://www.provincia.pu.it/fileadmin/grpmnt/1024/05_frontino.pdf
«...verso il convento di San Girolamo , proprio sul culmine di un dosso posto di fronte ad esso, troneggia una casa, è Ca Tomassone. È strana questa abitazione. Una miscela di stili inganna il visitatore. Si tratta della classica “antica casa del contadino” o di una vera e propria “casa signorile”? Salendo per l’erta ghiaiosa che conduce ad essa si notano dei portici aperti sul piano terra ed una loggia al primo piano composta da suggestivi archi a tutto sesto di sapore rinascimentale; finestre con conci in arenaria ingentiliscono la facciata in uno spiccio tentativo di eleganza. Ma la casa ha anche finestre piccole e mura spesse e scarpate, di tipico sapore medievale e rustico. Probabilmente, su questo colle sorgeva, nel medioevo, una casa fortificata. Agli esordi del rinascimento i suoi proprietari (la famiglia nobile dei Vandini ) ingentilirono il corpo avanzato di Ca Tomassone con questo porticato e con l’apertura della loggia al primo piano. Tra quattro e cinquecento la campagna attorno Frontino dovette trovare un notevole impulso, visto il tentativo di abbellire una casa che nella terra e nel sudore aveva posto le proprie radici. È bello allora pensare, immaginare, osservando Ca Tomassone, un periodo relativamente tranquillo, quello che vede, dopo la seconda metà del ‘400 la fine del medioevo e l’inizio della gentile epoca rinascimentale. Una rinata serenità ed un utilizzo più consapevole della campagna, rende ora il contado, in alcuni casi, un vero e proprio luogo di delizia, dimora per piccoli signori locali, dove trovare quiete (anche un tempo le città erano chiassose!) e amministrare comunque le attività della campagna. Ecco il senso di Ca Tomassone, dai cui archi trasuda una vista unica sulla campagna frontinese che oggi non si discosta poi tanto da quella ammirabile dalle logge del ‘400. E proprio da qui, in un’infinita curiosità accesa dal frontinese, l’occhio cade su un secondo colle, posto proprio di rimpetto a quello che sorregge il rustico palazzotto. Da questo colle si eleva un campanile e si scorge un complesso piuttosto grande. ...».
http://www.provincia.pu.it/fileadmin/grpmnt/1024/05_frontino.pdf
Frontino (palazzo Vandini, rocca dei Malatesta, torre dell'Orologio)
«Ancora circondato da una robusta cinta muraria, [il borgo di Frontino] racchiude al suo interno l’antico Palazzo Malatesta ricavato dal quattrocentesco palazzo Vandini, nel cuore del centro storico. Il palazzo, dai cui scantinati partiva un camminamento sotterraneo che conduceva al mulino trecentesco sottostante il borgo, è stato restaurato nel 1980 e trasformato in un’elegante residenza con sale finemente arredate, ristorante e albergo. Il centro abitato, recentemente ristrutturato, conserva la sua struttura medioevale, caratterizzata da antiche case in pietra disposte in maniera ortogonale, strette vie, alte mura di cinta e torri civiche» - «Frontino ha la sua Torre civica, sentinella del Capoluogo e del Palazzo comunale, più avanti il Torrione, a presidio delle mura castellane, ricorda il Medioevo e gli assalti dei potenti vicini, sempre respinti dai valorosi abitanti del Castello. Il Palazzo Vandini richiama l’attenzione del visitatore all’Umanesimo e al Rinascimento: nobile Palazzo, oggi utilizzato come raffinata struttura turistica, con sale finemente arredate, ristorante e albergo con 20 camere con vista su scorci di natura incontaminata. Dagli scantinati dell’edificio quattrocentesco partiva un camminamento sotterraneo, che conduceva al Mulino sottostante il Paese».
http://www.casaledelconero.it/il-borgo-di-frontino - http://www.agriturismiurbino.com/il-castello-di-frontino
Frontone (castello Montefeltro)
«I primi documenti che parlano del Castello e della Comunità civile di Frontone risalgono all'undicesimo secolo e la sua storia è legata a quella delle signorie di Cagli, Gubbio e Urbino. Nel 1530 il Castello ed il territorio di Frontone divenne contea del Ducato di Urbino, dono di Francesco Maria Della Rovere al nobile Gianmaria Della Porta e tale rimase fino alla abolizione delle giurisdizioni feudali per effetto dell'annessione al Regno d'Italia napoleonico (1808) abolizione poi rinnovata da papa Pio VII (1816). Il Castello, possente costruzione arroccata sulla cima di un ripido colle, testimonia ancora un passato ricco di storia e nobiltà. Reperti archeologici attestano che questo territorio fu abitato dagli Umbri, Galli e Romani (295 a. C.); poi dai Longobardi e successivamente dai Franchi come testimoniano le preziose pergamene dei monaci Avellaniti e Camaldolesi. La storia di Frontone è legata soprattutto al suo Castello, conteso da principi e da guerrieri per il dominio delle contrade circostanti e che oggi rappresenta uno dei più chiari esempi di architettura militare dell'XI secolo. Per lunghi periodi dovette sottostare alla giurisdizione di Cagli e poi a quella di Gubbio. Dal 1291 al 1420 i veri signori di Frontone furono i Gabrielli di Gubbio. Spodestata la signoria dal Conte Guidantonio di Urbino, Frontone s'inserisce, per oltre un secolo, nella storia dell'illustre famiglia dei Montefeltro e di quella dei Della Rovere che le succedette nel possesso del Ducato di Urbino. Nel 1445 Sigismondo Malatesta di Rimini in guerra contro il Duca Federico da Montefeltro, tentò di togliergli il Castello, ma il personale intervento del duca Federico mise in fuga i Malatesta. Fu probabilmente in seguito a questo fatto d'armi che il Duca decise di intraprendere importanti lavori di potenziamento del sistema difensivo valendosi dell'opera di Francesco di Giorgio Martini, famoso architetto e conoscitore della scienza militare. Frontone divenne contea nel 1530 per effetto del decreto di Francesco Maria della Rovere, Duca di Urbino, con cui donò al nobile modenese Giammaria della Porta, il Castello con tutto il suo territorio, conferendogli il titolo di Conte. Nel 1808 i della Porta furono privati di tutti i diritti, facoltà e giurisdizioni di cui godevano, tranne che del titolo nobiliare e delle proprietà private. Dopo anni di abbandono, nel 1965 il Castello fu acquistato da Dandolo Vitali che lo rivendette pochi anni dopo al Conte Ferdinando della Porta. Nel 1985 il comune di Frontone decideva di acquistarlo ed, infatti, oggi il Castello è di proprietà comunale. Dopo essere stato restaurato, ora è possibile non solo visitarlo, ma è anche disponibile per convegni, matrimoni con rito civile, banchetti (max. 150 persone), mostre e quant'altro, sempre rivolgendosi alla locale Pro Loco».
http://www.comune.frontone.pu.it/index.php?id=7849
Gradara (mura, camminamenti di ronda)
«Le mura di Gradara si sviluppano per una lunghezza di circa 800 metri. Sono rafforzate a distanze regolari da quattordici torri quadrate la cui parte interna è aperta verso il borgo fortificato. Solo quella sovrastante la porta principale, un tempo dotata di ponte levatoio è una torre priva dell’apertura verso l’interno del paese. Percorrendo i Camminamenti di Ronda, il cui ingresso è a lato della porta principale, è possibile osservare a capire meglio com’è strutturata Gradara. Dall’alto delle mura si ammira lo splendido panorama collinare dell’entroterra marchigiano, nelle giornate limpide si vede la Repubblica di San Marino con il poderoso monte Titano, e un grande tratto della costa adriatica. Percorrendo il primo tratto dei camminamenti si vede la rocca di Monteluro, dove rimangono pochi resti di un insediamento castellano. Nei pressi del menzionato borgo si svolsero due significative battaglie: era il 20 giugno 1271 quando Guido da Montefeltro guidò l’assalto contro i Malatesta signori di Verucchio. L’altra battaglia ebbe luogo l’8 novembre 1443: l’esercito guidato da Niccolò Piccinino e Federico da Montefeltro è sconfitto da quello di Francesco Sforza con l’aiuto di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Il percorso sulle mura termina nei pressi di un grande bastione poligonale. Fu costruito per resistere alle nuove armi da fuoco quali le bombarde che resero inadeguate le precedenti fortificazioni del Castello. Discesi dalle alte mura, si può proseguire la visita di Gradara alla possente Rocca: un edificio che ricorda storie di guerre...ma anche le passioni di due amanti famosi (Paolo e Francesca), menzionati da Dante nella Divina Commedia».
http://www.avventuraitalia.it/gradara.html
Gradara (porte, torre dell'Orologio)
«Un tempo Gradara aveva una sola porta di accesso, da cui ora entrano i turisti. La porta era dotata di un ponte levatoio con il relativo fossato. Se osserviamo dall’esterno la torre che sovrasta l’ingresso sono ancora visibili le due feritoie laterali, tramite cui veniva abbassato e alzato il ponte levatoio. In epoche successive il fossato fu ricoperto e creata la rampa che conduce all’entrata dove fu collocata una porta. L’apertura e chiusura era regolata da una persona preposta a questo, nel periodo in cui Gradara faceva parte dello Stato Pontificio. Se osserviamo le due mezze porte in pesante legno notiamo nella parte alta di esse la data di costruzione (1697), ed il nome dell’artigiano che le ha fabbricate inciso sul legno. Oltre la porta una bella via in salita e lastricata con pietre conduce all’entrata del Castello. La torre che sovrasta il menzionato ingresso è dotata di due orologi, uno esterno al paese ed il secondo internamente al medesimo, quindi la cella campanaria che scandisce il passare del tempo. La porta di accesso al Castello: Porta Natale. Dopo aver oltrepassato la porta principale, al termine della strada lastricata, arriviamo alla seconda porta. Anche questa era munita di ponte levatoio, il suo scopo era di separare il borgo dal Castello. Dopo la 2° porta abbiamo una piccola piazzetta chiamata “piazzale Alberta” con la chiesa dedicata a San Giovanni Battista. Da vedere al suo interno il Cristo in croce con tre espressioni facciali. Da questo piazzale si accede alla biglietteria per visitare il Castello di Gradara. Porta Nuova. Così chiamata perché fu aperta molto tempo dopo la costruzione delle mura, serviva a rendere maggiormente fruibile l’antico borgo da parte delle persone. Da questa porta si a una bellissima vista sulla costa Romagnola. All’interno della menzionata porta sono rimasti due piccoli cardini in ferro, non originali del manufatto ma rimasti dopo le riprese di un film del regista Roberto Rossellini, nel 1961 intitolato “Vanina Vanini”. Appena varcata la porta principale, è possibile salire sulle mura (ingresso a pagamento), merita di farlo perché dall’alto si a una bella visuale sul borgo e castello di Gradara. Saliti sulla torre che sovrasta la porta, si esce sul camminamento che conduce a una seconda torre. Questo è il punto più alto che si raggiunge durante tutto il percorso non molto lungo ma suggestivo. Sulla sommità della menzionata torre (le ultime rampe di scale sono in legno) si ha una bella visuale sulla riviera Romagnola. In lontananza ma in modo distinto riconosciamo la Repubblica di San Marino ecc. Discesi dalla torre riprendiamo il camminamento sulle mura transitando per una terza torre e la porta aperta in tempi successivi all’ingresso principale, da qui c’è una bella panoramica sulla vicina costa e il castello che sovrasta il borgo di Gradara, poche decine di metri e il giro delle mura termina».
a cura di Luigi Bressan
Le foto degli amici di Castelli medievali
Macerata Feltria (castello, palazzo del Podestà, torre Civica)
«Situata nel cuore del Montefeltro, sulle colline che separano le valli del Foglia e del Conca, Macerata Feltria è una località turistica di antichissime origini, essendo stata fondata addirittura in epoca preromanica, con il nome di Pitinum Pisaurense, prima di essere distrutta e ricostruita con l’attuale denominazione di Macerata. Secondo le tradizioni locali la fondazione dell’antica cittadina fu opera del popolo greco dei Pelasgi, cui è dedicato l’omonimo arco posto all’ingresso della parte più antica del borgo. La località conobbe un periodo di benessere durante tutta l’epoca romana, essendo diventata un importante centro adito al taglio ed al commercio del legname proveniente dalle imponenti risorse boschive presenti in zona. La Pieve di San Cassiano a Macerata FeltriaPitinum Pisaurense fu completamente distrutta dai Goti attorno all’anno 552, e dalle macerie dell’antica città vennero edificate prima la Pieve di San Cassiano, posta proprio nel luogo in cui si trovava il municipio romano, quindi il primo nucleo fortificato del nuovo abitato, che ha assunto il nome di Macerata proprio in quanto edificato partendo dalle macerie della precedente località. La storia di Macerata Feltria proseguì, dopo un periodo di cui si hanno poche testimonianze in cui il borgo fu soggetto alla dominazione longobarda, con l’atto di sottomissione (anno 1233) da parte degli abitanti del luogo al comune di Rimini, che eserciterà il controllo sulla località per tutto il basso medioevo, lasciando la reggenza alla famiglia Gaboardi. Nel 1463, al termine di un periodo caratterizzato da aspre battaglie tra i Malatesta ed i Montefeltro, Macerata fu definitivamente occupata da Federico da Montefeltro e seguì successivamente le sorti del Ducato di Urbino, fino all’annessione allo Stato Pontificio ed infine al Regno d’Italia.
