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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI PIACENZA
in sintesi
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«Uno dei più interessanti e singolari castelli del piacentino è quello di Montechiaro, la cui struttura si discosta da quella tradizionale, per il solitario dongione posto in mezzo al cortile del complesso, la cui impostazione si adatta alla forma dell'altura su cui sorge. La parte superiore della torre (nel quale si asserragliavano il feudatario e il presidio nei casi disperati per tentare di salvarsi dagli assalitori) è coronata da merli ghibellini; su una facciata una finestrella con voltino monoblocco in pietra fa pensare che la costruzione (almeno la parte inferiore) debba essere duecentesca. Una prima muraglia di quindici metri d'altezza, lungo la quale corre il cammino di ronda, si sviluppa a forma di esagono irregolare, e ad essa si addossano i caseggiati di abitazione e di servitù sorti in epoca successiva. Nella primitiva dimora signorile, disposta a nord-ovest, sono visibili sulle pareti di un ampio salone, tracce di tappezzerie affrescate, il cui motivo predominante è rappresentato dallo stemma nobiliare degli Anguissola, feudatari di Montechiaro. Sulla parete di un'altra stanza adiacente (forse in antico adibita ad oratorio) è una bella Madonna affrescata da un ignoto artista di epoca rinascimentale. La prigione è situata in un vasto sotterraneo sui cui muri è ancora chiaramente visibile, fra altre frasi e disegni, il brano di un canto liturgico inneggiante alla risurrezione di Cristo, graffito sull'intonaco da un anonimo prigioniero. All'esterno della prima cinta, e ad una quota inferiore di qualche metro, corre una seconda muraglia il cui andamento si presenta a forma quasi ellittica. Nel settore sud-ovest di essa è ricavato l'unico ingresso del castello, accessibile un tempo attraverso il ponte levatoio.
L'estremo margine del complesso è dato da una terza cinta muraria, in buona parte diroccata che -alla distanza di una trentina di metri - si snodava anch'essa con andamento poligonale attorno al colle. Montechiaro fu, all'epoca della sua costruzione, un caposaldo della potente famiglia dei Malaspina in direzione della pianura e di Piacenza. Forse furono essi a costruire il castello verso la metà del 1100. Ricordato anticamente come castello di Raglio frazione più vicina, dagli Annali Piacentini risulta che nel 1234 venne distrutto dai popolari piacentini che avevano pure dato l'assalto a Rivergaro e a Pigazzano, nei cui castelli si erano rifugiati i nobili fuggiti dalla città durante una delle tante lotte civili. L'abate A. Corna nel volume Rocche e castelli del piacentino riferisce un episodio databile al 1374, anno in cui un altro Fulgosio tentò inutilmente di occupare il castello difeso da Riccardo Anguissola. Questi peraltro seppe bene tenere a bada gli assedianti, anzi, durante le frequenti sortite, catturò pure molti prigionieri che poi fece precipitare dall'alto delle mura. Dopo alterne vicende, la controversia si appianò e la pace fu sottoscritta e sancita con un matrimonio tra una Fulgosio e un Anguissola. Nel 1462 Onofrio Anguissola, alla testa di un numeroso gruppo di rivoltosi - per lo più contadini avversi al governo di Francesco Sforza - venne clamorosamente sconfitto dalle truppe ducali a Grazzano Visconti. Sfuggito per miracolo alla cattura, l'Anguissola si rifugiò nel castello di Montechiaro dove venne catturato da suo fratello Gian Galeazzo, per ottenere il favore del duca. Scrive il Corna: "Il disgraziato, dopo dodici anni di prigionia, fu decapitato nel 1474 nella Rocca di Binasco". Il castello, uno dei più suggestivi del piacentino, sia per la posizione a dominio della media Val Trebbia, sia per il bel parco che lo circonda, sia per l'originale architettura, è pure famoso per il bassorilievo (ora al Museo Civico) in cui si notano gli abitanti del castello nell'atto di farsi incontro ai loro ospiti e la dicitura in lingua volgare (una delle prime testimonianze scritte) che suona: "Signori vu sie tuti gi ben vegnù e zesscun ghe verà serà ben vegnù e ben recevù"».
http://www.comune.rivergaro.pc.it/cultura/monumenti/montechiaro.html
«è alla fine del XII secolo che si collocano le origini in Val Riglio, lungo una variante della Via Francigena, del castello di Montechino, avamposto strategico a picco sul torrente Riglio. La storia del territorio affonda le sue radici nel medioevo, periodo in cui esistevano diversi insediamenti feudali sparsi sulle montagne, in gran parte di proprietà delle famiglie nobili dei Confalonieri di Piacenza e dei Nicelli. Questi ultimi erano spesso in lotta con i Landi, signori dell'adiacente Val Ceno, nell'intento di conquistare l'intera vallata. Fedeli a Carlo Magno, i Nicelli estesero i loro domini dalla montagna sino alle zone collinari, occupando oltre il territorio di Farini anche quello di Bettola. La famiglia Nicelli ha lontanissime origini che secondo la tradizione risalgono al colono romano Marco Anniccio, che eresse una torre in un luogo detto poi "Aniceto". ... Si racconta in Val Riglio che fu un uomo d’arme dei Confalonieri di Piacenza quello che circa otto secoli fa scavò la montagna e posò a terra la primissima pietra su una pre-esistente fortificazione romana. Una pietra che, da allora, è rimasta nello stesso luogo intatta a sostegno della torre. Fu l'inizio del castello di Montechino, un'opera imponente costruita con la sola forza delle mani. A lungo di proprietà dei Confalonieri, il castello fu venduto nel 1492 alla potente famiglia dei Nicelli, signori per secoli della val Nure. La storia documentata di questo castello comincia nel XII secolo, l’epoca in cui sorgono castelli, rocche e fortificazioni in tutte le valli del piacentino che, per la collocazione geografica, furono al centro di contese feudali continue sino al conflitto tra Papato e Impero nella lotta per le investiture, tra Guelfi e Ghibellini, le due fazioni opposte nella politica italiana dal XII secolo fino alla nascita delle Signorie dal XIV secolo in poi.
Di questo castello si conosce con precisione la storia a partire dal 1441, quando Filippo Maria Visconti, duca di Milano, investì della contea di Montechino Bertolino e Cabrino Nicelli. Di Montechino, ricordato nelle vecchie carte anche come Monte Occhino, furono, come si è detto, feudatari i Confalonieri, i quali nel 1492, nella persona di Niccolò, vendevano il castello omonimo e le terre pertinenti a Bartolino Nicelli il quale, per intercessione di Orlando Lampugnani, con rescritto ducale successivo, otteneva l'investitura feudale sul luogo stesso e su Rossoreggio e, in seguito, il titolo di conte. ... Con rogito del 20 luglio 1842 del notaio Baciocchi il castello fu venduto per 40mila lire al signor Giacomo Riva il quale, a sua volta, lo alienava ai conti Marazzani. Posto in vendita nel 1955, dopo la guerra, in seguito a una vertenza sorta fra gli eredi del conte Filippo Marazzani, il castello venne acquistato da mons. Stefano Fumagalli, arciprete di San Polo, il quale due anni dopo lo donava all'Ordinariato delle Suore per essere destinato a luogo di riposo delle monache di clausura. Perfettamente restaurato nel corso degli ultimi venticinque anni dall'attuale proprietario, nel rigoroso rispetto dell'originaria struttura, il castello di Montechino riunisce in sé il fascino delle storiche dimore toscane con quello delle antiche maisons provencales. ... La costruzione è in pietra, a pianta rettangolare con torre quadrata orlata da merli guelfi. Conserva ancora ben visibili i caratteristici incastri del ponte e del ponticello levatoi. Si trova sui primi Colli Piacentini, a mezz’ora d'auto dallo snodo autostradale di Piacenza accessibile da tutto il nord Italia. Vivibile tutto l’anno per la presenza di un impianto di riscaldamento a metano. Il castello è in perfetto stato di conservazione, immerso in 27 ettari di parco, boschi con alberi secolari e campi coltivati, si sviluppa su due piani per un totale di 1.100 mq.».
http://www.bocachicaplaya.com/montechino_castle.it.html - ...castello_storia.html
«Un’importante via metteva in comunicazione Bobbio e Pecorara attraverso Cicogni ed il Colle della Crocetta, proseguendo verso Nibbiano lungo il Tidoncello. Questa strada era presidiata da molte torri e fortezze, come quelle a Cicogni, a vedetta del Passo, e a Montemartino, che sovrastava la zona di confluenza. ... I fortilizi del Comune di Pecorara purtroppo non sono più facilmente riconoscibili, poiché le loro torri sono state distrutte, o per lo meno abbassate, in quanto pericolanti. A Montemartino, però i muri perimetrali dell’antico maniero sono ancora riconoscibili, benché vi siano addossati altri edifici; la torre fu però abbassata tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX».
http://www.turismoapiacenza.it/pecorara.asp
«I Romani si installarono in questa zona (Pagus Placentinus ferraticanus) per sfruttare le miniere di ferro, rame e talco dei monti circostanti. Qui passava la strada che collegava Piacenza a Velleia, scendeva nella Lunigiana e arrivava a Lucca. L’invasione longobarda ridusse la fiorente attività commerciale, ripresa nel X secolo quando ricominciarono gli scambi tra Piacenza e Genova. La prima offriva prodotti agricoli, in particolare grano; l’altra sale, spezie, agrumi e soprattutto olio: da qui il nome odierno del paese, che soppiantò l’antico Ponte Albarola. In questo periodo, furono costruiti fortilizi a difesa del passaggio dei mercanti, su preesistenti avamposti romani; e proprio sul monte Santo, tra boschi di castagni, noccioli, faggi, arbusti di biancospino e rosa canina, svetta il rudere della torretta d’avvistamento di un castello, edificato nel X secolo sui resti di una fortificazione romana, e appartenuto nel XIII secolo al Comune di Piacenza, poi agli Anguissola e ai Visconti. Il Torretto, come viene definito sulla cartografia ufficiale, è la meta di una facile camminata, che parte da Cassano, antica frazione di Ponte dell’Olio, posta a 371 metri sul livello del mare e a 24 km da Piacenza. ...».
http://piacenzasera.it/camminate-piacentine/camminate-piacentine-il-torretto-di-monte-santo...
a cura di Pierluigi Bavagnoli
MONTICELLI D'ONGINA (castello Pallavicino-Casali)
«Già esistente nel 1298, è uno dei più imponenti edifici di difesa esistente nel piacentino. Nella struttura attuale lo si deve a Orlando il Magnifico, agli inizi del 1400 poco dopo l’acquisizione del feudo di Monticelli, che lo volle possente e maestoso nelle forme, adatto a diventare un presidio militare. Alla sua morte la fabbrica, rimasta incompiuta, venne portata a termine dal figlio Carlo che la destinò a sua residenza estiva. Il monumento è uno dei più grandi, oggi presenti nella bassa padana, interamente costruito in mattoni di cotto. Nell’impostazione planimetrica ricalca lo schema classico dei castelli di pianura: a pianta quadrata con quattro corpi di fabbrica uniti ai vertici da altrettante torri rotonde, sporgenti dalla linea delle cortine. Sporgenti sono pure i masti incorporati al centro dei fronti orientale e occidentale. I due masti, sormontati da affreschi con lo stemma dei marchesi Casali, creano il collegamento con l’esterno, ognuno con un ponte ed un ponticello levatoi, di cui ancora si notano gli stalli, in seguito sostituiti con manufatti in muratura. Nell’androne del mastio orientale (accesso principale) affiorano tracce di antichi affreschi, tra cui una Madonna con Bambino del Quattrocento. Il cortile interno è rettangolare, circondato da un elegante portico con arcate a tutto sesto, di cui attualmente rimane un solo lato (gli altri portici sono stati occlusi).
Le cantine, un tempo utilizzate come scuderie e magazzini di cibarie, oggi ospitano l’Acquario e Museo Etnografico del Po. Strette e ripide scale a chiocciola portano ai camminamenti di ronda che si sviluppano lungo le cortine, sulle torri e masti, e poggiano su beccali in mattoni fra i quali sono innestate le caditoie. Gli appartamenti nobili, posti al primo piano che si raggiunge con un ripido scalone in pietra, conservano alle pareti decorazioni del ‘700 e soffitti con pregevoli affreschi (coevi) con allegorie delle stagioni. Nel salone principale il grande affresco del soffitto rappresenta il trionfo del casato Casali. Una grande e lunga galleria, sopra i portici ancora visibili, collega gli appartamenti nobili con la Cappellina di Corte. Autentico gioiello d’arte, anch’essa al primo piano nel mastio occidentale, la Cappellina racchiude un prezioso ciclo di affreschi del ‘400 dei pittori Bonifacio e Benedetto Bembo. Gli affreschi, rinvenuti nel 1967 nel corso di alcuni lavori, sono stati recuperati e restaurati dal prof. Renato Pasqui. Sono rappresentati cicli dei santi: ... Al piano superiore del mastio orientale vi è una stanza stretta, un tempo adibita a prigione. Sulle pareti sono ancora visibili i graffiti fatti dai suoi ospiti!».
http://www.museodelpo.it/Monticelli%20d%27Ongina.html
«Del castello di Monticello, di rilevanza strategica in quanto situato sul crinale delle valli della Trebbia e del Luretta e per la sua funzione nel campo trincerato, si parla per la prima volta nel 1372 quando fu occupato dalle truppe papali. Attraverso lunghe peripezie (fu di proprietà sopratutto degli Arcelli) si arriva ai giorni nostri, o meglio al 1945, quando il maniero fu teatro di una violenta battaglia fra partigiani e nazi-fascisti. La costruzione, a pianta quadrangolare con torri rotonde e una quadrata agli angoli, per alcune particolarità richiama altri castelli piacentini fra cui quelli di Momeliano e Rezzanello. Sul lato orientale si trova un'ulteriore torre d'ingresso che rivela le tracce delle sedi dei bolzoni del ponte levatoio».
