Una luce soffusa, un sottile velo prezioso sugli
avvenimenti, visti e raccontati con animo puro
ed a tratti disincantato… eppure eravamo
abituati a sentire ben altro su Lucrezia Borgia.
è
lei che parla in prima persona, è lei che
si racconta in un diario, è lei che adopera
questa formula tanto felice per la sua
immediatezza.
Lo storico-scrittore, Joachim Bouflet, ci fa così entrare
pian piano e con delicatezza in un mondo, quello
delle Corti italiane di fine ‘400, complesso e
variegato, giocato sugli equilibri precari del
potere, fitto di intrighi, di sotterfugi, di
legami palesi e non, di equilibri più o meno
stabili; non molto distante, perciò,
dall’idea che abbiamo oggi della politica, noi
poveri profani!
Emergono accanto a Lucrezia figure a tutto tondo come
Alessandro VI, il papa-pater, ed il fratello, Cesare, che avevamo già conosciuto
dalle pagine del Principe di Machiavelli.
Singolare mi sembra l’interesse dello storico nei
confronti di un personaggio femminile, e per di
più italiano, come Lucrezia; lo affascina e lo
seduce al punto da inventarsi la fictio del diario segreto, una sorta di dialogo diretto con il
lettore, che si trova immerso in un mondo in
apparenza lontano, ma ancora presente nella
nostra memoria.
E così anche gli eventi più difficili da raccontare
vengono narrati da Lucrezia con naturale
delicatezza ed in un’atmosfera quasi
ovattata.
Sarà la forza del ricordo a conferire più fascino ed
incanto alle sue parole, sarà l’abilità
dello scrittore?
Il fatto è che c’è in questo libro una presa di
coscienza del peccato e delle sue conseguenze.
Una certa autoconsapevolezza, pur velata di
indulgenza nei confronti delle proprie
debolezze, si avverte anche nel Papa-pater
che si mostra particolarmente
“condiscendente“ verso un certo tipo di
peccati, quelli carnali!
C’è sempre comunque in Lucrezia una
dose di ingenuità, una spregiudicatezza o
purezza di fondo, non saprei, che la colloca super partes e filtra e filigrana
la realtà, anche quella più scomoda,
rendendocela sfumata ed impalpabile come cipria
e, forse perciò, accettabile anche nei suoi
risvolti violenti o lascivi…. di cui la
libellistica e tutti i media
dell’epoca
non furono certo avari!
Spicca accanto a lei, come ombra onnipresente, la figura
del papa-pater
nella sua imponente avvenenza, nella sua
fermezza nel difendere e proteggere il proprio pluriuniverso familiare, nel suo dover essere, nel gioco oscuro delle alleanze, in quel camaleontismo
proprio anche di quell’epoca, per cui gli amici
o i
compagni di un tempo potevano all’improvviso
trovarsi ad essere nemici;
un
voltafaccia continuo e ad oltranza, uno sprezzo
per la vita umana ed un ricorso alla violenza -
più o meno manifesta - per rimuovere qualsiasi
ostacolo si frapponesse alle mete da
raggiungere. Si trattava di difendere e tutelare
il prestigio e la potenza della famiglia Borgia,
divenuta nobile per una serie di circostanze
fortunate, ma anche di mantenere per
la
Chiesa
una posizione stabile e sicura nel pulviscolo
degli Stati regionali di cui era costellata
l’Italia, col beneplacito di Francia e Spagna.
Ambigua, oscura, impenetrabile, talora inspiegabile appare
la condotta del Valentino - altro comprimario di
Lucrezia - dettata in apparenza dal gusto per la
crudeltà fine a se stessa.
Nobile, gentile, condiscendente ai voleri della sua
famiglia, ma anche complice involontaria dei
suoi misfatti, Lucrezia.
Dalla “scuola”
di politica ad oltranza della sua grande
famiglia impara a dissimulare, ed a incantare
chi la circonda, a vivere forse un po’ troppo
del solo presente (e qui mi riferisco in
particolare alla sua vicenda matrimoniale con il
conte di Bisceglie).