L’abitato di Macerata Feltria si presenta ai giorni nostri diviso in due parti ben distinte, quella più antica e fortificata, che risale al periodo longobardo, si trova in alto su di una collina ed è dominata dalla caratteristica sagoma della Torre Civica, a fianco della quale si trova il Palazzo del Podestà, risalente al XIII secolo e sede del Museo Civico, contenente testimonianze archeologiche e paleontologiche reperite in tutta la zona del Montefeltro, con una particolare attenzione ai reperti provenienti dagli scavi che hanno riportato alla luce l’antica Pitinum Pisaurense. Sempre nella parte più antica, denominata “Castello”, sono degni di nota la Chiesa di San Giuseppe, risalente al XIV secolo, che conserva al proprio interno alcune opere di rilievo tra cui la tela della Madonna del Rosario, ed il Palazzo Evangelisti, edificato nel XVI secolo, all’interno del quale sono presenti numerosi affreschi. Il “Castello” è collegato alla parte più moderna di Macerata Feltria, denominata “Borgo” o “Mercatale” dalla ripida via Gaboardi, lungo la quale si trova la Chiesa di San Francesco, costruita nel 1376 e caratterizzata dal suo splendido portale in stile gotico. La parte più nuova del borgo, edificata attorno all’asse viario principale costituito da Corso Battelli e dalla susseguente Via Antimi, presenta in rapida successione i suoi punti di interesse principali, partendo dalla bella meridiana posta sulla facciata di una casa all’inizio del Corso, per proseguire poi con il Palazzo Antimi Clari e la dirimpettaia Cappella gentilizia, raggiungendo quindi la Chiesa di Santa Chiara, con annesso convento, quindi il moderno Teatro “Angelo Battelli” ed infine la Chiesa di San Michele Arcangelo, che custodisce al proprio interno l’importante Crocifisso ligneo opera realizzata nel 1396 da Olivuccio di Ciccarello. ...».
http://www.borghipesarourbino.it/borghi-fortificati/macerata-feltria
Mercatello sul Metauro (castello della Pieve)
«Il principale nucleo storico-culturale di Mercatello è Castello della Pieve, che fa corona al centro abitato e rende suggestivi i percorsi agresti e montani, ove si trova un caratteristico borgo, facilmente riconoscibile dalla bella torre medioevale e dalle case in fila, tutte in pietra scura, con al centro la chiesetta sormontata da un modesto campanile. Castello della Pieve era una delle fortificazioni che costituivano il sistema difensivo della piccola Provincia di Massa Trabaria. Castello della Pieve è oggi abbandonato, gli abitanti si sono trasferiti a Mercatello. Il paese ha una stradina in pietra e sassi che lo percorre longitudinalmente tra le case e la torre fino ad arrivare ad un´arcata che chiude il paesino unendo due case. Si può entrare nella torre per il portale sormontato da grandi pietre disposte ad arco. ... La Torre medioevale, di costruzione antecedente al 1258, è situata in posizione centrale, e domina l´intero borgo con i suoi 20 metri di altezza. Nel lato di ponente è posta una Lapide in pietra arenaria scolpita dal mercatellese Giambattista Bastari (1895-1966) che ricorda le vicende storiche avvenute all’interno del castello e legate all’esilio di Dante Alighieri da Firenze».
http://www.appennino.info/CMDirector.aspx?ID=2568 - ,,,1624
Mercatello sul Metauro (palazzo Ducale, Palazzaccio)
«Palazzo Ducale. Il Palazzo Ducale, iniziato da Federico da Montefeltro e Ottaviano Ubaldini nel 1474 su disegno di Francesco di Giorgio Martini, è rimasto incompiuto. Pur se alterato sia all'interno che all'esterno nel corso dei secoli a causa dei numerosi passaggi di proprietà e del variare dei gusti, ha mantenuto inalterata la purezza dell'impianto quattrocentesco originario, che nella sua limpida e chiara planimetria sembra appena uscito dai Trattati lasciatici dal suo celebre ideatore. Palazzaccio. La costruzione cinquecentesca è l'antica dimora dei signori Fabbri, detta il Palazzaccio. In essa è ravvisabile l'intervento dell'architetto Girolamo Genga che lo edificò sulla base di un più antico bastione che si trovava lungo le mura cittadine, frutto della riorganizzazione delle difese militari voluta da Federico da Montefeltro e realizzata da Francesco di Giorgio Martini».
http://www.museodelmetauro.it/?q=it/node/66 - ...67
Mercatello sul Metauro (palazzo Stefani)
«Vi trovate all'inizio di via Bencivenni, Corso dedicato al grande artista rinascimentale mercatellese e che conduce alla Piazza principale. Il bel palazzo quattrocentesco fu edificato dagli Stefàni, una delle nobili famiglie mercatellesi più importanti, che diede nel tempo rettori alla Massa Trabaria, podestà a Firenze, ambasciatori e cancellieri ai Montefeltro e ai Della Rovere. Sulla porta originale è scolpito su legno il loro stemma - testa di Santo Stefano e tre pietre che ricordano la lapidazione del Santo - affiancato a quello di Federico da Montefeltro, del quale furono trai più vicini collaboratori».
Mercatello
sul Metauro (porta Metauro)
«Questa è l’unica Porta della cinta muraria ancora rimasta. Le altre vennero demolite nel corso del secolo XIX sull’esempio di quello che stavano facendo quasi tutte le città più importanti. La sua originaria costruzione, così come quella del Ponte antistante che permette di superare le alte sponde del Metauro, risale all’edificazione stessa della cittadina, avvenuta ex-novo nel 1235 nei terreni circostanti l’antica Pieve d’Ico, oggi Collegiata. Nei suoi pressi sorgeva l’importante Rocca ristrutturata da Federico da Montefeltro e sorta ove era l’alta torre medievale edificata dalla nobile famiglia Stefani al momento della costruzione di Mercatello. Rocca e Porta vennero demolite da Lorenzo De Medici e solo quest’ultima fu poi ricostruita ed ingentilita nella parte superiore da elementi decorativi rinascimentali. Della Rocca non resta che un locale cilindrico, salvatosi perché utilizzato fino a tempi non lontani come Neviera, con scala a lumaca formata da semplici masselli di arenaria incastrati sul perimetro in pietra. All’interno della Porta la via che scende dalla Piazza, costeggiando l’imponente Palazzo Gasparini e la minuta tessitura edilizia medievale che presenta ancora elementi caratteristici di alto pregio, si allarga tra il Palazzetto dei Morelli e il Teatro Bencivenni, piccolo teatro storico privato degli originari ordini di palchi e trasformato in cinema nel secondo dopoguerra, fino a formare uno spazio particolarmente suggestivo che per la prima volta verrà utilizzato per uno spettacolo».
http://musicaemusica.proloco-mercatello.it/luoghi/portametauro/portametauro.html
a cura di Fabio Mariano
foto di Costantino Anzile
«Il castello di Mondolfo, che si erge sino ad una altezza di 144 m s.l.d.m, è posto a balcone sul mare e racchiude, all'interno della sua doppia cinta di possenti mura, la parte fortificata della città. Il nome Mons Offus, il Monte di Offo soppiantò nel corso del XIII secolo l’antico nome di Castelmarco dato fino a quel tempo al centro fortificato entro la cinta di mura circolare. La prima cerchia delle mura urbiche racchiude la parte più antica del Castello di Mondolfo, e si estende per circa 420 ml, per un ettaro ca. di superficie. Presenta una forma piuttosto regolare, con all’interno due strade che, incrociandosi ad angolo retto, possono identificarsi con il cardo ed il decumano del castra di epoca bizantina (sec. VI) da cui sorse l’abitato. Punto di riferimento in epoca medievale fu la pieve, poi monastero, di San Gervasio di Bulgaria dal nome delle popolazioni, bulgari e sclavini, che un tempo abitavano la zona. La chiesa presenta molto materiale di riutilizzo di epoca romana e la cripta ospita un sarcofago bizantino in marmo del VI sec in stile ravennate. Sul finire del XIV secolo i Malatesta succedettero a Rainaldo da Mondolfo ed esercitarono il controllo diretto fino al 1462. A Galeotto Malatesta si deve il primo nucleo della Rocca di Mondolfo costruita a partire dal 1340. Nel 1352 e il 1353 scese la Compagnia di Fra Morreale, chiamato da Francesco Ordelaffi da Forlì contro Galeotto Malatesta, il Malatesta detto Guastafamiglia offrì 65 mila fiorini perché non saccheggiasse i castelli. Ciononostante Mondolfo fu tra quelli che subirono maggiormente il saccheggio. La terra rimase sotto il dominio malatestiano fino alla battaglia del Cesano dell’agosto 1462, nella quale Sigismondo Pandolfo Malatesta fu sconfitto da Federico da Montefeltro. L’ultima stagione di autonomia comunale ebbe termine nel 1474, quando il pontefice Sisto IV concesse in Vicariato Mondolfo, Senigallia, San Costanzo e Mondavio a suo nipote Giovanni della Rovere. Il periodo roveresco coincise con il Rinascimento, si rivelò prospero e felice per la cittadina grazie a agli stretti rapporti della casa principesca con le corti dell’Italia settentrionale e agli scambi commerciali e culturali con la stessa area. Splendido testimonianza del periodo roveresco e di quello immediatamente seguente è la chiesa agostiniana di Santa Maria del Soccorso, ricostruita dal 1586 al 1593 e che conserva all’interno opere di pittori di un certo rilievo tra cui Claudio Ridolfi, Francesco Guerrieri, Persuti, Sebastiano Ceccarini. Una tela del Ceccarini del 1757 si trova anche nella chiesa di San Sebastiano, costruita nel 1479 e ristrutturata negli anni 1738-1739. Per Giovanni Della Rovere Francesco di Giorgio Martini costruì tra il 1477 e il 1490 la Rocca che egli descrive anche nel suo trattato. Questo manufatto, che doveva essere molto simile alla vicina rocca di Mondavio, fu vandalicamente demolita nel 1864. ...».
http://www.unionevalcesano.pu.it/index.php?id=12665
Montaiate (ruderi della rocca)
«Il borgo, di piccolissime dimensioni, è costituito da un isolato, formato da una doppia stecca di abitazioni in pietra ristrutturate, disposte in linea lungo una strada secondaria, che si innesta a pettine sulla strada principale di accesso. Questo è quello che rimane dell'impianto originario, oltre ai ruderi dell'antica rocca, che sorge appena fuori il nucleo abitato, e che data la sua elevata posizione, doveva essere fortissima. Le prime notizie di questo borgo risalgono al 1132; nel 1234 era di Monaldo De Montaini che lo cedette alla nuova comunità di Pergola, alla cui edificazione contribuì andandovi ad abitare con i suoi castellani» - «A Montaiate si trovava una suggestiva rocca arroccata su un monte ricoperto di vegetazione, di cui oggi restano due ruderi: una bella torre cilindrica e un possente muraglione attraversato dai resti di finestre, arciere e feritoie. Il luogo è veramente singolare ed offre un vasto panorama sulla valle del Cinisco, nel tratto fra Frontone e Pergola. Montaiate visse la sua storia all'ombra della vicina Pergola ma è un castello più antico, si hanno infatti sue notizie sin dal 1113 mentre Pergola fu fondata prima del 1230. Furono uomini di Gubbio a dare vita a Pergola e Montaiate contribuì a quelle vicende sia partecipando alla difesa dei lavori che venivano sanguinosamente ostacolati dai cagliesi, sia favorendo il popolamento della città. Montaiate da parte sua si legò a Pergola attraverso una cessione avvenuta nel 1234 con cui si contribuì a costruire la città».
