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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI CUNEO
in sintesi, pagina 1
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a c. di Federica Sesia
«Nel 1320 i Conti Cepollini fecero costruire nel sito di Alto un castello-fortezza che volge le spalle al paese con un fronte chiuso rafforzato agli spigoli da due torrioni circolari che ingentiliscono l’insieme della massiccia costruzione. Il lato opposto, verso sud, si affaccia sulla Val Pennavaira, fronteggiando il Castello di Aquila d’Arroscia. La fortezza è immersa in un paesaggio d’altri tempi, circondata da una natura selvaggia ed incontaminata. L’eleganza e l’essenzialità delle forme lo rendono uno dei manieri meglio conservati del territorio Ingauno. è importante precisare che il corpo verso la valle, sulla cui facciata si apre al 2° piano una pittoresca loggia dalla quale si può ammirare il suggestivo panorama che spazia sulle alture a ridosso del Mar Ligure, fu eretto solo nel XV secolo. Le cause dell’ampliamento sono probabilmente dovute al fatto che nel 1500, venendo meno il ruolo di fortezza che aveva avuto nei secoli precedenti, assume la sola funzione di castello-residenza. A testimonianza dei due diversi utilizzi sono le strette feritoie sulle facciate nord-est e sulle torri, necessarie in funzione difensiva, e le ampie finestre, il terrazzo e specialmente la loggia, chiari segni di un’epoca più serena. Durante l’invasione francese del 1796 il Castello fu saccheggiato ed in parte distrutto; rimase in queste condizioni sino alla fine del XIX sec., quando venne riadattato con l’abbattimento delle parti più alte dei due torrioni e la copertura di tutto il complesso con tetto a falde. Oggi, con il cadere dell’intonaco esterno, emergono i merli ghibellini sotto il cornicione del tetto».
http://www.grandain.com/2013/10/01/alto-e-caprauna-castello-dei-conti-cepollini/
Bagnasco (ruderi del castello)
«Le rovine della fortificazione di Bagnasco sono molto suggestive già solo da quanto si può apprezzare percorrendo la Strada Statale ai suoi piedi. La struttura che risalta immediatamente alla vista è la torre circolare che si erge a mezza costa dell’altura che domina il borgo storico di Bagnasco: “un vago monticello, avente la forma di un pan di zucchero”, così viene descritta l’altura nel Dizionario geografico del Casalis a inizio Ottocento (CASALIS 1834, vol. II, p. 15). La torre, assai simile per dimensioni e tecnica edilizia, ciottoli legati a malta, a quella di Barchi, se ne differenzia sostanzialmente sotto il profilo funzionale per l’essere inserita in un articolato sistema di fortificazione: da essa, infatti, si dipartono, scendendo verso il fondovalle, due bracci della cinta muraria che andava a cingere il borgo. Immediatamente contigua alla torre, nel tratto di mura che scende in direzione S, si apre un ingresso costituito da un fornice con arco a sesto acuto realizzato in laterizio. La ridotta si congiungeva con ulteriori giri di mura al castello vero e proprio, posto sulla cima del colle e oggi meno visibile dal basso perché coperto dalla macchia. Il castello, sebbene le strutture superstiti siano meno apprezzabili, appare assai simile a quelli di Scagnello, Battifollo e Nucetto. Immersi nella boscaglia, possono essere riconosciuti i resti dell’edificio principale – che certamente conteneva ambienti di pregio disposti su più piani e di una torre – di cui si conservano in parte due lati per circa 20 m d’altezza. Quest’ultima era a pianta quadrangolare, si ergeva presso l’angolo nord-occidentale dell’edificio ed era realizzata interamente in mattoni; al suo coronamento si distingue almeno una fila di caditoie. Ai piedi della torre si individua nel terreno una depressione che corrisponde a una cisterna voltata a botte con il soffitto sfondato. Altri lacerti murari alcuni di una certa consistenza, in mattoni o in ciottoli, si possono riconoscere estesi su tutta l’area sommatale del poggio. ... Accessibilità: tratto carrozzabile. Dalla SS28, una volta giunti nel paese il castello appare chiaramente alla vista: all’altezza dell’incrocio con la SP490 (via C. Mandilli) svoltare e in direzione del centro storico. Continuare lungo via Basteris e parcheggiare nei pressi di piazza del Municipio. Tratto pedestre. Dopo un breve tratto lungo via Scarrone, è segnalato l’inizio del sentiero lastricato che conduce ai ruderi: il percorso si inerpica con una pendenza abbastanza accentuata, ma solo per circa 100 m prima di arrivare alla torre della ridotta. Proseguendo oltre si raggiunge la sommità del poggio con i resti del castello».
http://www.culturaterritorio.org/zfiles/CMAVT_3.htm
Bagnolo Piemonte (castello Malingri)
«Sui primi rilievi montuosi, posti tra la Valle Pellice e la Valle Po, si erge il castello-forte di Bagnolo, i cui caratteri prevalentemente alto medioevali si sono in gran parte conservati, mentre risultano invece andate perdute, quasi del tutto, le tracce dell'antico borgo di Bagnolo. Questo doveva sorgere più a valle, sul luogo dove si trova attualmente il Palazzo o Castello Piano, circondato da un pregevole parco e caratterizzato da notevoli trasformazioni strutturali che si sono succedute nell'arco di tre secoli di storia. Il complesso castellano, databile tra il XII e il XVI secolo, rappresenta una rara testimonianza dell'architettura fortificata in Piemonte. L'importanza in ambito locale del complesso è stata nel passato tutt'altro che irrilevante, in quanto sotto la sovranità dei Savoia, rappresentava una postazione di controllo della strada tra Saluzzo e Pinerolo. L'attenta opera di conservazione e tutela delle caratteristiche strutturali, oltrechè paesaggistiche, del sito, seguita nel tempo dai proprietari, rendono il palazzo, il parco, il castello e i suoi dintorni una singolare testimonianza di storia, di cultura castellana e di arte dei giardini in ambito piemontese. Appare, infatti, evidente come l'edificazione disordinata della pianura siinterrompa quasi improvvisamente prima delle alture di Bagnolo. Oggi l'intero complesso è di proprietà del prof. arch. Aimaro Oreglia d'Isola, figlio di Caterina Malingri di Bagnolo, ultima discendente diretta dei conti Malingri di Bagnolo. Negli interventi di salvaguardia ambientale, i boschi già esistenti sono stati ora reintegrati con estese opere di riforestazione ed appaiono intervallati da ampie radure a prato; alcune piccole cascine e mulini che facevano parte dell'antico feudo sono state recuperate ed accuratamente restaurate mantenendone le antiche caratteristiche. Da Bagnolo, prendendo la strada delle cave, in direzione Montoso, sulla sinistra, in cima ad una collina isolata, fra boschi di castagni e di larici, si vede il profilo dell'antico castello, eretto probabilmente intorno all'anno Mille, come fortezza difensiva, che ha conservato a lungo la sua funzione. La piana coltivata a frutteti, le abitazioni e i laboratori di pietra arrivano fino al confine del feudo della famiglia dei conti Malingri di Bagnolo che nei secoli ha difeso e protetto la popolazione del luogo. Questo feudo, che era degli Acaja, fu dato prima ai Della Torre e agli Albertengo e poi, dalla fine del 1200 ai Malingri.
Il Castello subì varie trasformazioni nei secoli. In origine la torre era staccata dal corpo principale merlato: sono ancora visibili all'ultimo piano i merli ghibellini ora integrati nella muratura. Non si sa esattamente in quale epoca esso fu coperto da tetto in lose di pietra e furono aggiunti gli altri fabbricati rurali. Nei momenti di pericolo serviva da rifugio e doveva poter rifornire di cibo e acqua soldati e rifugiati (l'acqua veniva fornita da un pozzo interno alle mura). Il castello era anticamente protetto da tre cerchia di mura di cui restano le vestigia. Cessata la funzione militare e difensiva fu usato come edificio rurale. Nei decenni scorsi gli attuali proprietari, discendenti dei Malingri hanno dato avvio ad un notevole intervento di restauro dell'edificio. Dall'alto della torre si comunicava con gli altri castelli e fortezze visibili per mezzo di segnalazioni luminose e colombi viaggiatori. Uno dei punti di collegamento era la torre quadrata (Tour Cairà) che si trova in pianura tra il castello e la rocca di Cavour, che secondo alcune leggenda sembrava essere collegata agli altri edifici con gallerie sotterranee. Questa torre faceva anch'essa parte del sistema difensivo di Bagnolo. All'interno delle mura del castello, la torre delle scale risulta essere un'opera di grande maestria costruttiva: le scale in pietra salgono a spirale attorno ad un pilastro centrale di mattoni sistemati a formare una colonna dal diametro di circa 90 centimetri. Il piccolo portale d'ingresso, in legno spesso, è sormontato da un affresco che ingentilisce le vecchie mura di pietra. L'affresco, recentemente restaurato, di non certa identificazione, fu realizzato probabilmente alla fine del 1300 in occasione di qualche alleanza. Si notano in alto, a destra e a sinistra, i due stemmi dei casati di Savoia e Acaja che la dama tiene sollevati con le mani aperte. Alcune decorazioni araldiche e simboliche come il nodo Savoia e i rami di alloro fanno da cornice all'affresco. La dama seduta su un grande cuscino ha un abito semplice con manto e un cappello con velo trattato con grande trasparenza e delicatezza».
http://www.comune.bagnolo.cn.it/index.php/la-storia/il-castello
Bagnolo Piemonte (palazzo Malingri)
«La bianca facciata del'700, affiancata da due logge a tre archi per lato, rivolta verso valle, si caratterizza per completare una struttura più antica trecentesca, che fu presumibilmente uno tra i primi insediamenti della famiglia Malingri di Bagnolo. Il "palazzo" si sviluppa a quadrato chiuso attorno ad una corte centrale. Due lati sono occupati da edifici rurali ancora in uso, gli altri due ospitano gli appartamenti di proprietà dei discendenti della famiglia Malingri. Anticamente, attorno al Palass è probabile che esistesse il primo insediamento del paese di Bagnolo, spostato a valle nel 1400. Due cappelle, di cui una splendidamente decorata da un ciclo di affreschi della seconda metà del 1400, un campanile, due meridiane, il forno, il pozzo, sono alcuni degli elementi architettonici che ancora oggi legano la parte agricola a quella residenziale e la uniscono in un legame di dipendenza storica e compositiva».
http://www.comune.bagnolo.cn.it/index.php/la-storia/il-palazzo
Baldissero d'Alba (castello dei Colonna)
«Citato già nel 1268. Una primitiva opera di osservazione o di difesa dovette precedere il castello, che sorse invece all'inizio del '200 (occupando il sito dell'attuale ala di nord-est), con la separazione dei suoi castellani dal ramo di Sommariva Perno, Nel '500, dopo che i “de Baldissero” diventarono Colonna, il castello si ampliò verso sud, occupando l'attuale area e dotandosi di maggiori difese esterne, fra cui il baluardo dal lato più vulnerabile. Diviso con vari altri consignori (Martinengo, Flippi, Carron di St-Thomas, Cavassa, Falletti, ecc.) a partire dalla fine del ‘500, pervenne all'inizio dell'800 a Corrado Moffa di Lisio, il cui figlio Guglielmo attorno al 1870 fece restaurare l'antica costruzione dotandola del rivestimento neogotico che oggi la connota. Ma l'interno, le cantine, i dintorni conservano un certo fascino, consono alle burrascose vicende che accompagnarono fino alla fine del ‘500 i suoi tracotanti feudatari. Conserva al suo interno resti dell'antica cappella gotica con pareti affrescate. All'esterno è visibile ancora una parte della cinta muraria con la torre detta "dei Coltelli"».
http://www.comune.baldisserodalba.cn.it/archivio/pagine/Luoghi_di_culto_e_manufatti.asp
«Dalla frazione Barchi Sottana (m. 664), pittoresco gruppo di case, posto al riparo di un costone roccioso, attraversato da vicoletti e ricco di fontanelle, si apre la mulattiera che prende a salire sotto un lungo pergolato di viti. Quindi, tra rigogliosi castagni, alcuni dei quali in età veneranda, si raggiunge una piccolissima baita, in tutto una decina di metri quadri. A questo punto ci stacchiamo dalla mulattiera che prosegue per le Case Zitta, situate a quota 872, ed infiliamo un viottolo alla nostra sinistra; poi, zigzagando a mezza costa, si perviene, dopo circa quaranta minuti, in cima al crinale, ove, sopra uno sperone roccioso, sinistra e solitaria, domina da secoli la Torre dei Saraceni. A quota 893 metri, costruita in pietra legata con calce viva, è alta 9 metri, ha un diametro interno di 3 metri, attualmente è priva di copertura e doveva certamente essere più alta. La storia della Torre si ricollega alle invasioni saracene alla fine dell'800 - inizi 900 quando i Saraceni provenienti dall'Africa e dalle coste spagnole, dalle loro basi di Frassineto vicino a Saint Tropez invasero dalla Liguria tutte le valli del Basso Piemonte. Ma forse questa costruzione risale al tardo Impero Romano o meglio dopo la caduta dell'Impero Romano quando, nel VI secolo, per arginare le invasioni longobarde, gli imperatori di Bisanzio con Giustiniano e Costanzo, cercarono di formare una linea difensiva detta "limes" coatituita da una serie di torri di avvistamento, poste in Valle Tanato tutte sulla sponda destra del fiume Tanaro. I Saraceni, tra i secoli IX e X, se ne servirono come luoghi di ricovero e di vedetta. Grazie al GAL, Gruppo Azione Locale, ed alla Comunità Montana Alta Valle Tanaro, la Torre è stata recentemente (1999-2000) restaurata con un sicuro e facile accesso alla Torre stessa che di notte è illuminata e che costituisce una bella e panoramica meta per una facile escursione».
http://www.comune.garessio.cn.it/ComSchedaTem.asp?Id=25407
Barge (castello dei principi di Acaja)
«Ciò che rimane oggi del castello di Barge è frutto delle varie trasformazioni succedutesi nei secoli. Posto in una situazione strategica invidiabile, soprattutto dal punto di vista difensivo, la fortezza sfruttava uno sperone roccioso posto alla confluenza di due fiumi: il Chiappera e l’Infernotto. Il castello inferiore fu eretto quando il feudo di Barge apparteneva agli omonimi signori, vassalli dei marchesi di Saluzzo. Col tempo venne inserito in un sempre più complesso sistema difensivo che comprendeva, oltre alla doppia cinta muraria che proteggeva l’abitato, un castello superiore posto a poca distanza ed una fortezza in posizione pianeggiante, collocata nei pressi dell’attuale peso pubblico. Lo sviluppo del sistema difensivo coincise con due momenti importanti per la storia bargese: la definitiva conquista da parte dei Savoia nel 1363 e, nel Cinquecento, le guerre tra francesi e spagnoli per il dominio dell’Italia. Tra il 2 e il 3 luglio 1363 Amedeo VIII di Savoia, detto il Conte Verde, piegò la resistenza delle milizie saluzzesi comandate da Azzone di Saluzzo, fratello del marchese Federico II e conquistò il castello grazie al tradimento del suo castellano. Da quel momento Barge divenne feudo dei Savoia e fu legato ai loro destini. Nel XVI secolo il sistema difensivo bargese raggiunse il massimo sviluppo, come testimonia uno schizzo conservato ancora oggi alla Biblioteca nazionale di Parigi. Nel 1431 i Frati Minori Conventuali di San Francesco chiesero al Comune ed ottennero di potersi insediare sui resti del vecchio castello, ormai abbandonato. L’ordine ottenne Il permesso di stabilirsi a Barge per erigervi una chiesa ed un convento con un breve di papa Eugenio IV (al secolo Gabriele Condulmer) del 1° novembre 1431. Il Comune intervenne nelle spese ed elargì un contributo il 25 marzo 1435 affinché si potesse “… reddificari et cellas fieri pro comoditate et usagi fratrum minorum ibidem residere debencium” (tr. “ricostruire e realizzare le celle per la comodità ed uso dei frati minori che ivi debbono risiedere). I frati francescani rimasero nel loro convento di Barge fino al 1801, quando le leggi napoleoniche ridussero la presenza degli ordini religiosi nel territorio dell’impero incamerando il denaro derivante dalla vendita dei loro beni. Caduto in mani private l’antico convento andò in rovina e verso la fine del secolo fu acquistato dal senatore Bertini che lo fece restaurare secondo il gusto dell’epoca. La chiesa fu demolita e il grande crocifisso fu donato alla Confraternita dei battuti di Santa Croce, dov’è tuttora conservato. Il campanile, già innalzato sui resti di una torre medievale del castello preesistente, fu riadattato a torre merlata, tamponando gli archi dove avevano sede le campane, eliminando il tetto in lose e costruendo dei finti merli. Una parte degli edifici fu demolita, preservando soltanto due ali del chiostro e le stanze sovrastanti. Agli inizi del Novecento il complesso fu acquistato dal pittore e scultore bargese Romolo Bernardi, che lo arricchì di alcune sculture e lapidi. Negli Anni Sessanta del secolo scorso i resti del convento furono trasformati in una dimora privata. Dell’antico convento, oltre alla struttura, rimangono alcuni lacerti d’affresco, raffiguranti San Francesco, nascosti entro le mura della torre».