C’è come un'insistenza da parte sua nel riferirci le
dicerie che la riguardano, ma anche nel
ribadirne l’ infondatezza. C’è anche una
sorta di postumo autodafé
che non può non incantare noi lettori amanti
della Storia, abituati come eravamo a sentirne parlare
come di una creatura incestuosa, adultera ed
avvelena-mariti.
Ma questa non è forse l’immagine che una certa
storiografia, piuttosto indulgente con un certo
tipo di fonti pettegole, ha voluto proporci?
Ricordo con una punta di nostalgia una serie di biografie
rilegate in marrone scuro e dai caratteri dorati
della Hoepli, in bella mostra nella biblioteca
paterna. Tra esse spiccava appunto quella di
Lucrezia. La mia fantasia ne immaginava i
delitti, i crimini, ma soprattutto i veleni…
Vederla invece adesso e a distanza di anni rappresentata
come una donna saggia, sapiente e pia non può
non stupirmi. Il suo è forse un lasciarsi trasportare dagli
eventi, in una sorta di abbandono in una culla
protettiva: la sua famiglia, quasi fosse immune
da intrighi, tradimenti o prevaricazioni.
Emerge, in questo libro, da parte sua, una sorta di
consapevole voluptas dolendi, un crogiolarsi nel dolore e nel lutto,
una volontà di espiazione dei peccati e un
desiderio di
purezza che ricerca
soprattutto nei ritiri spirituali nei monasteri.
Era quello il tempo delle “sante vive”, umili monache,
spesso di clausura, considerate già in vita
“beate” per la loro condotta ineccepibile o
per aver ricevuto le stimmate. A costoro i
potenti del tempo, sia laici che ecclesiastici,
ricorrevano e dedicavano grande rispetto ed
ossequio, quasi fossero un instrumentum regni, una specie di protettrici e “garanti del
potere”, per le loro facoltà di sentire il
futuro e di intuirne una prevedibile, da parte
del postulante, positività.
C’è però anche la
Lucrezia
amante della cultura e della poesia, di cui apprezza il carattere
consolatorio e liberatorio. Lo dimostrano la sua
dimestichezza con il Petrarca ed i versi del
Magnifico, la sua frequentazione di personaggi
come il Bembo o l’Ariosto.
Risaltano inoltre le sue doti di sensibilità politica e la
sua competenza laddove, nel 1501, si trova
investita provvisoriamente, dal papa, del titolo
di “vicariessa del seggio apostolico”, una
sorta di “papessa”.
è in grado di gestire dunque, anche se per brevi periodi,
gli uffici
dell’augusto genitore, spesso impegnato in
altre incombenze fuori Roma.
Può considerarsi questo un segno della maggiore
considerazione che le donne andavano acquisendo,
pur nel prepotere maschile, nelle Corti italiane
del ‘500?
Il tutto, sempre, sullo sfondo del gioco
altalenante di alleanze legate ai patti
matrimoniali, alla dote, ai benefici
ecclesiastici e non - considerati merce di
scambio -, in un ambiente di lusso, ostentazione,
sontuosità simbolo di un mondo in ascesa.
Spirito diviso a metà, quello di Lucrezia, diplomatica,
raffinata, colta, sensibile, ed anche pia,
insomma una figlia di razza, stretta tra
il desiderio di purezza e di redenzione e
l’accettazione di un destino che spesso la
trasforma, in complice - solo talvolta -
incolpevole: in
molti casi non poteva non sapere!
Di grande finezza
la scrittura di Joachim Bouflet che, non
venendo mai meno al rigore storico, ci dipana il
cuore della protagonista cesellandone tratti ed
ambienti di vita e ponendole accanto altre
figure al femminile, che, al suo tocco, rimangono
indimenticabili!
Giulia
Notarangelo
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