a cura di Pierluigi Bavagnoli
«Il nome della località Mocionassi appare la prima volta in un documento relativo ad una permuta di 200 pertiche di terra, poste appunto in Mucinasso, stipulata nell'anno 888 dal diacono piacentino Leone poco prima del suo trasferimento a Spoleto. Nel 1072 Mucinasso era di pertinenza dell'abate di San Savino e, più tardi, dell'abbazia del monastero dei SS. Salvatore e Gallo di Val Tolla al quale, nel gennaio 1167, l'imperatore Federico Barbarossa concedette questi ed altri beni. Il castello, che ivi sorgeva da epoca imprecisata venne distrutto da re Enzio. Scarse sono le notizie dei secoli successive relative al fortilizio; nel 1486 era feudo dei Radini Tedeschi, uno dei quali, Giovanni, nel 1503 chiese al re di Francia, Luigi XII, licenza per poter ricostruire l'edificio che era pericolante. Nel 1696 il feudo di Mucinasso con il titolo di marchesato passo ai Novati; non però il castello, che rimase ai Radini Tedeschi sino al 1916 anno in cui la contessa Leopolda Radini Tedeschi, moglie di Camillo Marazzani Gualdi lo alienava al marchese Giuseppe Malvicini Fontana di Nibbiano, i cui eredi ne sono ancora proprietari. L'edificio, sottoposto nel corso dei secoli a molteplici trasformazioni, conserva poche strutture originarie. Il fossato che lo circondava è stato interrato alcune decine di anni fa».
http://slodigia.tripod.com/storia/storiamain.htm
«Nel territorio di Muradello il nobile Zanino Nicelli ottenne dal duca Francesco Sforza la licenza per costruirvi un castello e divenne Signore del luogo. Il fortilizio, discreto esemplare di castello quattrocentesco, presenta sul fronte principale una solida torre quadrata. Questa destinata ad ingresso della costruzione, è munita di un interessante portale, formato da un arco leggermente acuto che denota un'inflessione gotica. Il mastio, alquanto sopraelevato rispetto agli altri fabbricati del fortilizio, non presenta né caditoie né incastri per il ponte levatoio, probabilmente a causa di notevoli rimaneggiamenti effettuati nel secolo scorso. Le cantine che circoscrivono il castello, sono coronate da una merlatura alla ''ghibellina'', che in più parti è incorporata alle mura; inoltre intorno al maniero esisteva un fossato ormai interrato da tempo. All'interno dell'impianto quadrilatero di tipo medioevale, notiamo un corpo di fabbrica a doppia loggia che, seguendo a tratti il perimetro dell'edificio, conferisce il carattere, seppur frammentario, della corte rinascimentale. Il portico al piano terra, costruito con un'architrave orizzontale è sorretto da colonne doriche, mentre al primo piano l'epistilio assume la forma dell'arco e il piedritto quella del pilastro a pianta quadrata. Attualmente la proprietà del castello è divisa».
http://www.comune.pontenure.pc.it/sottolivello.asp?idsa=54&idvocebox=147&idbox=20
a cura di Pierluigi Bavagnoli
«Stando alla toponomastica, Niviano sarebbe il Novellianus della Tavola Alimentaria Traianea sorto ad nonum milium della «strata» di Val Trebbia su una stazione romana. Il castello medioevale sorgerebbe quindi su preesistenti costruzioni erette a scopo difensivo. Verso il 1100 appartenne ai Malaspina e dal 1300 fu dei Landi di Rivalta, i quali lo tennero quasi ininterrottamente (salvo una breve parentesi fra il 1438 e il 1448, epoca in cui subentrarono i Piccinino) sino agli inizi del 1800 quando si estinsero con il marchese Giuseppe. Non si registrano molti episodi nella storia di Niviano; l'unico di un certo rilievo risale al 1462 ed è legato alla sollevazione dei contadini piacentini esasperati dalle eccessive tasse. ... Il castello, che ha la tipica forma delle fortezze di pianura, venne devastato e saccheggiato nel 1526 durante un'incursione di Lanzichenecchi al servizio dell'imperatore Carlo V».
http://pcturismo.liberta.it/asp/default.asp?IDG=240
«Il castello di Olmeto subì una prima distruzione nel 1216; nel XIV secolo appartenne ai canonici di S. Maria in Gariverto a Piacenza, e, un secolo dopo, ai Visdomini, che nel 1628 ne furono marchesi. Anche questo fortilizio subì l’assalto di Pier Maria Scotti. Oggi è un’azienda agricola, ma conserva due torri circolari – benché abbassate –, tracce del ponte levatoio e l’antico oratorio».
http://www.turismoapiacenza.it/carpaneto.asp
«Nella frazione di Ottavello, che trae il nome dall'espressione latina ad oetavum milium (dell'importante «strata» romana di Val Trebbia) esiste un castello che non fu protagonista né testimone di fatti notevoli, se pure posto ai confini dei territori di varie ed importanti famiglie feudali piacentine come i Landi, gli Anguissola e i Radini Tedeschi. Nel 1521 ne era signore G. Battista Zanardi Landi che nello stesso anno venne decapitato dai Francesi per essere stato trovato in possesso di lettere di ribelli anti-francesi, alleati del conte Pier Maria Scotti, detto "Il Buso" che, con il tradimento avrebbe voluto occupare Piacenza. A pianta quadrangolare, conserva ancora molte particolarità castrensi, specialmente sul fronte principale in cui si notano gli incastri del ponte e del ponticello levatoi. Venuta meno la funzione militare, l'edificio venne adibito a carcere, in alcuni scritti del 19 febbraio 1811, si parla delle prigioni poste in esso e dei locali da sistemare. Il castello (trasformato in abitazioni) attualmente si presenta costituito da due corpi di fabbrica, posti ad una certa distanza uno dall'altro. Nelle spesse mura di sasso si aprono alcune feritoie; al piano terra e nei sotterranei vengono indicate le prigioni e la cappella in cui si confessavano i condannati a morte. Alle pareti sono infissi anelli di ferro che, secondo una tradizione orale, sarebbero serviti per appendervi i corpi squartati dei giustiziati».
http://www.comune.rivergaro.pc.it/cultura/monumenti/ottavello.html
«Possente complesso fortificato, a controllo del "guado" sulla Trebbia e sulle mulattiere ivi confluenti. Domina ampio tratto di valle, quasi a perpendicolo sul rio Fosselino ed il torrente Ventra, marcati confini di levante e di ponente il suo antico borgo. Era considerato inespugnabile ed ancora incute rispetto la notevole mole in pietra ben squadrata, secondo lo stile romanico rustico. Perfettamente conservato, anche grazie alle intelligenti cure dei proprietari, rappresenta una colorata pagina di storia, medievale/moderna, non solo locale. L'insieme delle fortificazioni consiste in due strutture indipendenti, poste a breve distanza tra loro ed un tempo racchiuse in una stessa cerchia muraria di cui permangono imponenti tracce. La più grande è una massiccia torre medievale, forse l'antico mastio, rimaneggiata nel XVII secolo, mediante corpi di fabbrica disposti lungo i lati, a valle e a monte del nucleo originale. La "ristrutturazione" consentendo il raddoppio della superficie interna, ha permesso l'ampliamento delle prigioni, la realizzazione di una nuova cappella e dello scalone d'accesso al 1° piano, disponibilità di ulteriori ambienti, per uso militare o signorile. La seconda torre, giunta quasi intatta fino a noi, è detta "il Paraso" (= il Palazzo) e rappresenta, di certo, la parte più antica ed interessante del fortilizio, con mura a scarpata, di rinforzo e slancio; strette, rare feritoie; eccellente posizione strategica sul sottostante borgo. Emana durezza ed intransigenza, monito chiaro a tutti e, particolarmente, agli utenti del "caminus Januae", l'antica "camionale", frequentata nei secoli del basso medioevo e dell'età moderna da mercanti, viaggiatori a diverso titolo, pellegrini... Collegando le città di Piacenza e Genova: era, dunque, strada commerciale d'importanza. Oltre ai mercanti spesso, lungo la mulattiera e le sue diramazioni, facevano la loro sgradita comparsa i "cacciatori di mercanzie" ovvero delinquenza varia, grave piaga di tutto l'Appennino.
La strada passava presso il castello e i "birri", miliziani feudali, responsabili dell'ordine pubblico in tutto il territorio dello Stato e con precisi compiti di "polizia stradale", provvedevano con pugno di ferro a controlli e riscontri, nonché alla riscossione di dazi e pedaggi (azione, forse, maggiormente praticata). Per essere chiari e persuasivi, davvero in modo definitivo, venivano esposti presso le mura, sulla pubblica via, i giustiziati. Duro trofeo di tempi durissimi. Con una certa periodicità, per contrastare più energicamente la malavita incombente, i feudatari ricorrevano ai servizi dei balestrieri provenienti dalla Corsica, mercenari spietati, specialisti in rastrellamenti ed incursioni. Ma la questione del brigantaggio non fu mai completamente debellata, rimanendo ancora per una certa parte dell'800 l'incubo della montagna. I tentativi di rimedio, infatti, si traducevano in semplici palliativi, tanto numerosi erano i malviventi, tanto grande il teatro delle loro gesta (dal Penna Maggiorasca, Bue... al Dego, Alfeo, Lesima)... Ovunque, nelle zone montuose, ricche di selve e di nascondigli. Nel '700 i principi Doria, nei feudi imperiali liguri di loro pertinenza, al fine di recuperare almeno in parte, preziosa refurtiva e limitare i danni, consentirono "zone franche", ossia tolleravano che materiali e manufatti di pregio, sottratti ai mercanti col delitto, potessero tornare sul mercato ed essere ricomprati dai loro stessi proprietari o dagli emissari dei Signori a cui erano destinati. ... Le prime fortificazioni di Ottone sembra risalgano all'epoca longobarda (VII secolo), e siano state concepite per la difesa del ducato di Pavia lungo i suoi labili confini con la Liguria bizantina. Più tardi (XII secolo), i Malaspina divengono feudatari dell'alta val Trebbia/Aveto. Elevano numerose torri di guardia e di controllo nei nostri vari paesi: pubblicano gli Statuti, quali importanti riferimenti normativi nei rapporti con i sudditi e dei sudditi tra loro; sono costretti a ledere progressivamente territori e privilegi ai nuovi potenti che all'alba dell'età moderna cominciano ad interessarsi di noi. Fanno la loro comparsa Fieschi, Centurione, Doria, principi genovesi, destinati a governarci sino all'estinzione dei feudi liguri, voluta da Napoleone nel 1797. Restano ai Malaspina i marchesati imperiali di Orezzoli e, nel pavese, di Santa Margherita Staffora».
http://www.altavaltrebbia.net/rassegna-stampa/163-ottone/844-castello-di-ottone.html (a cura di Attilio Carboni)
redazionale
a cura di Pierluigi Bavagnoli
«Arrivati a Perino con la nuova strada lungo Trebbia (o meglio "dentro" Trebbia) si deve svoltare verso il centro paese e imboccare la vecchia strada per Bobbio. Dopo qualche centinaio di metri sulla sinistra c'è una strada con indicazione per Filipazzi. è piuttosto ripida ma oltre ad offrire scorci inconsueti sulla Pietra Parcellara e sul monte Armelio ci fa incontrare dopo alcuni chilometri , anche questo inglobato in un azienda agricola, il fortilizio di Macerato con un bel torrione rotondo. Il Castello di Macerato (di proprietà privata), di fondazione alto-medioevale, dal 1026 fu proprietà del monastero di S. Paolo di Mezzano fino al XIII secolo, quando passò agli Anguissola e poi ai Caracciolo».
http://www.turismoapiacenza.it/torre_di_macerato_di_perino.html
PIACENZA (palazzo Comunale o Gotico)
«Simbolo di Piacenza, il Palazzo Comunale, o Palazzo Gotico, sorge nel 1281 per iniziativa di Alberto Scoto, capo dell’Università dei Mercanti e potente signore della città. Per far posto alla nuova costruzione, che oggi campeggia in Piazza Cavalli, vennero abbattuti un convento e la chiesa dedicata a Santa Maria de Bigulis. La costruzione viene affidata agli architetti piacentini Pietro da Cagnano, Negro de’ Negri, Gherardo Campanaro e Pietro da Borghetto, e l’edificio viene destinato a sede del Governo cittadino. Di stile lombardo ogivale, con la cornice ornata di archetti, la merlatura ghibellina a coda di rondine, la torretta centrale che racchiude il campanone e le due torrette laterali, il Palazzo Gotico è un insigne esempio di architettura civile medioevale. Su un basamento marmoreo, aperto da una loggia gotica con archi a sesto acuto, si imposta il piano superiore, dalle forme romaniche, con archi a pieno centro traforati da snelle trifore. Pur ritoccato e ammodernato nei secoli, il Palazzo subì il degrado del tempo. Intorno al 1860 l’immobile fu oggetto di un vivace dibattito riguardante il restauro architettonico. Nel 1871 iniziò il riassetto del Palazzo, che fu denominato Gotico. In particolare, fu riportata alla luce la torretta medievale dell'angolo nord-est, murata nel Cinquecento, e rifatta tutta la parte terminale del monumento, sino alle merlature di coronamento. Oggi la facciata risulta divisa in due ordini. Quello inferiore è distinto da cinque possenti arcate a sesto acuto che determinano un portico a due navate coperto da volte a crociera; quello superiore, in laterizio, è ritmato invece da sei finestroni a tutto sesto, arricchiti da svariati ornati di cotto. Tra la quarta e la quinta finestra è ospitata entro un nicchia, una statua raffigurante Maria con il Bambino (opera del Duecento, oggi al Museo Civico) proveniente dalle vicina chiesa di San Francesco, mentre nella torretta centrale è lo storico campanone, utilizzato in passato per radunare il popolo. Varcato il porticato e giunti nel cortile si può, percorrendo lo scalone a destra, raggiungere il vasto salone rettangolare con tetto a capriate, Frutto dei restauri del 1884. Questo salone, di metri 40 x 16, presenta un bel soffitto ligneo architravato e arricchito da decori pittorici. Fu sede delle assemblee e poi teatro; dopo alcuni lavori di restauro oggi è prestigiosa sede di iniziative culturali».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/piacenza/palazzo-comunale-palazzo-gotico/
«...I lavori per la costruzione del Palazzo iniziarono nel 1558, in seguito al desiderio espresso da Margherita d'Austria, figlia dell'imperatore Carlo V di Spagna, e dal marito di lei Ottavio Farnese, secondo duca di Parma e Piacenza. Il primo progetto del palazzo venne steso da Francesco Paciotto da Urbino e il cantiere fu affidato ai "maestri murari" Giovanni Bernardo Dalla Valle, Giovanni Lavezzari e Bernardo Panizzari detto il Caramosino. Il 9 dicembre del medesimo anno, il vescovo di Piacenza benedice solennemente la prima pietra dell'edificio. Un'impronta fondamentale allo stile della costruzione venne data dal celebre architetto Jacopo Barozzi detto "il Vignola", che intorno al 1589 ne prese in mano il progetto modificandone l'alzata; a lui si deve l'attuale profilo della mole grandiosa e incompiuta. I lavori proseguirono con un andamento, per così dire, a singhiozzo. Il primo intervento, per esempio, proseguì alacremente per una decina d'anni, fino al 1568, quando venne sospeso, sia per mancanza di fondi, sia per l'assenza di una direzione efficiente, e infine per la lontananza di Margherita d'Austria. è solo l'inizio di una serie di interruzioni. Nel 1568 il ducato passa nelle mani di Alessandro, che nel 1588 riapre il cantiere, dà ulteriore impulso alla costruzione del palazzo, impegno che continua con il successore, il figlio Ranuccio I; tra il 1670 e il 1690 Ranuccio II si adoperò ad ornare le sale con splendide decorazioni e preziosi arredamenti. La struttura della fabbrica, nella sua metà, venne frattanto completata nel 1602, mentre i muri esterni rimanevano parzialmente privi delle cornici. Dal 1731, anno in cui muore l'ultimo duca della dinastia farnesiana, inizia per il palazzo una lunghissima fase di decadenza, caratterizzata da spogliazioni, saccheggi, e occupazioni militari e civili. Soltanto dal 1909 e, in maniera più seria, dagli anni sessanta associazioni ed Enti piacentini si adoperarono per la risistemazione ed il recupero della preziosa opera; nel corso degli anni vennero restaurate numerose sale, nelle quali sono stati collocati un'importante Pinacoteca, la mostra dei Fasti Farnesiani, il Museo Risorgimentale, la sezione medievale, le preziose collezioni di Armi antiche e Carrozze, e la ricca raccolta di Affreschi, Sculture, Epigrafi, Maioliche e Vetri, oltre all'Archivio di Stato. Dopo un trentennio di restauri, l'apertura del grandioso cancello in ferro battuto del 1675, riportante lo stemma farnesiano, simboleggia l'apertura definitiva al pubblico del Palazzo Farnese, che riappare quest'anno nel suo splendore e nella sua funzionalità. Si deve aggiungere che l'ambizioso progetto voluto dal Comune prevede il pieno recupero della Cittadella viscontea, che si compirà con l'apertura della sezione archeologica, l'ordinamento di altre raccolte e l'utilizzazione di alcune sale del palazzo per lo svolgimento di numerose iniziative e manifestazioni culturali».