http://www.investinmarche.it/detail.aspx?id=107 - http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/borghi/pergola-montaiate.html
Montebello (palazzo dei Della Rovere)
«Il Palazzo Roveresco (o dei Della Rovere) è ubicato a Montebello di Orciano e rappresenta uno dei più significativi esempi della cultura architettonica roveresca nella Provincia di Pesaro e Urbino. Di antica fondazione, probabilmente anteriore al 1376 anno della cessione ad Antonio Montefeltro, venne realizzato a forma di rocca di avvistamento, in origine su tre piani. Conserva nella possente scarpa e nelle stalle tracce evidenti della sua originaria funzione militare. Passato ai Della Rovere, nel XVI secolo ha subito un intervento di restauro che ha interessato principalmente il piano nobile (il secondo), le cui sale sono state impreziosite con stucchi e affreschi, attribuiti rispettivamente a Federico Brandani e ai fratelli Zuccari. Dal decennio iniziale del XVII secolo divenne per un lungo periodo residenza di Lavinia Della Rovere, Marchesa del Vasto, e sorella del duca Francesco Maria II. Al suo prolungato soggiorno a Montebello vanno attribuite ulteriori trasformazioni del complesso per renderlo più rispondente alle esigenze di una famiglia principesca. Dopo la morte dell’ultimo duca il Palazzo entrò a far parte dello Stato della Chiesa e da questo momento in avanti non ha più subito modifiche significative, ma è iniziato un lento e progressivo degrado, culminato nel XIX secolo nell’abbattimento del terzo piano (i magazzini). Allo stato attuale il Palazzo, in fase di restauro, è costituito da un piano seminterrato e due piani fuori terra, il cui accesso principale si apre sulla piazzetta a sud-ovest. All'interno conserva ancora sale dalle caratteristiche architettoniche risalenti al 1500: affreschi riconducibili al movimento pittorico che caratterizzò molta parte di questa provincia, nel 1500, noto come manierismo metaurense e tradizionalmente attribuiti a Taddeo Zuccari, sono ormai quasi del tutto illeggibili, come anche molto rimaneggiati sono gli stucchi di Federico Brandani che furono eseguiti, per lo stesso proprietario, nella seconda metà del Cinquecento».
Montecalvo in Foglia (torre Cotogna)
«Vicino Cà Gallo, dove la valle del Foglia è ancora ampia, su un piccolo colle, solitaria e maestosa, c'è la Torre Cotogna, costruita per rispondere alle specifiche esigenze difensive del periodo medievale. Torre di guardia che ospitava una piccola guarnigione, torre di segnalazione da dove, con fuochi e specchi partivano segnali per altri fortilizi, forse luogo di riscossione di tasse e gabelle, mai mancate nell'italica storia. La torre è massiccia, costruita su pianta quadrangolare, danneggiata nella parte superiore; attorno, terre coltivate e sotto il fiume Foglia. Cà Mazzasette è il paese accanto alla Torre Cotogna, 80 abitanti e una storia legata alla guerra partigiana. Da Pesaro alla Torre Cotogna ci sono circa 34 km. Si passa per Montecchio quindi verso San Giorgio, Borgo Massano e Cà Gallo. Da qui, inizialmente, verso Urbino ma qualche centinaio di metri oltre Cà Gallo bisogna prendere a destra per Pieve di Cagna, dopo un breve percorso, di nuovo a destra per Cà Mazzasette, poco oltre c'è la torre».
http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/borghi/urbino-c-mazzasette-e-torre-cotogna.html
«Se per tanti edifici fatti dal Duca Federico d´Urbino, Vespasiano da Bisticci usa il termine Rocca, questo solo non è sufficiente a definire quello di Montecerignone detta invece "Rocca e Casa". La definizione fa trapelare la consistenza e l´importanza della costruzione, elementi questi documentati dalle vicende storiche della località. Montecerignone fu importante centro sin dai tempi del dominio malatestiano, sotto cui, oltre al consolidamento della Rocca vennero anche ampliate le mura. Col passaggio ai Montefeltro dopo la sconfitta dei Malatesta (1464), si parla di interventi di ristrutturazione della Rocca, con la ricorrente supposizione di un progetto di Francesco di Giorgio. L´edificio si presenta oggi come un corpo compatto, al di sopra dell´antico castello, recinto lungo tutto il bordo delle mura da due rampe di accesso. Nonostante le trasformazioni effettuate nei secoli XVII e XIX, l´immagine quattrocentesca della costruzione è rimasta pressoché inalterata ed impone il problema urgente della sua salvaguardia e di un corretto riuso dell'interessante complesso. La Rocca è strutturata su tre piani. Il sotterraneo è costituito da un ampio salone con volta a botte, in mattoni, ed una pavimentazione in cotto pesto, dall’atmosfera calda e accogliente. Dal sotterraneo si raggiunge l’atrio del primo piano, attraverso una scala interna in pietra o attraverso la gradinata esterna. L’atrio è suddiviso in due parti, un cortile aperto e luminoso e un loggiato coperto, ideale per buffet e aperitivi. Dal loggiato si accede ad una attrezzata sala per conferenze, con volte a crociera, e ad una cucina spaziosa. Un delizioso giardino pensile, dominato dal busto di Uguccione della Faggiola, chiude armonicamente lo spazio del primo piano. Il piano nobile è costituito da un salone per ricevimenti o conferenze, ampio e luminoso, dalle linee sobrie ed eleganti. Finestre rinascimentali con sedute laterali in pietra illuminano la sala durante il giorno, con una splendida vista sul monte Carpegna, su piazza Begni e sulla valle del fiume Conca. Locali di servizio adiacenti al salone possono essere attrezzati ad ufficio, nel caso di convegni o a cucine di servizio per catering. La rocca di Montecerignone può essere affittata per ogni tipo di evento, suddivisa per piani o nella sua globalità. Il comune provvederà a fornire tutte le indicazioni necessarie a coloro che desiderano ricevere informazioni più dettagliate. La rocca di Montecerignone è un luogo particolare, un’architettura d’altri tempi che ha mantenuto inalterato nei secoli il suo particolare fascino, capace di accogliere e ospitare dentro i suoi eleganti ambienti ogni evento e manifestazione. Il complesso, cuore del centro storico, si raggiunge da piazza Begni, vero gioiello di architettura urbanistica, attraverso archi a sesto acuto ed un’ampia scala che conduce al sotterraneo e ai saloni dei piani nobili».
http://www.comune.montecerignone.pu.it/ci/3370.aspx
Montecopiolo (resti della rocca)
a cura di Renzo Bassetti
«Posto sull'antica via che da Colbordolo porta a Urbino, il Castello di Montefabbri svetta solitario, protetto dalle sue mura che hanno contribuito a mantenere nel tempo gli antichi caratteri e un ritmo di vita scandito dalle stagioni. La sua struttura originaria, di stampo medievale, è completamente intatta come pur incontaminato è l’ambiente circostante, a tal punto da avere l’impressione che a Montefabbri il tempo si sia fermato. Ai visitatori sembra di fare un bel viaggio nel passato. Dal 2006 fa parte del club “I Borghi più Belli d’Italia” e nel 2008 è stato proclamato “Borgo dei Sogni” da parte della provincia di Pesaro e Urbino. Sorge su un colle posto a 319 metri s.l.m. a 14 chilometri da Urbino, 20 da Pesaro e 40 da Rimini. ... Risalgono all’epoca romana i primi insediamenti umani nel territorio di Montefabbri, dei quali restano poche tracce perché furono completamente distrutti dalle frequenti e ripetute invasioni barbariche. La discesa dei Franchi e il successivo passaggio dei territori del centro Italia al dominio pontificio, coincisero con il sorgere delle pievi - presenza di comunità cristiane - e di nuovi insediamenti umani in luoghi più sicuri e facili da difendere; ancor meglio se sotto la protezione della Chiesa o di un signore locale. All’epoca, nella zona sul versante destro del fiume foglia era sorta la pieve di San Gaudenzio, che avrebbe poi dato origine al territorio di Montefabbri: a cavallo tra il primo e il secondo millennio, la scarsa popolazione presente nelle zone circostanti la pieve si dotò di strutture difensive a protezione dei propri abitati, posti in alto e in luoghi sicuri, divenuti via via veri e propri castelli con mura, fossati e ponti levatoi. Il nome Montefabbri compare per la prima volta nei documenti ufficiali il 2 dicembre 1216. La sua costruzione, appositamente progettata come lo dimostra il razionale assetto urbanistico, fu voluta dalla famiglia feudale dominante, per motivi di prestigio e di difesa, funzione che mantenne per qualche secolo pur in mancanza di torri o di più sofisticati sistemi di difesa.
Nel corso del XIII sec. le sorti del castello furono legate a quelle delle più potenti Urbino e Rimini, e delle famiglie ghibelline (Montefeltro) e guelfe (Malatesta) che guidavano le due città. Scomparsa la famiglia feudale dominante per circostanze sconosciute, in epoca rinascimentale Montefabbri fu sempre più legato alla città feltresca, di cui rappresenta un avamposto difensivo strategico lungo la strada verso il mare, ed era spesso teatro di cruente battaglie come vero e proprio territorio di frontiera tra Romagna e Pesarese. Nonostante le battaglie, le campagne mercenarie, l’alternanza di potere tra Montefeltro e Chiesa, all’inizio del ‘400 la vita della popolazione era accompagnata da discreta attività economica - artigianale e di scambio all’interno del castello, agricola nelle campagne circostanti dove erano sorti anche villaggi e case sparse - che si consolidò sul finire del secolo, beneficiando del buon momento urbinate sotto la guida di Federico da Montefeltro. La contemporanea realizzazione del Mulino Idraulico di Pontevecchio testimonia che, come gli altri castelli della zona, Montefabbri conobbe un lungo periodo di tranquillità in cui si intensificarono gli scambi e gli arrivi di maestranze e artigiani provenienti da altre zone italiane. Durante questo periodo un architetto civile e militare della scuola urbinate, allievo del Genga e noto in tutte le corti del tempo, Francesco Paciotti originario di Colbordolo per via paterna, acquistò svariate proprietà in Montefabbri che poi, nel 1578 fu ceduta in feudo dal duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere al Paciotti stesso, allora 57enne, che fu signore di Montefabbri fino alla morte (1591). Dopo di lui, i suoi discendenti legarono il nome della famiglia Paciotti al feudo di Montefabbri per un lungo periodo (fino al 1744) durante il quale il ducato di Urbino passò alla Chiesa. ... Porta d'accesso. Dopo svariati utilizzi nel tempo, legati alle funzioni dell'ente pubblico, la porta d'accesso al borgo storico di Montefabbri viene definitivamente ristrutturata nel 2008 con un contributo provinciale legato al progetto “Centoborghi”. Gli interventi di restauro conservativo della porta con le sue opere lapidee e la costruzione di una scala esterna per un più agevole accesso al locale sovrastante, consentono oggi di utilizzarlo per incontri ed esposizioni».
http://www.avventuramarche.it/dettaglio_scheda.asp?id_scheda=387
«Il castello di Montelabbate deve il proprio nome agli abati del vicino cenobio benedettino di San Tommaso in Foglia che lo eressero attorno all'XI secolo per difendersi dalle scorrerie degli urbinati e dei pesaresi in lotta tra loro. Il monastero, infatti, in seguito al rafforzamento territoriale dei due secoli precedenti, era divenuto centro di notevole riguardo dal punto di vista politico e oggetto di numerosi tentativi di occupazione da parte delle signorie confinanti. La residenza dell'abate presso questo fortilizio è attestata fino alla soppressione del cenobio (XV secolo), quando il castello e il territorio di Montelabbate passarono in mano alla signoria pesarese dei Malatesta che munirono la residenza abbaziale di una rocca e restaurarono le mura, mentre in basso il Borgo si estendeva e i suoi mercati diventavano sempre più fiorenti e rinomati. Fu certamente anche a causa di questi traffici commerciali che, all'inizio del Quattrocento, si decise di edificare un ponte nel tratto di fiume sottostante. Il castello di Montelabbate fu strategicamente importante nel mese di novembre del 1443 quando ebbero ad accamparvisi, nel corso della sanguinosa battaglia di Monteluro, prima le truppe di Francesco Sforza, poi quelle di Niccolò Piccinino e infine quelle di Sigismondo Malatesta. Per l'amenità del luogo, il castello fu uno dei soggiorno preferiti di Costanzo I Sforza. Secondo la tradizione a Costanzo si deve probabilmente la costruzione del torrione di levante (ciò che di più rilevante resta dell'antico fortilizio) che ricorda in alcuni particolari stilistici le architetture militari di Francesco di Giorgio Martini. Lo stesso principe restaurò anche, unendoli in una sola costruzione, la residenza degli abati e la rocca malatestiana. Nel 1540 il duca Guidubaldo II Della Rovere concesse il castello in feudo al pesarese Giangiacomo Leonardi i cui eredi tennero in possesso il castello fino al 1804».