http://www.aicabarge.it/castello (a c. di Tiziano Vindemmio)
Barolo (castello dei marchesi Falletti)
«La storia del castello Falletti si ritiene avere inizio, vista l'assenza di documenti storici sulla sua nascita, nel X secolo, quando Berengario I consentì al feudatario locale l'erezione di una difesa efficace contro le frequentissime scorrerie degli Ungari prima e dei Saraceni poi. Di quella struttura originaria rimane ben poco: il mastio, ancora oggi visibile, fa parte di essa. La prima testimonianza scritta risale al '200 in un atto di cessione di proprietà da parte dei signori di Marcenasco in favore del comune di Alba che, pochi anni dopo, lo cedette ai Falletti che lo ristrutturarono significativamente e ne fecero dimora stabile di un ramo del casato. Il catasto del 1524 cita la presenza di una trentina di case intorno al castello, case gradualmente scomparse per far posto ad appendici successive del castello stesso. Nel 1544, invece, fu fatto "rovinare" e saccheggiare dal governatore francese della vicina Cherasco nel corso delle lunghe guerre dell'epoca. Toccò successivamente a Giacomo e Manfredo riparare i consistenti guasti, apportando ulteriori modifiche migliorative. Il nuovo, frutto dei rimaneggiamenti cinquecenteschi, rimase sostanzialmente immutato fino al 1864, anno della morte di Juliette Colbert, ultima marchesa Falletti. Nel frattempo il castello era già "decaduto" a residenza di campagna a causa del trasferimento della dimora principale dei Falletti, avvenuto nel 1814, al Palazzo Barolo di Torino. Tra i suoi illustri ospiti durante l'ultima epoca dei Falletti spicca senza dubbio Silvio Pellico, presentato alla marchesa da Cesare Balbo dopo la decennale prigionia nello Spielberg, divenuto poi negli anni intimo amico, fidato consigliere nonché amministratore della biblioteca Falletti. Il Pellico e la Marchesa erano soliti trascorrere insieme lunghe giornate tra castello Falletti e il castello della Volta, dediti alla lettura e alla conversazione. Alla morte della Colbert, il castello Falletti passò all'Opera Pia Barolo che, con pesanti lavori di ristrutturazione che ne alterarono profondamente la struttura, lo trasformò nel Collegio Barolo. Ruolo del Collegio, attivo fino al 1958, era di dare una possibilità di studiare a ragazzi economicamente in difficoltà. Nel 1970 fu acquistato dal Comune di Barolo, grazie soprattutto a una pubblica sottoscrizione cui furono in molti a contribuire generosamente. Nel corso degli anni è stato restaurato in modo capillare. Attualmente il Castello è sede del Museo del Vino (WI.MU.)».
http://www.comune.barolo.cn.it/Home/Guidaalpaese/tabid/20578/Default.aspx?IDDettaglio=8253
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La meravigliosa posizione del Castello della Volta non è purtroppo pari al suo attuale stato di conservazione, alquanto decadente. Visibile dal paese, è raggiungibile percorrendo la strada che da Barolo porta verso La Morra. Fu costruito nel secolo XII da Manfredo di Saluzzo, discendente da Bonifacio del Vasto. Prima che Alba se ne impadronisse appartenne per qualche tempo alla famiglia De Braida. Il castello finì successivamente a far parte del feudo di Barolo e, in un successivo passaggio, nelle mani della famiglia Falletti. La sua è stata una storia complicata, sempre al centro di possibili cessioni e tentativi di demolizioni, nonché teatro di avvenimenti leggendari. Il crollo della volta del salone centrale avvenuto all’inizio del XIV (di qui il nome Della Volta) fu interpretato dalla fantasia popolare in chiave religiosa: gli uomini e le donne della corte del signore del castello, in abiti discinti e in preda ad un’orgia collettiva, furono seppelliti dal crollo del soffitto voluto dal diavolo per impadronirsi delle loro anime. L'ultima impennata della sua storia fu a cavallo del 1800, quando venne dapprima ripristinato a residenza signorile e poi eletto dall'ultima marchesa Falletti come luogo ideale per trascorrere ore tranquille in compagnia di Silvio Pellico, godendo sia dell'ombra dei folti ippocastani oggi non più presenti che dei panorami circostanti. Terminata la dinastia dei Falletti il castello entrò in una fase declinante che è durata fino ai giorni nostri, subendo nel 1944 ulteriori danni a causa di alcune cannonate da parte dei tedeschi. Il suo attuale aspetto decadente, tuttavia, rende molto credibili le diverse leggende che lo circondano. è attualmente di proprietà di un'azienda vinicola di Barolo».
http://www.comune.barolo.cn.it/Home/Guidaalpaese/tabid/20578/Default.aspx?IDDettaglio=8252
Battifollo (ruderi del castello)
«Le rovine sono alquanto suggestive e agevolmente visitabili: sul poggio che ospita il castello vero e proprio, superato l’antico ingresso con arco a sesto acuto in laterizio, si possono osservare consistenti tratti di mura in pietra appartenenti alla cinta e al corpo principale; presso l’angolo sud-occidentale sorge l’alta torre a pianta quadrata (20 m di lato circa), conservata solo per una “fetta”, ma quasi per l’intera altezza: si intuisce il coronamento di merli e tre ordini di caditoie. La torre, l’edificio residenziale (disposto su più piani, doveva avere un notevole pregio: si notino i resti di volte a botte) e alcuni rifacimenti della cortina sono realizzati con paramento in mattoni. La visita alle rovine è molto suggestiva e facilmente attuabile: è possibile esplorare agevolmente i resti dei corpi di fabbrica del castello, giungendo fino ai piedi della torre. Nell’area compresa tra Nucetto, Bagnasco e Scagnello passava il percorso che collegava la valle del Tanaro con quella del Mongia: questa zona di comunicazione costituiva uno dei numerosi percorsi secondari che permettevano, probabilmente già in età romana se non anteriore, la comunicazione del Monregalese con il mare senza passare per l’area di Ceva ... I due insediamenti di Battifollo e Scagnello, dato il loro ruolo strategico, furono quindi fortificati per garantire il controllo del passaggio. Il toponimo stesso di Battifollo deriva dal latino tardo batifolium (battifolle) con cui s’indicava, nel Medioevo, una fortificazione di controllo di un passaggio obbligato, fosse stata una porta o un passo montano ... Edificata nel X secolo, inizialmente la fortificazione poteva essere realizzata con materiali deperibili come pietrame, legno e fascine ed essere circondata da un fossato, corredata forse da una torre egualmente lignea come sappiamo erano spesso le strutture difensive di questo periodo. Nell’XI secolo fu possesso dei marchesi di Ceva ed è citata per la prima volta in una carta d’investitura del 1203, il diploma del marchese Otone, che ricorda “Battifollum sive castrum ultra Tanagrum” ... Giorgio II il Nano, marchese di Ceva, lo cedette poi ad Asti nel 1295 conservandone però l'investitura anche per i suoi discendenti. Dal XIII secolo venne realizzata la torre in muratura a pianta quadrata. Nei secoli successivi subì numerose infeudazioni, tanto da essere suddiviso in sedici porzioni, sebbene la parte più consistente sia rimasta ai marchesi di Ceva fino al 1792. Infine, durante le guerre napoleoniche, il generale francese Sérurier vi collocò una linea di artiglierie allo scopo di impedire il congiungimento delle truppe austriache e piemontesi e nel 1796 fu smantellato. Accessibilità: tratto carrozzabile. da Bagnasco deviare sulla SP143 in direzione di Battifollo e Scagnello. Poco prima di entrare nel centro vero e proprio dell'abitato di Battifollo, girare a destra in direzione del cimitero, dove si può parcheggiare e proseguire a piedi. Tratto pedestre: da qui un facile e breve sentiero permette di raggiungere il castello, che rimane sempre in vista, attraversando i resti del borgo ai suoi piedi e dei successivi giri di mura».
http://www.culturaterritorio.org/zfiles/CMAVT_4.htm
Bene Vagienna (castello dei Conti Costa)
«L'antico maniero è circondato da alte mura che proseguono lungo i bastioni chiamati "baluardo di levante" e "baluardo di ponente", a ricordare la parte delle fortificazioni realizzate nella prima metà del 1500. Il primo documento scritto in cui viene menzionato il castello di Bene risale al 18 giugno 901 quando l'Imperatore Ludovico III cedette il territorio di Bene, provvisto di Curtis imperiale, di pieve e di una superficie di 7500 ettari, al vescovo di Asti Eilulfo. Agli inizi del XV secolo fu decisa la ricostruzione nella forma che ancor oggi possiamo vedere. Nell'Ottocento il castello fu trasformato in ospedale di carità, ancor oggi è sede della casa di riposo per anziani. Superato in cancello di ingresso ci si imbatte in un pilone dove è raffigurata la Beata Paola, in abito di terziaria francescana, con il manto colmo di rose. Questo affresco ci riporta agli inizi del 1500 quando la signora di Bene aveva qui la sua dimora e usciva dalle mura per recarsi al convento della Rocchetta posto al di là del torrente Mondalavia».
http://www.comune.benevagienna.cn.it/modules.php?name=Steli_Bene#
«Casa Ravera. L'immobile, attualmente di proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e restaurato dall'Associazione Culturale Amici di Bene-ONLUS, è un polo culturale significativo della città di Bene. Presenta una facciata realizzata all'inizio del Quattrocento e sopraelevata nel Seicento dai nobili Borra. Sempre a questa famiglia nel 1658 si deve la realizzazione della facciata prospiciente via Ammiraglio Racchia, le maniche interne collegate da un interessante loggiato. La famiglia dei nobili Borra cedette a metà '800 l'immobile alla famiglia dei notai Ravera e un loro discendente, il gen. Francesco Ravera, con l'ausilio dello zio prof. Vacchetta, su sollecitazione del D'Andrade, iniziò nel 1916 il recupero della parte quattrocentesca sia prospiciente la contrada sia verso la corte interna. ... Palazzo Comunale. Nel 1387 il principe d'Acaja entra in Bene, scacciando i fautori del vescovo d'Asti proprietari del palazzo, e consegna il complesso alla comunità di Bene. Originariamente la casa medioevale tra il '400 e '500 venne riplasmata secondo i gusti dell'epoca con decorazioni a grisaille, tipo casa Cavassa, a Saluzzo. Nel 1728 l'edificio acquisisce l'aspetto attuale con le fasce marcapiano e decorazioni a marmorino attorno alle finestre, vengono inseriti gli stemmi legati a casa Savoia e alla città di Bene. Viene tamponata una strada per la realizzazione dell'attuale sala consiglio poi dipinta a fine Ottocento. ... Palazzo dei Nobili. Inserito nel quartiere di San Giorgio, il più nobile della città di Bene Vagienna, il Palazzo dei Nobili è il risultato del rifacimento di un edificio medioevale voluto, in epoca barocca, da un'importante famiglia del patriziato senese: gli Oreglia d'Isola conti di Castino. L'edificio fu ceduto nell'800 all'ammiraglio Carlo Alberto Racchia, ministro della Marina che morì nel 1896. La moglie marchesa Paolucci delle Roncole lo cedette, all'inizio del Novecento, alla famiglia Trossarello. Nell'ultimo decennio del Novecento, il complesso monumentale - in stato di degrado, ma ancora ricco di elementi decorativi interni ed esterni - venne acquisito dall'attuale Bene Banca di Credito Cooperativo di Bene Vagienna per farne un "prezioso contenitore" a disposizione dei Soci, quale vetrina delle loro attività e dei loro prodotti. ...
Palazzo Lucerna di Rorà. Palazzo Lucerna di Rorà venne rimodellato su una struttura preesistente di epoca medioevale fra il '600 eil '700 dai marchesi Oreglia di Novello, conti di Castino e Farigliano e baroni di Isola. L'edificio faceva parte di un vasto complesso ubicato fra le attuali Piazza Botero e Via Torino. Risalgono a questo periodo gli stucchi delle sale del piano terreno eseguiti dai fratelli luganesi Beltramelli che negli stessi anni lavorarono in Bene anche al palazzo Magistrati e nelle chiese di San Francesco e di San Bernardino dei Disciplinanti Bianchi. Il 24 aprile 1796 il Palazzo ospitò il generale Napoleone Bonaparte durante la campagna d'Italia. All'inizio dell'800 molte sale vennero ristrutturate probabilmente sotto la direzione di Pelagio Palagi e decorate con motivi che richiamano quelli del Castello di Racconigi. Il Palazzo fu in seguito utilizzato come Quartiere militare, Ufficio del Registro, Pretura e Scuola. Dall'inizio del Novecento è sede del Museo Civico-Archeologico ricco di reperti romani dell'Augusta Bagiennorum. Si accede alle sale attraverso un ampio scalone probabilmente disegnato dallo Juvarra. ... Palazzo Marchesi del Villar. Attualmente di proprietà della Banca di Credito Cooperativo di Bene Vagienna. Fu detto anche palazzo dei potenti, collocato nel quartiere di San Giorgio, il più nobile di Bene. La casa porticata, presenta due facciate particolari: una medioevale, ristrutturata dal prof. G. Vacchetta nel 1938, con splendide ed interessanti bifore e monofore ad arco decorate con fregi in cotto. La facciata barocca è caratterizzata da stucchi a mascheroni in rilievo, unici nella zona. Il palazzo - dimora di famiglia dei Carrassi marchesi del Villar (antica famiglia venuta a Bene nel 1387 al seguito del principe d'Acaja) - presenta un piano nobile particolarmente interessante essendo ricco di affreschi e arredi del '600 e del '700».