http://www.farnese.net/st_load.htm
«Situato in Via del Consiglio, Palazzo Landi è il più affascinante esempio piacentino di residenza signorile del Rinascimento. Una lapide ricorda che l'edificio sorge sulle fondamenta di un più antico palazzo medievale, che pur apparteneva alla potente e ricca famiglia dei Landi. L'attuale Palazzo fu fatto edificare alla fine del Quattrocento da Manfredo Landi, consigliere dei duchi di Milano, morto nel 1488. Nel 1578 il complesso fu requisito dal duca Ottavio Farnese, per vendicare la congiura contro il padre Pier Luigi, cui aveva partecipato anche Agostino Landi, noto umanista piacentino. Il Palazzo divenne così sede del Supremo Consiglio di Giustizia e poi del Tribunale delle Finanze; oggi ospita il Tribunale, la Prefettura e la Corte d’Assise. La costruzione della facciata fu affidata a Giovanni Battagio da Lodi e al genero di questi, Agostino de Fonduli. Il ricco portale in marmo, realizzato nel 1482-1483, si deve invece allo scultore Giovan Pietro da Rho, con cui collaborò il fratello Gabriele. La sagoma riprende quella degli archi di trionfo romani ed è ornata sul fronte da due medaglioni classici. Gli stipiti sono impreziositi da figure allegoriche, mentre le colonne a “candelabra”, finemente modellate nelle superfici da racemi e cherubini, recano l'una il simbolo della concordia (tre uomini con le mani intrecciate) e l'altra il presunto emblema della Pittura, Musica e Poesia (tre giovani donne). Superato il settecentesco atrio, si giunge al cortile di sinistra, caratterizzato da un quadriportico retto da colonne, che presenta sulle pareti una decorazione in cotto analoga a quella della facciata. Da qui ci si inoltra nel secondo cortile, il cui loggiato superiore ospita gli stemmi dei Gesuiti che abitarono il palazzo nel 1582, dopo la requisizione dei Farnese. Autore delle colonne e degli ornati capitelli dei cortili sembra essere il poco noto Bernardo Riccardi di Anghiera, che li avrebbe realizzati nel 1485».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/piacenza/palazzo-landi/
PIACENZA (rocca o cittadella Viscontea)
«Nata per iniziativa di Galeazzo II Visconti, nel 1373, per controllare il lato settentrionale della città. Metà venne abbattuta nel 1558 per la costruzione del Farnese. La Rocca Viscontea, che si trova proprio dietro a Palazzo Farnese risale al 1373, quando, non appena terminata la dispendiosa cittadella di Strà Levata, il duca di Milano, Galeazzo II Visconti, decise la costruzione di un'altra fortezza nei pressi della Cittadella Végia, eretta da un suo antenato poco più di un mezzo secolo prima. La scelta della posizione era particolarmente opportuna in quanto si prestava al controllo del lato settentrionale della città ed -essendo in prossimità del Po che da secoli costituiva la via di trasporto più diretta e conveniente e pure la naturale difesa di Piacenza- assumeva una notevole importanza ai fini strategici. Infatti per Milano la nostra città rappresentava una testa di ponte oltre il Po, a controllo della Via Emilia, arteria di estrema rilevanza per i collegamenti con il resto della regione e con l'Italia Centrale. La costruzione, che prese il nome di Cittadella Nuova o anche di Rocca viscontéa, avrebbe inoltre potuto controllare il ponte del Po in occasione di invasioni e di ritirate e -saldandosi al vasto sistema difensivo cittadino costituito dalle mura e dagli altri fortilizi- sarebbe risultata idonea ad affrontare le possibili insurrezioni piacentine e gli attacchi esterni. Stando a quanto scrivono i nostri cronisti, i lavori della cittadella, che avrebbe dovuto essere la migliore espressione del dominio ducale, iniziarono il 5 dicembre 1373 in un momento di particolare tensione in quanto le truppe pontificie, unite a quelle di Amedeo VI di Savoia, minacciavano il territorio piacentino dove numerosi nobili, contrari alla politica e alla signoria dei Visconti, consegnavano i loro castelli al Legato Pontificio. Al duca pertanto non rimase altra scelta che ritirarsi a Piacenza rafforzandone le difese e, al tempo stesso, accelerando i tempi di costruzione della progettata, poderosa piazzaforte.
Il fortilizio (giunto a noi solo per la metà occidentale a causa degli abbattimenti avvenuti nel 1558 per la costruzione di Palazzo Farnese) sorse secondo un modello particolare sul quale, in genere, si assemblavano i castelli del nostro contado: a pianta rettangolare con ai vertici quattro torri ovoidali alte una ventina di metri; di esse rimangono le due poste a nord-ovest e a sud-ovest che un tempo erano coronate di merli alla ghibellina, demoliti nel 1890 dal Genio Militare per il rifacimento del tetto. Sul fronte centrale, posto a sud, è il mastio, alla base del quale si apre l'ingresso all'interno, un tempo dotato di un ponte e di un ponticello levatoi in legno e quindi sostituiti da manufatti in mattoni. La parte inferiore del muro è rivestita da blocchi in pietra chiara squadrata. Tanto sulla fronte a sud che su quella ad ovest si notano ancora i merli a coda di rondine, chiusi verso il 1597 in seguito a sopralzo del fabbricato. Sempre sul lato occidentale si innalza fra le due torri d'angolo un avancorpo, con funzioni di mastio minore, a difesa di un ingresso secondario, anch'esso munito in origine di ponte e ponticello levatoi. Analoghi dispositivi intermedi si trovavano sulle cortine del lato est e nord col compito di facilitare il movimento di entrata e di uscita delle truppe dal fortilizio. I lavori di restauro hanno permesso di evidenziare il mastio a nord; quello posto ad est è stato invece distrutto durante i lavori effettuati nel XVI secolo relativi alla costruzione di Palazzo Farnese. Il complesso non fu soltanto piazzaforte, ma anche residenza ducale, anche sede dei più importanti uffici militari e amministrativi della città, anche alloggio del Legato Pontificio (come avverte la scritta nell'androne di ingresso al cortile), di ospiti illustri e pure del "castellano" da cui dipendevano tutti i "connestabili", ai quali era affidata la custodia delle varie porte urbane. Da molti anni "l'Ente per il restauro di Palazzo Farnese" si sta battendo perché il complesso acquisti -per quanto ancora possibile- la primitiva bellezza. Nel 1968, fra l'altro, nel corso di scavi, vennero alla luce due gallerie segrete: una orientata verso San Sisto, nella cripta della quale doveva sfociare; l'altra, diretta verso il Po, probabilmente univa la "Végia" con la "Cittadella Nuova". I lavori di restauro hanno evidenziato il mastio rivolto a nord, ripristinato le strutture originarie e anche portato alla luce parte del fossato che anticamente la circondava. Lo scavo eseguito a mano per recuperare il materiale lapideo con il quale era stato colmato e tirato in piano circa un secolo fa, ha portato a un inaspettato risultato nei pressi della porta principale rivolta a sud. è infatti risultato visibile, oltre al muro a scarpa della cortina, pure il bastione antemurale di appoggio al ponte levatoio della torre principale».
http://pcturismo.liberta.it/asp/default.asp?IDG=775
PIANELLO VAL TIDONE (rocca d'Olgisio)
«La Rocca d’Olgisio o d’Olzese (nei documenti anche Rocca Genesina o d’Algese) è uno dei complessi fortificati piu antichi e suggestivi del Piacentino, sia per la posizione dominante i torrenti Tidone e Chiarone, sia per la sua architettura. Secondo alcune leggende, del castello, nel 550 sarebbe stato signore un certo Giovannato, padre delle Sante Liberata e Faustina; fuggite giovanissime da casa portando seco oro e gioielli, le due fanciulle si sarebbero stabilite a Como, dove avrebbero fondato il Monastero di S. Ambrogio. La prima notizia certa sul castello risale al 1037, anno in cui il fortilizio venne ceduto da Giovanni, canonico della Cattedrale di Piacenza, ai monaci di S. Savino. Questi lo possedettero fino al 1296, quando fu acquistato da Uberto Campremoldo e in seguito da Alberto Della Rocca che comprò il castello dal Campremoldo citato per tenerlo a nome della Chiesa. Nel luglio de1 1325, Bartolomeo Fontana acquistò la rocca da Pietro Radati per 1100 fiorini. Un anno dopo i Piacentini fuoriusciti, capeggiati da Manfredo Landi, Francesco Volpe Landi e Corradino Malaspina, signore di Bobbio, tentarono di conquistarla grazie al tradimento di due soldati pontifici, addetti alla custodia della rocca stessa. L'azione non fu possibile perché il piano venne a conoscenza degli ufficiali dell’esercito papale di stanza a Piacenza, i quali si affrettarono ad inviare ad Olgisio un migliaio di soldati comandati da Azzotto Del Balzo. Nell’attacco di sorpresa che seguì, i Ghibellini vennero battuti e costretti alla fuga. Il 10 novembre 1352 il fortilizio fu alienato a Barnabò Visconti. Cessata la signoria pontificia, nel 1378 Galeazzo Visconti cedette Rocca d’Olgisio “in feudo nobile e perpetuo” al celebre capitano Jacopo Dal Verme, discendente da una nobile famiglia veronese, divenuta poi piacentina e che esercitò il possesso sulla località sopraindicata sino a tutto il 1700, salvo brevi periodi di interruzione. Nel 1408 Filippo Arcelli la sottrasse ai Dal Verme. Qualche anno piu tardi tuttavia Filippo Maria Visconti rese il maniero ai figli del conte Jacopo Dal Verme, che ne erano i legittimi aspiranti. Nella cronaca dell’Agazzari si narra che nel 1478 la rocca subì gravi danni a causa di un violento incendio. Il conte Pietro Dal Verme, sfuggito miracolosamente alle fiamme, morì sette anni dopo, avvelenato da Ludovico il Moro, il quale sapendolo senza figli, tendeva ad impossessarsi dei suoi beni. Venendo meno l’asse ereditario diretto, diversi castelli vermensi furono avocati alla Camera Ducale; in quello stesso 1485, malgrado le proteste avanzate dai fratelli del defunto conte Pietro, la Rocca d’Olgisio venne concessa a Galeazzo Sanseverino, genero di Ludovico il Moro e uno dei suoi più abili condottieri.
Agli inizi del 500 i Francesi occuparono tutte le città e le fortezze dello stato di Milano, solo i Dal Verme rifiutarono il riconoscimento della sovranità reale sulla rocca, essi si opposero fermamente; ma per il loro rifiuto dovettero sostenere un duro e violento assedio. Attaccato da duemila fanti ed un centinaio di cavalieri al comando di Galeazzo Sanseverino, il castello resse validamente l’urto dei nemici che tentarono più volte l’assalto, protetti dal tiro dei vari pezzi d’artiglieria faticosamente trainati sotto le mura, dopo che trecento scalpellini ebbero aperto la via con il piccone nella dura roccia. L’attacco più violento sembra venisse condotto sul lato Est, sul quale sono ancora visibili le tracce lasciate dal memorabile bombardamento. Alcuni cronisti riferiscono che durante l’assedio, in otto giorni vennero diretti ben 1160 colpi di cannone contro il complesso fortificato, che tuttavia subì solo l’abbattimento di un torrione. Sia per la solidità della rocca, che per l’accanita resistenza dei difensori, sia per la presenza nei magazzini di un quantitativo di derrate sufficienti al presidio per dieci anni, il fortilizio era ritenuto imprendibile; tuttavia esso cadde nelle mani dei suoi nemici per il tradimento di alcuni ufficiali della guarnigione assediata. Restaurata l’autorità imperiale, i Dal Verme conservarono il fortilizio fino all’estinzione della famiglia, avvenuta alla metà dell’800, quando Lucrezia Dal Verme, sposando Giulio Zileri, diede origine ai conti Zileri Dal Verme di Parma, i quali vendettero l’edificio monumentale circa trent’anni fa. I. Stanga nel volume Donne e uomini del Settecento Parmense riferisce invece che, verso il 1800, il tenente Cassi delle guardie parmensi acquistò dal conte Luchino Dal Verme la Rocca d’Olgisio così com’era, ricchissima di mobilio. I suoi eredi, poi, vendettero tutti gli arredi. Il conte Camillo Zileri, 80 anni più tardi, comprò all’asta il castello, ma quasi completamente vuoto.