http://it.wikipedia.org/wiki/Montelabbate#Il_castello_sul_colle
Montemontanaro (borgo fortificato)
«Montemontanaro è un piccolo borgo di circa 200 abitanti, situato nel territorio comunale di Montefelcino, che si estende su un’area a carattere prevalentemente collinare; essa comprende anche le frazioni di Sterpeti, Ponte degli Alberi, Villa Palombara, Fontecorniale e Monteguiduccio. ... Montemontanaro è un castello fortificato che risale al 1202-1203, quando assieme a quelli di Montefelcino e di Fontecorniale era stato assoggettato dal comune di Fano. La sua posizione decentrata, tipica dell’urbanistica medioevale, costituisce peraltro una attestazione dell’antichità dell’insediamento. La sua storia non è ben documentata, almeno fino al XVI secolo, soprattutto per mancanza di studi storici; il suo nome compare per la prima volta in documenti fanesi del 1200. Questo territorio era parte integrante dello Stato Pontificio, e solo nel periodo dei duchi di Urbino appartenne ai Montefeltro. Con la scomparsa del duca Francesco Maria II della Rovere nel 1631, il ducato di Urbino ritornò nelle mani del papa e così anche questi paesi ritornarono a far parte dello Stato Pontificio fino all’unificazione d’Italia nel 1860. In questo lungo periodo vi fu l’intervallo del dominio napoleonico dal 1798 al 1815. Poco dopo l’Unità d’Italia, nel 1868, il comune di Montemontanaro fu soppresso».
«L'antico borgo murato di Novilara, cinto da solide mura di difesa, sorge a circa 4 km. da Pesaro, in posizione dominante sulla cima di una delle alture che separano la valle del Foglia da quella del Metauro. Fu costruito in sostituzione di un più antico castello, sorto più ad est probabilmente intorno al 1000: forse perché ormai troppo vecchio e piccolo, forse perché diroccato e cadente per le continue guerre, il castello di Novilara fu abbandonato ai primi del 1300 e ricostruito più ad ovest, sulla collina ove si trova tuttora. Ritenuto strategicamente importante, il "nuovo castello" di Novilara fu costruito e fortificato con i più aggiornati mezzi dell'epoca. Considerandola vedetta dei loro confini, sia i Malatesta che gli Sforza si adoperarono con ogni mezzo per renderla sicura ed inespugnabile; ripararono e consolidarono le mura che le continue guerre ed il tempo avevano indebolito. Il nuovo duca Francesco Maria I della Rovere nel 1513 infeudò a discapito della Comunità di Pesaro che ne aveva il legittimo possesso, il castello di Novilara al suo luogotenente Baldassarre Castiglione, che per l'occasione ottenne anche il titolo di Conte. Onesto e colto governò il castello con saggezza ed oculatezza. Nei brevi periodi di permanenza del Castiglione (i suoi impegni politico-militari lo costringevano a lunghi viaggi fuori dello Stato), Novilara fu frequentata dai più insigni letterati e pittori del tempo. Nel 1521 il Castello di Novilara ritornò sotto la giurisdizione completa della municipalità pesarese. Anche la pieve del castello di Novilara, intitolata a S. Michele Arcangelo, ha origini antichissime: fu consacrata nel 1356, come documenta un'iscrizione nella sagrestia; il campanile è quattrocentesco. Nei secoli seguenti ha subito una totale ristrutturazione; nel 1984 sono stati fatti lavori di restauro, soprattutto alla facciata in stile romanico, adornata da un portale in arenaria sul quale è posta una scultura rappresentante l'Annunciazione di Maria. ...».
http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/borghi/pesaro-novilara.html
Orciano di Pesaro (torre Malatestiana)
«Con i suoi 45 metri di altezza, è un po' il simbolo di Orciano. Voluta da Galeotto Malatesta nel 1348, nell'ultimo decennio del XV secolo venne inglobata nel corpo di fabbrica della Chiesa di Santa Maria Novella, e nel XVI venne ulteriormente arricchita. Restaurata nel 1995, presenta un fusto quadrangolare in laterizio percorso da cornicioni e fasce angolari in pietra arenaria, diviso in quattro ordini e sormontato da cupola arricchita dal caratteristico lanternino».
http://78.47.254.147/it/card/18127/chiesa-di-santa-maria-novella---torre-malatestiana
Pergola (resti della rocca Mantiniana, palazzo Guazzugli-Buonaiuti, palazzo Malatesta)
«Rocca Martiniana. Immersi in una fitta vegetazione si ammirano parti delle mura dell'antica rocca che circondano il palazzo costruito nel Seicento. I ruderi della Rocca (sec. XI-XV) sovrastano su di un colle l'intera città. Esisteva qui una torre, prima della fondazione di Pergola, che fu ampliata dal duca Federico da Montefeltro dopo il 1459. Per fare ciò fu incaricato l'architetto senese Francesco di Giorgio Martini, il quale realizzò una fortificazione imponente e inespugnabile. Agli inizi del XVI secolo il duca Guidubaldo da Montefeltro ordinò di demolire la Rocca di Pergola. Nel 1565 si iniziarono i lavori per edificare un convento dedicato a Santa Vittoria ma per mancanza di fondi il progetto rimase incompiuto. Oggi si possono ammirare Palazzo Fulvi Cittadini di aspetto ottocentesco, due torrioni diroccati, la cerchia di mura perimetrali, la presunta camera del delitto Varano con affreschi del XVII secolo, parte dei sotterranei con volta a botte e la Cappella Gentilizia con tele di Curzio Savonanzi dipinte nel 1705. Da qui si gode una vista panoramica che spazia sull'intero centro storico. ... Palazzo Guazzugli Buonaiuti. Costruito nel XVI sec., ha un bel giardino pensile e una facciata delimitata da un corpo avanzato di forma non regolare, che crea un bell'effetto scenografico. Si notano le finestre riquadrate, i cordoli e le fasce ornamentali, la gronda aggettante con relativa e ben visibile travatura in legno. Alla sommità della costruzione c'è un'altana rettangolare in cotto dal tetto a padiglione, con archi chiusi, divisi da lesene, che rimanda insieme agli altri elementi della facciata, allo stile di Girolamo Genga e alle soluzioni da lui sperimentate per la Villa Imperiale di Pesaro. Tra sei e settecento, nel periodo di maggiore sviluppo di Pergola, sorgono una serie di palazzi che caratterizzano ancor oggi il tessuto urbanistico della città. Portali Bugnati, con sovrastanti stemmi nobiliari e finestre edicolari, orlate in pietra arenaria, sono alcuni elementi architettonici ricorrenti. ... Palazzo Malatesta. Oggi è di proprietà comunale, la facciata, in cui sono evidenti parte del paramento trecentesco e le trasformazioni del XVII sec., ha un portale bugnato in pietra e una rara scritta latina. Fu sede di zecca per monete per lo Stato Pontificio e per le autorità francesi dal 1796 al 1799».
http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/rocche/pergola-rocca-martiniana.html - ...palazzo-guazzugli-buonaiuti.html - ...palazzo-malatesta.html
«Situato sull'area dell'antico forum presso l'incrocio cardo-decumanico dell'antica Pisaurum romana, il palazzo sarà oggetto di diverse fasi edificatorie di epoca malatestiana, sforzesca, roveresca dal 1285 al 1625. Già i Malatesta, dal XIII secolo, avevano proprietà con botteghe collegate da passaggi aerei e comprese fra la platea magna (piazza del Popolo), il corso XI settembre, via Barignani e S.Agata, che divennero poi loro residenza stabile. Nel 1326 la costruzione verrà iniziata con Malatesta detto il Guastafamiglia, a pochi passi dal Palazzo della Comunità. Di tale nucleo originario non resta più nulla, si trattava probabilmente di una casa-torre, tipo di abitazione molto diffusa nel periodo. Negli anni successivi l'edificio fu ampliato e nel '400 Malatesta dei Sonetti chiamò a decorare alcune stanze del palazzo il pittore fiorentino Mariotto di Nardo, al cui seguito è Lorenzo Ghiberti. Tali affreschi sono andati completamente perduti nel '500 con i nuovi restauri sforzeschi. Nel 1445 la Signoria fu venduta agli Sforza che vollero abbellire la città e ampliare il palazzo per adeguarlo alle esigenze di una moderna corte rinascimentale. Il palazzo preesistente viene sviluppato verso la piazza con l'aggiunta di un porticato, che è tuttora la parte della costruzione sforzesca meglio conservata. Il progetto prevedeva la fabbricazione di quattro corpi disposti attorno a un cortile quadrangolare. Le finestre del salone sopra il porticato erano sormontate da festoni al cui centro campeggiavano le insegne sforzesche. Nel 1514, due anni dopo la fine della dinastia sforzesca, la Corte fu devastata da un incendio. Francesco Maria I Della Rovere, nuovo signore di Pesaro dal 1512, dovette subito ricostruire il palazzo affidando i lavori a Girolamo Genga. Nel corso del dominio roveresco il palazzo fu abbellito e ampliato. Dopo la devoluzione del ducato alla Chiesa nel 1631 il palazzo è divenuto abitazione dei cardinali legati causando la decadenza di gran parte degli appartamenti. Dopo la proclamazione del Regno d'Italia il palazzo è diventato sede degli uffici della prefettura. Dal 1920 al 1936 ospitò i Musei Civici prima della loro sistemazione definitiva in palazzo Toschi Mosca. ...».
http://www.pesarourbino.com/palazzo_ducale_pesaro.html
PESARO (palazzo Toeschi Mosca)
«L’impianto originario del palazzo della famiglia Mosca risale ai secoli XVI-XVII; si deve però al marchese Francesco (1758-1811), tornato in città dopo la formazione nella splendida corte parmense, la sontuosa ristrutturazione settecentesca firmata dall’architetto Luigi Baldelli, probabile allievo del Lazzarini. Insieme a Villa Caprile sul San Bartolo, la residenza gentilizia nei pressi della piazza principale rappresentava lo status symbol dei Mosca, ricchissimi mercanti bergamaschi giunti a Pesaro verso la metà del ‘500. La loro ascesa economica e sociale aveva fatto del palazzo, sempre pieno di aristocratici e letterati, uno dei fulcri della vita culturale e politica della città. Tra gli altri vi sostano il celebre avventuriero Giacomo Casanova, lo scrittore Sthendhal ma soprattutto Napoleone Bonaparte arrivato a Pesaro il 6 febbraio 1797. L’edificio corrisponde ad un intero isolato ed è caratterizzato dalla presenza di tre corti centrali in successione; un grande portale bugnato occupa mezza facciata incorniciando un maestoso portone. Oltre che di una pregevole pinacoteca, confluita solo in minima parte nei Musei Civici, il palazzo era dotato anche di una ricca biblioteca ora all’Oliveriana. Dopo aver ospitato la marchesa Vittoria fino al 1844, l’edificio rimane dimora della sorella Bianca e del marito Tommaso Chiaramonti. Divenuto di proprietà comunale dopo vari passaggi, tra il 1922 e il 1936 è scelto come sede dei Musei Civici, fino ad allora a Palazzo Ducale. Durante la seconda guerra mondiale, i bombardamenti del ’44 ne distruggono l’ala destra, ricostruita nel 2009. Oggi continua ad ospitare i Musei Civici: la biglietteria, la ‘Stazione Vittoria' e parte dei depositi al piano terra; al primo piano gli uffici e la biblioteca; al piano superiore le sale espositive».