http://www.comune.benevagienna.cn.it/modules/Steli_Bene/Steli%20BENE.pdf
«è il monumento più ricco di storia di Benevello. Esso è stato costruito come fortificazione sulla sommità della collina su cui sorge il centro del paese. Fu commissionato ai fratelli Simonino e Pietro dai marchesi Falletti nel 14° secolo. Nei numerosi passaggi di proprietà subì molti rimaneggiamenti che ne fecero perdere le caratteristiche militari difensive, trasformandolo in residenza nobiliare di campagna. Nel 1881 è stato acquistato dal beato Faa di Bruno e da allora ha sempre avuto encomiabili finalità sociali. L’edificio si presenta come un grosso blocco con basamento a scarpa, rinserrato tra due torrioni circolari cimati. Purtroppo opere di sistemazione, come l’intonacatura esterna, ne hanno in parte stravolto l’aspetto: notevole e rispettoso invece il recupero interno e la tenuta del parco da parte della Comunità di recupero per ex-tossicodipendenti che attualmente lo occupa. Il castello non è visitabile dal pubblico: durante la festa patronale però, da qualche anno, si allestisce una mostra pittorica nel parco» - «L’attuale castello, una sorta di rustica dimora signorile caratterizzata da due tozze torri tonde collegate da un corpo di fabbrica con una evidente “scarpa”, ha lontane origini. Dovrebbe risalire al 1100, quale struttura di controllo sulla strada che dalle Langhe portava ad Alba. Attorno al 1300 si ricorda una piazzaforte in mano alla famiglia Falletti: passata ai Savoia, dopo il trattato di Cherasco del 1631 venne ceduto all’albese Giovanni Prandi ed in seguito alla famiglia Chiesa di Saluzzo. Dal 1881 vi trovano sede opere di assistenza: in passato collegio per le ragazze povere di Langa, oggi comunità di recupero di tossicodipendenti. Se della struttura, dopo tante ristrutturazioni, non resta molto di originale, va sottolineato comunque come questo, con la parrocchiale, sia ancora il fulcro di tutto il centro abitato».
http://www.comune.benevello.cn.it/Guidaalpaese/tabid/13237/Default.aspx?IDDettaglio=5009 - http://langhe.net/sight/castello-benevello/
«Il Castello, ed il relativo feudo, hanno origini molto antiche, ma documentalmente incerte; sin dai primi documenti del XIV secolo si rileva una proprietà condominiale pertanto una “Signoria” condivisa tra più “Consignori” (con le relative contese); l’edificio, con stratificazioni di varie epoche, è un esempio di quello che viene definito castello “rurale”, come ben circostanziato in un articolo di Claudia Bonardi (Piemonte. Architettura popolare in Italia, a c. di Vera Comoli Mandracci, ed. La Terza, 1988), che ben descrive tale tipologia ed in particolare il castello di Bonavalle. Per l’esattezza un insediamento con una originaria funzione difensiva (torri tuttora esistenti, fossato e barbacani non più rintracciabili), al centro di un feudo composto da fondi agricoli, con documentata funzione di protezione di persone e prodotti della terra, che in seguito alla perdita delle funzioni di fortificazione (ed al divieto sabaudo di mantenimento di strutture fortificate) mantiene la caratteristica funzione di residenza “signorile” extra-urbana, senza perdere definitivamente i caratteri originari, contrariamente a quanto invece avvenuto in molti altri edifici “ingentiliti” in ville dal ‘600 al ‘800; questo probabilmente anche per la documentata caratteristica di condominio (molte furono le famiglie di “consignori”) e di residenza sempre saltuaria, probabilmente dovuta all’isolamento dai centri principali, e le varie quote della proprietà passarono di mano in mano a varie famiglie che mantenettero la residenza altrove; la stessa famiglia Turinetti, probabilmente la più costante, ricca e blasonata proprietaria del castello, si preoccupò di apportare miglioramenti e ristrutturazioni, ma non risulta averci mai risieduto (con una sola eccezione documentata). Nel 1800 il comune di Racconigi rivendica l’appartenenza del feudo al relativo territorio per ragioni storiche, ma non esistono prove di una effettiva annessione a discapito del comune di Murello; nel 1888 è documentata l’attuale divisione dei territori in prossimità dell’immobile (il confine lambisce il giardino di pertinenza), la proprietà a due fratelli Turinetti, nonché la perimetrazione indicativa delle terre rimaste a corredo della proprietà (si presuppone solo una piccola parte del feudo originario). L’immobile ha subito un inesorabile declino dopo la morte degli ultimi proprietari, donato con legato ai comuni di Racconigi e Chiomonte, ed è allo stato di rudere a causa della perdita di buona parte dei tetti e dei relativi orizzontamenti. ...
Il castello è costituito da un corpo a pianta quadrata, con due torri angolari sulla facciata principale sud, ove è posizionato il portale di accesso al cortile interno, e due torrette a nord; è dunque composto da quattro maniche coperte da un tetto in coppi, e la facciata principale presenta un corpo principale sopraelevato (quasi una torre porta). L’edificio risponde a quello che potremmo definire un archetipo distributivo del castello tardo medioevale (il simbolo del castello: un portale presidiato da due torri), nella variante con il corpo centrale sopraelevato, che non casualmente possiamo ritrovare nel vicino castello di Racconigi (o almeno quello che doveva essere l’edificio originario). La simmetria della facciata e di tutto l’edificio, raramente rilevabile nei castelli medioevali (se non pesantemente rimaneggiati nei secoli successivi – come per la residenza reale di Racconigi), ne fanno un esempio pressoché unico. Per completezza deve essere citata l’analogia con il Castello del Drosso, per la similare distribuzione dell’edificio (anche se quasi assente la simmetria), la funzione iniziale di insediamento rurale fortificato (con la presenza documentata di monaci cistercensi), ed infine la coincidenza tra i proprietari degli stessi fratelli Vagnone di Trofarello, nella stesso periodo (1339 l’acquisto del Drosso, 1342 per Bonavalle). Tornando a Bonavalle le due particolari torri angolari circolari a lato della facciata principale risalgono certamente all’impianto più antico della costruzione. Ancora più singolari sono le due torrette pensili sormontate da cupolotti ai lati del prospetto settentrionale che ne sanciscono la singolarità estetica a scapito della classica struttura di castello rurale. L’unicità e la singolarità di questa struttura architettonica nascono dalla commistione di stili che il castello stesso rivela alla sua vista destabilizzando un attento osservatore e cultore delle bellezze degli stili decorativi; i prospetti sud ed ovest, infatti, e la torre angolare che li separa, sono stati visibilmente rimaneggiati sicuramente nell’ottocento con uno stile neogotico (come palesemente neogotiche sono le due colonne ad ornamento dell’ingresso carraio a ovest), mentre la singolare facciata che apre sul giardino, quella settentrionale, è quasi certamente un rifacimento collocabile nella metà del seicento così come le due torrette pensili che danno risalto a questo imponente ingresso. Nel cortile interno le murature in buona parte prive di intonaco consentono una più agevole lettura delle modificazioni intervenute (sono state murate in particolare quasi tutte le finestre del corpo centrale sopraelevato (due a sesto acuto e due a tutto sesto). Buona parte del giardino occupava certamente l’area a nord, mentre ad est ritroviamo il quarto frontone non intonacato che a differenza dei prospetti interni non presenta vistose tracce dei tamponamenti delle finestre ogivali di epoca quattrocentesca. ...».
http://www.castellodibonavalle.com/la-storia-del-castello
«Sulla strada che da Alba porta a Cortemilia, a destra su un colle si staglia l’abitato di Borgomale, dominato dal Castello “delle cinque torri”, la cui datazione è collocabile nel XV secolo. Nonostante alcuni documenti attestino già la presenza di un insediamento fortificato poco dopo la metà del Duecento, il complesso venne edificato nel corso del Quattrocento, con l’erezione di una massiccia torre. La particolarità di questo edificio consisteva nelle cinque torri, da cui prese il nome; esse scomparvero nel corso dei secoli, così come subì profonde trasformazioni la facciata, in particolare nei secoli XVII e XVIII. La costruzione si erge su uno zoccolo a base poligonale: il corpo principale su cinque livelli e una rampa coperta a chiusura del cortile sono di realizzazione seicentesca. Interessante è la torre centrale, i cui diversi elementi a differenti livelli (finestre a diverse altezze, lunga feritoia per ponte levatoio, quattro mensole in pietra) testimoniano la complessa stratificazione di varie fasi costruttive. L’edificio è composto da vari piani: al pian terreno vi sono un’ampia sala d’armi e cantine; in quelli successivi saloni, cucine, vani di vario tipo; l’ultimo livello, a cui si accede tramite uno scalone con balaustra del XVIII secolo, è caratterizzato da un cammino di ronda, aperto su un ampio terrazzo. Il castello, maestoso ma lugubre nel suo grigiore, è ritenuto luogo dalla tragica leggenda medievale. ...
...Il castello è situato lungo la via principale del centro odierno, a fianco della chiesa parrocchiale. Nonostante un castrum a Borgomale sia menzionato nel 1268, la costruzione del castello ebbe inizio nel XV secolo, con l’erezione di una massiccia torre. Il complesso venne poi ampliato con l’erezione di altre torri (da cui il nome castello “delle cinque torri”) e divenne una vera e propria residenza fortificata. Trasformazioni consistenti vennero effettuate nel corso dei secoli successivi (Settecento e Ottocento): in particolare la facciata venne modificata, con la scomparsa del ponte levatoio e delle rampe di accesso. Il castello, realizzato in muratura di pietra a spacco mista a laterizi, è composto da un corpo principale, organizzato su cinque livelli, che rappresenta il nucleo dell’intero complesso, e da una rampa di collegamento, di costruzione seicentesca, a chiusura del cortile. Questa è protetta da un tetto poggiante su pilastri in muratura decorati con affreschi che raffigurano elementi architettonici. La torre centrale, in pietra e laterizio, conserva ancora una lunga feritoia che ospitava il bolzone del ponte levatoio; inoltre, sono visibili quattro mensole in pietra aggettanti, riferibili alla prima destinazione d’uso del maniero, quella difensiva. Numerose aperture sono presenti a vari livelli: tra queste, di un certo interesse è la finestra quadrangolare posta subito al di sotto della feritoia, che per struttura e materiali sembra riferibile alla costruzione originaria. Gli ambienti interni sono numerosi e con diverse funzioni. Al pian terreno vi è un’ampia sala d’armi che si affaccia sul cortile; al piano superiore è una cucina e due cantine. Salendo ancora si trovano invece alcuni saloni, insieme a un’altra cucina L’ultimo piano è caratterizzato da ulteriori saloni e da un cammino di ronda, che si apre su un ampio terrazzo».
http://www.langamedievale.it/monumenti-medievali-langhe/castello... - http://www.langamedievale.it/media/Castello-di-Borgomale.pdf
«Il paese, che conserva tracce di possibili insediamenti romani, sorge sulla riva sinistra del torrente Bronda. Citato in documenti del 1138 e del 1219, fu sottoposto fino all’anno 1000 al monastero di Pagno che dominava tutta la valle Bronda. La valle era divisa in piccole signorie (i Della Braida e i Romagnano) alle quali poi sopravvennero i marchesi di Saluzzo. Nel sito sorgeva un castello, di cui rimangono rovine delle mura attorno alla torre cilindrica, che si è ben conservata. Caratteristico, nel paese, è l’antico ponte in pietra che attraversa il torrente. La torre, alta e snella, si erge tra le rovine delle mura, è a pianta circolare e presenta sulla sommità alti merli a coda di rondine. Un orologio ed una copertura furono installati in epoca recente. ... La torre si eleva su un poggio nei pressi del paese».
http://archeocarta.org/brondello-cn-torre-e-chiesa-s-maria-assunta/
«Poco distante da Busca, su una piccola altura, s’innalza il castello del Roccolo, circondato dal suo parco. E’ stato edificato nel 1831 dal marchese Roberto Tapparelli D’Azeglio, fratello del più celebre Massimo, che ha voluto occuparsi personalmente del progetto senza ricorrere ai consigli di architetti professionisti. Il castello che deve il suo nome ai “roccoli”, cioè alle reti che venivano utilizzate per l’uccellagione, è stato costruito per essere ameno luogo di villeggiatura durante i mesi più caldi. Sensibile alla moda dell’epoca, Roberto D’Azeglio s’ispira allo stile neogotico e romantico e fonde armoniosamente nell’edificio archi moreschi, merli ghibellini, rosoni e decorazioni floreali. è caratterizzato da finestre contornate da archi acuti in cotto e da late torri coronate da merli ghibellini. Il grande parco che circonda il castello si estende su 500.000 metri quadri che si sviluppa in terrazze digradanti sul lato principale, tra laghi, cascate e sentieri panoramici. Recentemente sono state restaurate le cascate e la monumentale serra che ospita spesso mostre floreali. Nel periodo del suo massimo sono stati ospitati nel castello la regina Margherita e lo scrittore Silvio Pellico al rientro dalla prigionia nel carcere dello Spielberg».
BUSCA (centro storico, porta Santa Maria)
«Il centro storico di Busca conserva l'impianto urbanistico medioevale. La cinta muraria, realizzata a metà del '400, dotata di merlatura guelfa, è ancora visibile a tratti. Ben conservata Porta Santa Maria, eretta tra il XV e XVI secolo, mostra i segni delle successive vicende belliche, come un interessante un graffito inneggiante a Luigi XIV di Francia. Sulla volta dell’arco lacerti di affreschi a tema mariano potrebbero essere attribuiti ai i fratelli Matteo e Tommaso Biazaci da Busca, che hanno operato tra Piemonte e Liguria nel '400: a loro si devono interessanti affreschi in almeno tre chiese e cappelle buschesi: Santo Stefano (VI secolo), San Sebastiano (IX secolo) e nella chiesa romanica di San Martino, posta in cima all’omonima collina. Procedendo oltre porta Santa Maria, si arriva alla chiesa parrocchiale intitolata alla Maria Vergine Assunta, grande costruzione settecentesca di Francesco Gallo. Nel cuore della città, in pieno centro storico, si trova la Chiesa della Santissima Trinità. Costruita sulle rovine di una roccaforte del '200 che sorgeva intorno all’antica torre, di probabile origine romana, oggi ''torre della Rossa'', o, in piemontese, '''l cioché'', simbolo della città. L'altro simbolo della città è il Ponte Stretto, costruito nel Settecento per consentire il passaggio di un canale irriguo, che attraversa il torrente Talutto, affluente del Maira. Il suo prestigioso istituto musicale ''Vivaldi'' è ospitato nel centro storico nell’antico palazzo di città, recentemente restaurato».
http://www.iccbusca.it/citta.php
Busca (ruderi del Castello Superiore o Castellaccio o di Santo Stefano)
«Una passeggiata tranquilla e rilassante, in un pomeriggio di sole di questi tiepidi inverni, così tiepidi da non sembrare neppure più inverni, porta da Busca alla collina di Santo Stefano. Qui sorge l’antica cappella di S. Stefano affrescata nel Quattrocento dai fratelli Biazaci. Pochi passi più in su e si entra nel Parco Francotto che permette l’accesso ai ruderi del Castellaccio, zona archeologica ove varrebbe la pena di approfondire le ricerche. Il luogo è stato ripulito dalla vegetazione che l’aveva invaso ed ora è ben visibile tutto il complesso della costruzione. L’analisi della struttura ha messo in evidenza varie fasi di interventi di costruzione; dall’età romana al medioevo. Certo il luogo fu scelto per la sua posizione strategica che permette un panorama amplissimo sullo sbocco della Valle Maira, della Valle Varaita e della pianura. Da tre parti lo circonda la roccia; e sul quarto, il lato Nord, non dotato di difese naturali presenta un "vallum" profondo scavato nella roccia e un muro a masselli regolari in "opus incertum" (muratura di pietre squadrate e non allineate). La parte più antica consta del basamento di una torre di conci quadrati e pietre tagliate che indica una costruzione di età romana; attorno un muro di cinta che aveva la forma di un poligono a sette lati irregolari che si adattava perfettamente all’andamento del terreno. In tutto era racchiuso uno spazio di circa 1500 metri quadrati. All’interno della cinta si alzava la Torre col suo fossato di difesa e la Porta di accesso di metri 5,60 per lato con metri 1.70 di spessore. Questo blocco è prova della avvenuta romanizzazione del territorio (la Lex Pompeia nell’89 a.C. aveva riconosciuto i diritti di cittadinanza romana agli abitanti del Piemonte, Gallia Cispadana). Proseguendo, sul lato Est della collina si trovano i resti delle mura che circondavano il pianoro in età alto medioevale, poiché vi si era formato il "castrum" e il primitivo castello era stato inglobato in esso. Era il rifugio della popolazione in caso di guerra; di questo periodo è la costruzione della cisterna d’acqua; si presenta con una muratura in ciottoli del Maira e volta a botte: un grosso squarcio attesta l’opera di anonimi cercatori di tesori.