Il versante sud meno aspro strutturalmente (e per questo più vulnerabile del colle) venne munito dall’architetto militare che la costruì di un triplice ordine di spesse mura, all’interno delle quali si addossano numerosi corpi di fabbricato ed un dispositivo di cortine che costituiscono gli ordinamenti difensivi avanzati della rocca stessa. La porta di ingresso della 3a cinta che immette direttamente nel cortile, è sormontata da un arco bugnato, sulla sommità del quale appare un dipinto, ormai stinto, raffigurante un santo. Ai lati dei piedritti del portone si notano due troniere per la difesa radente dell’accesso stesso; sullo stipite interno è scolpito il motto “Arx impavida". Da alcune testimonianze si apprende che, sino all’inizio del secolo scorso, questo ingresso, già dotato di ponte levatoio, era munito di una robusta inferriata fatta in modo particolare, forse a saracinesca come rivelano gli incastri perpendicolari. La parte interna dell’androne prospetta verso il vasto cortile dove è visibile il pozzo profondo una cinquantina di metri, sul quale sono imperniati molti episodi leggendari. La tradizione vuole che a metà canna esista un’apertura comunicante con una galleria, la cui uscita dovrebbe trovarsi fuori dal recinto fortificato al fine di permettere sortite in case di assedio. Oltre il cortile, sul fronte Ovest, si estendono altri fabbricati fra cui l’oratorio; il tutto è dominato da un imponente dongione a pianta rettangolare. Attorno allo stesso torrione si snoda una loggia adibita forse a posto di scolta per le vedette. Sempre sul lato Ovest, si innalza, invece, la torre della campana che fu notevolmente abbassata ai primi del 1800 per evitare che si suonasse a stormo per radunare i montanari implicati nei moti antinapoleonici. Dal 1979 la rocca è di proprietà della famiglia Bengalli di Pianello Val Tidone. Questa con notevoli sforzi, sacrifici e volontà lavorativa è riuscita a salvare quello che è definito il più bello e il più leggendario fra i castelli della provincia».
http://www.roccadolgisio.it/index.php?option=com_content&view=article&id=45&Itemid=59
Pianello Val Tidone (rocca di Pianello o dal Verme)
a cura di Pierluigi Bavagnoli
PIEVE STADERA (palazzo fortificato)
«Sede dell’importantissima Pieve che per secoli mantenne una vasta giurisdizione ecclesiastica. Esistevano a Stadera due opere fortificate, una nel paese e l’altra sul “Montis Plogosi”; secondo il Boccia (in uno scritto del 1805) esisteva un terzo fortilizio sul “Monte Suino” probabilmente quello che oggi chiamano Monte Sumino. A Stadera è possibile vedere oggi il Palazzo costruito sul Castello al centro del paese; molto interessante anche un’altra costruzione chiamata “Oratotio”, recentemente restaurata e tutelata dalla sovrintendenza. ...».
«Il castello di Pigazzano, posto su una terrazza panoramica, esisteva già nel 1234, quando divenne rifugio di nobili ghibellini e fu attaccato dai guelfi. Nel 1373 fu presidiato da forze viscontee, che si arresero a quelle pontificie, guidate da Dondazio Malvicini. Nel 1486 la popolazione di Pigazzano si impegnò a restaurare il fortilizio che all'epoca apparteneva alla famiglia Anguissola, cui rimase fino al 1630. L'edificio fortificato mostra uno sviluppo planimetrico ad U, morfologia attribuibile alle tipologie della villa con una torre disposta a nord-est. L'ingresso, sul fronte nord-ovest, conduce, attraverso una loggia ad un solo arco ribassato, al cortile delimitato a sud-est da un muro munito di merli. Attualmente il castello mantiene in parte l'aspetto originale e in parte ha l'aspetto della villa».
http://www.emiliaromagna.beniculturali.it/index.php?it/108/ricerca-itinerari/10/209 (a cura di Monica Bettocchi)
Piozzano (castello de L’Ardara)
a cura di Pierluigi Bavagnoli
Piozzano (Torre Rizzi o La Torre)
a cura di Pierluigi Bavagnoli
«Il castello risale al XII secolo: presenta strutture murarie totalmente in sasso, una pianta rettangolare con 4 torri angolari, di cui 2 circolari e 2 quadrate con sezioni di notevole spessore. Nel corso degli anni si alternarono nel possesso dell' edificio numerosi proprietari che lo sottoposero a notevoli lavori di trasformazione. Il castello è adibito attualmente a residenza privata e a sede di uffici comunali. Nel 1152 la proprietà del castello risale al conte Malaspina: i suoi possedimenti partivano dalla Lunigiana ed arrivavano alle alte valli piacentine. Frequenti lotte con gli abitanti di Piacenza determinarono il ritiro dei Malaspina, nel XII e XIII secolo le lotte fra nobili e popolari a Piacenza coinvolsero il castello, dal momento che qui si organizzava il blocco delle provviste dirette a Piacenza, la lotta divenne più aspra quando le fazioni si allearono con l'imperatore Federico II o con papa Gregorio IX. Durante questa lotta per il predominio dell'Italia gravi danni furono provocati al castello di Podenzano ed a parecchi altri castelli della provincia. Nel 1466 viene acquistato dagli Anguissola e non vi saranno altri cambiamenti fino al tramonto del feudalesimo, alla fine del XVIII secolo».
PONTE DELL'OLIO (castello di Riva)
«Il Castello di Riva, sulla sponda destra del torrente Nure, occupa una delle migliori posizioni nella valle per importanza strategica Infatti chi possedeva Riva controllava e dominava l’importante antichissima strada della Val Nure che, attraverso gli Appennini, metteva in comunicazione il Genovesato e i suoi porti con la pianura Padana. L’esistenza di un luogo fortificato a Riva (non ancora un “castello”) risale molto addietro nel tempo, fino a epoca longobarda o addirittura romana, a testimonianza di un controllo militare sul passaggio di uomini e merci per questa strada. A valle di Riva infatti, il vicino borgo era sede di un antico mercato dove si scambiava olio d'oliva prodotto in Liguria con grano della pianura. Il nome “Castello di Riva” si trova per la prima volta in un documento del 1199 che da notizia di una investitura feudale avvenuta sotto il portico di un primitivo nucleo, forse il torrione, cinto da mura. Da un atto in data 28 aprile 1255 risulta che Obizzo e Giulio Ardizzoni vendevano a Obizzo Visdomini la loro parte del castello di Riva che possedevano con Ghislerio Ardizzoni. La ricostruzione del castello stesso avveniva poi nel 1277 come fa fede l’iscrizione scolpita all’interno: “MCCLXXVII fuit factum hoc castrum”, e sarebbe legata al nome dei Del Cario, antica e nobile famiglia piacentina. Infatti, l'atto del 22 novembre 1323 attesta che il milite Oberto Del Cario vendeva agli Anguissola di Vigolzone il castello di Riva e terre annesse per 5600 lire. Nel 1412 in Riva si svolsero grandiose cerimonie e feste alla presenza dell’imperatore Sigismondo che in forma ufficiale investì Bernardone Anguissola del feudo di Riva, di Grazzano e di Montesanto. L’investitura fu poi riconfermata ai suoi discendenti, che ebbero il titolo di conte dai Visconti prima e poi dagli Sforza, i potenti Signori di Milano che avevano esteso il loro dominio anche su Piacenza. Per tutto il medioevo il castello svolse anche la funzione di “ricetto”, per gli abitanti dei dintorni che vi trovavano rifugio in caso di pericolo. ...».
http://www.castellodiriva.it/pages/it/storia.php
a cura di Pierluigi Bavagnoli
«è sorto su un fortilizio di cui rimangono tracce già nel 977. Nel 1872 il nobile Felice Sforza Fogliani di Vicobarone acquistò il castello facendovi eseguire notevoli rimaneggiamenti: durante i lavori venne scoperto un affresco del 1400 ed una lunga galleria che si estendeva fino alla chiesa del paese collegando l'interno del castello e la torre. Proprietà privata, chiuso al pubblico» - «Nel 1872 giunse a Pontenure il nobile Felice Sforza Fogliani di Vicobarone che acquistò il castello facendovi eseguire notevoli rimaneggiamenti. Durante i lavori venne scoperta una lunga galleria che si estendeva fino alla chiesa, collegando l’interno del castello alla torre. Insieme alla torre, la chiesa è la costruzione più antica del paese; essa sorse certamente in epoca anteriore al Mille sulle rovine di un edificio medioevale, in stile romanico, a croce latina».
http://www.italiamappe.it/arte_cultura/palazzi_ville_castelli/107093_Castello-di-Pontenure - http://vacanze.itinerarionline.it/schede...
PRADELLO (torre detta dei Colombo)
«La torre appartenne alla famiglia di Cristoforo Colombo. In molti la ritengono il luogo di nascita dello stesso Ammiraglio, anche se probabilmente all'epoca la famiglia aveva già abbandonato il bettolese per riparare a Genova. L'edificio, datato attorno al XIII secolo, fu costruito con funzioni sia difensive che abitative. In origine l`aspetto della fortezza doveva essere diverso. L`altezza, innanzi tutto, era maggiore, raggiungeva infatti i 28 metri, inoltre la torre era circondata da una sorta di recinto composto di piccoli cortili delimitati e protetti da robuste mura nelle quali si aprivano i portoni di accesso. La torre fu sicuramente teatro di fatti d`arme, ma cessata la necessità di difendersi venne trascurata per secoli. Fra la fine del XIX secolo e la prima metà del 1900 per evitare il crollo si provvide a ribassarla di 5 piani. Fu poi adibita ad usi agricoli fino al 1957, quando fu acquistata dal signor Molinari, un piacentino emigrato in America, che la fece restaurare per trasformarla in un museo dedicato a Cristoforo Colombo».
http://www.valnure.info/it/castelli/torre_colombo_sc_263.htm
«La monumentale struttura che fu dei conti Mancassola Pusterla è una delle più prestigiose testimonianze di architettura fortificata in val d’Arda. Il castello sorge alla sommità di un colle che era abitato sino al secolo scorso ed è circondato da un ampio giardino. La posizione amena di questo antichissimo insediamento, oggi proprietà del nobile Agostino Fioruzzi, erede dei Mancassola Pusterla, è resa particolarmente suggestiva dagli ampi quadri panoramici che si colgono dalla sommità della collina, oggi coltivata a vigneto, e che determinano le mutevoli, naturali, scenografie dell’intorno. La monumentale residenza fortificata e il suo giardino, emergenti in un contesto paesaggistico pressoché intatto, assumono i connotati di invariante del paesaggio e punto di riferimento percettivo e orientativo, che si colgono progressivamente, percorrendo in salita la strada che si stacca dalla comunale. Questa sobria, eppure sfarzosa residenza fortificata, che assume anche aspetti di compenetrata ruralità, è il portato di una serie di interventi aggregativi, scalati nel tempo, promossi dai conti Mancassola Pusterla e che la ricca documentazione dell’archivio privato della famiglia consente di ricostruire. I lavori, compiuti nel Seicento, comportarono radicali trasformazioni alla “casa chiamata il castello”, come veniva denominato all’epoca il maniero, riqualificato negli ambienti interni tuttora esistenti e ancora parzialmente identificabili nella loro configurazione originaria. Inoltre, le carte d’archivio restituiscono in modo inappuntabile l’alto livello di raffinatezza degli interni, la presenza degli arazzi, immancabili complementi di arredo delle dimore dell’aristocrazia, e testimoniano altresì la presenza di un oratorio, intitolato a S. Giustina, compatrona di Piacenza, posto nel primo cortile. L’apertura straordinaria del giardino e degli ambienti dell’antichissimo complesso di Prato Ottesola, di recente restaurato, consentirà di potere entrare negli spazi privati di questa aristocratica architettura del passato e di cogliere lo stretto rapporto creatosi nel tempo fra la residenza, il giardino e il contesto paesaggistico».
http://www.piacenza24.eu/Notizie%20di%20Piacenza%20e%20Provincia... (a cura della Redazione Radio Sound Piacenza)
«Il Castello appare citato la prima volta in un documento del 1001. In questa occasione il vescovo Sigifredo concesse ai monaci benedettini di San Savino (Piacenza) alcuni terreni, tra cui l’area del Castello. L’edificio ha pianta trapezoidale e presenta quatto torri circolari. All’anno Mille circa risale la prima delle quattro torri, che solo in seguito divennero quattro. Il Castello fu spesso teatro di scontri e battaglie. Nel 1212 i Guelfi di Piacenza vi si rifugiarono minacciati dai Ghibellini viscontei, ma ebbero la peggio perché sconfitti in seguito nel corso di due battaglie. Nel Trecento il Castello fu abitato da Gabriello Boccapiccina, quindi passò alla famiglia Chiapponi. Estintasi questa, nel Settecento le subentrarono gli Scotti di San Giorgio, che riadattarono profondamente l’edificio trasformandolo in abitazione signorile. All’inizio del Novecento il Castello appartenne per un breve periodo ai Lombardi di Genova; fu poi venduto all’Ing. Giuseppe Manfredi, che lo fece restaurare dal prof. Camillo Guidotti. Dal 1930 al 1987 la costruzione fu proprietà delle Madri Orsoline di Piacenza. L'attuale proprietà offre oggi l'opportunità, nel profondo rispetto della tradizione storica e dell'essenza del maniero, di vivere un'esperienza indimenticabile a chiunque lo desideri».