a cura di Fabio Mariano
«Villa Imperiale sorge sul Colle San Bartolo, in posizione incantevole, in una meravigliosa cornice di verde. E’ un capolavoro dell’arte rinascimentale. Su disegno del Laurana, la Villa fu eretta da Alessandro Sforza nel 1468-1470, come postazione difensiva, ma anche come luogo di riposo e di svago. Fu detta Imperiale, perché la sua prima pietra fu posta nel 1468 dall’imperatore Federico III d’Asburgo, ospite dello Sforza. La parte più antica è quadrata, con una torre e una porta, che richiama quella del Palazzo Ducale. La costruzione originaria fu profondamente trasformata da un intervento del 1529-1533, voluto da Francesco Maria I Della Rovere e dalla moglie Eleonora Gonzaga. Su progetto di Girolamo Genga, fu molto accentuato l’aspetto “gentile” del castello, con l’aggiunta di un nuovo corpo di fabbrica, di splendidi cortili e di giardini pensili. Inoltre, pittori famosi - come il Bronzino, Raffaellino del Colle, i due Dossi, Camillo Mantovani, Perin del Vaga - adornarono le otto stanze interne, con affreschi, gran parte dei quali ricordano episodi salienti della vita di Francesco Maria. Nel soffitto di una sala è il dipinto del Genga, che raffigura il giuramento di fedeltà dato dalle truppe spagnole al Duca. In un’altra stanza campeggia un grande affresco, che rappresenta l'incoronazione a Bologna di Carlo V. La Villa cinquecentesca ha ben poco dell’antico castello: è una vasta dimora principesca da cui si gode la bellezza del luogo, con l'ampio e sereno paesaggio di colline digradanti verso la piana di Pesaro e il mare. La facciata, rivolta a valle, è formata da cinque nicchioni intervallati dalle chiare superfici di grossi pilastri e da un solo ordine di finestre. Nel fregio del cornicione corre la lunga iscrizione – dettata da Pietro Bembo – che commemora l'edificio e i suoi costruttori. Il cortile interno, sopraelevato di un piano rispetto al piazzale esterno, è un mirabile esempio di sobrietà e armonia architettonica. Il suggestivo giardino all’italiana si articola su tre livelli ed è noto per la ricchezza della vegetazione. Attuale residenza estiva della famiglia Castelbarco-Albani, la villa ospitò in passato artisti e letterati illustri, tra cui Tiziano Vecellio, Bernardo e Torquato Tasso, Baldassarre Castiglione e Pietro Bembo».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/pesaro/villa-imperiale
Piandimeleto (palazzo dei conti Oliva)
«Le sorti di Piandimeleto e del suo castello sono inscindibilmente legate alla famiglia dei conti Oliva, che dal piccolo possedimento di Piagnano si espansero nella zona divenendo una delle famiglie tra le più importanti, in grado di stabilire fortunati rapporti con i Malatesta, i Montefeltro, i Bentivoglio, i Gonzaga e perfino con i Medici. La loro astuta politica li portò ad ottenere una certa indipendenza, testimoniata proprio dalla presenza del nobile castello. La costruzione fu promossa nel XV secolo dal conte Carlo Oliva, colto personaggio rinascimentale che aveva maturato la sua preparazione culturale nell’ambito sia della corte di Sigismondo Malatesta che della corte urbinate di Federico da Montefeltro. Per il suo progetto egli infatti si servì di alcuni degli artisti del Duca, fra i quali Francesco di Simone Ferrucci: quest’artista fiesolano realizzò per Carlo le tombe dei genitori nella cappella di famiglia del convento di Montefiorentino. In realtà, però, i lavori del XV secolo al castello Oliva consistettero nella ristrutturazione di un fortilizio già esistente, del quale non si conoscono le origini. Esso doveva sorgere a picco sul fiume Foglia, come attestavano i ruderi visibili fino agli anni ’50, ma è necessario rivolgere una qualsiasi indagine alla parte del castello che venne adattata a dimora rinascimentale. Il castello non appare come l’opera di una personalità ben definita ed ha quindi una fisionomia un po’anonima e lontana dalle moderne costruzioni fortificate fatte erigere dal duca Federico. Di pianta grossomodo quadrangolare, somma in esso sia le caratteristiche del fortilizio che del palazzo signorile: ad attestare la sua funzione di fortilizio concorre la presenza di merli ghibellini, di beccatelli, del cammino di ronda e la presenza di poche e piccole aperture; a sottolineare, invece, la sua funzione di dimora signorile è la facciata sud verso la piazza, caratterizzata dalla presenza di due ordini di finestre abbastanza ampie, il primo costituito da monofore ed il secondo da finestre con soglia e trabeazione in arenaria. Se abbastanza anonimo all’esterno all’interno il conte Carlo cercò di dare alle stanze del castello un tono più che mai dignitoso, anche qui prendendo ad esempio il palazzo dei duchi di Urbino da poco costruito: le numerose decorazioni riecheggianti quelle del palazzo dei duchi ed i soffitti voltati trasformano una semplice dimora in un vero e proprio palazzo. In questi particolari vi si può leggere un desiderio di rinnovamento tale che nello spirito è pari a quello delle corti più potenti e rappresenta nel Montefeltro un caso unico di costruzione rinascimentale. Poco lontano dal palazzo dei conti Oliva si erge una spettacolare torre circolare sicuramente rinascimentale: il suo impianto circolare è da ricollegare alle architetture martiniane, presenti nell’urbinate in esempi numerosi. Terminata la signoria degli Oliva il Castello è comunque sempre rimasto alla comunità ed è stato nel tempo sempre sede della vita pubblica del paese. Oggi infatti oltre che ospitare una importante documentazione geologico e ambientale del territorio, nonché una pregevole testimonianza del mondo e del lavoro contadino del Montefeltro, il Castello conserva il suo valore di simbolo della comunità di Piandimeleto e si offre per importanti manifestazioni pubbliche».
http://www.comune.piandimeleto.pu.it/id/3387/15464.aspx
Pietralata (resti del castello)
«Il Castello di Pietralata è una costruzione risalente ai primi anni dell'XI secolo, costruito su uno sperone roccioso quasi inaccessibile situato alle pendici del Monte di Pietralata (900 m s.l.m.), nel Montefeltro, in provincia di Pesaro e Urbino. Esso si trova immerso nella riserva naturale della Gola del Furlo. Della costruzione originaria è giunto fino a noi il poderoso muro di cinta alto poco meno di 10 metri, le rovine del complesso centrale del mastio, risalenti anch'esse all'XI secolo, una chiesa ancora consacrata alla Trinità ed utilizzata ogni anno per la celebrazione della Santissima Trinità, una casa canonica annessa risalente al XIV secolo, disposta su tre piani, collegata alla chiesa con un particolare corridoio sospeso. Al di fuori delle mura è presente una costruzione che un tempo ospitava una scuola comunale, risalente al secolo XVIII, dove è ora presente un'attività ristorativa privata, che rende l'antica costruzione l'unico elemento ancora in attività del complesso».
a cura di Renzo Bassetti
Piobbico (castello Brancaleoni)
«Il Castello Brancaleoni è un’imponente costruzione medievale-rinascimentale con le sue 130 stanze. L’ingresso gotico del Castello è sormontato dalla Torre dell’Orologio con il peculiare andamento antiorario. Entrati ci si trova nella Piazza Pubblica dove si può percorrere la Via Pubblica e il corridoio a cielo aperto della parte residenziale privata, visitare la Chiesa ottagonale di San Carlo Borromeo ricca di stucchi, affreschi e con … il passaggio segreto. Il cortile d’onore, ideato e fatto costruire dal Conte Guido Antonio I, capitano del Duca Federico di Montefeltro, risale al decennio 1470-80, infissa nella parete sud del cortile si trova lo stemma del Duca di Urbino, consegnato ai Brancaleoni dallo stesso Federico dopo la concessione del titolo ducale nel 1474. Questo cortile rettangolare, circondato da un portico ad arcate sostenute da colonne doriche, richiama il più ampio e maestoso cortile del Palazzo di Urbino. A piano terra è ospitato il “Museo degli antichi mestieri” dove fanno bella mostra i telai settecenteschi per la produzione artigianale del tappeto artistico di Piobbico e sono conservate le essenze naturali per la colorazione della lana (per es. il guado), oltre agli altri strumenti della civiltà contadina (carbonaio, falegname, fabbro, ecc.). Nell’Appartamento del Leon d’Oro, antica residenza privata dei conti, oggi si ammira la Collezione di abiti e gioielli seicenteschi appartenuti alla famiglia Brancaleoni, sfoggiati in occasioni particolari come feste, cerimonie, parate ecc., immersi in splendide sale decorate con affreschi e stucchi di fine cinquecento, tra i quali si annovera il pregevole Presepe di Federico Brandani. Nelle sale dell’appartamento nobile si trova la Camera Greca, camera del Conte Antonio II, affrescata con episodi di storia e mitologia greca, realizzati nel 1585, e la Camera Romana con affreschi tratti dalla storia romana, il “Ritratto di famiglia” e “Il paese e il castello di Piobbico” entrambi realizzati nel 1574, oltre ai “Camerini privati di preghiera” con affreschi rappresentanti scene del Nuovo e Antico Testamento. L’ala ovest del castello è caratterizzata dalla cosiddetta “Fuga di stanze”, prospettiva tipica dell’architettura rinascimentale, dove, grazie alle 11 stanze poste in successione, si può attraversare con uno sguardo tutto il fronte che dà sul paese. Nelle sale della dimora medievale affacciate sul secondo cortile interno, si trova l’esposizione delle ceramiche ritrovate all’interno del castello, reperti archeologici, una raccolta di numismatica, e la sezione ornitologica con esemplari della fauna tipica del Monte Nerone, tra cui l’aquila reale e il gufo reale. La parte più antica del complesso ospita il ricco Museo dei Fossili del Monte Nerone (oltre 5000), classificati e razionalmente, divisi hanno un’età compresa tra 2 e 200 milioni di anni, e, nei sotterranei, la sezione speleologica con la ricostruzione di un esemplare di Orso Spelaeus, vissuto trecentomila anni fa, e della grotta nel Monte Nerone dove ne sono stati trovati oltre cinquanta».
http://lnx.castellobrancaleoni.it/il-castello-brancaleoni/
«Il nucleo abitato di Reforzate si trova circa 2 km a Sud di Sant'Ippolito, a 324 m di quota. è un piccolo "castello" anticamente racchiuso da una cinta muraria della quale rimane solo il tratto occidentale. La porta d'accesso alla frazione è sormontata da una piastra in arenaria riportante lo stemma con l'aquila montefeltresca, copia dell'originale, eseguita dal maestro Francesco Maria Rossi, moderno artista scalpellino, sostituita poiché la precedente era completamente abrasa. All'interno del castello si trova la Parrocchiale, dedicata a S. Pietro Apostolo, che conserva rilevanti opere di artisti locali; quasi completamente rifatta nel secolo ventesimo, ha un'origine più antica (1523)».
«Ripalta è un piccolo agglomerato di case a 215 m di quota su un'alta ripa affacciata sul Rio Secco, al confine col Comune di Mombaroccio, comprendente anche i ruderi del Castello omonimo. Data la sua posizione privilegiata, al disopra di una boscaglia e di alte ripe, Ripalta fu uno dei vari fortilizi che sorgevano un po' ovunque nell'entroterra con funzione di avvistamento e di controllo. Scarsa è la documentazione che si può rintracciare su Ripalta. La prima notizia sul Castello risale al 1175 e si trova in una concessione enfiteutica della canonica della cattedrale di Fano concernente "totum mansum Roncalfi in curte castri Ripalte ... medietatem de orticello ante portam castri Ripalte, a latere cuius primo est via que vadit iuxta castrum". Nel 1283 faceva parte dei "castelli al di qua del Metauro" soggetti alla città di Fano. Più tardi Ripalta, pur “meschinissima villa della diocesi di Fano", arrivò a possedere tre chiese; attorno al 1800 ne rimarrà una sola, quella parrocchiale, che prenderà il nome dei santi Biagio e Cesario. Rappresentò il rifugio di briganti fin dalla seconda metà del XVI secolo. Del Castello è rimasto visibile solo un brandello di muro della torre, da cui si può dedurre che esso era costruito su strati verticali a strapiombo sul Rio Secco».