Verso il Mille, sorse la "comunitas" nel borgo sulle rive del Maira che venne fortificato con mura; in alto, sulla collina stavano i signori feudali locali, ai quali ben presto subentrarono i Marchesi di Busca, parenti dei Signori di Verzuolo, che tennero il feudo per una sessantina di anni e si insediarono anche loro nel castello superiore. L’antico castrum si era intanto ristretto nel nucleo più difendibile. La cisterna e la torre romana furono circondate da nuove mura formando il "Dongione", ossia la residenza signorile fortificata. Prova del nuovo intervento è l’intercapedine che si nota tra il muro e la cisterna. Nel 1168 per la prima volta in un documento compare il nuovo signore: Manfredo Lancia, dei marchesi del vasto, che si dice marchese di Busca. Il castello di Santo Stefano diventa il simbolo del suo potere feudale, anche se egli risiede con la corte nella "Villa" nel castello inferiore. Nuova ristrutturazione per il Castellaccio, ma solo a scopi difensivi, per ospitare un presidio militare. Le lunghe lotte che opposero Asti, Cuneo, Angioini e Marchesato di Saluzzo, lasciarono al margine il territorio di Busca, i cui uomini nel 1281 firmarono la dedizione a Tommaso I di Saluzzo ottenendo da lui vari privilegi ed evitando lo smantellamento del Castello Superiore. Busca si diede poi nel 1361 al Conte Amedeo di Savoia che l’anno seguente la diede in feudo al ramo degli Acaia; il marchese Federico II di Saluzzo consegnò quindi al principe Giacomo d’Acaia il castello. Durante la lotta scatenata da Tommaso III di Saluzzo che aveva tentato di riprendersi il territorio, il castello fu distrutto. Già prima però ne erano state asportate travature e tegole. Ormai in stato di abbandono, venne infeudato nel 1418 ad Antonio della Morra e dichiarato nella patente di concessione "dirupto". Forse gli stessi Buschesi l’avevano reso inutilizzabile perché preso dai nemici, non venisse usato a loro danno».
http://web.tiscali.it/lapiazzanew/articoli/castelli/busca.htm (a c. di Giovanna Frosini)
Canale d'Alba (castello Malabaila)
«Il castello Malabaila, circondato querce secolari, è situato nel centro del paese, il più importante comune del Roero. Costruito nel 1270 a difesa del paese, a inizio del XVI secolo fu acquistato dalla famiglia Malabayla di Castellinaldo che acquisirono il titolo di conti di Canale. Durante il loro dominio è stato poi ingrandito e trasformato da opera difensiva in residenza signorile. La famiglia proprietaria annovera personaggi illustri come Baldracco, vescovo di Asti dal 1348 al 1364, Filippo, Generale dell'Ordine cistercense nel 1635, storico ed esperto di storia civile ed ecclesiastica; ma su tutti emerge Luigi Girolamo (1704-1773) Conte di Canale, per quarant'anni ambasciatore del re di Sardegna Carlo Emanuele III a Vienna e personaggio di spicco sulla scena politica del Settecento illuminista. Attualmente il complesso si presenta come un massiccio parallelepipedo con elementi caratteristici medievali e particolarità cinque-seicentesche. Adibito ad abitazione privata , è anche sede di un’enoteca».
«Edificato in soli due anni dal 1676 al 1678, il filatoio è una delle fabbriche di seta più antiche d'Europa. Fu costruito per volere di Giò Girolamo Galleani, imprenditore torinese e figlio di Giovanni Francesco, che, qualche anno prima, aveva introdotto in Piemonte il torcitoio circolare ad energia idraulica e seguito la costruzione a Venaria della prima fabbrica, comprendente nello stesso edificio la filanda per la trattura e il filatoio per la torcitura della seta. Giò Girolamo Galleani adottò lo stesso criterio per la costruzione del filatoio di Caraglio annettendo, inoltre, ai locali per la produzione, anche gli ambienti residenziali. Il Filatoio si avviò alla decadenza produttiva all'inizio del '900. Chiuso definitivamente alla vigilia della seconda guerra mondiale, è stato recentemente restaurato. All'interno sono stati ricostruiti gli ambienti produttivi e gli ambienti abitativi. Una parte del complesso ospita il Museo del Setificio Piemontese, che propone mostre temporanee sul tema della seta e dei tessuti, mentre una seconda parte è adibita ad area espositiva per l'allestimento di mostre sull'arte moderna e contemporanea».
http://www.castelliaperti.it/pagine/ita/scheda.lasso?-id=42
CaRaglio (ruderi del castello)
«Il castello sulla sommrtà della collina fu costruito attorno all'anno 1000, poco prima (probabilmente) o poco dopo. Appartenne a vari Signori tra cui Alberto di Sarmatorio e vari membri della potente famiglia Solaro. Fece da palcoscenico alle tragiche vicende del 1500 e alla breve tragica parabola di Antonio Torresano, bovesano, già speziale in Cuneo quindi manadiero e bandito. Dopo aver colpito in varie parti del Piemonte, arrivò a Caraglio e mise il campo, con circa duemila uomini, sulle sponde del torrente Grana. Il Marchese di Saluzzo, dapprima alleato coi Francesi, con un improvviso voltafaccia era passato con gli Spagnoli ed occupava il castello. Il 17 marzo 1537 sopraggiunsero reparti di truppe imperiali spagnole e il Torresano, tentando di ripararsi, entrò con i suoi nel paese; ma intervenne il marchese, sparando dalla collina con alcuni pezzi d'artiglieria sul centro abitato. Attaccati dalla pianura, bombardati dall'alto gli uomini di Torresano ebbero la peggio, gli Spagnoli " ... introrno dentro et amazzorono quanti fossero per le contrade, aprendoli poi per trar li il grasso", e queste pratiche orripilanti furono compiute per disprezzo dei nemici e perché il tessuto adiposo umano era molto ricercato nella farmacopea del tempo. Alcuni capitani di parte francese morirono nel combattimento, altri, catturati, furono portati ad Asti e decapitati; del Torresano nessuna traccia: era riuscito a fuggire come era solito fare quando si trovava a mal partito. Al masnadiero non mancavano aiuti e spirito organizzativo: in breve tempo costituì un'altra banda e tornò a Caraglio per vendicarsi dello smacco subito. Sorprese e massacrò la guarnigione spagnola lasciata di guardia, saccheggiò ed incendiò il paese, uccise quanti riuscì a trovare e danneggiò gravemente il castello.Per tutto il secolo si susseguirono le guerre e Caraglio dovette subire varie occupazioni e diversi assalti che sarebbe lungo elencare. Nel settembre del 1558 il marchese di Pescara, comandante delle truppe spagnole, ordinò alle artiglierie di aprire il fuoco sul castello occupato in quel momento dai Francesi e il maniero fu così definitivamente abbattuto. Il Torresano sarà decapitato a Lione davanti alla cattedrale di San Giovanni e quindi, come dice il cronista "squartato in pessi"».
http://www.panoramio.com/photo/58569251 (a c. di violapinnata)
CaRdè (castello dei Marchesi di Saluzzo)
«Sul principiare del secolo XIII ingrandiva la potenza del Marchese di Saluzzo. Manfredi II aveva accresciuto i proprii dominii di nuovi feudi: ma Saluzzo, dove egli aveva posto residenza, rimaneva senz'altra protezione, che il turrito castello che dominavala dal culmine settentrionale della sovrastante collina. Occorreva provvedere alla difesa del territorio di Saluzzo, che distendevasi, a notte, fertile di prati e, più lungi, denso di folte boscaglie, aperte ad insidie di nemici e malfattori. A ciò intese Manfredi II. Intorno al 1207 fece costruire, nella regione della Gerbolina, una forte torre, che più tardi si disse "Torre Schiappata" a cagione di una fenditura, fattasi verso la cima ed a ponente, al guado del Po, fece innalzare un castello, il quale prese il nome di Cardè da una selva cosi chiamata presso Staffarda, agli estremi limiti dell'agro saluzzese. ... Il borgo o "villa" di Cardè era circondato di mura, fuori e intorno alle quali correva un fosso profondo, che riempivasi di acqua in pericolo di assedio. Un massiccio torrione ricongiungendosi alle mura vegliava a difesa del borgo. Si entrava nella villa per una porta dalla fronte alta e turrita: quivi stava la campana della Comunità; servivasene anche la vicina Crociata di S. Sebastiano. I fossi correnti dattorno alle mura non favorivano certo la pubblica igiene, quantunque le ripe declinanti fossero coltivate ad orti: la Comunità li faceva nettare di quando in quando. Lungo i fossi e intorno distribuite i "particolari" della villa avevano le loro "ayre" per la battitura del grano ed altri servizi campestri. All'estremità del borgo, presso il Po, levavasi severo e minaccioso il castello, cinto di alte mura e di fossati, munito di torri e di bertesche. Sul maschio, il signore doveva tenere a sue spese un "torriero" in pericolo di guerra. Vicino al castello, probabilmente dal lato della parrocchiale, esisteva il Ricetto, luogo murato, dove in tempo di guerra le famiglie del luogo mettevano in salvo le robe, le vettovaglie e il bestiame, e dove riparavano i vecchi, le donne e i bambini; perciocché é da sapere che nell'oscurità del Medio Evo la guerra aveva pure le sue leggi; né contro gli inermi abitanti scagliavansi i sassi dalle catapulte, e dirigevasi il fuoco delle artiglierie.
Nel 1729 il castello e il borgo già avevano mutato di aspetto, come raccogliesi dalla Cedola della Comunità nella causa contro il Marchese di Garessio barone di Cardè dinanzi all'Eccellentissimo Senato di Torino; e le trasformazioni erano accadute prima del 1562, nel quale anno, il 13 luglio, il signore del luogo facendo la consegna dei diritti feudali, accenna alle fortificazioni come esistenti in passato. Difatti Cardè ebbe a soffrire danni gravissimi in tutte le guerre e devastazioni, cui fu esposto il territorio di Saluzzo. Memorabili le luttuose vicende del 1552. Mentre il marchesato di Saluzzo era in potere della Francia, lo spodestato marchese Giovanni Ludovico, figlio di Ludovico II e di Margherita di Foix, aveva ottenuto che le proprie ragioni fossero sostenute dall'imperatore Carlo V, il quale diè ordine a Ferrante Gonzaga di ristabilirlo nel principato. Il Gonzaga si avanzò con forte esercito ed occupò Verzuolo, mentre Cesare Maggi e il Conte della Trinità suoi generali ponevano l'assedio a Saluzzo. L'11 maggio cadde la città e il giorno seguente si arrese il castello, dove si erano difesi i francesi. Allora essendosi accampato nei dintorni della città, fino al luglio, l'esercito imperiale, prima di levare le tende, diè il sacco al territorio di Saluzzo e di Cardè. Posta guarnigione in entrambi i castelli, gli imperiali si allontanarono; ma, come narra il Muletti seguendo la cronaca del Miolo, repentinamente piombarono i francesi guidati da Grognetto di Vasse governatore del Marchesato, Renato Birago e il conte di Bonnivet; posero l'assedio al castello di Cardè, che dopo una difesa micidiale cedette il 18 luglio. Cotesto fortilizio venne rovinato, e più di 200 soldati del presidio perirono tra le fiamme. ...».
http://comune.carde.cn.it/storia/storia1.htm#borgo
«Il castello e la cascina di Carpenetta sono localizzati nel territorio del Comune di Casalgrasso. Goffredo Casalis negli anni 1836-1837 scriveva: “(...) Carpeneta [...], che significa luogo piantato di carpini [...] antico membro di Carignano, nella provincia di Torino [...] Altro castello scorgesi pure nel tenimento di Carpeneto, discosto un miglio da Casalgrasso (...)”. Il nucleo originario del castello, detto anche Rocca Carpenetta, era una struttura difensiva risalente ai secoli XII o XIII. Il Catasto Francese del Comune di Casalgrasso, realizzato nel 1811, sul foglio di mappa della sezione C rileva l’“Hameau di Carpenetta” [frazione di Carpenetta], costituita da case rurali e dal castello. Il “Piano Particellare” traccia i perimetri del “Castello”, della “Casa”, del “Tetto” e della “Corte”. Il Castello presenta una planimetria ad “L”. Nei suoi pressi è localizzata una cappella a pianta rettangolare, adiacente ad una fabbrica rurale. L’intorno è costituito dal giardino e da prati. La proprietà è attribuita al signor Alessandro Carrone di San Tommaso e Salmatoris. La cappella viene visitata dall’arcivescovo di Torino nel 1825. In tale occasione viene definita come “(...) Cappella di San Giorgio in regione denominata la Carpenetta [...] vicina alla casa rurale e parte del feudo di Carpenea o Carpenetta (...)”. L’edifcio sacro è “(...) abbastanza ampio, decoroso, voltato ed imbiancato, con pavimento in laterizi quadrati, dotato di porta lignea, chiusa con chiave [...] l’altare è costruito in materiale laterizio ed alla parete è visibile l’immagine di San Giorgio (...)”. Il Prevosto di Casalgrasso, Giovanni Battista Cerva, nel 1929 scriveva: “(...) a mezzodì si vede pressoché l’intero castello medioevale di Carpenetta, [...] a ponente infine il palazzo o, all’aspetto piuttosto casa forte che civile abitazione di primitivi suoi signori (...)”. L’intera struttura è realizzata in materiale laterizio. L’imponenza del castello è sottolineata dalla presenza di una torre a pianta quadrata e da una torre angolare a pianta circolare. Quest’ultima è decorata con elementi laterizi in altorilievo. Sui prospetti del complesso è possibile leggere la storia delle trasformazioni che sono intervenute nel corso del tempo. Sono infatti visibili tracce di merlature, aperture finestrate tamponate, profili delle linee di colmo dei manti di copertura di edifici abbattuti».