http://www.castellodirezzanello.it/castello.html
«Rezzano è sulla strada per Veleia, 5 km a sud di Carpaneto. Il suo castello appartenne, intorno al Mille, al Vescovo di Piacenza Sigifredo, quindi a San Savino (donazione confermata nel 1072 dal vescovo Dionisio). Nel 1246 Re Enzio, figlio di Federico II, lo incendiò, come del resto fece Galeazzo Visconti nel 1314, in quanto vi si erano rifugiati gli Arcelli Fontana; l’anno dopo Guarino Mancassola accettò l’armistizio chiesto dal Visconti in persona. Nel 1412 Filippo Maria Visconti infeudò il castello ai figli del suo capitano Niccolò Piccinino. Più tardi la rocca fu acquistata da Vincenzo Scotti, la cui famiglia ne condivise la proprietà con Gian Luigi Mancassola nel XVI secolo. Una strenua battaglia avvenne presso il castello nel 1636, quando Odoardo Farnese era in guerra contro gli Spagnoli: Alfonso Pallastrelli e Cristoforo Confalonieri intrapresero contro l’esercito invasore un’eroica resistenza, che, sebbene vana, valse a quei coraggiosi il rilascio con l’onore delle armi. Del castello antico, trasformato in residenza, si riconosce la grande torre quadrata, abbassata nel XIX secolo perché pericolante».
http://www.turismoapiacenza.it/carpaneto.asp
a cura di Giulia Pilotta
ROCCA DI VISERANO (borgo fortificato)
«Rocca di Viserano, antico borgo alto-medioevale denominato Vìxirano, caratterizzato da case-torri medioevali. Il castello, più volte distrutto e riedificato, appartenne nel 1164 ai Malaspina, agli Anguissola, dal 1652 ai conti Morando di Montelupo».
http://it.wikipedia.org/wiki/Travo
«Proseguendo per circa 2 km da Corneliano si giunge a Ronco, un km a sud del quale finisce il territorio di S. Giorgio ed inizia quello di Pontedell'olio. Il paese, già citato in una pergamena del 1021, è dominato dal severo profilo del suo castello costruito nell'XI secolo. La costruzione a pianta quadrata, alquanto rimaneggiata in periodo rinascimentale, presenta due torri di diversa altezza e dimensioni sul lato orientale. Nel 1088 le sue mura videro lo scontro tra i popolari fuoriusciti da Piacenza ed i nobili ghibellini che poco prima avevano espugnato il castello di Corneliano».
http://www.comune.sangiorgiopiacentino.pc.it/sottolivello.asp?idsa=114&idam=&idbox=20&idvocebox=111
«La frazione, che si anima soprattutto in estate, fu feudo dei Nicelli che provvidero a dotarla di una fortezza. Non si hanno notizie di fatti d`arme che coinvolsero il borgo o il suo castello del quale si dice che oltre a essere sede militare fosse anche dotato di una biblioteca dove si trovava una preziosa copia dell`Eneide stampata nel `500. Il castello, trasformato poi in villa, appartenne anche ai Sidoli, sono infatti originari di Rossoreggio i celebri pittori Pacifico (che ebbe qui i natali), Nazzareno e Giuseppe».
http://www.valnure.info/it/rossoreggio/rossoreggio_sta_71.htm
Rottofreno (castello Chiapponi)
a cura di Pierluigi Bavagnoli
RUSTIGAZZO (resti del castello)
«Le rovine dell’antico castello di Rustigazzo (epoca presunta 1200-1300), che fu di proprietà della famiglia Anguissola-Scotti, si trovano nel centro del paese in Piazza XXV Aprile. Il castello è un edificio in pietra squadrata che è stato trasformato in abitazione privata dopo esser stato acquistato dalla famiglia Villa».
http://rustigazzo.com/castello.html
«Una deviazione sulla destra conduce a Sala Mandelli, posta su un’altura tra Corano e Montalbo che regala una magnifica vista sui borghi antichi. Il nome Mandelli fu aggiunto nel 1792, quando l’eredità passò dai marchesi Malvicini Fontana a questa famiglia. Il castello fu trasformato in una signorile dimora circondata da un bellissimo parco tra il 1693 e il 1701; conserva però l’originale torre d’ingresso».
http://www.turismoapiacenza.it/nibbiano.asp
SAN DAMIANO (castello Anguissola)
«è situato in zona pianeggiante, sulla strada provinciale che porta a Carpaneto e la sua posizione decentrata fa pensare ad una più antica torre, attorno alla quale si è sviluppata la fortezza. Costruito quasi interamente in pietra e mattoni, è del tipo piacentino a pianta quadrangolare con due torri circolari poste all'estremità del lato settentrionale, poco più alte del corpo di fabbrica. Il mastio, a base quadrata, sul lato opposto, è nettamente superiore alle torri e in origine si contraddistingueva per il coronamento a merli ghibellini, oggi tamponati. Al castello si accedeva attraverso un passaggio, uno pedonale e uno carrabile, entrambi muniti di passerella e ponte levatoio che si abbassavano sul fossato circostante. Interessante è la disposizione della torre d'ingresso, traslata verso l'esterno rispetto ai corpi di fabbrica, ma allineata con i torrioni rotondi angolari. Il coronamento della torre, ripropone i merli di foggia ghibellina, di cui i due centrali provvisti di feritoia; nei torrioni angolari, trovano sede le finestrelle ad arco scemo molto diffuse nel territorio piacentino. Anche i corpi di fabbrica fra la torre d'ingresso e i torrioni angolari rotondi, erano probabilmente in origine coronati da merli, come si deduce dalle tracce presenti nel sottogronda della muratura attuale. La struttura muraria è principalmente in pietrame, con inserti in mattoni nelle finiture degli spigoli, finestre e merli. Il castello venne distrutto nel 1242 ad opera di forze cremonesi e bergamasche, comandate dal marchese Lancia al servizio di re Enzo, per poi essere ricostruito nel 1436 da Bartolomeo Anguissola, la cui famiglia ne rimase proprietaria fino al XIX secolo. Il maniero è stato recentemente ristrutturato».
http://castelliere.blogspot.it/2011/02/il-castello-di-mercoledi-23-febbraio.html
SAN GIORGIO PIACENTINO (castello)
«La fondazione del castello di San Giorgio risale al 948 quando l'Imperatore Lotario concesse con diploma ai canonici della cattedrale di Piacenza il diritto di costruire un fortezza a difesa della pieve di San Giorgio (con lo stesso documento veniva concessa l'autorizzazione a fortificare anche le pievi di Cassano e Carmiano.) Dal momento della sua costruzione la storia del castello e quella del paese sono strettamente legate. Anche la fortezza passa al monastero di San Savino e dal XIII secolo gli Anguissola sono signori del maniero, che passerà agli Scotti all'inizio del 1600. Nel XVIII secolo il castello venne diviso: una parte venne venduta alla famiglia Porcelli, mentre gli Scotti restarono in possesso del lato ovest, trasformato in abitazione con giardino. Oggi il castello ospita gli uffici comunale e la biblioteca comunale di San Giorgio».
http://www.valnure.info/it/castelli/castello_di_san_giorgio_sc_499f4xi55.htm
SAN GIORGIO PIACENTINO (rocca o villa Gazzola)
«Ottimo esempio di villa-fortilizio, fu costruita nel 1604 dal Conte Alessandro Anguissola di S. Giorgio. Restaurata e abbellita nella prima metà dell'800 per iniziativa dei conti Scotti della Scala del Ferro che all'epoca ne erano i proprietari. Le modifiche, progettate dall'architetto piacentino Antonio Tomba e realizzate tra il 1820 e il 1830, riguardano le sale interne affrescate dal noto pittore piacentino Giuseppe Badiaschi, gli abbaini sul tetto, i fabbricati delle scuderie e dei servizi affacciantisi sulla strada. Il parco fu realizzato nel 1840 su progetto dell'architetto milanese Ambrogio Rossi».
http://www.comune.sangiorgiopiacentino.pc.it/pagina.asp?IDpag=74&idbox=20&idvocebox=110
SAN PIETRO IN CERRO (castello di San Pietro)
«San Pietro in Cerro fu colonizzato dai romani che vi edificarono un castrum per difendersi dai galli. Il castello, sul confine con le province di Parma e Cremona, poco lontano da Cortemaggiore, sorge su un fortilizio del XIII-XIV secolo, di cui restano le tracce del fossato. L'epigrafe murata all'interno del cortile indica il 1491 come data di compimento dei lavori avviati dal feudatario Francesco Barattieri e ultimati dal figlio Bartolomeo, studioso di discipline giuridiche e ambasciatore della città di Piacenza alla corte di papa Giulio II. Il 28 ottobre 1678, Ercole e Paolo Emilio Barattieri, ottennero dal duca Ranuccio II il titolo di conte di San Pietro in Cerro in riconoscimento dei servizi prestati allo Stato farnesiano dalla loro nobile famiglia. Ai Barattieri, l'edificio rimase fino al 1990. Non sono documentati eventi bellici inerenti al castello di San Pietro in Cerro e forse proprio per questo motivo, esso rappresenta un singolare esempio della tipologia residenziale gentilizia quattrocentesca. Il fortilizio é formato da quattro corpi di fabbrica articolati su schema rettangolare con due torrioni rotondi d'angolo a settentrione. Sul fronte meridionale, emerge il mastio d'ingresso che fuoriesce dalla linea delle cortine ed evidenzia l'inserimento dell'originale ponte e passerella levatoi. I fronti esterni, compatti, terminano con un coronamento a merli dal profilo a coda di rondine e sono alleggeriti da una serie di finestre su tre livelli, di cui quelle al piano superiore archiacute. I prospetti sul cortile, sono invece caratterizzati da doppio ordine di arcate: l'elegante porticato al piano terra e il sovrastante loggiato ad archi a tutto sesto composto da esili colonne e capitelli quattrocenteschi. Alle testate del portico settentrionale sono collocati due dipinti raffiguranti tematiche veneziane, la chiesa della Salute e il ponte di Rialto. Il castello, dal 1990, è diventato di proprietà della famiglia Spaggiari che ne ha curato con particolare attenzione il restauro conservativo. Franco Spaggiari ne ha fatto inoltre la sede del MIM (Museum In Motion) con opere di artisti contemporanei italiani e stranieri, realizzando una sapiente lavoro di congiunzione tra l'antico splendore della residenza e il mondo dell'arte di oggi».
http://www.emiliaromagna.beniculturali.it/index.php?it/108/ricerca-itinerari/8/138 (a cura di Monica Bettocchi)
«Ignoto è l'anno della costruzione del fortilizio e le notizie che lo riguardano sono piuttosto scarse. Nel 1385 era di Guglielmo Landi, che nel 1420 lo vendette a Pietro Anguissola. Dalla cronaca manoscritta del Colombo si apprende che ai primi di giugno del 1746 i soldati austriaci del generale Berenklau, dopo aver costretto alla resa gli spagnoli che difendevano la rocca di Rivalta, li fecero prigionieri conducendoli sotto scorta al castello di San Polo. L'impianto di questo fortilizio minore in pietra e mattoni è simile a quello di altri castelli piacentini di pianura, a pianta rettangolare anche se il lato meridionale è piuttosto sbieco. Rotonde sono le torri poste agli angoli nord-est e sud-est, mentre risulta quadrata quella a nord-ovest. Esteriormente, almeno per quanto riguarda le superstiti parti originali, si notano richiami stilistici uguali a quelli del castello di Podenzano».
http://pcturismo.liberta.it/asp/default.asp?IDG=844
«L’elegante sagoma del Castello di Santimento si staglia netta sulla pianura circostante. La data precisa di fondazione di questo fortalizio è sconosciuta, tuttavia le prime notizie relative ad esso risalgono al 1291, data in cui si iniziò ad edificare la chiesa. A quel tempo i proprietari erano i "Toscani", ovvero Giovanni e Umberto Palmieri che le cronache del tempo vogliono valenti mercanti di fiera nonché mecenati edificatori della chiesa. Ritroviamo menzione del Castello con Alberto (Scoto) Scotti di Giovanni, uomo ardito nelle imprese guerresche che riuscì a farsi creare Signore di Piacenza dominandola per 14 anni. Antichi manoscritti annotano che nell’aprile del 1299 egli comprò dai “Toscani”, che avevano un debito nei suoi confronti, il Castello ed i poderi di Santimento. ... Nel tempo il castello è stato sottoposto a varie alterazioni specie nei locali interni, ma conserva all'esterno molti elementi originali. Sul fronte principale si trova un solido mastio a sezione quadrata, impostato a filo della facciata e fronteggiato da un'altra torre più bassa con funzione di pusterla. Alla sua base si apriva l'ingresso con il ponte e il ponticello levatoi che superavano il fosso che circondava tutt'attorno l'edificio; sopra gli incastri del ponte levatoio si nota un caratteristico fregio di mattoni in rilievo disposti a dente di sega. Il Castello di Santimento, oltre alle trasformazioni nel corso dei secoli subì anche numerosi passaggi di proprietà...».
http://www.santimento.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=7:il-castello-di-santimento&catid=35&...