San Costanzo ("castello", mura castellane)
«Le ipotesi più accreditate fanno risalire la costruzione delle Mura di San Costanzo al XIV secolo al tempo dei Malatesta. Il primo documento d'archivio relativo alla storia del castello, nel quale si parla di riparazioni a seguito di un incendio, è del 1439. Nel 1429 il castello viene rinforzato nelle mura e ristrutturato come vero e proprio fortilizio. Dopo la sconfitta di Sigismondo al Cesano del 1462 e la presa di Fano del 1436, San Costanzo ed altri castelli, Senigallia compresa, vengono affidati al duca Antonio Piccolimini, nipote di papa Pio II, ma dopo la morte del Papa, avvenuta ad Ancona nell'agosto del 1464, ... "tutti li castelli del Vicariato et del conta di Senigallia e San Gostanzo, in un dì tutti si voltorono". Nel 1472 San Costanzo è soggetta a Fano come si evince da documenti che riguardano la competenza dei tribunali in quel periodo. Un primo importante documento riguardante le mura è del giugno 1474: ci fornisce notizie sui lavori di costruzione della scarpa cui attendono i maestri Venerando fu Giacomo riminese e Domenico Lombardi. Il castello non è ancora entrato nei possedimenti di Giovanni della Rovere pertanto il documento è estremamente interessante giacché attesta lavori all'apparato difensivo prima dell'intervento roveresco, che comunque c'è stato come dimostrano i resti lapidei con le sigle del signore di Senigallia ancora presenti sulle mura. Le sigle apposte dal principe in più punti del circuito sono infatti collocabili nell'arco temporale 1474-1501. Come afferma R. Reposati, "San Costanzo ha forti mura castellane, lavorate, come suol dirsi, a scarpa"; un'affermazione che aveva fatto esprimere nel secolo scorso il Promis a favore qui di un intervento di Francesco di Giorgio Martini. Infatti sul circuito murario, sotto il possente volume del teatro Della Concordia, si trova quello che costituiva l'elemento fondamentale del sistema difensivo: il massiccio rivellino o una torre maestra molto simile ai mastii delle vicine rocche di Mondavio e Mondolfo.
Di particolare interesse, lungo le mura, anche la porta di accesso difesa da due torri cilindriche scarpate, con cordolo e lunghi beccatelli, e la torre d'angolo anch'essa circolare con curiosa scala interna semicircolare. Ma è soprattutto dall'analisi dell'impianto urbanistico della progettazione difensiva e dell'organizzazione spaziale e funzionale dei vari elementi, anche in raffronto con le altre realizzazioni martiniane, che il tutto sembra rispondere ad un progetto unitario preordinato, il che rafforza l'ipotesi di un intervento di Francesco di Giorgio o di Baccio Pontelli, attivo, quest'ultimo, presso la corte roveresca (Orciano e Senigallia). Lo schema planimetrico della cittadella di San Costanzo, mostra inquietanti analogie con la nota simbologia antropomorfica adottata da Francesco di Giorgio nella sua illustrazione grafica dell'Homo ad urbem. Come nel disegno martiniano la pianta di San Costanzo presenta nel caput la grossa torre poligonale, legata al circuito murario segnato da torrioni circolari regolari e simmetrici corrispondenti ai "piedi"; al centra al "petto", e aperta col prospetto su di una piazza, si alline (quasi omologa al disegno di Francesco) la pian della chiesa che costituisce il "cuore" figurativo dell'insediamento. L'identificazione morfologica tra uomo e città è i tema scontato per Francesco: vi si è voluto intendere un signif! cativo privilegio della "città, fortificata" laica ed adattabile alle contigenti variabi orografiche (come sempre Francesco intendeva gli schemi delle sue architetture) contrapposte alla città, civile legata alla, sacralità dei suoi riti di fondazione».
San Costanzo (torrione, torre dell'Orologio)
«Il Torrione di San Costanzo venne fatto costruire nella seconda metà del Quattrocento su volere di Giovanni Della Rovere, sulla stregua dei masti di Mondavio e Mondolfo. In quegli anni tutto il centro di San Costanzo venne rafforzato dal punto di vista militare e difensivo, tramite numerosi interventi alle mura del centro e ad altre fortificazioni, su volere anche di Antonio Piccolomini, nipote di papa Pio II, nel 1462. La storia del Torrione è strettamente legata alle vicissitudini di San Costanzo, centro da sempre ubicato lungo la strada di crinale che unisce Mondavio e Orciano a Mondolfo, e quindi di rilevante posizione strategica. Al Torrione si è poi innestato, nei secoli successivi, l'imponente impianto dell'attuale Teatro Comunale. Non si può escludere che, nell'ambito della progettazione delle opere di fortificazione realizzate per Giovanni Della Rovere, siano stati coinvolti Baccio Pontelli e Francesco di Giorgio» - «Costruita sulle mura troviamo la chiesa Parrocchiale dei Santi Cristoforo e Costanzo del XVI secolo. La torre, costruita nel 1570 a spese della comunità e del rettore della chiesa locale, ha la funzione di annunciare sia i pubblici consigli sia le funzioni religiose, svolge oggi solo funzione di campanile della Parrocchiale. Il teatro "Della Concordia" riaperto al pubblico recentemente risalente al XVIII secolo è realizzato in un'ala residenziale del castello, probabilmente con il contributo delle famiglie nobili di San Costanzo: vi recitò Costanza Monti moglie di Giulio Perticari. Ai piedi delle mura sotto l'imponente mole del complesso Torre-Chiesa-Teatro si trovano Piazza Perticari con la sua fontana costruita nel 1902 e il palazzo del municipio, già dimora dei Conti Cassi, che ospita il "Battesimo di Costantino" del veronese Claudio Ridolfi».
http://castelli.qviaggi.it/italia/marche/torrione-di-san-costanzo - http://www.lavalledelcesano.it/standard.php?lingua=it&id_sezione=21...
SanT'ANGELO IN LIZZOLA (castello Mamiani)
«Venne costruito a partire dal 1588 su disegno dell’architetto Giovanni Branca; dell’edificio originale, quasi completamente ricostruito dopo la II guerra mondiale, resta oggi solo la torre, alta 20 metri, che domina l’intero paese ed è visitabile, spingendosi fin sulla cima, da dove si gode lo splendido panorama delle valli circostanti. Durante il 1400 Sant'Angelo in Lizzola entrò nella sfera di influenza degli Sforza, signori di Pesaro; seguì poi le vicende del Ducato di Urbino, quando il Papa Giulio II cedette i territori sforzeschi al Duca Francesco Maria della Rovere nel 1513. Fu proprio il Duca di Urbino ad elevare a contea il castello di Sant'Angelo in Lizzola e a cederlo in feudo alla famiglia Mamiani. A questi ultimi furono legate a lungo le vicende del paese, fino al 1885, quando morì l'ultimo rappresentante della famiglia, il celebre Terenzio Mamiani. Altra nobile famiglia locale degna di essere ricordata è quella dei Perticari. Soprattutto tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del diciannovesimo, a Sant'Angelo, grazie all'opera del conte Giulio Perticari, convenivano i migliori ingegni dell'epoca: da Vincenzo Monti a Rossini, da Leopardi al Giordani al Cassi. Dal 1936, il castello è sede del Municipio. I locali della torre sono attualmente utilizzati per esposizioni d’arte e iniziative culturali, mentre il piano interrato del palazzo ospita l’Archivio comunale e la Biblioteca di Sant’Angelo in Lizzola e Monteciccardo, alla quale si accede attraverso un vialetto costellato di ulivi. Una volta varcata la porticina aperta nel torrione si può salire al belvedere, affacciato verso est, lasciando che lo sguardo arrivi fino al mare Adriatico. Per approfondire si può visitare il seguente sito: http://www.cortedeimamiani.com».
http://castelliere.blogspot.it/2011/05/il-castello-di-domenica-22-maggio.html
«La Palazzina è un complesso residenziale rurale, posto lungo la valle del Metauro al confine fra i comuni di S. Ippolito e Serrungarina, che comprende oltre la splendida casa padronale (la Palazzina vera e propria), una graziosa cappella ed una casa colonica. La costruzione risale al XVII secolo, quando la famiglia di proprietari terrieri Sabbatelli di Fossombrone la utilizza come casino nobiliare e luogo di villeggiatura. In seguito la Palazzina passerà ai marchesi Sorbolonghi, anch'essi originari di Fossombrone che alla fine del '700 modificarono in parte gli interni. Fu Tiberio, pronipote di Giovanbattista Sorbolonghi, che fece costruire accanto alla villa la chiesetta dedicata a Sant'Abbondio. Ancora una famiglia nobile, i conti Falletti, furono i proprietari dalla fine del XIX sec. fino agli anni '70. Oggi la Palazzina è restituita al suo antico splendore grazie al restauro realizzato dalla società proprietaria. Posta su un rialzo della piana che costeggia il fiume Metauro, circondata da un boschetto di querce, la Palazzina è uno splendido esempio di casa torre colombaia. Questa tipica architettura delle campagne marchigiane è qui utilizzata come luogo di svago e villeggiatura. La villa signorile presenta un un porticato ed bel loggiato che corre lungo i tre lati della casa, una doppia scala esterna che conduce alla loggetta centrale del piano nobile, aperture ad arco sulla sommità della torre-altana e numerosi particolari in pietra arenaria quali mascheroni decorativi, gocciolatoi, capitelli e parapetti. Questi particolari fanno della Palazzina un delizioso luogo di villeggiatura, dove le famiglie che si sono succedute nella proprietà passavano la bella stagione abbandonando i palazzi di città per seguire i lavori nelle loro terre e godere degli ozi al fresco della campagna. Interessante anche la chiesetta, cappella gentilizia della famiglia, abbellita da una loggetta e da decorazioni in pietra arenaria. La felice posizione, la grazia della costruzione, la ricchezza delle decorazioni fanno della Palazzina uno dei più begli esempi di architettura signorile di campagna di tutte le Marche».
Sant'Ippolito (mura, resti del castello)
«In cima al colle di Sant'Ippolito, attorno ai primi insediamenti abitativi vennero erette delle mura difensive. In seguito le difese vennero rafforzate e quando nel XV secolo Federico da Montefeltro duca di Urbino conquistò il paese, fece intervenire il suo più famoso architetto, Francesco di Giorgio Martini, nelle opere di costruzione della rocca. Oggi non ci sono tracce di questo intervento, tranne la base di quello che doveva essere un mastio nella parte che guarda verso la valle del Metauro. Tuttavia la cinta muraria, completamente in pietra arenaria, è ancora integra e dall'alto delle mura si gode uno splendido panorama. Si entra alla rocca attraverso un arco sovrastato dalla torre campanaria eretta nel '700, sotto la volta, a sinistra, una iscrizione in caratteri gotici risalente al XII secolo. Subito dopo, ancora a sinistra, l'ingresso alla chiesa di S. Antonio risalente al XIV secolo che conserva altari ed ancone opera degli scalpellini locali ed una tela di scuola baroccesca».
a cura di Renzo Bassetti
Sassofeltrio (rocca del Sasso)
«Fonti storiche lo citano fin dal 756 d.C. quando Sassofeltrio entrò a far parte dello Stato della Chiesa con la "donazione" fatta da Pipino re dei Franchi al Beato Pietro. Altre fonti risalgono al 962 quando Ottone I Imperatore di Germania concesse in feudo a Ulderico di Carpegna il "Sassum" insieme ad altri castelli della zona. Non si sa con certezza quando il Sasso sia diventato dominio dei Malatesta, ma già in documenti del 1232 e poi del 1371 viene citato il "Castrum Saxi" fra i domini della Signoria di Rimini. La politica espansionistica dei Maiatesta fra il 1250 e il 1400 apportò annessioni territoriali anche nella valle del Conca. Pertanto nel 1371 il cardinale Anglico Grimoard, legato pontificio, ebbe a scrivere: "Castrum Saxi habet roccham cum turri fortissima et custoditur pro D.no Malatesta de Malatestiis". Un tale complesso fortificato ebbe sicuramente un peso notevole nel contesto della guerra fra i Malatesta e i Montefeltro di Urbino. Dopo alterne vicende nel giugno del 1463 il Castello dei Sasso fu definitivamente conquistato da Federico da Montefeltro (duca di Urbino) in persona, dopo un violento assedio. Data la sua importanza strategica la rocca di Sassofeltrio fu ricostruita ex-novo nel punto ove sorgeva la distrutta fortificazione malatestiana. L’incarico fu dato al più grande architetto militare dei tempo: il senese Francesco di Giorgio Martini. Egli ci ha tramandato la descrizione e il disegno della Rocca evidenziando come accanto al persistere di sistemi difensivi medievali - percorsi tortuosi, possibilità,di intrappolare gli assalitori con strutture a difese concentriche, ecc. - fossero messe in atto le innovazioni richieste dai tempi nuovi: sopratutto quel “triangulo tutto massiccio con offese per fianco” costituito dal baluardo a punta di lancia.