http://www.paesaggiopocollina.it/paesaggio/cascine/dwd/carpenetta.pdf (a c. di Mario Silvio Ainardi e Marcella Delmasso)
«Il diploma imperiale di Enrico II dell'anno 1041 è sino ad oggi il documento più antico ed attendibile a riguardo del castello di Carrù: infatti, nonostante la brevità dell'informazione documentaria, "placium et Carrugo cum castris et capellis…", emerge un preciso riferimento al castello, che insieme al borgo ed al territorio carrucese apparteneva ai Vescovi d'Asti. Questi l'avevano infeudato ai Signori di Manzano, che lo tennero sino al 1250, quando Carrù fu assoggettato a Mondovì. Mondovì a sua volta lo vendette a Pietro Bressano ed i discendenti di questo, dopo la breve parentesi della dominazione angioina, lo tennero sino circa al 1370. Amedeo VI di Savoia, che aveva esteso anche a queste zone il suo controllo, investì i marchesi di Ceva del castello e del territorio di Carrù, che ne mantennero il possesso fino al 1418, quando passò a Ludovico Costa, tesoriere e luogotenente generale del principe d'Acaia, poi consigliere di Amedeo VIII di Savoia. La famiglia Costa, conti di Trinità, di Bene, di Arignano, di Polonghera, possessori di altri numerosi feudi, furono feudatari di Carrù fino al 1872.In questa data il castello fu venduto ai Curreno, i quali, a loro volta, nel 1977, lo cedettero alla Cassa Rurale ed Artigiana di Carrù, ora Banca Alpi Marittime, attuale proprietaria. L'aspetto del castello è il risultato di svariati interventi condotti attraverso i secoli: vi si possono rintracciare parte della merlatura, aperture gotiche murate, feritoie, a testimonianza della funzione difensiva e strategica della costruzione in periodo medioevale. Successivi interventi riconducibili al 1600, ne modificarono l'assetto ed anche la destinazione d'uso, divenendo tranquilla abitazione di campagna per la villeggiatura dei conti Costa. Alcuni interventi di gusto neogotico, insieme alla sistemazione del giardino, condotti intorno alla metà del 1800, ne completarono la fisionomia, tuttora riscontrabile. L'interno conserva grandi saloni, alcuni dei quali decorati con motivi floreali e allegorie mitologiche, riconducibili in parte alla seconda metà del 1600 ed in parte alla prima metà del 1800; l'arredamento e la ricca collezione di tele (tra queste interessanti opere di scuola piemontese e genovese) risalgono pressoché interamente alle sistemazioni sei-settecentesche dei Costa. Fra i vari ambienti merita particolare attenzione la "camera dell'alcova", che conserva un arco in legno e stucco dipinto, singolare esempio di gusto decorativo e scenografico barocco. Gli ottimi progetti di riuso dell'edificio da parte della Banca Alpi Marittime hanno portato il castello ad una completa rivalutazione, nuovamente fulcro culturale e protagonista della storia in divenire della zona (da Alessandro Abrate, Il castello di Carrù)».
http://www.comune.carru.cn.it/Home/Guidaalpaese/tabid/24539/Default.aspx?IDPagina=9725
Cartignano (castello dei Berardi)
«Cartignano è l'unico comune della valle a possedere una vera dimora feudale. Gli altri castelli come quelli di Dronero, San Damiano e Acceglio furono poco più di torri di difesa organizzate solo per alloggiare una guarnigione di soldati. Il castello di Cartignano, costruito dai Berardi di San Damiano forse nel 1440 come riportava un'incisione posta sul portale, è nominato per la prima volta in un documento del 1477. Esso ebbe un ruolo importante nell'insurrezione della valle contro Carlo Emanuele di Savoia nel 1592, causata dalla persecuzione che costui infliggeva particolarmente ai protestanti. Occupato il castello, Carlo Emanuele ne ordinò la demolizione, ma l'ordine non fu mai eseguito. I Berardi sono reinvestiti nel 1601, a seguito del trattato di Lione, nella persona di Imberto. Il 13/5/1609, egli vende feudo e castello a Claudio Cambiano di Ruffia che, nel 1610, è infeudato anche di Celle e Pagliero. Nel 1820 il conte di San Marzano, erede dei Ruffia, dovette vendere il castello e beni feudali che furono acquisiti da Emanuele Massimo, notaio di San Damiano. All'inizio del ‘900 i Farina, che avevano ereditato il castello, vi aggiunsero una torre merlata in mattoni che andò a sommarsi a vari abbellimenti barocchi interni già realizzati nei secoli precedenti. Il 30 luglio del 1944 il castello venne bruciato, per rappresaglia, assieme a quasi tutto il paese. Ora, benché dall'esterno la mole dell'edificio appaia ancora in buone condizioni, l'interno è completamente in rovina. Interessanti sono i resti dell'antica cappella sotto i cui affreschi ottocenteschi raffiguranti la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, la Natività di Cristo e le nozze di Cana, traspaiono alcune tracce medioevali. Le scale interne sono impreziosite da colonne di marmo i cui capitelli recano scolpiti stemmi e blasoni delle antiche casate nobiliari. Intatti sono solo rimasti i vari sotterranei dove ancora si vede la prigione, una cella di pochi metri quadrati sotto la torre rotonda verso il paese, e il pozzo con la sua pregevole vera in pietra lavorata».
http://www.comune.cartignano.cn.it/pagina.asp?id=51
Cartignano (ruderi del castello Zoardi)
«Un'antica testimonianza della storia di Cartignano è il Castello Zoardi. Lo storico Casalis nel 1836 descriveva così la rocca di Zoardo: "..a destra di questo fiume, sopra un'altura, vedesi l'antico castello di Cartignano. Dominava esso l'entrata del ponte e l'opposta riva del fiume, ove giace l'altra metà del villaggio e signoreggiava oziando la strada che guida lungo la valle di Macra. Quasi a metà cammino tra Cartignano e San Damiano si veggiono i ruderi di muri validissimi sopra un ponticello, vicino alla borgata di questo comune che chiamasi Galliana. Colà sorgeva anticamente un castello detto Zoardi o Zoardo o Dardi. Fu esso un feudo di cui solevasi dare l'investura ai signori di questo comune". L'edificio fu costruito insieme alle più antiche rocche della Val Maira alla fine dell'XI secolo. In seguito al periodo di anarchia dopo la morte di Adelaide, erede del marchese Olderico, i signori locali fecero erigere mura e innalzarono baluardi a difesa dei castelli di cui si erano impossessati e tra queste anche la rocca di Zoardo, che fu eretta, insieme a quella di Cartignano, per volere di Tommaso II, marchese di Saluzzo. In seguito il marchese investì con il titolo di signore del luogo Giacomo Berardo di San Damiano, appartenente alla famiglia dei Berardi che già alla fine del XII secolo aveva antichissimi possedimenti in Val Maira e in San Damiano. Dal XV sec. la rocca fu abbandonata in seguito alla costruzione del castello di Cartignano che era più facilmente raggiungibile e più vicino alla via principale che congiungeva il paese con il resto della valle. La famiglia Berardi lasciò in stato di abbandono la rocca che fu poi distrutta durante l'invasione napoleonica. Del castello si conserva ora solo il luogo in cui esso sorgeva, ovvero la borgata Zoardo, legata alla storia di Cartignano per vari secoli; essa si trova sulla cima della collina sinistra del torrente Maira. Il castello era situato sulla cresta di una piccola montagna che dominava tutti i paesi vicini e non essendo facilmente raggiungibile a causa dei suoi ripidi pendii fu un'importante roccaforte, quasi del tutto inespugnabile».
http://www.comune.cartignano.cn.it/pagina.asp?id=45
«Affacciato sulle campagne che circondano il paese, il castello si presenta nella sua sobria veste ottocentesca con accanto un fresco parco alberato. La storia travagliata del castello di Casalgrasso comincia nell'XI secolo. Fu possesso di numerosi feudatari, fino a giungere nel 1385 nelle mani dei Solaro di Moretta e di Monasterolo, che ne rimangono cosignori per lungo tempo. Ma nel 1396 il feudo subisce un duro colpo: Facino Cane con la sua "compagnia di ventura" saccheggia e devasta il paese. Tre secoli dopo un nuovo attacco, questa volta da parte delle truppe francesi, guidate dal maresciallo Catinat (1690). Dapprima tentano l'assalto a Casalgrasso senza successo, perché la popolazione si difende strenuamente; ma in seconda battuta riescono a penetrare e dar via a saccheggi e incendi. È qui che il castello perde la sua alta torre. I Solaro restano in possesso di parte del feudo fino all'800, ma nel '700 il castello diviene proprietà dei conti Cassotti, che lo rimodernano e gli conferiscono l'aspetto che ha tuttora. Accanto all'ingresso si nota la parte più antica dell'edificio, dov'è la torre abbassata, mentre sul parco si affaccia l'ala moderna del palazzo. Il castello è privato e sede di una comunità socio-assistenziale, perciò accessibile solo in occasione di particolari eventi».
http://www.castellideisolaro.it/l_castelli_cas.htm
CaSALGRASSO (palazzo Comunale)
«Appartenente ai Demorra, famiglia attiva e impegnata nella vita sociale e amministrativa del paese, il palazzo incarna il gusto architettonico neo medievale piemontese di fine Ottocento con il suo aspetto sobrio e austero. Stile che viene sottolineato da Prevosto Giovanni Battista Cerva nel suo libro Il Villaggio di Casalgrasso: “a ponente infine il palazzo o, all’aspetto, piuttosto casa forte che civile abitazione de’ primitivi suoi signori…”. Attualmente sede del Comune».
http://www.visitterredeisavoia.it/it/guida/?IDR=850
Casteldelfino (ruderi del castello)
«Casteldelfino fu abitato fin dall’antichità ed è noto a partire dal X secolo con il nome di “Villa Sancti Eusebii”. Appartenne al Marchesato di Saluzzo, poi fece parte degli “Escartons” del Delfinato e, dopo il 1349 con tutto lo stato delfinale, passò al regno di Francia. Casteldelfino era la capitale della Castellata (o “Ciastelado”) che comprendeva anche i territori di Pontechianale e Bellino. L’alta Valle Varaita fu da sempre terra di confine, di grande importanza militare e commerciale per il controllo delle storiche vie di collegamento con le terre d’oltralpe, in particolare, quella denominata “chemin royal” con riferimento al lungo periodo di dipendenza dal Delfinato, con cui però poteva comunicare solo nella stagione estiva a causa dell’invalicabilità del colle durante l’inverno. Il Delfino Umberto II nel 1336 fece erigere un castello sul colle che dominava il borgo. Nel 1391 una frana distrusse l’abitato risparmiando solo la Chiesa di Sant’Eusebio, tuttora esistente. Gli abitanti cercarono rifugio nella parte più elevata e così si formò l’attuale paese che prese il nome dal “Castrum Delphini”e fu coinvolto nelle aspre guerre di religione della seconda metà del Cinquecento, venne occupato dai Savoia per passare poi di nuovo alla Francia. La dominazione sabauda divenne definitiva nel 1713 in seguito al trattato di Utrecht.
Si hanno precise notizie sulle caratteristiche del castello grazie al resoconto contabile redatto da Raimondo Chabert, presentato alla Camera Delfinale nel settembre del 1336 e oggi conservato presso gli Archivi dell’Isère a Grenoble. Del castello rimane traccia dell’edificio preminente, definito “palacium”, che in origine era alto 23 metri e venne descritto così: “Al primo piano vi è una cucina con corpo di guardia ed armeria. Il secondo piano è formato da un’ unica vastissima sala-dormitorio illuminata da ben 16 finestre, quattro per lato. Al terzo piano, il solaio. Tutto attorno al castellaccio, di forma quadrata, c’è un cortile recintato da mura che poggiano su paurosi strapiombi. Un ponte levatoio pone in comunicazione il palazzo con un’altra costruzione che sorge su un piccolo sperone roccioso, è un torrione che sovrasta il castello, posto di osservazione ed estrema difesa della guarnigione.” Nella relazione è detto che il “Castrum super villam Sancti Eusebii” verrà chiamato “ Castrum Dalphini”. Il castello venne distrutto nel 1690 dalle truppe del duca di Savoia Vittorio Amedeo II. Del castello rimangono solo ruderi: sul lato meridionale permane una finestra intagliata nella pietra, con un motivo trilobo di coronamento. Rimangono tracce anche del recinto a fianco del palazzo dove in origine si trovavano appartamenti di servizio (forno, latrina, cisterna)».
http://archeocarta.org/category/provincia-di-cuneo/page/12/
Castellar (castello dei marchesi di Saluzzo)
«A sud ovest di Saluzzo, dove la valle percorsa dal torrente Bronda si allarga nella pianura, si innalza su un poggio "ove si respira un’aria sanissima e si gode di uno spazioso orizzonte" (G. Casalis, Dizionario storico, statistico, geografico degli Stati di Sua Maestà il Re di Sardegna, Torino 1833-1856, volume IV), il Castello di Castellar costruito nel XIV secolo, ad opera dei Marchesi di Saluzzo. In origine roccaforte, l’edificio divenne dimora ad opera di Azzone di Saluzzo (1357) capostipite dei conti di Paesana e di Castellar, il quale lo ingrandì ed abbellì. Suo diretto successore fu Giovanni Andrea, consignore di Castellar negli ultimi anni del XV secolo, ed autore del Cherneto, un diario nel quale sono narrati fatti ed avvenimenti del Marchesato di Saluzzo dal 1482 al 1528. Successivamente opere di abbellimento a partire dal XV secolo, gli conferirono l’aspetto di residenza signorile, fino alla definitiva immagine dovuta ad una serie di restauri voluta dai Conti di Saluzzo e Paesana, già Marchesi di Saluzzo per successione nel corso del XIX secolo, ultimo dei quali risale 1895 – 1905, su progetto di mano di Dandrade, famoso architetto storico autore del progetto del borgo medievale del Valentino a Torino. L’attuale proprietario è Anselmo Aliberti, Cavaliere dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro, Commendatore dell’ordine della Corona di Ferro, e collezionista di uniformi, armi e cimeli del Regio Esercito Italiano.
Dopo aver attraversato la porta fortificata, sopra la quale si può notare una grata di ferro manovrata da un argano al piano superiore, si accede alla galleria piano terreno. Alla vostra sinistra si può osservare la “Sala detta delle Dame”, ornata da trofei e blasoni delle famiglie legate da vincoli di parentela con i Marchesi di Saluzzo. Sul soffitto a cassettoni sono dipinti alcuni cartigi contenenti versetti dello Chevalier Errant, scritto da Tommaso III marchese di Saluzzo. La porta successiva permette di vedere la “Sala detta degli Uomini”, sulle pareti sono dipinti gli stemmi della famiglia Saluzzo, con i nomi più illustri della famiglia stessa. Il grande quadro nell’ingresso rappresenta il Duca Amedeo di Savoia, fratello di Re Umberto I, nel giorno del suo matrimonio con Letizia Napoleone. Salendo al piano superiore del Castello potrete visitare la Galleria e la “Sala del Trono”, nella quale è visibile un’importante raccolta di uniformi, armi, documenti e cimeli del Regio Esercito Italiano, risalenti al periodo di Vittorio Emanuele II. Nella “Sala del Trono” si possono ammirare parte dei dipinti su muro, recentemente recuperati, attribuiti a Pittavino da Vernant che li eseguì in un periodo compreso fra il ‘700 e ’800 rappresentanti una scena della caccia al cervo in tema medievale. Sopra le porte di accesso è dipinta “l’arma” dei Marchesi di Saluzzo. Si notano sul soffitto a cassettoni alcuni stammi araldici di famiglie illustri e alcune aquile imperiali, testimonianze al periodo di sottomissione alla Casa di Germania».
http://www.comune.castellar.cn.it/archivio/pagine/Il_Castello.html
CASTELLETTO Uzzone (palazzo Gaiero)
«Palazzo Gaiero è un complesso di edifici che formano un grande isolato a cui si accede da una diramazione della strada provinciale 52 Valle Uzzone, e si trova a valle dell’abitato del comune di Castelletto Uzzone. Il palazzo e gli edifici confinanti affacciano sulla via formando un fronte unico di circa 100 metri che si conclude con un’elegante cappella privata dalle linee architettoniche tardo rinascimentali, i cui camini mostrano incisa la data del 1652. ...» - «Il centro storico di Castelletto Uzzone è delimitato verso valle dalla presenza di un articolato complesso di edifici conosciuti con il nome di Palazzo Gaiero. Si tratta di un esempio significativo a livello locale del permanere di costruzioni di gusto rinascimentale: infatti la costruzione del nucleo della struttura e della cappella annessa si può fare risalire al 1500. Costretto ad ammirare solo gli esterni, essendo il complesso di proprietà privata, per il visitatore sarà sicuramente piacevole la breve passeggiata lungo la viuzza che lo costeggia e su cui si affaccia la cappella. Oltre al rustico muretto in pietra a secco, sono degni di nota il portale, la semplice facciata ed il tamburo esterno che nasconde la cupola. ...».