SARIANO (castello dei Pollastrelli, torre Gragnano)
«...Si giunge a Sariano (l'antica "Satrianus" della Tabula Veleiate), dove esiste un fortilizio, restaurato ed adattato ad usi residenziali, appartenuto anch'esso per centinaia di anni (le prime notizie a riguardo risalgono al 1371) alla famiglia Pallastrelli; l'edificio attualmente visibile venne costruito attorno all'antica torre poi inglobata nella nuova struttura ed ha l'aspetto di un palazzo nobiliare che tradisce in alcuni aspetti le sue lontane origini militari. I Pallastrelli, appartenenti ad una storica famiglia di fazione guelfa, hanno segnato per centinaia di anni le sorti della Val Vezzeno ed in particolare dei due vicini centri di origine romana Celleri e Sariano. Sempre a Sariano si trova un altro fortilizio detto "Torre Gragnana", risalente al 1554 il cui progetto è forse da attribuire al famoso architetto Jacopo Barozzi da Vignola, che in quegli anni era alle prese con il Palazzo Farnese di Piacenza».
http://www.comune.gropparello.pc.it/pagina.asp?IDpag=121&idbox=37&idvocebox=165
SARMATO (castello Scotti-Zanardi Landi)
«È presumibile che un borgo fortificato esistesse già nell'anno 1216, quando nel giorno di Pentecoste vi si riunirono le milizie piacentine e milanesi prima di muoversi verso i fortilizi pavesi. Il castello di Sarmato costituì infatti, assieme a Castel San Giovanni e a Borgonovo uno dei più importanti avamposti preposti dalla guelfa Piacenza alla difesa della Val Tidone contro le incursioni nemiche, non escluse quelle sferrate dalla ghibellina Pavia. Nel 1270 il Castello, tenuto dai Pallastrelli, fu gravemente danneggiato da Ubertino Landi, signore di Bardi, in una delle sue scorrerie. Nel 1376 signore di Sarmato, per conto di Galeazzo Visconti, è Bartolomeo Seccamelica, ma nei primi anni del secolo successivo il castello appartiene agli Scotti cui però è conteso dalla famiglia rivale degli Arcelli. Arresosi a Francesco Carmagnola, occupato da Luigi Dalverme, implicato nella lotta tra gli Sforza e i Visconti per il possesso del ducato milanese e della stessa città di Piacenza, il castello ritorna definitivamente in possesso di Alberto Scotti che muore a Milano nel 1463. A questa nobile famiglia, che nel 1517 partecipò con tre galere alla battaglia di Lepanto, rimase fino alla sua estinzione, avvenuta nel 1863. In tale data per successione il castello passò ai conti Zanardi Landi che lo conservano tuttora. Il complesso castrense è racchiuso entro il perimetro quadrangolare delle mura, già circondato dal fossato, in buona parte conservate insieme a due torri angolari e all'imponente ingresso meridionale costituito da un rivellino merlato con porta carraia e pusterla, entrambe già munite di ponte levatoio; doppie cannoniere laterali permettevano la difesa con tiro radente. Altri due ingressi fortificati si conservano sui lati orientale e occidentale, il primo dei quali è oggi sede del municipio. Il lato nord le cui mura hanno un andamento spezzato è occupato dalla Rocchetta, che doveva respingere gli attacchi provenienti dal Po, trasformata in residenza di campagna nel secolo scorso, con ampi saloni voltati e decorazioni d'epoca. Sempre a Nord, ma più arretrato sorge il Castello vero e proprio con torre angolare puntata verso l'angolo nord-ovest e l'alto mastio in posizione interna, articolato attorno ad un cortile già chiuso su tutti i lati ed ora aperto a Sud; conserva tratti delle cortine originarie con la tipica cornice a denti di sega sotto la merlatura e finestre ad arco acuto. All'interno si susseguono ampi saloni, in parte voltati e in parte cassettonati, piccoli salotti, camere da letto, tutti arredati con mobili d'epoca. ...».
http://www.agriturismipiacentini.it/il_castello_di_sarmato_sc_62.htm
SARTURANO (resti del castello)
«Della località si parla per la prima volta in un'investitura datata 967 e concessa da Giovanni, abate del monastero milanese di San Simpliciano, ad un sacerdote piacentino di nome Giovanni, lasciandogli i beni che possedeva a Sarturano. Non si sa quando vi fu costruito il castello che nel 1385 risulta essere d’Eustachio Fulgosio. Nel 1412 il duca Filippo Maria Visconti lo infeudò, insieme con altre rocche e località di una vasta contea, ai fratelli Filippo e Bartolomeo Arcelli; probabilmente non diede loro il castello che Taddea, ultima discendente dei Fulgosi, portò in dote ai Cigala che lo possedettero sino alla fine del Settecento. Dell'edificio, un tempo circondato da un profondo fossato, realizzato in ciottoli nella parte inferiore e in mattoni nella superiore, dati gli abbattimenti e le trasformazioni verificatisi in varie epoche, è molto difficile riconoscere la pianta e la struttura originaria. Nell'interno, sul lato a nord, si nota un interessante porticato a due archi, sovrastato da un loggiato a due fornici. Il castello, diventato abitazione, è stato ristrutturato ed è in buono stato».
http://www.isii.it/ProgettiAllievi/2007-08/Chimici/Durezza/SchedeItaliano/Sarturano.htm
SCRIVELLANO (castello dei Landi)
«A pochi chilometri da Travo una fortezza menzionata per la prima volta nel 1234 (con il nome Scrivellanum). I cronisti medioevali menzionano Scrivellanum nel 1234, quando il suo castello venne distrutto da forze guelfe piacentine e da milizie cremonesi dopo l'inutile tentativo d'indurre alla resa i nobili asserragliati in Rivergaro. Nell'ottobre del 1312 Francesco Scoto, figlio del grande Alberto, lo conquistò per ordine del padre. Nel secolo XIX era invece della famiglia Romani, cui si deve l'appellativo "castello dei Romani". Del complesso castrense rimangono ancora un edificio molto trasformato, a pianta rettangolare e la bella torre quadrata. La torre, distrutta da un violento incendio sviluppatosi il giorno di Ferragosto del 1972, è stata in seguito restaurata».
http://pcturismo.liberta.it/asp/default.asp?IDG=248
«A causa della presenza di un castello di fondamentale importanza strategica al confine naturale e amministrativo con la Lombardia, gli abitanti di questa piccola località si sono trovati spesso al centro di assedi ad opera dei Pavesi. Non di rado Seminò è stato annesso al territorio lombardo dopo aver ceduto alle scorribande nemiche. Il fortilizio, di origini addirittura precedenti all'anno 1000, insieme alle altre fortificazioni della zona, si è ritrovato spesso in mani "nemiche", ma le sue alterne vicende non gli hanno impedito di arrivare al giorno d'oggi in così buone condizioni. L'antica "torre", definita tale a causa delle sue modeste dimensioni, oggi ci appare con un'ampia scalinata sostituita al ponte levatoio. Molto numerosi anche i resti di innumerevoli strutture scomparse, come un esteso recinto murario totalmente scomparso che circondava il colle».
http://www.comune.ziano.pc.it/cgi-bin/CSA/tw1/I/it/Comune/Semin%C3%B2
a cura di Pierluigi Bavagnoli
«Poche sono le notizie riguardanti questo fortilizio posto a controllo di una delle strade di collegamento fra le valli del Nure e del Trebbia. Il primo possesso del castello fu certo della nobile famiglia che appunto dalla località prese il nome: i Da Spettine che annoverarono personaggi di rilievo nell'ambito piacentino in epoca comunale. Nel 1396 il duca Gian Galeazzo Visconti diede procura ad Antolino de Angusolis, podestà di Pavia, affinché comprasse a suo nome il castello di Spettine. Il fortilizio fu assediato nell'aprile del 1440 dal conte Giovanni Anguissola e dai suoi seguaci che provocarono gravi danni alla Val Nure. In seguito il feudo di Spettine, unitamente a quelli di Macerato, Pradovera e Montebarro, passò agli Anguissola i quali ne vennero privati nel 1462 da Francesco Sforza, duca di Milano per avere Onofrio Anguissola, in quello stesso anno, capeggiato una sollevazione di contadini. Dopo l'uccisione dell'Anguissola, avvenuta nel castello di Binasco presso Milano dopo molti anni di prigionia, il duca investì di quei beni il suo camerario, Gian Francesco Attendolo. Ai primi del Cinquecento il conte Gian Ludovico Caracciolo otteneva dal re di Francia conferma della sua signoria su varie località della Val Trebbia e Val Perino e su metà del feudo di Spettine; la restante parte competeva invece al conte Francesco Maria Anguissola. Il castello presenta un corpo centrale (quasi certamente il primitivo, affiancato da altri edifici eretti in epoca successiva. La parte più antica sovrasta in altezza le altre e conserva nelle muraglie tracce di archi in arenaria. Nella stanza a pianterreno, al di sopra di altrettante porte che si fronteggiano, si notano capaci forni. A piano terra di uno degli edifici, la cui costruzione risalirebbe al 1500, si trova un'ampia sala con un grande camino in arenaria e soffitto ligneo a cassettoni; la tradizione vuole che fosse l'aula in cui si teneva giustizia. Un'altra parte del complesso risale invece al 1668, come conferma la data scolpita in una pietra. Di fronte al corpo centrale esiste un'altra costruzione nella cui parte superiore era l'oratorio privato del castello. Due locali con accessi bassi e in origine privi di finestre, sono rispettivamente indicati come "la prigione degli uomini" e la "prigione delle donne"».
http://pcturismo.liberta.it/asp/default.asp?IDG=249
«La località di Statto, menzionata sulla Tavola Traiana come stazione di posta romana, si trova sulla strada che lungo la Val Trebbia congiungeva Piacenza a Genova. Il 1296 è la prima data certa nella storia del castello, testimoniata dall'atto di vendita col quale Casellasco dei Casellaschi lo cedette a Ottone Codognelli. Il maniero fu costruito su un dosso sulla riva sinistra del fiume Trebbia, davanti a Rivergaro, per controllare l'accesso alla valle insieme ai castelli di Rivalta, Montechiaro e Rivergaro, collocati sulla riva opposta. Nel 1323 venne ceduto agli Anguissola. Coinvolto, con gli altri castelli del piacentino, nelle dispute tra guelfi e ghibellini e attivo centro di resistenza nella lotta per la supremazia comunale, venne occupato nel 1373 dall'esercito della Chiesa. Nel 1516, il conte Pier Bernardino Anguissola si impadronì del castello che successivamente divenne per matrimonio dei Caracciolo, i cui rami ne mantennero il possesso, con alterne vicende, sino al 1896 Passò quindi alle suore Figlie della carità, per ritornare nel 1926 ad Orazio Anguissola Scotti che lo ristrutturò come dimora estiva. L'aspetto attuale è da attribuire all'intervento degli Anguissola, che lo risistemarono con caratteristiche riscontrabili in altri castelli di proprietà della famiglia. Ha pianta rettangolare con cortile interno e quattro torri cilindriche angolari. Realizzato in sassi e ciottoli del Trebbia, è composto da tre corpi di fabbrica e da una sola cortina muraria, a meridione, modificata alla fine del XVII secolo con l'aggiunta di merli e finestre. La torre angolare di sud-ovest presenta grandi aperture arcuate di tipo rinascimentale. All'interno si possono ammirare saloni affrescati con soggetti paesaggistici e soffitti a cassettoni, un imponente camino con lo stemma dei Caracciolo, la cappella collocata in una torre. Dell'antico oratorio, che era collocato fuori dal recinto murario, rimangono solo ruderi, il crollo, relativamente recente, risale alla seconda metà del secolo scorso. Nei pressi del castello sorge un piccolo agglomerato di costruzioni rurali, case e fienili, mentre in posizione sopraelevata sulla collina, al termine di un piacevole viale alberato, si può osservare la parrocchiale di Sant'Antonio Abate».
http://castelliere.blogspot.it/2012/03/il-castello-di-venerdi-2-marzo.html
a cura di Pierluigi Bavagnoli
«Di fondazione medievale il castello fu, nel corso dei secoli, fra le proprietà di almeno due famiglie nobili della Valle. Nel XIV secolo la fortezza era una delle roccaforti della famiglia Da Rizzolo, mentre nel 1595 è attestata la proprietà di Andrea da Pusterla. Poiché non è mai citato nelle cronache, si ritiene che non sia mai stato al centro di eventi storici di particolare importanza o gravità. Attualmente l`antico castello è adibito a fabbricato rurale, di proprietà privata e perciò non visitabile».
http://www.valnure.info/it/castelli/castello_di_tollara_sc_277.htm
«Si innalza su un colle precollinare, sul versante destro del torrente Nure, ai margini della strada che collega Ponte dell'Olio a Carpaneto. Il primo accenno alla località di "Torano" compare su una pergamena dell'833. Nel 1072 il vescovo di Piacenza dona questo territorio al Monastero di San Savino. Verso il 1250, durante la Signoria dei Gonfalonieri, venne quasi certamente costruita sul posto una torre occupata, prima, dalle truppe di Alberto Scoto che uccise con l'inganno il Gonfalonieri e ceduta, in seguito, da Galeazzo Visconti ai Fulgosio, accesi sostenitori del partito Guelfo. In questo periodo vennero annesse alla torre altre costruzioni, delineandosi così la forma embrionale del castello vero e proprio, ossia il corpo, le mura interne e la cinta esterna che ingloba l'accesso principale "primam portam". Nel 1321 è distrutto per ordine dello stesso Galeazzo, entrato in disaccordo con il nucleo fulgosiano. Nella seconda metà del del XIV secolo, il castello viene alienato a Corrado Leccacorvi e poi a Stefano Nicelli, grande signore della Valnure. Dopo varie contese per il possesso, nel 1482 il Leccacorvi riottenne il castello ed il feudo di Torrano, ma nel 1522 lo vendette a G. B. Marconi. Dal torrione, primitivo organo di difesa, inizia una cerchia di grosse mura scarpate, con merlature ghibelline a coda di rondine che si sviluppano intorno alla sommità del colle. Una descrizione del 1648 cita il ponte levatoio posto ai piedi di una bassa torre quadrata, dotata di guardiola per le sentinelle ed una stanza con camino al piano terreno, destinata al corpo di guardia. Due prigioni erano inglobate al piano superiore del mastio ed un'altra era al piano terra, a forma di canna quadra con un metro di lato e con apertura munita di botola. Nel 1649, l'investitura di Torrano viene concessa in contea ai Chiapponi, per passare poi alla Camera Ducale e quindi al Demanio. Tra gli ultimi proprietari, dal 1920 al 1970, figura il barone H. Zipperlen a cui si devono diversi lavori di ampliamento. Ora il castello di Torrano è in corso di ristrutturazione da parte dell'attuale proprietario».