La Rocca aveva un impianto quadrangolare. Le mura sopra la roccia avevano uno spessore di 14 piedi (5 metri); le pareti laterali della rupe erano grezze e avevano una altezza complessiva di 50 piedi (17 metri circa). Di pari misura era il diametro di base dei due torroni che fiancheggiavano la prominenza a punta di lancia messa a protezione dell'entrata. Dalla parte opposta vi era la Torre principale o 'mastio" a forma pentagonale con una sporgenza in altezza oltre la muraglia di 45 piedi (16 metri). Era dotata di cisterne per la raccolta delle acque, di mulini e di tutte le altre strutture di una fortezza-tipo quale la immaginava l'architetto senese nei suoi “trattati di architettura e ingegneria e arte militare”. Purtroppo di tale costruzione non esiste quasi più alcuna traccia; ma che la Rocca fosse iniziata e forse ultimata mentre era ancora vivo il Duca Federico ce lo conferma Vespasiano da Bisticci, intimo del duca stesso, quando cita la Rocca dei Sasso fra gli edifici fatti costruire per Federico da Montefeltro.Un parziale diroccamento si ebbe sotto il figlio Guidobaldo il quale ordinò di atterrare le fortezze del suo stato affinché non servissero a Cesare Borgia che lo aveva cacciato dal ducato. Un'altra distruzione di rocche si ebbe nel 1519 ad opera di Lorenzo De’ Medici, signore di Firenze. I documenti successivi testimoniano che la Rocca dei Sasso aveva ancora una sua funzione: fin dal 1579 nel mastio vi era la Sala Consigliare della Comunità. I verbali conservati nei “Libri dei consigli della Comunità” confermano che tale pubblica sala fu utilizzata fino al 1819 quando l’edificio fu abbandonato perché ridotto in stato pietoso. La prestigiosa Rocca Feltresca edificata da Francesco di Giorgio Martini cadde così nella più totale rovina».
http://www.comune.sassofeltrio.pu.it/la-storia/
«Le prime notizie sul castello di Tavoleto risalgono al 1361, quando viene citato tra i 42 castelli riminesi, la cui costruzione venne realizzata probabilmente nei primi anni del 1300 ad opera della famiglia Malatesta. Nel XV sec. il castello di Tavoleto venne coinvolto nella guerra tra Federico da Montefeltro e Sigismondo Malatesta, infatti tra il 1439 e il 1458 fu perso e ripreso per ben cinque volte, infine nel 1458 Federico da Montefeltro conquistò definitivamente Tavoleto. Federico fece distruggere il castello costruito dai Malatesta e diede incarico a Francesco di Giorgio Martini di costruire una potente rocca terminata sicuramente prima del 1474. Nel nuovo castello fu organizzato un presidio di 80 uomini agli ordini di un Capitano avente giurisdizione podestarile sui castelli circostanti. Nel 1631 il castello di Tavoleto, unitamente a tutto il Ducato di Urbino ritorna sotto il controllo diretto del Papato, mantenendo la preminenza sui castelli vicini essendo diventato sede di vicariato. Dal 1631 fino al 31 marzo del 1797 la vita del castello di Tavoleto trascorse senza tanti scossoni all’interno delle vicende dello Stato Pontificio. Il 31 marzo 1797 il generale Sahuguet, comandante delle truppe franco-cisalpine, con circa un migliaio tra fanti e cavallieri marciò sul Castello. L’attacco al castello fu descritto da don Pietro Galuzzi, arciprete di Tavoleto, che venne scelto dagli insorgenti come loro capo. Il 31 marzo 1797 i francesi, entrati a Tavoleto, lo saccheggiarono e quindi lo incendiarono; al momento dell’attacco, la quasi totalità della popolazione era fuggita e si era rifugiata nelle campagne, nelle cantine e nelle grotte, nonostante ciò lo scontro fece 22 morti, tutti uomini anziani e alcuni giovani. Tra queste vittime ci fu anche l’anziano parroco, don Gregorio Giannini, che infermo a letto fu freddato insieme al chierico Bernardino Santi di 18 anni e la sua casa data alle fiamme. Anche la rocca martiniana venne data alle fiamme, il vicario trovò rifugio con la sua famiglia ad Auditore, la rocca rimase pericolante fino al 1865, quando si decise di abbatterla ed utilizzare il materiale di risulta per la costruzione di strade comunali e per riparare le mura castellane. Nel 1885 l’avv. Ferdinando Petrangolini ricevette da papa Leone XIII il titolo di Conte a cui vennero assoggettati i territori facenti capo al vicariato di Tavoleto. In un primo tempo il conte Ferdinando si stabilì in un edificio che era stato ereditato dalla moglie, Rosa Michelini, alla morte del suo primo marito Francesco Falaschi. Successivamente nel 1924 il figlio Vincenzo Maria diede inizio ai lavori che diresse personalmente per la costruzione degli ultimi due piani dell’edificio principale e della torre che vennero realizzati sulla base di un edificio preesistente» - «L'imponente castello merlato che domina con la sua alta torre sull'abitato è il frutto di una ricostruzione pressoché totale realizzata nel 1865 dalla famiglia Petrangolini. All'interno mobili antichi e armi varie dei secoli passati. Solo le fondamenta e parte delle mura appartennero ad una rocca realizzata nel 1465 da Francesco di Giorgio Martini su commissione di Federico da Montefeltro, costituendo la stessa un baluardo avanzato del Montefeltro al confine con il territorio pesarese degli Sforza, già dei Malatesta. In località Monte S. Giovanni (m.620) esistono ancora i ruderi del castello detto 'La Trappola', una pineta e alcune grotte ancora inesplorate».
http://www.comune.tavoleto.pu.it/ci/3299.aspx - http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/comuni/tavoleto.html
«Il barco ducale è situato a nord-ovest della Città, a 1 km dal centro in direzione Sant’Angelo in Vado. Fondato nel 1465 per volere di Federico da Montefeltro, era uno dei luoghi preferiti di Francesco Maria II Della Rovere ed era spesso definito “viridario”. Questo era un parco venatorio ed offriva al Duca una possibilità di ristoro spirituale oltre che di svago fisico. Il sito è collegato al Palazzo Ducale da un miglio di fiume che cavalieri e dame risalivano in barca. All’interno vi si trovava un piccolo convento trecentesco di frati francescani minori, detti Zoccolanti, costruito a ridosso del fiume Metauro. Venne ampliato successivamente (1594 - 96) per volere dell’ultimo duca, Francesco Maria II Della Rovere che, a volte vi si fermava a desinare o a dormire – forse è per questo che, erroneamente, si identifica il Barco con la residenza estiva ducale. La struttura, a causa della eccessiva vicinanza al fiume e alla costruzione di una chiusa a poca distanza, cominciò a presentare problemi strutturali molto gravi, tanto che nel 1719 una parte del convento crollò. Si decise così, di abbandonare la struttura antica che venne totalmente demolita e il materiale riutilizzato per il nuovo edificio, il cui modellino in legno, probabilmente opera di P. Soratini, è esposto all’interno del Museo Civico di Urbania. L’imponente complesso architettonico che ora possiamo ammirare è un convento settecentesco in stile vanvitelliano, la cui chiesa dedicata a San Giovanni Battista venne consacrata nel 1771. Oggi la struttura è sottoposta ad un lungo e meticoloso lavoro di restauro, già completato all’esterno, che la riporterà all’originario splendore. Durante i recenti lavori di restauro sono stati riportati alla luce nella stanza del refettorio dei frati francescani, affreschi risalenti al '700, tra cui una "Ultima cena" del pergolese Gianfrancesco Ferri. Il Barco è oggi sede delle attività e dei laboratori di ceramica e di artigianato artistico del Museo Civico, tenuti in collaborazione con l’Associazione Amici della Ceramica. I laboratori del Museo al Barco Ducale fanno parte del circuito “Museo del Metauro” della Comunità Montana Alto e Medio Metauro, assieme al Museo della Città di Urbino e al Museo di San Francesco di Mercatello sul Metauro».
http://www.urbania-casteldurante.it/it/barco-ducale.html
Urbania (palazzo comunale e torre civica)
«La piazza in cui vi trovate fu utilizzata per l'amministrazione politica di Casteldurante fin dal Medioevo. L'originario Palazzo, che doveva essere completato da due torri laterali, fu demolito nel 1543 e ricostruito negli anni successivi con l'apporto di Girolamo Genga. Inaugurato nel 1557, ospita ancora oggi il Municipio. Sulla facciata campeggia un imponente stemma che fu affisso nel 1636, quando Casteldurante cambiò nome in Urbania in onore del nuovo papa Urbano VIII. A sinistra è una targa affissa nel 1914 in occasione del quarto centenario della morte di Donato Bramante, di cui la città rivendica i natali. Nell'alta torre, che fu terminata successivamente, nel 1579, è un grande orologio ottocentesco che andò a sostituire quello originario voluto dal duca Francesco Maria II della Rovere».
http://www.museodelmetauro.it/?q=it/node/95
«Vi trovate nel cortile del Palazzo Ducale, vasto complesso monumentale dovuto alla committenza dei Montefeltro-Della Rovere che lo edificarono sopra una preesistente rocca appartenuta alla famiglia Brancaleoni. L'architetto Francesco di Giorgio Martini progettò l'impianto generale dell'edificio nel 1470 ca. e Girolamo Genga, nella prima metà del ‘500, ideò le sale più belle all'interno del Palazzo, compreso l'aereo camminamento sul fiume Metauro che svela, come potrete vedere, un incantevole scenario paesaggistico. I Montefeltro-Della Rovere vi trascorsero lunghi periodi dell'anno, soprattutto Francesco Maria II, ultimo duca di Urbino che, come già indicato, trascorse il maggior tempo della sua lunga reggenza in questa residenza. Dal 1608 nel Palazzo era conservata la Libreria del duca, tra le più importanti dell'epoca, che fu lasciata per volere testamentario alla comunità di Casteldurante. Anche se lo straordinario materiale fu per lo più trasferito nel 1667 per volontà di papa Alessandro VII a Roma per costituire la Biblioteca Alessandrina, il lascito segnò comunque l'inizio delle collezioni del Museo Civico odierno. Per sopperire alla perdita della preziosa eredità, il primo vescovo di Urbania, Onorato Degli Honorati, e il Conte Bernardino Ubaldini, provvidero immediatamente a donare le loro librerie e collezioni d'arte, esempio seguito successivamente da altri illuminati donatori, la cui generosità perdura ancora oggi. Accanto alle collezioni ducali, vi sono infatti esemplari del collezionismo novecentesco, dalle ceramiche di Federico Mèlis, alle opere donate da Carlo Ceci, Trento Cionini, Enrico Galluppi, Nadia Maurri Poggi, Vittorio Salvatori ed altri ancora. Dopo la morte dell'ultimo duca di Urbino il Palazzo passò di proprietà al Granduca di Toscana e in seguito la famiglia Albani lo acquistò dalla camera Apostolica per impiantarvi una fabbrica di ceramica. Divenne poi proprietà del cavalier Torquato Piccini che ne fece dono all'Opera Pia e in seguito, negli anni 80 del ‘900, passò al Comune di Urbania. Nel Museo Civico e nella Pinacoteca scoprirete le importanti collezioni che vengono periodicamente riorganizzate in concomitanza con mostre o nuove acquisizioni. ... Nei suggestivi sotterranei è stato allestito l'interessante Museo di Storia dell'Agricoltura e dell'Artigianato, nell'ambito della rete Musei Partecipati».