http://www.comune.castelletto-uzzone.cn.it/Home... - http://langhe.net/sight/palazzo-gaiero-di-castelletto-valle-uzzone
Castellinaldo (castello Damiano o degli Ainaldi)
«Nel sito più alto del concentrico, denominato Monfortino, si sviluppò il nucleo fortificato, ricordato nel diploma imperiale di Enrico III al vescovo d'Asti del 1041. Successivamente, agli inizi del '300, si distinguono due costruzioni munite di torre: quella che occupava l'area dell'attuale castello apparteneva ai Pallidi, mentre quella che si ergeva nel sito dell'attuale giardino era possesso dei "de Vicia de Castro Aynaldo". Alla metà dello stesso secolo questa seconda parte passa in possesso dei Malabaila, mentre i Damiano acquistano dai Pallidi l'altra parte nel 1427 e 1429. I due edifici vengono ricostruiti dai rispettivi possessori nel corso del '400 e del '500. Posta tra le due pertinenze è la chiesetta di S. Pietro dove entrambe le famiglie avevano diritto di sepoltura. Il castello dei Malabaila, ceduto nell'800 e in avanzato degrado, viene abbattuto; l'area che occupava è trasformata in giardino. Il castello dei Damiano, nel quale la torre, lesionata dal terremoto dei 1887 viene mozzata a livello del tetto, è oggi proprietà dei Ripa di Meana. AI suo interno, il salone d'onore conserva affreschi di Rodolfo Morgari. In una parte dell'adiacente cascina già feudale, collegata al castello da un passaggio coperto, è stata ricavata la "Bottega del Vino" comunale. Il primo edificio che precedette il castello attuale (e che verosimilmente diede nome al paese) risale almeno agli inizi del secolo XI, confermato nel 1041 ("castrum de Castello Aynaldo cum capella"; LV, doc. CCCXXIII) dall'imp. Enrico III al vescovo d'Asti. In seguito, con l'insediamento di più castellani, aumentano le costruzioni all'interno della cinta del castello e nelle adiacenze. 1216: i Barexano vendono ad Asti 1/6 "domenioni, turris, palacii..." (CA, doc. 877). 1224: i "de Castroaynaldo" vendono ad Asti 1/4 "domenioni et turris quam ibi tenent" (CA, doc. 880). 1276: si cita il castello, composto di due parti (di cui una in possesso di Asti) e di una torre in comune, sulla quale Asti si riserva di mettere guardie (CA, doc. 887). 1308: accordo fra i Pallidi (che hanno la parte a levante) e i "de Vicia de Castroaynaldo" (a ponente) per le due vie di accesso al castello e alla chiesa di S. Pietro (A. Ripa, m. 10). 1326: investitura del vescovo ai Solaro per un terzo di torre e castello, oltre a un "sedimen quod est in plano castro, cui coherent via castri, ecclesia S. Petri et via de subter" (A. Mal., m. I). 1336: nell'inventario dei beni del fu Sardo Pallido sono citati una torre e il donionum (A. Ripa, m. 10, n. 3). 1427 e 1429: i Pallidi e i Turco vendono ai Damiano parte del feudo e del castello (A. Ripa, m. 10). ...
1592: atto d'acquisto fatto "nel castello, et nella cusina della casa ossia castello bianco dell'Illustri Sig/ri Anniballe e Vincenzo de Damiani" (A. com., m. 22). 1594: divisione del castello in tre quote. La prima comprende il castello bianco con un terzo della "caneva" e con il "dispensino al fondo del vireto". La seconda comprende "la volta dil castello" con due terzi della sottostante "caneva" verso le stalle; la "caneva della signora Caterina, con la camera al disopra sino alli coppi, con l'horteto sino al portico". La terza parte consiste nel "castello rosso, con il vireto di cima in fondo, con il portico del hortetto sino alli coppi"; inoltre, il "canavoto detto il forno, la panataria, la torre con il dispensino al piano della corte et il scrittoio di sopra la stalla dove è il torchio". Restano comuni la cisterna, la corte e il viretto bianco (A. Ripa, m. I, n. 37). 1645: gli abitanti portano "robbe et effetti" nel castello per non subire i sequestri dei soldati. 1672: il conte Damiano deve far otturare "le archiere verso la piazza nella galleria in aria che ha ultimamente fatto costruire" dal lato dell'accesso dei Malabaila (A. Mal., m. 56). 1805: crolla il muro che sostiene la strada del castello di fronte alla chiesa; viene ricostruito con oltre 130 mila mattoni, in parte provenienti dal castello di Priocca (A. Ripa, m. 137). 1887: a causa del terremoto crolla la sommità della torre, che viene poi mozzata a livello dei tetti. Il complesso costituito da castello, cappella e adiacente fattoria è stato dichiarato nel 1972 monumento nazionale. Il castello, ristrutturato e ampliato nel '500, presenta ambienti di notevole interesse, fra cui il salone d'onore (o "degli stemmi"), la "camera di S. Carlo" e la "camera del Morgari", tutti con ricercati soffitti lignei del '500».
http://www.comune.castellinaldo.cn.it/ComSchedaTem.asp?Id=3806
«Cantata da Giosuè Carducci nella poesia "La bicocca di San Giacomo", la torre di Castellino rappresenta un imponente esempio di fortificazione nelle Langhe. Costruita con massicci blocchi di pietra di Langa (arenaria) disposti con tecnica costruttiva d'elevato livello, è alta circa 32 metri ed ha una circonferenza di quasi 30. Da sempre punto di riferimento, non solo geografico, per i Castellinesi, la sua mole permette d’individuarla senza incertezze anche da notevole distanza. Dalla sommità si gode un panorama senza eguali, con la veduta di tutta la catena delle Alpi, dal Colle di Cadibona al Monviso ed oltre; non è difficile, inoltre, scorgere, il Monte Rosa e, in talune serate, le luci di Torino. Degno di particolare attenzione il doppio giro d'archetti. Il manufatto è ciò che rimane d'una piccola struttura fortificata che svolgeva, all'interno del sistema difensivo del Marchesato di Ceva, una funzione di controllo della zona, con appunto Ceva che rappresentava il riferimento locale. Del castello, cui la torre era unita, non restano che poche tracce. La tradizione locale vuole che, come altre analoghe strutture della zona, sia sorto a difesa dalle invasioni saracene ma, in realtà, fu edificato per ragioni di controllo feudale del territorio. Fu proprietà dei Marchesi di Ceva, della famiglia Cattanei, dei Vivalda ed infine dei Pallavicino di Ceva, sino a quando, già in parte diroccato, a fine '700, si dice sia stato definitivamente smantellato dal passaggio delle truppe napoleoniche. Sono tuttora visibili resti d'opere murarie ed un locale ad uso di cisterna, interrato, sul lato posto a nord. La torre è stata oggetto, nel 2012, d'un primo importante intervento di recupero e messa in sicurezza, da parte del Comune. A questa prima fase seguiranno ulteriori lavori per la costruzione di una scala interna e per la sistemazione dell'area circostante».
http://www.comune.castellinotanaro.cn.it/Guidaalpaese/tabid/10522/Default.aspx?IDPagina=3831
«Alta 28 metri è quanto rimane dell'antico castello medievale distrutto in un incendio nel 1800. Dalla sua sommità il panorama si apre a ventaglio, a nord sull'arco alpino, su cui svetta il Monviso, e a sud sul Mar Ligure» - «A quota 794 metri s.l.m. si erge la maestosa ed imponente torre medievale sulla quale è possibile salire e da dove, nella giornate terse, si può scorgere il Monviso a nord e il mar Ligure a sud. Alta circa 25 metri, essa è quanto rimane dell’antico castello distrutto in un incendio nel 1800. Sullo spiazzo alla base della torre, si intuiscono ancora ruderi di mura che offrono un’idea della grandiosità della fortezza. ... Date le difficoltà di accesso, l’interno della torre è visitabile solo da persone esperte, con accompagnamento in sicurezza e con l’uso di idonei sistemi di protezione anticaduta (casco, imbrago, corda ecc.) e con l’assistenza di personale specializzato e responsabile...».
http://www.mongioie-leader.it/turismo/visitare/castelli_e_torri... - http://www.comune.castelnuovodiceva.cn.it/Guidaalpaese/tabid/4371...
Castiglione Falletto (castello)
«Il castello di Castiglione Falletto è uno dei più antichi della zona, risalendo all'inizio dell'XI secolo se non prima. La prima data in cui il castello compare come già costituito, è infatti quella del 31 luglio 1001, quando il nome della località e della sua fortificazione compaiono in un diploma dell'imperatore Ottone III con il quale il sovrano concedeva Castiglione ad altri castelli dell'Albese al marchese Olderigo Manfredi, conte di Torino. Non si trattava, naturalmente, della costruzione attuale, anche se ne occupava più o meno l'area. Tale edificio sorse, forse su fondamenta più antiche, nei secoli successivi, in cui la fortificazione passò più volte di mano e fu al centro di numerosi episodi bellici e di varie contese, soprattutto tra artigiani e monferrini. Venne fatto costruire da Bertoldo Falletti di Alba, a cui pervenne in feudo nel 1225 da Alasia di Saluzzo, in ricompensa per i servizi prestati in alcune guerre. I Falletti, il cui nome venne aggiunto a quello del comune, lo tennero sino alla fine del XVII secolo. Venne poi in possesso dei Caramelli e dei Clarotto e infine, nelle seconda metà del XVIII secolo, passò al poeta arcadico Giuseppe Cerutti che lo restaurò. Di questa costruzione medievale restano, più o meno, i capisaldi: vale a dire le grandi torri rotonde, due a tutt' altezza e una pensile sorgente sullo spigolo di un fabbricato, l'impostazione pianistica. Il corpo del castello venne invece rifatto in epoca recente, cioè nel secolo XIX, adattandolo a residenza signorile di campagna. Così oggi l'edificio si presenta, più o meno, come il Gonin lo ritrasse verso la metà dell'Ottocento: tre grossi torrioni tondi, un altro, ancora più imponente, torrione centrale - sempre tondo -, raccordati da un fabbricato dalla pianta complessa, ma dalla facciata semplice e liscia, assai più basso delle torri stesse. Uniche variazioni significative, rispetto a quanto disegnato dal Gonin, la decorazione del mastio centrale, a quadruplice giro di archetti aggettanti, che risulta oggi sparita pressoché totalmente, e la scomparsa dei tetti fortuna proteggenti i mozziconi delle torri angolari, che ora si presentano nude alle intemperie. Dal punto di vista pianistico e compositivo, cioè da quello più specificatamente architettonico, l'impostazione è quella della fortificazione collinare, a pianta irregolare per adattarsi alla situazione orografica, con mastio centrale e protezione degli spigoli più vulnerabili mediante torri angolari tonde. Tale caratteristica risulta quasi eccezionale, per la zona; un impianto come quello di Castiglione, ha torri tutte di pianta circolare: mentre è più frequente negli esempi viciniori (Serralunga, visibile a pochi chilometri di distanza, al di là di un avvallamento, Grinzane, Barolo, e così via) l'associazione di torri tonde con poderosi masti, o torrioni angolari, talvolta, quadrati o poligonali, mancando comunque totalmente, in area piemontese, la preferenza per un unico tipo di torre nell'impianto di uno stesso castello».
http://www.centrostudibeppefenoglio.it/PatrimonioArtistico/architettura_scheda.php?ID=33 (a c. di Giulio Parusso)
«Il Castello fu eretto dai Nucetto nel XIV secolo, ed ampliato nel corso del secolo seguente; ulteriori interventi si ebbero nel XVIII secolo; di aspetto prevalentemente medioevale, con pianta “ad elle”, conserva due torri circolari, una all’angolo formato dai due corpi dell’edificio, l’altra, scapitozzata, all’estremità della manica sud; questa manica presenta sulla fronte esterna una loggetta cinquecentesca adiacente alla torre d’angolo, mentre è quasi del tutto scomparsa una finestra crociata in cotto, a causa di un esteso crollo che nel 1995 ha interessato quest’ala del castello; la manica nord, spoglia sul lato strada, ha nella fronte interna un paramento settecentesco con loggiato all’ultimo piano. L’interno conserva in parte soffittature lignee di epoca tardo-medioevale, e, nella torre d’angolo, una cappella decorata da affreschi settecenteschi».
http://www.comunecavallerleone.it/index.php?option=com_content&view=article&id=48&Itemid=55
Cavallerleone (palazzo Balbo o Palazzotto, palazzo Barbieri di Branzola)
«Il Palazzo Balbo, comunemente noto come il “Palazzotto”, in piazza Santa Maria, fu la residenza dei Balbo di Vinadio, dal 1472 cosignori di Cavallerleone, i quali la vendettero nel 1650 ai Lamberti di Robilante. Il suo attuale aspetto si deve ai lavori eseguiti in occasione del matrimonio (1593) di Righino Balbo con Bianca Ferrero di Bonavalle; l’edificio ingloba nell’angolo sud-ovest una torre quadrata del ricetto medioevale di Cavallerleone (prima metà XIII secolo); la fronte sud è abbellita da un loggiato su tre ordini, originariamente affacciato su di un giardino recintato (oggi scomparso); il portale di accesso è nel lato nord, porticato al piano terra; nel salone d’onore al primo piano bel soffitto ligneo a cassettoni, sostenuto da mensole modanate, decorate con stemmi dei Balbo, ovvero partiti con le armi dei Balbo e dei Ferrero. ... Il Palazzo Barberi di Branzola, ubicato nel centro del Comune di Cavallerleone, accanto alla Chiesa parrocchiale. Si tratta di un antico Palazzo nobiliare, edificato fra il 1677 ed il 1679 e che, come risulta dagli “stati delle anime” del paese, conservati in parrocchia, venne abitato per la prima volta nell’estate del 1680 dal proprietario che l’aveva costruito, il marchese di Ceva e di Nucetto, nonché marchese di Cavallerleone. Il Palazzo venne concepito come classica dimora estiva e studiato al fine di conservare al meglio la frescura al suo interno, con ampie sale esposte a nord, spesse mura, grandi alberi a ombreggiare la facciata esposta a mezzogiorno, volte a crociera su base di legno, eccetera. Nel 1826 il Palazzo fu acquistato da Amedeo Barberi di Branzola che provvedette, attraverso la moglie, contessa Eugenia, al suo restauro. Vi è ancora oggi nel grande salone del secondo piano la famosa tappezzeria inglese a larghe strisce azzurre che faceva furore nella migliore società torinese alla metà dell’800. Al piano terreno l’ingresso fu rivestito da un soffitto a cassettoni lignei e fu poi trasformato in Sala delle Armi, con alle pareti dei pezzi di gran pregio collezionati nel corso della vita militare di Amedeo e poi dei suoi successori. La galleria a colonne ed archi che dava sul giardino a sud venne chiusa con grandi vetrate all’inglese, la facciata su via Statuto, allora anonima, venne decorata con motivi ornamentali ed il frutteto fu circondato da quattro viali ricoperti da un’intelaiatura metallica reggente un pergolato di vite. ... Attualmente tale palazzo è di proprietà della famiglia Leves».
http://www.comunecavallerleone.it/index.php?option=com_content&view=article&id=48&Itemid=55
Cavallermaggiore (palazzo Garneri)
«L’architettura civile della metà del ‘500 vede emergere a Cavallermaggiore il Palazzo Garneri, quale testimonianza delle forme rinascimentali con linee semplici ed aggraziate. Si tratta di un disegno armonico e proporzionato caratterizzato da archi a tutto sesto, colonne e capitelli. L’edificio è caratterizzato da un corpo principale a nord (sulla via Turcotto) fiancheggiato da due maniche minori che delimitano il cortile interno. La manica posta a levante è composta da un portico che consente l’accesso al palazzo comunale da via Roma e da un loggiato al primo piano; nella manica di ponente sono riproposte le stesse geometrie, ma le aperture del primo piano sono tamponate (intervento successivo alla costruzione per sfruttare nuovi spazi per la residenza). Il corpo principale presenta un prospetto imponente con la sua slanciata altana a tre ordini sovrapposti di logge, in corrispondenza dello scalone in cui si riscontra l’impiego dell’ordine tuscanico. Sul loggiato del palazzo compare la data 1581: tale indicazione temporale risale all’attuale rifacimento, ma non corrisponde alla data di costruzione, sicuramente anteriore, come risulta all’osservazione delle mura medievali a ovest.