TORRE CONFALONIERI (castello o cascina fortificata)
«La popolarità di frazione Torre Confalonieri e del suo castello è legata soprattutto alla nobile famiglia che diede il nome al luogo, ed in particolare ad un suo illustre discendente: san Corrado. Nel 1875 Carlo Confalonieri fece aggiungere a ciò che rimaneva del complesso castrense un edificio adibito a residenza estiva padronale».
http://www.comune.carpaneto.pc.it/sottolivello.asp?idsa=71&idam=&idbox=20&idvocebox=81
TORRE FORNELLO (borgo fortificato, torre)
«Con un documento del 1028 Diacono Gherardo, del Clero di San Martino, proprietario dei terreni della zona di Fornello ancora priva di insediamenti rurali, cedette in eredità gli stessi ad una nobile famiglia piacentina. Soltanto dopo questo passaggio iniziarono a comparire i primi insediamenti rurali. La comunità di Fornello inizialmente nacque esclusivamente a scopo agricolo. Agli inizi del 1200 venne costruito il forno in cui venivano cotti i sassi di calce ed i mattoni provenienti dalle località vicine, Calcinara e Creta. Ciò denota una spiccata attività edilizia in questa zona collinare, di cui Fornello divenne il fulcro. In questo periodo la proprietà passò in mano ai conti Sanseverino, principi di Napoli, i quali eressero la torre di Fornello, principale difesa del feudo. Un paio di secoli dopo la borgata entrò a far parte dei possedimenti dei conti Zanardi Landi, i quali fecero costruire due ali laterali alla torre ed un orto botanico, piuttosto insolito per quelle zone. Grazie a queste nuove modifiche, la tenuta divenne un'importante residenza padronale, specialmente durante i mesi della vendemmia. Nel 1682 donna Luigia Scotti Douglas, discendente della nobile famiglia scozzese e vedova del conte Zanardi Landi granduca di Toscana, lascia la proprietà alla figlia. Negli anni '70 la proprietà della tenuta, compresi i terreni circostanti, passa alla famiglia Sgorbati viticoltori della zona da secoli. Nel 1998 Enrico Primo Sgorbati dà vita al progetto di ristrutturazione dell'antica tenuta di famiglia e crea l'azienda vitivinicola Torre Fornello, la più grande azienda vitivinicola del piacentino per estensione (circa 60 ettari). Da visitare: la torre, fa parte anch'essa del patrimonio turistico della borgata sotto l'egida dell'importante azienda Torre Fornello, conservata in modo esemplare dalla famiglia Sgorbati in particolari occasioni è aperta al pubblico».
http://it.wikipedia.org/wiki/Fornello_%28Ziano_Piacentino%29
«Il fortilizio indicato con la denominazione di Trabicianum si trova citato per la prima volta nel secolo XI come rifugio dei nobili fuoriusciti dalla città . Nel XII secolo esso appartenne alla nobile famiglia Mancassola, proprietaria di altri beni in Val Chero e nelle adiacenze; nel 1216 fu distrutto una prima volta, poi ricostruito e occupato, tra il 1244 e 1246, dai corpi armati di Enzio, re di Sardegna nel tentativo fallito di conquistare Piacenza. Nel 1435 fu riacquistato da Alberto Scotti che lo riedificò, dotandolo di fossati e di mura provviste di torri e porte. Dagli Scotti passò ai Chiapponi e poi ai Sidoli che, nel 1852, lo lasciarono in eredità al Seminario di Bedonia. Nel 2004 sono stati effettuati dal proprietario importanti interventi di restauro e risanamento conservativo che ha riportato il Castello all’antico splendore così come possiamo ammirarlo tutt’oggi. L’originaria pianta irregolare, tendenzialmente quadrata, presenta quattro corpi con struttura muraria in pietra, che circoscrivono il cortile trapezoidale interno. All’angolo sud-ovest si innalza una slanciata torre merlata, probabilmente più antica del castello. A lato della torre, nel volume meridionale, si trova l’ingresso con volto archiacuto, forse appartenente ad un precedente castello trecentesco. Più recente è il corpo di accesso, dotato di duplice ingresso, carraio e pedonale, con le sedi per i bolzoni del ponte e della passerella levatoi. Il corpo meridionale, all’angolo nord- ovest, è unito ad un altro corpo da un torrione circolare. All’ interno del castello vi è un salone con un camino di pregevole fattura con lo stemma dei Chiapponi e con soffitti a cassettoni in struttura lignea dipinta».
http://www.leasint.it/pdf/CASTELLO.pdf
TRAVO (castello Anguissola o Malaspina)
«Si presuppone che già dal Xll secolo i Malaspina, signori di un vasto territorio che si estendeva dalla Lunigiana alla terra piacentina, possedessero in Travo un fortilizio destinato al controllo e alla difesa delle strade d'accesso alla vallata. Agli inizi del Xlll secolo, il Libero Comune e i Consoli di Piacenza, decisi a sopraffare i maggiori feudatari rurali e ad aprirsi un varco verso Genova, costrinsero i Malaspina a ritirarsi verso la montagna, lasciando libero spazio agli Anguissola. Nel 1255 il Castrum Trabani fu distrutto dal marchese Oberto Pallavicino; nel 1302 I'imperatore Alberto d'Austria concesse a Riccardo Anguissola il territorio comprendente Trabano (Travo), Pigazzano e Gazzola. Nel 1337 Bernardino Anguissola ottenne dal duca Azzo Visconti l'investitura di Travo e Caverzago e, nove anni dopo, da Luchino Visconti, anche quella di Bobbio. Il castello e il borgo fortificato di Travo, nonostante la loro posizione strategica, non furono teatro di grandi imprese belliche. Del primitivo impianto castrense, trasformato in abitazione signorile alla fine del XVIII secolo dal conte Giacomo Anguissola, rimane ormai solo un edificio sul lato meridionale della piazza del paese, che conserva ancora finestre d'impianto medievale. A lato si eleva la torre quadrata, sormontata da una successiva altana in mattoni. Attraverso questa torre si entrava nell'antico borgo fortificato, protetto da una parte dal fiume, e dall'altra difeso dal castello. Nel 1978 l'edificio monumentale è stato donato al Comune dalla contessa Maria Salini, vedova Anguissola. Dal 1994 é sede della Sala Consiliare Municipale. Da alcuni anni nel castello ha la sua sede il Museo Archeologico, che ospita reperti preistorici, protostorici, romani e medievali, raccolti principalmente dal Gruppo di Ricerca Culturale La Minerva. ...».
http://www.turismoapiacenza.it/musei_travo.asp
«Il primo documento in cui è citato il "Castrum de Durobecho" volgarizzato successivamente nei secoli in Durbecum, Trubecchi o Durbeco, è in un diploma Imperiale di Ottone I del 27 luglio 971, nel quale l'imperatore confermava agli abati di Bobbio (la diocesi di Bobbio nascerà nel 1014) i fondi e il castello di Trebecco, tale passaggio del diploma imperiale viene citato in seguito sia nel testamento del diacono Gherardo del 19 dicembre 1028, nel quale veniva lasciato in eredità l'importante maniero difensivo al marchese Ugo fu Oberto, e richiamato successivamente dal piacentino Codagnello nella sua cronaca 1180. Non si conosce l'esatto periodo di edificazione del maniero dotato originariamente di tre torri di avvistamento e di tre cinte murarie, ma studi dimostrano la sua esistenza nei primi del IX secolo su strutture di un maniero difensivo preesistente. Nel corso dei secoli il Castrum de Durobecho fu conteso da varie famiglie nobili del tempo, in quanto la sua posizione strategica consentiva il controllo della media val Tidone. Successivamente l'11 agosto 1391 la famiglia dei conti Dal Verme, su concessione del duca di Milano, entrò in possesso del borgo e del castello fortificato ponendo le prime basi della costituzione dello Stato Vermesco. Nel 1593 il conte Dal Verme Marc'Aurelio, signore di Voghera e dell'intero stato Vermesco, in seguito a varie congiure poste in essere dagli spagnoli per esautorare la famiglia Dal Verme dal feudo, si trasferì all'interno del castello di Trebecco assieme alla sua corte, e lì vi rimase fino alla morte e alla successiva sepoltura avvenuta all'interno delle mura del maniero nel 1601. I Dal Verme mantennero la proprietà del maniero fino alla seconda metà del Novecento, periodo dal quale venne venduto a varie famiglie del borgo. Dell'antico fortilizio rimangono poche tracce su di un o sperone sovrastante al paese».
http://it.wikipedia.org/wiki/Trebecco#Il_castello
«Le prime notizie certe del Castello risalgono al 1514 quando il fortilizio, proprietà dei Conti Cattaneo, venne parzialmente distrutto dalle truppe Vermesche. I Cattaneo ottennero l’investitura feudale di Trevozzo dai Farnese nel 1659 con diritto di successione ai figli e discendenti maschi. Il Castello nel 1773 ospitò la duchessa Maria Amalia d’Austria durante una sua visita alla Val Tidone. Oggi è una sontuosa residenza ottenuta dalle trasformazioni effettuate su un precedente fortilizio che conserva due belle torri quadrate angolari, tracce degli incastri del ponte levatoio e di un colonnato ora murato».
«Non si conosce la data di costruzione del fortilizio di Valconasso ma si presume che già dagli inizi del XIII secolo ne fosse proprietaria la nobile famiglia Mancassola. Questo casato fu uno dei più antichi del patriziato piacentino, ed in origine ebbe tradizioni mercantili e bancarie e appartenne alla compagnia commerciale degli Scotti. Uno dei probabili proprietari fu Rolando Mancassola che risulta essere tra i primi firmatari, nel 1271, dell’alleanza tra Piacenza e Carlo Angiò».
http://www.valco15.it/Cstello%20di%20Valconasso.html
«Castello del 1550. Il castello, in posizione dominante, è stato recentemente oggetto di un accurato restauro alle strutture portanti ed a tutte le coperture. ... L’immobile, per il suo valore storico, è sotto la tutela della Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici dell’Emilia. Fu Gian Francesco della Veggiola, che verso il 1550 commissionò il progetto del castello all'architetto e ingegnere imperiale Domenico Gianelli di Siena. La costruzione fortificata conserva memoria del fondatore nell'epigrafe in latino sulla facciata. Nel 1633 dai Veggiola il castello passò ai conti Paveri Fontana. La realizzazione del loggiato principale è collocabile nella seconda metà del XVII secolo. L'attuale fisionomia è frutto di numerose trasformazioni che ne fecero una dimora signorile, ma è ancora riconoscibile, sul fronte anteriore, il portale antico sovrastato dagli incastri del ponte».
http://www.turismoapiacenza.it/castello_di_veggiola.html
Per approfondimenti: https://quadernivaltolla.wordpress.com/2014/03/23/veggiola-di-gropparello-un-castello-rifugio...
a cura di Pierluigi Bavagnoli
«Le prime notizie certe sul paese ... si hanno a partire dall'anno 833 dell'era moderna con il nome mutato in Vici Baruni, facente parte dei possedimenti del monastero di Bobbio e considerato una delle prime comunità organizzate della zona. A Vicobarone erano presenti alcune tra le celle monastiche più importanti del monastero di Bobbio, che hanno aiutato l'espansione del borgo. Alla fine del 1100 finì il dominio del monastero di Bobbio e i secoli seguenti furono per Vicobarone un susseguirsi di lotte intestine tra le signorie locali e gli eserciti imperiali. Dal 1700 all'Unità d'Italia, fu parte del granducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Dopo l'unità d'Italia divenne, per un breve periodo sede del comune, passato poi a Vicomarino ed infine a Ziano. Il castello di Vicobarone è uno dei più antichi della zona e non subì mai la furia delle incursioni pavesi a causa, probabilmente della sua felice dislocazione, ma la struttura originaria risulta ormai essere quasi completamente stravolta dalle continue modifiche avvenute nel corso dei secoli».
http://www.comune.ziano.pc.it/cgi-bin/CSAI/tw1/it/Comune/Vicobarone
«Attraverso distese di vigneti che sono la ricchezza della val Tidone si raggiunge Vicomarino e appena prima del paese sulla destra si nota la cancellata della costruzione. L'antico fortilizio citato sempre per la guerra del 1215 in cui fu distrutto come altri fortilizi della zona, subì altri danni nel 1242 sempre dai pavesi e nel 1294 dai Malaspina. Nei secoli seguenti passò agli Scotti, ai Dal Verme ed agli Anguissola. In epoca imprecisata è stato trasformato in dimora residenziale annesso ad un'azienda agricola».
http://wunnish.altervista.org/gevpc/casttidone/castellitidone.htm
«Il borgo fortificato di Vigoleno è sicuramente uno dei monumenti storici più importanti dell'intera provincia di Piacenza sia per l'eleganza delle sue forme sia per l'eccezionale integrità dell'intero impianto castrense, che mostra non comuni influenze toscane, forse dovute all'impiego di maestranze provenienti dalla Lunigiana. L'intero borgo, di forma ellissoidale, è racchiuso da imponenti ed integre mura merlate, percorse interamente da un camminamento di ronda dal quale si ha l'opportunità di ammirare un'eccezionale panoramica su tutta la Val Stirone. L'unico accesso al borgo, in corrispondenza del mastio, è preceduto da un "rivellino": una fortificazione di forma allungata che serviva a proteggere la porta vera e propria ed a facilitare le sortite. La struttura urbana è invece dominata dal mastio quadrangolare, dotato di feritoie, beccatelli e merli ghibellini. In questa possente torre è ospitato un percorso informativo e fotografico sul borgo di Vigoleno e sulla sua architettura. Dal mastio il camminamento di ronda conduce alla seconda torre del borgo, in prossimità della quale sorge la parte più propriamente residenziale del complesso fortificato. Oltrepassate le fortificazioni poste all'ingresso del borgo si accede alla piazza, sulla quale prospetta l'oratorio della Madonna delle Grazie. Edificata in posizione eccentrica rispetto al borgo, in prossimità delle mura orientali, è la Pieve di San Giorgio, risalente come epoca di fondazione al secolo XII, uno degli esempi di architettura romanica sacra più importanti del piacentino, con impianto a tre navate e torre campanaria quadrangolare. ...».