http://www.museodelmetauro.it/?q=it/node/90
«Il fortilizio che domina la città dall'alto del cosiddetto Pian del Monte, è detto Fortezza Albornoz, perché il primo a concepirlo fu Egidio Alvares Carillo de Albornoz, cardinale e diplomatico spagnolo. Sceso in Italia da Avignone, al comando di truppe papali mercenarie, l’Albornoz sottomise alla Chiesa la Romagna e le Marche, fu legato papale in Italia fra il 1353 ed il 1367 e restaurò l’autorità papale nello Stato Pontificio, preparando il ritorno di Urbano V da Avignone. In realtà, sembra che la fortezza sia stata realizzata dal suo successore, il cardinale Angelico Grimoard, tra il 1367 ed il 1371. Già provata durante l'assedio capeggiato da Antonio da Montefeltro - che tornava a conquistare Urbino nel 1375 - la fortezza subì varie distruzioni e ricostruzioni nel corso del secoli. L’attuale struttura - interamente realizzata in laterizio - ha un impianto rettangolare munito di cortine scarpate continue, con due torri semicircolari verso l’interno delle mura, e bastioni. Ai primi del Cinquecento, per opera dell'architetto urbinate G.B. Comandino, la fortezza fu raccordata alla nuova cinta di mura bastionate della città, e ne costituì l'avamposto nord-settentrionale. Nel 1673 la rocca fu ceduta ai padri Carmelitani Scalzi del vicino convento, oggi sede dell'Accademia di Belle Arti. Nel 1799 la fortezza fu riedificata, per esigenze militari, a cura dell’architetto urbinate Vincenzo Nini. La sua posizione elevata e libera da barriere visive offre ampie e suggestive vedute panoramiche sulla città e i suoi dintorni. Il grande spazio antistante, un tempo adibito ad orto dai Carmelitani Scalzi, è ora aperto al pubblico e dedicato alla Resistenza: ai piedi della rocca s’erge, infatti, una scultura, Monumento alla Resistenza, opera di Umberto Mastroiani».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/urbino/fortezza-albornoz/
Urbino (palazzo Comunale e altri palazzi)
«L’attuale palazzo comunale fu, fino alla metà dell' 400 circa, la dimora di un ramo dei Montefeltro, tanto da portare ancora i segni evidenti di quel periodo, come si può evincere dal portale d'ingresso e dalle finestre. Nel 1712 fu oggetto di radicali modifiche per ordine del cardinale Albani, e sulla facciata che guarda Piazza della Farina spicca una riproduzione della Madonna di S. Luca mentre nella facciata verso il Duomo, si scorgono conci in pietra e tracce di antiche aperture dove si trovano diverse lapidi commemorative. All’ingresso troviamo un busto del Cardinale Albani ed una dedica al Patrio Consiglio, mentre poco avanti c’è un pannello marmoreo con riproduzioni delle unità di misura del XV secolo. Lo stemma della città. In precedenza il simbolo della città era rappresentato da un’aquila imperiale nera su sfondo oro. Lo stemma attuale raffigura 3 bande di smalto oro su sfondo azzurro, mentre nella parte centrale è impressa una piccola aquila imperiale. Prima dell'800 l'emblema cittadino era composto da un'aquila che sorregge tra gli artigli lo stemma dei Montefeltro e sul becco un ramoscello di rovere, in seguito cancellato».
http://www.urbinoculturaturismo.it/id/413/1856.aspx - Altri palazzi: http://www.urbinoculturaturismo.it/ci/413.aspx
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Federico da Montefeltro Il palazzo, voluto dal Duca di Urbino Federico da Montefeltro, uomo d'arme e raffinato umanista, venne costruito nel corso del XV secolo in fasi successive. Fra le innumerevoli maestranze che furono impiegate in tale ardita costruzione, vogliamo qui ricordare i nomi dei tre architetti che ebbero il merito di rendere l'edificio uno dei palazzi più eccelsi dell'epoca rinascimentale: il fiorentino Maso di Bartolomeo, il dalmata Luciano Laurana e il senese Francesco di Giorgio Martini. Il nucleo più antico del palazzo, denominato "Palazzetto della Jole", fu edificato per volontà del conte Guidantonio, padre di Federico. Si affaccia con il suo lato lungo su piazza del Rinascimento, collegandosi idealmente alla Chiesa di San Domenico, abbellita da un elegante portale rinascimentale opera di maestranze fiorentine con decorazione a lunetta di Luca della Robbia. E proprio a tali maestranze, guidate dall'architetto-scultore fiorentino Maso di Bartolomeo, si rivolse Federico nel 1454 per dare avvio alla progettazione della prima fabbrica. All'architetto dalmata Luciano Laurana vanno invece attribuiti numerosi ambienti del piano nobile che andarono a completare il Cortile d'Onore: lo Scalone d'Onore, la Biblioteca, il Salone del Trono, la Sala degli Angeli, la Sala delle Udienze. Sempre al Laurana si deve la progettazione delle due grandi invenzioni eterne della residenza: la famosa facciata dei Torricini e lo Studiolo del Duca Federico. A sostituire il Laurana attorno al 1474 fu l'artista-architetto-ingegnere senese Francesco di Giorgio Martini che restò al servizio dei Montefeltro per oltre undici anni. Il Martini si occupò dell'ultimazione delle parti incomplete del palazzo nonché dell'ideazione del complesso impianto idrico per il quale il palazzo andò famoso ai suoi tempi. Con il Martini il palazzo era diventato ciò che ancor oggi ci affascina incredibilmente: una costruzione di straordinaria raffinatezza decorativa, di eccezionale bellezza, di grandissima comodità; un "palazzo in forma di città" in grado di accogliere centinaia di persone. Nel corso del XVI secolo, con il passaggio del Ducato alla dinastia Della Rovere, il palazzo subì nuovi ampliamenti e modifiche, con l'aggiunta del secondo piano nobile, il cosiddetto "Appartamento roveresco". A partire dalla devoluzione del ducato alla Santa Sede, nel 1631, il palazzo dovette subire un lento processo di spoliazione e degrado durato per secoli. Nel 1912 all'interno del Palazzo è stata allestita la Galleria Nazionale delle Marche che ha permesso il recupero di numerose opere d'arte.
La visita della struttura ha inizio dal cuore del Palazzo: il Cortile d'Onore, contornato sui quattro lati da un portico ad archi che riporta un'iscrizione dedicatoria in memoria del duca Federico. Dal Cortile si accede ad una serie di ambienti suggestivi, primo fra tutti la Biblioteca del Duca, con annesso scriptorium, che ospitò una delle collezioni più cospicue dell'epoca, composta da oltre 2000 volumi manoscritti e miniati, oggi conservati presso la Biblioteca Vaticana. Dal cortile si accede anche alla Sala dei Banchetti e da qui alle due cappelline private del Duca (Cappella del Perdono, Tempietto delle Muse), agli Appartamenti dei gentiluomini d'arme, che oggi ospitano il Museo archeologico, e infine ai Sotterranei, che costituiscono il vero 'motore' del palazzo, con numerosi ambienti di servizio: Cucina, Bagno del Duca, Neviera, Scuderia, ecc. Salendo il monumentale Scalone d'Onore si raggiunge il primo piano nobile, diviso in cinque appartamenti: Appartamento della Jole, Appartamento dei Melaranci, Appartamento degli Ospiti, Appartamento del Duca, Appartamento della Duchessa, oltre a varie Sale di Rappresentanza. Fra i vari ambienti, degni di nota sono la Camera da letto che ospita l'Alcova del Duca, il Camerino Dorato, con un bel soffitto decorato a stucco che riporta le imprese feltresche, lo Studiolo del Duca, capolavoro di tarsia prospettica, la Sala degli Angeli, il Salone d'Onore, il Salotto della Duchessa. Al secondo piano si trovano invece gli Appartamenti Rovereschi, frutto dell'ampliamento voluto dai duchi Della Rovere nel corso del Cinquecento».
http://www.pesarourbino.com/palazzo_ducale_urbino.html
Urbino (porte: Lavàgine, Posterula, Santa Lucia, Valbona)
«Porta Lavàgine. Nel XIV-XV secolo, la contrada di Lavàgine, oggi Via Cesare Battisti, sembra sia stata fra le prime a sorgere e a svilupparsi. La porta omonima diventò ben presto la principale via d’accesso alla città, praticamente da tutte le direzioni, dato il naturale raccordo con l’antica strada per Fossombrone e Pesaro, nonché la Via Flaminia. All’interno della Porta si appoggia la piccola chiesa di Santa Maria degli Angeli, che risale al Seicento. Porta Lavàgine possedeva pure un baluardo esterno, che fu demolito nel Settecento. Secondo un’approfondita analisi toponomastica, il nome della porta - davvero curioso - sembra significare zona scoscesa, franosa, ricca d’acque, quindi umida. Porta Posterula. In corrispondenza del vicolo, oggi chiamato “Foro di Posterula”, sorge la Porta omonima, situata fra Via Valerio e la valletta delimitata da un prato che si sparge sul tracciato di Via Budassi. Si noterà che i toponimi sono molto antichi e si riferiscono al vicolo tracciato dalle mura romane. Porta Santa Lucia. Deriva il nome deriva dall'antico complesso di Santa Lucia, formato da una chiesa e annesso convento che sorgevano in fondo alla discesa, di fronte alla chiesa dedicata allo Spirito Santo. La sua struttura ha qualche tratto in comune con la porta di Lavàgine. Sopra la volta è stata eretta una piccola costruzione, mentre, nella parte interna si nota una meridiana. Porta Santa Lucia è uno dei punti panoramici più interessanti di Urbino. In particolare, dalla Porta si domina la città e le colline che si snodano ad oriente verso la Repubblica di San Marino ed il mare. Porta Valbona. S’apre sulla vasta Piazza del Mercatale ed è certamente la porta più importante di Urbino, perché si immette su Via Mazzini, che arriva direttamente al centro storico. Porta Valbona presenta una singolare architettura - volutamente scenografica - perché fu eretta nel 1621, quando il duca Federico Ubaldo della Rovere sposò Claudia de’ Medici. Nell’alto fregio si nota ancora l’iscrizione dedicatoria agli augusti sposi. Purtroppo sono andate perdute sia la statua allegorica della Fama, che ornava il timpano, sia le due statue poste nelle nicchie ai lati della porta. Le due aquile poste ai lati del fastigio furono realizzate, a metà Settecento, da G. Francesco Buonamici. In occasione di recenti scavi (1986), sono stati portati alla luce alcuni resti della porta costruita in età federiciana».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/urbino/porta-lavagine - porta-posterula - porta-santa-lucia - porta-valbona
«Via Barocci e quartiere di S. Giovanni. A un passo dalla centrale piazza della Repubblica, si trovano via Barocci e il quartiere di S. Giovanni. La via Barocci è una via appartata, di origine medievale che conduceva a un antico ospedale che, soppresso nel 1365, fece posto all'oratorio di S: Giovanni che i Salimbeni avrebbero reso famoso con il loro cielo di affreschi (1416). Sbocca in via Barocci il vicolo del Rifugio, caratteristico per la presenza di una casa forse trecentesca, sporgente su mensole a beccatelli, mentre in primo piano risalta una delle tipiche canne fumarie esterne su mensolette in arenaria. Questa è una zona che, pur arricchita con costruzioni di epoche successive, mantiene ancora una fisionomia medioevale, per le sue vie strette e buie. Via Cesare Battisti (Lavagine). In epoca Alto medioevale, si sviluppò, un altro quartiere, quello detto di Lavagine, nome che probabilmente deriva da " lavare". Data la sua favorevole posizione rispetto alla rete viaria dell'epoca, Lavagine dovette diventare la principale via d'accesso alla città, praticamente da tutte le direzioni, dato il raccordo naturale con l'antica strada per Fossombrone e la via Flaminia. Via Bramante e contrada di S. Lucia. Via Bramante è l'antica contrada di S. Lucia così detta dal convento trecentesco, che si trova, con la chiesa, dopo il moderno isolato di Palazzo Albani di fronte all'attuale chiesa di S. Spirito. Il tracciato della strada si pensa che sia antichissimo, corrispondeva infatti, all'accesso in città della strada Romana proveniente di Rimini. La via conservò un'importante funzione direzionale anche nel successivo sviluppo urbanistico. Ora la contrada non presenta più la fisionomia medievale per la presenza di numerosi palazzi del Quattrocento e del Cinquecento e anche di epoche successive. Via Mazzini, il quartiere di Valbona. La contrada di Valbona o Valle Buona, nome dato per la sua buona esposizione, è quella che dall'antico pian del Mercato (oggi piazza della Repubblica), raggiunge il piazzale del Mercatale. Rimase a lungo in secondo ordine rispetto a Lavagine e S. Lucia anche perché l'antico tracciato romano, che partiva dal Castellare per via delle Stallacce, era poco agevole. Il quartiere ha un'origine medievale: caratteristici i suoi vicoli e le sue piole che si ramificano lateralmente alla strada principale. Non ha tuttavia conservato la fisionomia originaria per il sovrapporsi di elementi architettonici dell'epoca successiva. S. Paolo. Prende il nome dalla chiesa di S. Paolo, inizia dalla sommità del Poggio ed è caratterizzata dalla presenza di Chiese e conventi. Nella via è ben visibile il punto in cui terminava il nucleo romano con la Porta Minore».
http://www.urbinonline.net/quart_med.htm
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