Nel centro del cortile trova collocazione un pozzo (1463) proveninte dalla Motta S. Giovanni. Il manufatto è in marmo bianco di Valgrana e presenta una parte superiore di forma ottagonale ed una inferiore cilindrica. Delle otto facce della bocca, cinque sono lavorate ad altorilievo: nella fascia centrale è scolpito lo scudo della famiglia Solaro fra le iniziali gotiche minuscole FR ed IS, nelle fasce contigue si scorgono da una parte una croce pattée (ordine cavalleresco) seguita dal motto "Laus Deo", dall’altra una freccia spezzata dei Solaro avvolta da un nastro a forma di S. Su una delle due facce più esterne si scorge la data in numeri romani MCCCCLXIII e su quella opposta è rappresentato l’Agnus Dei (Agnello di Dio) con la banderuola crociata, fiancheggiato da due fiori stilizzati. Alle pareti prospettanti il cortile sono incassati cinque blasoni araldici in pietra ed uno in metallo: i due tondi collocati presso il portale d’ingresso riportano lo stemma dei Romagnano, gli altri dei Garneri, degli Olivero, dei Filippi e dei Pallavicino (proveniete dalla torre del Motturone). Altri stemmi di antiche famiglie di Cavallermaggiore e dei monsignori sono collocati sulle pareti dello scalone e nello specifico quelli di mons. Vassarotti, mons. Rossi, mons. Bonada, Donalisio (giglio), Caramelli, Crema, Cambiano, Demonte, Reviglio ed Olivero (torre).
Al piano terra, nella sala ex-consigliare (ora sede degli Uffici Demografici) si trova l’ambiente più interessante dell’intero edificio: un’aula dal soffitto in legno a cassettoni con grosse travature lavorate (una delle mensole riporta la data del 1584) ed il monumentale camino in bardiglio di Barge datato 1590. L’imponenza volumetrica, la concezione estetica e l’ottimo stato di conservazione fanno di questo esemplare uno dei più rappresentativi modelli di camini in ambienti signorili del XVI secolo piemontese. Il manufatto si articola su una struttura trilitica di base, a sostegno di una cappa ad orditura lignea stuccata, modellata in altorilievo. La caminiera è posta su quattro piedritti a volute, aventi il compito di reggere una trabeazione di tipo dorico a metope2 e triglifi.3 Nelle metope sono scolpite alcune figure con le seguenti successioni: salamandra nel fuoco, corazza di cavaliere (panoplia), arnesi guerreschi (tamburo e trombe), elmo e scudo araldico della famiglia Garneri, le successive quattro ripartizioni sono speculari. All’interno del Palazzo sono custoditi più antichi documenti del Comune: gli statuti su pergamena del 1324, i catastali del 1415 e le convenzioni con il feudatario dal 1314. Al primo piano del Palazzo, nell’atrio d’ingresso agli uffici comunali, è presente la più antica planimetria del territorio comunale redatta dall’agrimensore Demaria il 24 luglio 1700; nella sala "Giunta", invece si conserva la tela di Martino Bonfili di Ascoli, rappresentante la Madonna Assunta fra un coro di Angeli e S. Tommaso inginocchiato alla sinistra di un sarcofago aperto (1596)».
http://www.comune.cavallermaggiore.cn.it/archivio/pagine/Palazzo_Garneri.asp
«Residuo dell’antico castello, la torre (altezza 33 m), simbolo di Cervere riprodotta nello stemma comunale, di pianta quadrangolare è collegata ad una struttura assai più ampia conservata solamente a livello di fondamenta. Trattasi di torre fortificata con duplice cinta muraria e vasti locali abitativi. A seguito delle devastazioni avvenute nei secoli passati oggi rimane intatta e possente la torre e pochi ruderi alla base della stessa. La parte superiore conserva gli elementi decorativi in cotto composti da rombi e finti archetti disposti su più file sovrapposte. Su lato sud ovest è presente una torretta semicircolare aggettante che presenta i medesimi motivo ornamentali. Del “Castello di Cervere” si parla per la prima volta nel rogito redatto il 05/03/984 in cui Manfredo, figlio del Marchese di Torino Arduino il Glabro, donò “il castello e il luogo di Cervaria” alla stirpe di Robaldo, i signori di Sarmatorio, Manzano e Monfalcone. Molteplici le vicissitudini che hanno coinvolto il castello e la sua torre anche per l’importanza strategica che ha rivestito nelle diverse epoche. Demolito nel 1274 fu ricostruito a carico del Comune di Cherasco nel 1310; Nel XVI secolo il castello viene nuovamente demolito e sopravvive solamente la torre. Nel 1929 la torre ed il sito del castello vengono donate al Comune di Cervere da parte degli ultimi proprietari. Attualmente sono in corso lavori di consolidamento e restauro della torre e allestimento di una sala espositiva in un locale adiacente all’edificio stesso ed all’interno del sito archeologico».
http://www.comune.cervere.cn.it/Home/Guidaalpaese/tabid/3087/Default.aspx?IDDettaglio=540
«Ceva appare ampiamente fortificata fin dal 1100; una serie di documenti, a partire dall'anno 1111, ci parlano di un castello che sorgeva sulla punta di una piccola rocca. Questo luogo venne scelto in quanto era il più elevato della conca, in cui si erano stanziati gli abitanti di Ceva, attorniata da alti colli e dominata da un picco altissimo. Possiamo dire che Ceva fu centro importante al tempo di Benifacio del Vasto ed alla sua morte passò al figlio quartogenito Anselmo che, nel 1142, ebbe l'investitura da Ottone II. Il più famoso marchese di Ceva fu però Giorgio II, detto il Nano, uomo di piccola statura ma di grande ingegno militare e politico il quale lasciò una impronta personale negli avvenimenti che contraddistinsero il Marchesato ed i suoi dintorni. Egli dapprima si alleò con Asti, poi, dietro lauto compenso, accettò di diventarne vassallo e forte di questo appoggio si impose nella zona. Anche i Bressano di Mondovì, che in passato si erano ribellati con successo al Marchesato, furono costretti a subirne l'azione. Al figlio del Nano, Guglielmo, si deve l'istituzione di una zecca che coniò formi d'oro e d'argento. Ceva poi cambiò le sue alleanze: passò infatti nel 1342 dalla parte del Monferrato contro Asti, antica sua alleata. Ma Asti ebbe l'appoggio dei Visconti di Milano che inviarono un forte esercito. Assediata, Ceva fu costretta ad arrendersi alle truppe viscontee. Pochi anni dopo però gli abitanti, stanchi dei soprusi degli invasori, alleatisi segretamente con i paesi vicini, insorsero apertamente ed assalito, una notte dcl gennaio 1356, il castello, sorpresero la guarnigione e la trucidarono insieme con il governatore Cristoforo Malatesta. Un episodio simile si registrò nuovamente dopo il 1387 quando ne entrarono in possesso gli Orléans. La popolazione infatti si rifiutò di pagare i tributi impadronendosi del castello. Nelle varie lotte, peggiorate dalla presenza di mercenari in cerca di bottino, la costruzione fu danneggiata ed ulteriormente compromessa da alcune frane che praticamente la fecero crollare. Il luogo passò poi ai Savoia e precisamente a Carlo III, il buono, a cui l'imperatore Carlo V aveva ceduto Asti e Ceva. Poco dopo, nel 1539, Emanuele Filiberto vietò ai nobili ed ai feudatari del Marchesato di alienare i feudi e conferì, nel 1559, il titolo di Marchese di Ceva a Giulio Cesare Pallavicino che eresse l'attuale costruzione. Il suo aspetto è quello di un grandioso palazzo con vaste sale, privo degli apparati difensivi, tipo spalti, fevitoie e ponti levatoi».
http://www.fungoceva.it/vallate_paesi/castello_rosso.htm
Ceva (resti del forte di Ceva)
«...Ceva, già citata in un documento imperiale nel 967, posta all’incontro tra il Tanaro e il torrente Cevetta, in un punto di snodo della viabilità che dal mar Ligure giunge nella parte più meridionale delle vallate pedemontane, sin dal XII secolo fu dotata di un primo sistema difensivo: il castello posto sull’altura che la domina, circondato da mura e collegato al sottostante borgo da un efficiente sistema di vie di cui alcuni tratti sono stati messi in luce nel corso degli anni ‘50 e che trovano conferma nell’iconografia storica. Nel 1539 Emanuele Filiberto infeudò, col titolo di marchese di Ceva, il territorio e quanto restava del fortilizio a Giulio Cesare Pallavicino, che lo ricostruì completamente in forma di residenza. Collocato in cima ad un’altura, quasi uno sperone roccioso, che domina l’abitato di Ceva, il forte sorgeva su di un promontorio di tufo che fu ampiamente consolidato con mura per garantirne la stabilità, ma che permise anche con relativa facilità di scavare al suo interno un complesso reticolo di gallerie a scopo strategico e di deposito che ancora oggi sopravvivono, seppure non visitabili, dotate anche di una piccola cappella. Pochissimi ruderi, non visitabili perché annessi ad una cascina in seguito su questi edificata, sono quanto resta del forte di Ceva, costruito dai Savoia (1560-1575) e smantellato nel periodo napoleonico. ...».
http://www.piemonteitalia.eu/it/comuni/dettaglio/135/cuneo/ceva.html
Ceva (ricetto, torre del Broglio, Campanone)
«Nel XIII secolo venne costruito un nuovo borgo che occupava la collina detta “la Bicocca” nella piana tra il fiume Tanaro e il torrente Cevetta. La struttura era quella di un ricetto, menzionato ancora nel XV secolo come “receptum castri Ceve”, che nel corso dei secoli venne completamente stravolto; l’unico accesso era un lungo ponte sul Tanaro, formato da due arcate a ovest e due a est, verso l’abitato, e difeso sul secondo pilone a partire dal borgo da una torre detta “del Broglio” o Brolio, perché era antistante l’omonima porta nella cinta del ricetto, ancora perfettamente conservata. Le arcate del ponte a sesto ribassato sono ormai interrate sotto l’attuale piano stradale. Il ricetto era difeso, nel XIII secolo, da una cinta muraria che dalla porta del Brolio saliva ripidamente e percorreva tutto il ciglio dell’altura sovrastante che si chiamava Solaia. In questo tratto le mura erano terrapienate, vale a dire composte di un terrapieno chiuso fra due muri più alti e merlati: nel mezzo i soldati di guardia potevano camminare. Qui sorgevano 3 torri: una al centro, rettangolare, dalla quale si dominava tutta la campagna fino ai lontani boschi delle Mollere e di Malpotremo. È l’unica che esiste tuttora, anche se sopraelevata nel XVII o XVIII secolo e trasformata in cella campanaria e per questo detta “il Campanone”. La seconda torre, più modesta e semicircolare, era a levante e da essa si scorgeva in fondo il torrente Cevetta. La terza, semicircolare pur essa, alla parte opposta, sovrastava la porta del Brolio. Inoltre, il sistema di difesa era completato da un bastione poderoso, come si può constatare dalle due porticelle che si vedono nei muri laterali della torre superstite, e che venne citato in un atto di vendita del 1607.
La torre del Broglio, costruita nel 1331, è quasi completamente di muratura in laterizio con alcuni tratti in ciottoli. Chiusa verso l’esterno, è aperta verso il borgo e lascia vedere tre livelli: il primo è coperto da volta a botte sul fornice; il secondo era costituito da un soppalco in legno; il terzo è il coronamento con il passo di guardia circondato da merlatura a coda di rondine (ghibellina) che aggetta su una serie di mensole tra le quali si aprono caditoie. Sulla fronte esterna il fornice ogivale, con l’arco di mattoni e gli stipiti in pietra, veniva chiuso con una saracinesca in ferro a ghigliottina. Tre fasce sovrapposte in cotto compongono un motivo decorativo e un progressivo allargamento delle dimensioni della torre: il più basso è formato da mensole scalari triangolari, il secondo e il terzo da archetti pensili ogivali; le fasce sono separate da un corso di mattoni di spigolo. Sopra il fornice venne successivamente intonacato un riquadro, murando due feritoie: vi fu affrescato un grande stemma dei Savoia e due stemmi più piccoli, oggi completamente cancellati. Il Campanone (che era una torre della cinta fortificata del XIII secolo) ha pianta rettangolare con i lati di m. 6,35 e 4,29 ed è alto m. 17. Il lato maggiore è disposto nella direzione delle mura. La muratura è mista in pietrame e laterizi con perfetti spigoli in mattoni, senza aperture, salvo piccole luci per la scala interna. Aveva un coronamento a mensole in pietra che sostenevano il passo di ronda; al di sopra si alzava la merlatura. La sopraelevazione ha conservato solo le mensole: la cella campanaria è in laterizio aperta da quattro fornici arcuati, smussata agli spigoli. Non è stata completata superiormente ed è stata coperta da un tetto di aspetto provvisorio. Vi è stato installato un orologio. La Torre del Broglio (o Brolio, o Torre Guelfa, o del Tanaro) è in Via Greborio, ormai distante dal fiume. “Il Campanone” è una torre che si trova tra i ruderi della cinta muraria sull’altipiano della Soraglia o Solaia a sud-ovest dal centro».
http://archeocarta.org/ceva-cn-torre-del-broglio-e-campanone
Cherasco (castello visconteo e città)
a c. di Federica Sesia
Chiusa di Pesio (castello di Mombrisone)
«Il cav. Giuseppe Avena nella prima metà del secolo scorso era proprietario della Certosa di Pesio, da lui trasformata in stabilimento idroterapico, della fabbrica di vetri e cristalli di Chiusa Pesio e di numerosi terreni situati nel versante ovest della valle Pesio. Dopo aver fatto costruire alcune cascine nei pressi del colle Mombrisone, nel 1840 l'Avena fece innalzare alla sommità del poggio una originale palazzina di caccia. Edificata in stile neoclassico, la costruzione ripropone i temi architettonici introdotti dall'architetto veneziano Palladio con quattro gradinate che immettono attraverso altrettanti ampi portali di diverso disegno, nell'edificio di forma ottagonale composto al piano rialzato da un salone, tre piccoli locali di servizio e da una scala interna che portava al primo terrazzo. Da qui, attraverso una scala a chiocciola in ferro fuso, si saliva ad un secondo terrazzo al centro del quale un ampio lucernario illuminava la sala rotonda centrale ornata dai dipinti del Capetini, raffiguranti una scena di caccia con la Dea Diana, e dagli stucchi del Negrini. L'edificio è completato da un seminterrato che fungeva da cantina. La villa, rivestita in pietra scalpellata e in marmo, era immersa in un grande "giardino inglese" progettato da Giuseppe Ketmann. Già sul finire del XIX secolo la palazzina di caccia cominciò a decadere per le infiltrazioni di umidità e la mancanza di manutenzione. Crollato il grande lucernario, vennero asportate la scala a chiocciola, gli infissi ed i numerosi marmi. Negli ultimi anni il Comune, venuto in possesso dello storico edificio e dell'area circostante, ha avviato un graduale progetto di recupero della palazzina di caccia di Mombrisone».