http://www.comune.vernasca.pc.it/it_vig.shtml
«La fondazione della fortezza originaria risale al X secolo con funzioni di avamposto del Comune di Piacenza verso Parma e di controllo e difesa delle strade dirette verso Bardi e Borgotaro. La storia di Vigoleno è legata alla famiglia guelfa degli Scotti, che vi si insediarono nel XIII secolo in conflitto con Piacenza, dominata allora dalle fazioni ghibelline, e ne fecero il luogo della loro supremazia politica, rimanendone proprietari, tranne brevi periodi, fino al 1908. La presenza e l'importanza degli Scotti sono testimoniate dallo stemma ancora visibile sul timpano dell'oratorio della Madonna delle Grazie che probabilmente fu la Cappella della famiglia. Nel XIV secolo, il castello fu più volte distrutto e riedificato. Dopo la prima rovina, fu ricostruito nel 1370 dal Comune di Piacenza che lo tenne per poco più di un decennio. Nuovamente raso al suolo, fu edificato per la terza volta ad opera di Francesco Scotti, che ne era rientrato in possesso e nel 1389 aveva ottenuto da Gian Galeazzo Visconti licenza di costruzione. Nel 1414, l'imperatore Sigismondo diede l'investitura di Conte di Vigoleno ad Alberto Scotti, uomo d'armi e letterato e da allora il castello rimase agli Scotti, tranne negli anni tra il 1441 e il 1449, quando fu dei Piccinino. L'ingresso a ovest del castello, era sicuramente munito di ponte levatoio come si può notare dalle sedi dei bolzoni, dove sorge l'imponente mastio. Il castello collocato a sud rispetto del borgo e dalla forma rettangolare, presenta verso la piazza una seconda torre con funzione rappresentativa più che difensiva, dimostrata dal modesto slancio verticale rispetto al corpo principale. Il castello articolato in vari corpi, è collegato al Mastio d'ingresso attraverso il cammino di ronda coronato da merli, che conduce alla torre con sopralzo facente parte del castello. Della costruzione originaria, dopo le trasformazioni settecentesche, restano oggi nella facciata principale ampie finestre che convivono con finestre rettangolari di epoca successiva ed una singolare bifora con le spalle antropomorfe. L'interno del castello, ampiamente rimaneggiato in epoca recente per essere adattato ad esigenze di residenza signorile, conserva diversi saloni con soffitti in legno a cassettoni e camini adornati di stemmi gentilizi e un teatrino di gusto settecentesco».
http://www.emiliaromagna.beniculturali.it/index.php?it/108/ricerca-itinerari/8/150 (a cura di Monica Bettocchi)
VIGOLO MARCHESE (castello di Pusterla)
«La denominazione primitiva (Vigolo dè Marchesi) è dovuta al fatto che la località appartenne ai marchesi Obertenghi, i quali, nel secolo XI per iniziativa di Oberto II vi fondarono un monastero di Benedettini. Le cronache piacentine ricordano Vigolo come centro di resistenza dei guelfi nella lotta antiviscontea. Il duca di Milano, Galeazzo, deciso a distruggere i numerosi presidi avversari, che tenevano sotto controllo buona parte del contado, il 20 aprile 1314, ordinò ai suoi capitani Oberto Del Cario e Nello Da Massa di marciare su Vigolo di Val Chiavenna e di incendiare le case e il castello, oggi detto "la Pusterla". Qualche anno dopo, il fortilizio risulta essere di proprietà di un ente religioso, al quale competeva la nomina dei custodi o portonari del castello stesso; infatti, in un atto del 1326, conservato nell'Archivio Capitolare di Piacenza si legge che il prevosto di S. Giovanni di Vigolo, Rogerio Caccia (divenuto poi Vescovo di Piacenza), nominò Antolino Mancassola suo Vicario Generale e anche capitaneus castri con ampie funzioni per le curie di Vigolo e San Protaso. Forse verso il 1527 Vigolo era feudo dei conti Sforza di Santa Fiora, che possedevano tutto il territorio di Castellarquato e dell'alta Val d'Arda. Alla data del 1595 il luogo con la metà della Val Chiavenna rientrava nella giurisdizione del cardinale Sforza. A lui seguirono i Pusterla; alla loro estinzione (avvenuta verso la metà del Seicento), l'edificio passava ai Bonini per il matrimonio di una delle discendenti della famiglia stessa. L'ultima della casata, ai primi del 1700, lo portò in dote ai Boselli che lo tennero fino al principio del corrente secolo. La Pusterla fu successivamente (1946) acquistata dal signor Carlo Zanetti, da cui passò ai suoi eredi. Ne sono gli attuali proprietari i signori Giovanna e Giorgio Freschi. Fra i superstiti elementi architettonici del castello si nota una bella torre passante in laterizio con caditoie correnti su beccatelli a forte sporto. Dai rilievi effettuati anni fa, risulta la pianta quadrangolare dell'edificio con quattro torri d'angolo (una quadrata e una circolare a est e due torrioni rotondi, tipo garitte d'osservazione a ovest) e il mastio al centro. Interessante pure l'oratorio nel quale vi sono lapidi che ricordano, oltre i Pusterla, i Bonini e i Boselli...».
http://pcturismo.liberta.it/asp/default.asp?IDG=763
VIGOLZONE (castello o rocca Anguissola)
«La storia di Vigolzone è intimamente legata alle vicende del suo imponente castello, tuttora in buono stato di conservazione. La presenza di un castello pare risalire al 1095, anno dell’investitura del vassallo vescovile Lantelmo Confalonieri, capitano delle milizie piacentine in Terra Santa. Nel 1242 il fortilizio venne espugnato da re Enzio, figlio di Federico II, il quale successivamente ne ordinò la distruzione. Ad esso apparterrebbero i resti di una torre rotonda che si innalza a poca distanza ad ovest dell`attuale castello. La costruzione dell’attuale complesso fortificato ebbe inizio nel 1300 per volontà di Bernardo Anguissola, generale della cavalleria di Galeazzo Visconti e legato da grande amicizia con il poeta Francesco Petrarca. Nei 1414 gli Anguissola ottennero dall`imperatore Sigismondo l`investitura feudale del castello di Vigolzone insieme a quello di Folignano e alla villa di Albarola. Il castello subì diversi assedi, uno nel 1483 quando venne conquistato da Ludovico il Moro, e uno nel 1521 ad opera del generale Odet de Foix-Lautrec, in occasione di una sanguinosa battaglia che contrappose gli Scotti e i francesi. Tra le più potenti famiglie ghibelline del piacentino, gli Anguissola dominarono la vita pubblica di queste terre fino al 1806, quando la legislazione napoleonica abolì le giurisdizioni feudali. Carducci, che ebbe modo di visitare l’edificio nel 1888, ne rimase tanto colpito da esprimere la propria ammirazione in brevi versi, che dedicò alla gentildonna Elvira Boselli. Il ramo degli Anguissola di Vigolzone si estinse nel 1936 con Beatrice. Castello e proprietà passarono ai marchesi Monticello Obizzi di Crema e da questi agli attuali proprietari, i marchesi Landi di Chiavenna».
http://www.comune.vigolzone.pc.it/un_po_di_storia/il_castello_e_la_famiglia_anguissola_sc_170.htm
«Secondo un cronista dell'epoca, nel 979 l'imperatore Ottone, entrato in Piacenza, dopo aver creato milites i fratelli Lanfranco, Opizzo, Jacopo, Gherardo e Fero, li investì in perpetuo del castello di Vicojustino. Nel 1314, i guelfi piacentini fuorusciti dalla città, capeggiati da Leonardo Arcelli e Giacomo Sagimbene, attaccarono nella località detta "Frescarolo" i soldati di Galeazzo Visconti, obbligandoli ad abbandonare notevoli quantità di vino razziato agli abitanti di Chero, Sariano e Corneliano. Per vendicarsi, il duca inviò nella zona un contingente di uomini reclutati a Borgo San Donnino con l'ordine perentorio di distruggere Viustino. Il fortilizio fu in seguito teatro di un violentissimo scontro tra guelfi e ghibellini piacentini, avvenuto nell'aprile del 1373 quando Marcello Braciforte, a causa di un incendio verificatosi nel castello di Corneliano (che egli teneva in nome della Chiesa), si rifugiò nella torre di Viustino presidiata anch'essa dalle truppe pontificie. A questa notizia numerosi ghibellini della zona di San Giorgio, guidati da Martilio Anguissola si portarono nella località cingendo d'assedio il castello. Il Braciforte, obbligato ad arrendersi alle preponderanti forze avversarie, venne fatto prigioniero e, poco dopo, impiccato a Piacenza fuori Porta San Raimondo. L'edificio, sottoposto nel passato a molteplici ricostruzioni, conserva intatto un solido torrione che si innalza al centro del corpo di fabbrica».
http://www.viustino65.com/agriturismo/corte.html
«Il complesso è di proprietà privata ed è fruibile solo dall'esterno, tuttavia riveste un notevole interesse anche dal punto di vista paesaggistico. Il castello di Zena sorge alle falde del Monte delle Formiche sopra un rialzo di arenaria, e circondato da un bosco di querce: nacque come borgo fortificato all'interno dei possedimenti di Matilde di Canossa che nel 1078 fu ceduto al vescovo di Pisa Landolfo. Un rogito del 1127, la testimonianza più antica, parla del Castrum Genae, attorno a cui ben presto si formò un borgo. L'originaria funzione difensiva del castello è testimoniata da alcuni elementi architettonici che lo compongono, come le torri, la sala d'armi o le cisterne che lo rendevano autonomo in caso di assedio. Ma il complesso aveva anche un valore "civile" nei confronti della comunità che viveva intorno, espresso sia nella ghiacciaia sotterranea sufficiente a contenere neve pressata per molte persone, sia nei forni posti vicino alla legnaia. Nel succedersi dei numerosi proprietari, la funzione difensiva del castello fu progressivamente abbandonata in favore di quella residenziale: un nuovo accesso, più agevole di quello originario, si aprì nel XVII secolo a causa di una frana e divenne quello principale; un grande portale di accesso al cortile della torre fu costruito poco dopo; una grande sala ricca di decorazioni fu costruita sopra alla sala d'armi; furono ricavati nella torre trecentesca una loggia al piano terra e vari ambienti dotati di camino e decorati su soffitti e pareti. Alla fine del XIX secolo l'edificio versava in condizioni assai critiche e fu necessario un intervento di ristrutturazione da parte dell'allora proprietaria famiglia Sassoli De' Bianchi. è dovuta a questo restauro nello stile di Rubbiani la presenza delle merlature e dei decori in cotto. Durante la seconda guerra mondiale, il castello, sede di un commando tedesco e di una prigione, fu più volte bombardato dall'esercito alleato. Le scritte che i prigionieri di guerra incisero sui muri sono tuttora presenti al piano terreno. Un altro segno della guerra è il cunicolo scavato dagli abitanti del luogo alla base della torre angolare usato come rifugio antiaereo. Un antico sentiero raggiunge il Monte delle Formiche passando per la Torre dell'Erede, bell'edificio del XIV secolo (secondo alcuni del XIII) che faceva forse parte dello stesso sistema difensivo del castello, costituendone la vedetta. Intorno al Castello si narra una leggenda, alimentata da La fanciulla di Zena, un romanzo di Raffele Garagnani del 1876 basato sulle parole di una lapide presente nel cimitero dell'Oratorio di Santa Cristina, all'interno del complesso».
http://www.provincia.bologna.it/ecomusei/Engine/RAServePG.php/P/293211170400/M/250911170404
ZERBA (ruderi del castello Malaspina)
«è il comune più elevato e più piccolo della provincia piacentina, posto sulle pendici soleggiate del Monte Lesima. Feudo dei Malaspina nel XII secolo, ai primi del 1300 passò alla Camera ducale che lo cedette alla famiglia Pinotti per poi passare, nel 1386, alla famiglia Pozzi. Nel 1404 i Malaspina ne ripresero possesso e in seguito Zerba seguì le vicende storiche dell’Alta Val Trebbia. A testimonianza del suo passato rimangono i resti del torrione del castello, sito su un costone che domina il Trebbia, ed alcuni ruderi di una forte, nel centro vecchio del paese».
http://www.vacanzeitinerari.it/schede/alta_val_trebbia_zerba_sc_3507.htm
ZIANO PIACENTINO (resti del castello)
«Il primo documento scritto che testimonia l’esistenza di Ziano risale al 1029: si tratta di un testamento conservato nella Biblioteca Vescovile di Bobbio, nel quale si attestava che il diacono Gherardo lasciava il “castrum de Zilianum” dotato di una cappella dedicata a San Paolo, al marchese Ugo e alla moglie Gisla. In mancanza di eredi il fortilizio sarebbe tornato tra le proprietà della Mensa Vescovile di Piacenza. All’epoca il borgo era chiamato Zilianum, nome che gli derivava forse da quello di un proprietario terriero romano (Cillius). Ziano e le sue frazioni furono capisaldi strategici di grande importanza a difesa dei confini con Pavia; questi territori furono, infatti, abituali teatri di battaglia tra le milizie piacentine di fede guelfa e quelle di Pavia città ghibellina. Nel 1242 i pavesi giunti da Arena Po riuscirono ad occupare il castello dell’odierno capoluogo. Nel giugno del 1271 il fortilizio fu protagonista di un altro evento importante: Papa Gregorio X (il piacentino Tebaldo Visconti) lo scelse come sede di un incontro tra il Comune di Piacenza (con il nipote del papa cardinale Vicedomino Vicedomini, a fare da messaggero della fazione dei Guelfi popolari) e Ubaldino Landi portavoce dei Ghibellini. Quest’ultimo però non sottoscrisse alcuna soluzione pacifica guadagnandosi la scomunica. Francesco Scotti mise a ferro e fuoco il castello di Ziano nel 1312 avendo ricevuto da padre Alberto l’ordine di arrecare danno ai Visconti in Valtidone. Nel 1372 i Ghibellini di Galeazzo II Visconti si scontrarono in queste zone con le truppe pontificie di Gregorio XI, che ordinò la devastazione della Valtidone; il castello di Ziano si arrese a Dondazio Malvicini che lo occupò in nome del Papa. Successivamente Ziano entrò a far parte della Signoria degli Arcelli, poi dei Piccinino e nuovamente degli Arcelli nel 1450. Nel 1467 gli Sforza Fogliani divennero i nuovi feudatari. Tra il 1558 e il 1576 il castello fu di proprietà del conte Ascanio Sforza di Borgonovo, mentre i marchesi Zandemaria, che trasformarono il fortilizio in dimora signorile, acquistarono la proprietà nel 1691 dalla Camera Ducale Farnesiana. In seguito alla riorganizzazione amministrativa napoleonica, Vicobarone fu sede comunale fino al 1823, mentre dal 1823 fino al 1888 il capoluogo divenne Vicomarino. Il comune fu denominato “di Ziano” nel 1888 e “di Ziano Piacentino” nel 1928».
http://www.comune.ziano.pc.it/cgi-bin/CSA/tw1/I/it/Comune/La%20Storia
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