http://www.comunechiusapesio.it/citta/castello-mombrisone.htm
Chiusa di Pesio (palazzo del Marchese)
«Se il Castello di Mirabello veniva utilizzato quale residenza estiva dei feudatari del paese, la sede abituale era però il cosiddetto "Palazzo del Marchese" situato nel "Balou", di fronte al poggio su cui sorgeva il castello, un'antica tradizione vuole che le due costruzioni fossero collegate da un lunghissimo tunnel. Effettivamente un cunicolo largo 80 cm, alto 135 cm e dal fondo acciottolato si sviluppava dalle cantine del palazzo ed era percorribile, fino al 1943, per una cinquantina di metri, ma si ignora fin dove potesse arrivare; analogamente da una zona posta un centinaio di metri alle spalle del castello di Mirabello partiva un cunicolo aventi le medesime caratteristiche di quello più a valle. Probabilmente il Palazzo del Marchese venne innalzato sul finire del XV secolo in seguito ad un documento del 1473 contenente la "permissione di edificare un nuovo recinto" rilasciato dalla duchessa Violante, tutrice del duca di Savoia, nel quale la costruzione del "Ricetto" è subordinata a "che gli uomini del luogo della Chiusa siano tenuti, e debbano dare l'area e il sito, da innalzarsi un castello vicino al detto ricetto, secondo il piacimento dei magnifici Signori". Il palazzo, secondo lo storico G. B. Botteri venne costruito sulle rovine di un castello diroccato e di una antica vetreria. Le teste di cervo (ora ristrutturate) che ornano il palazzo verso la grande piazza Tre medaglie d'oro, erano una sorta di simbolo riservato ai marchesi parenti del duca di Savoia e indicante il titolo di "Gran Cacciatore". La struttura subì nei secoli numerosi interventi: il porticato ("Pellerino") venne aggiunto al termine del XVI secolo e successive costruzioni a nordovest modificarono notevolmente la primitiva struttura. Il palazzo, dagli anni 30, è sede del Municipio di Chiusa Pesio».
http://www.comunechiusapesio.it/citta/municipio.htm
Chiusa di Pesio (recinto o Ruset)
«è probabile che l'origine del nucleo di abitazioni deno-minato "Recinto" sia riconducibile alla presenza dei legionari romani stanziati per il controllo della strada romana che risaliva la Valle Pesio. Se l'antica fortificazione, posta sul poggio posto alle spalle del castello di Mirabello, fungeva da centro di avvistamento e da ultimo baluardo in caso di aggres-sione, la struttura a valle costituiva il vero e proprio sbarramento o "chiusa". Il Recinto, costruito accanto al torrente Pesio, in base ad i criteri adottai dai Romani nelle loro fortificazioni doveva essere una sorta di quadrato munito di torri, mura e fossati. La costruzione, con ogni probabilità, nel corso dei secoli, venne adattata alle nuove esigenze della popolazione ed utilizzata quale rifugio nel corso delle numerose invasioni subite dagli abitanti della valle. Le reiterate scorribande provocarono la parziale devastazione del Recinto rendendolo inadatto ad una efficace difesa. Per questo motivo la Comunità di Chiusa nel 1473 chiese ed ottenne dalla duchessa Violante di Savoia "la permissione ad edificare un nuovo Recinto" lungo 308 metri e largo 123 metri. Vi si accedeva da 4 porte, la prima immetteva nella attuale Piazza delle corriere, la seconda in quella del Campo, la terza nel "Balou" e la quarta si apriva sul Pesio. è interessante osservare che tutta la pavimentazione delle vie del Recinto era più elevata del terreno circostante. Nel 1871, vinta la ritrosia dei proprietari delle case che temevano un danno allle fondamenta, si abbassò il livello e si acciotolarono tutti i vicoli del rione. I chiusani chiamano questo nucleo quadrangolare di abitazioni "Ruset", presumibilmente traduzione dialettale del termine "Ricetto". Lo storico Botteri sostiene invece che deriva dalla presenza della "Casa Rossa", anticamente proprietà dei feudatari locali e poi dei marchesi Solaro di Moretta. Recentemente il palazzotto è stato restaurato e si scorgono ancora ornamenti antichi e l'arma gentilizia dei Solaro».
http://www.comunechiusapesio.it/citta/recinto-chiusa-pesio.htm
Chiusa di Pesio (ruderi del castello Mirabello)
«Sul poggio del monte Cavanero, che domina da est l'abitato di Chiusa Pesio, per la sua posizione strategica vennero edificati in diverse epoche storiche due luoghi fortificati. Il primo, edificato in epoca romana, era situato sul ccuzzolo alle spalle dei ruderi che si scorgono sul colle Mirabello. Si trattava di un luogo fortificato atto ad ospitare una modesta guarnigione di legionari romani dislocati all'inizio della Valle Pesio per controllare la strada romana che, valicata le Alpi, sboccava sul mare della Liguria. La presenza dei Romani è testimoniata da numerosi ritrovamenti effettuati nei pressi del poggio consistenti in diciotto olle cinerarie in terracotta decorate con vernice scura, piene di cenere ed ossa umane, numerose monete romane ed una lapide in marmo raffigurante la dea della Caccia Diana. La conformazione del luogo fortificato è di difficile identificazione perché gli elementi costruttivi furono in gran parte asportati e riutilizzati per la costruzione di modeste case rustiche e del secondo castello. è tuttavia probabile che la struttura del luogo fortificato comprendeva due contrafforti, lo spiazzo per il raduno della guarnigione ed il nucleo del forte a perimetrazione pentagonale. Il castello con ogni probabilità venne smantellato intorno al 1565 per utilizzare il pietrame nella costruzione del secondo fortilizio. Questo venne fatto edificare da Agamennone III, feudatario di Chiusa dal 1569 al 1583 e ultimo dei Marchesi di Ceva. Si componeva di tre piani, ognuno dei quali era suddiviso in due camere a ovest e in un salone ad est. Vi si accedeva da una porta a nord e si saliva ai piani superiori con una scala a chiocciola con gradini in pietra conficcati nel muro dell'alta torre rotonda a nord-est; i monconi dei gradini ed una tubazione in terracotta sono tuttora visibili nel torrione centrale. L'edificio dopo alcuni anni venne abbandonato dai proprietari ed iniziò cosi la sua decadenza aggravata dal violento terremoto del 23 febbraio 1887 e dalla bufera abbattutasi nel gennaio dell'anno successivo. I pochi ruderi rimasti vennero in gran parte abbattuti il 16 settembre 1943 quando una colonna tedesca delle famigerate SS fece crollare il muro che univa due tronconi laterali del castello sparando una decina di colpi di cannone per intimidire gli abitanti di Chiusa Pesio».
http://www.comunechiusapesio.it/citta/castello-mirabello.htm
Cigliè (castello o palazzo dei conti Capris)
«Il castello di Ciglié si trovò, per la sua posizione, ad interessare sia Ceva che Mondovì ed in seguito anche il Monferrato. I Ceva, nei 1275, lo vendettero tramite il loro procuratore, Bonifacio De Bajs, a Guglielmo dei Borghesi. Questa famiglia, che lo ebbe in sua proprietà abbastanza a lungo, lo dovette cedere, nel 1391, a Mondovi. Trascorsi cinquant'anni torno ai Borghesi. Pochi anni dopo però Matteo Borghesi, già sottomesso alla signoria del Marchese del Monferrato, vendette definitivamente feudo e castello a Giacomo Torre di Mondovi. Nella sua decisione aveva influito il timore di trovarsi ben presto coinvolto nelle guerre che travagliavano il Marchesato.Giacomo Torre, noto per il suo mecenatismo nella zona, a cui si deve tra l'altro la ristrutturazione della chiesa di S. Fiorenzo di Bastia, l'aveva acquistato nel 1454. Alla sua morte passò a Girolamo Basso della Rovere, nipote di Sisto IV; quindi ne furono proprietari i Laigueglia e, nei 1538, Amedeo Pensa di Mondovi. Risale a questo periodo, e precisamente a dopo il 1550, la trasformazione del castello in dimora rinascimentale, fatto co-mune a molti altri. Queste ristrutturazionì, volte ad eliminare dal castello gli apparati più prettamente difensivi, iniziano già nel corso del secolo XV per continuare nel XVI e svilupparsi ulteriormente in quello successivo. Esse "ancor oggi - scrive A. Griseri - si distinguono non certo per fasto barocco, ma per una struttura che, se all'esterno tiene conto ancora nella costruzione delle tipologie tardo rinascimentali, all'interno presenta le caratteristiche di una dimora di campagna con sale, mobilio e ricami di un esplicito gusto barocco piemontese. A questo proposito ancora si può osservare che, mentre i restauri del Cinquecento e del Seicento trasformano la tipologia dei castelli accentuando il carattere di abitazione che già avevano assunto nel secolo xv, l'Ottocento cercherà di conservare piuttosto nei suoi restauri, evidenziandoli, i caratteri primitivi di quei modelli, accogliendoli in un'interpretazione romantica". Ritornando ai Pensa di Mondovi, nuovi proprietari del castello di Ciglié con Amedeo, c'è da ricordare che il figlio, Giovanni Antonio, volle fare del feudo, forse suggestionato dagli esempi delle grandi corti rinascimentali, un piccolo staterello autonomo, in cui viveva da principe nelle sue dimora di Ciglié, Roccaciglié e Marsaglia, sfarzosamente arredate, dettando lui stesso le leggi ai suoi sudditi. Uguale stile di vita contrassegnò anche il fratello che gli succedette e questa impressione la si ricava sin dall'inizio quando, dice G. Beltrutti, "volle insediarsi nel feudo con una parata militare in grande stile". Alla sua morte, avvenuta, nel 1612, ereditò feudo e castello il genero Francesco Capris dì Torino, i cui discendenti abitarono nella dimora a lungo e la tennero efficiente fino all'inizio di questo secolo».
http://www.fungoceva.it/vallate_paesi/CIGLIEcast.htm (da Anita Piovano, Storia, arte e castelli del cuneese, ed. Gribaudo)
«Il castello di Corneliano, situato nel Roero albese, fu edificato su di un modesto rilievo collinare compreso nell’antico “fundus cornelianus” e venne edificato forse già nel X secolo, con la funzione di fortificazione a recinto di rifugio per contrastare le scorrerie di Ungari e Saraceni. Il villaggio che si sviluppò accanto al castello è citato per la prima volta in un documento del 940 redatto in Asti, dove è menzionato un Manfredus de Corneliano; e ancora nel 955, per la cessione di un campo appartenente al vescovo di Asti. Nel 1176 un atto per i beni di un certo Doferio di Corneliano viene redatto apud ecclesie Sancti Nicolai. Ma il castello appare soltanto in una pergamena del 1192, quando Oberto e Guglielmo di Montaldo, con il sostegno del vescovo di Asti, cedono e ricevono in feudo dagli Albesi terreni situati “in castro et villa Corneliani et in eis pertinentiis”. Nel 1218 fu alienato a Giorgio degli Alfieri e dal 1262 venne in possesso dei signori albesi De Braida, che ampliarono le residenze e le cortine murarie. Nel 1294 pervenne al marchese Tommaso di Saluzzo; appartenne inoltre a Bonifacio del Vasto. Fu danneggiato dalle compagnie di ventura inglesi e spagnole; subentrati i Savoia, dal 1583 cadde in stato di abbandono, e in rovina dal 1604. Nel 1728 un certo Perez Binelli, proprietario di una parte del feudo e del castello, si propose di demolire due torri della cortina muraria; si hanno notizie di distruzioni e reimpieghi di laterizi prelevati dai ruderi. Cinquant’anni dopo, nel 1778, proprietario del castello è il conte Carlo Pasero che concede in uso i terreni circostanti a un agricoltore del luogo, il quale “riduce a coltura la rippa del castello” roncando i terreni da tempo rimboschiti al fine di preservare e contenere le muraglie perimetrali; il consiglio comunale segnala i rischi che le case del villaggio vengano investite dai crolli e la controversia si protrae nel tempo con ricorsi al tribunale e petizioni al prefetto della popolazione locale. Ancora negli anni sessanta del Novecento, in seguito alla costruzione di un raccordo stradale, avvengono crolli nella cortina orientale, che forse conservava le tracce dei paramenti murari tardomedievali.
La fortificazione è nota per le forme della sua torre superstite a pianta decagonale; tuttavia il complesso monumentale attende ancora di essere indagato e descritto per le difficoltà di interpretazione che presentano i resti materiali apparenti in superficie, che non sono mai stati oggetto di saggi archeologici. Dai resti e dalle tracce planimetriche registrati sulla mappa del catasto storico di età napoleonica è possibile prendere atto che sull’area del primitivo castrum di rifugio si insediò un castello signorile fortificato e infine una residenza aulica, le cui forme sono emblematiche del potere dei signori locali. La torre superstite è formata da un prisma decagonale alto 22 metri che domina il paesaggio del borgo; è ornata da una elegante ed elaborata cornice composta da una quadrupla sequenza di archetti pensili sovrapposti. È evidente la perizia impiegata dai magistri da muro con la messa in opera dei paramenti esterni, apparecchiati in mattoni laterizi con disposizione di fascia e di punta e due file per ogni lato di buche pontaie, distribuite con grande perfezione degli allineamenti verticali e orizzontali. Si noti l’inesistenza di feritoie e monofore, ad eccezione di una apertura all’ultimo piano della cella e del portale di accesso che si apre al primo piano ed era un tempo accessibile unicamente per mezzo di scale asportabili, simulando l’antica consuetudine tardo medievale della difesa passiva. Venne decapitata forse ancora in età moderna privandola della merlatura; gli impalcati lignei e le scale interne furono demoliti per fatiscenza nel secolo scorso. L’area della fortificazione, la grande torre centrale e il circostante bosco secolare, costituiscono l’immobile che la famiglia Torreri, proprietaria del bene da più di due secoli, ha donato alla Fondazione Torre di Corneliano d’Alba onlus, nata appunto su iniziativa della famiglia dei proprietari e di una ventina di persone interessate al recupero e alla valorizzazione del sito. Dunque nei secoli il castello di Corneliano si è evoluto in residenza signorile, mutando i suoi decori architettonici in funzione del prestigio delle famiglie locali. La letteratura divulgativa destinata al commercio turistico fa risalire le sue origini ai secoli XI e XII, con ampliamenti avvenuti nel secolo XIII: tuttavia la torre è quanto rimane di una grande palazzo di abitazione costruito nei primi decenni del Quattrocento: un castello senza funzioni militari, pervenuto alla fase terminale della sua metamorfosi e quasi del tutto privo di artifici difensivi e reali o simbolici, ormai ridotti a ornati decorativi. Come dimostra la sostanziale inutilità bellica della torre decagona, con la sua raffinata architettura pre-rinascimentale, dove prevalsero le ragioni di rappresentanza di coloro che vi abitarono».
http://www.torredicorneliano.it/it/la_torre_di_corneliano/la_storia
Cortemilia (resti del castello)
«Cortemilia si trova a monte della confluenza tra il torrente Uzzone e la Bormida di Millesimo. Centro importante dell’Alta Langa, crocevia commerciale. L’impianto medievale della città è riconoscibile nei suggestivi tratti delle vie porticate del centro. Posta all’interno di uno stupendo anfiteatro di colline dove l’intervento umano è maestosamente interpretato dai famosi “terrazzi” di “pietra di Langa” che ne caratterizzano il panorama, e ne hanno permesso la coltura della vite sui fianchi. Assai pittoreschi sono i resti delle fortificazioni di età medievale, la cui alta torre circolare si erge maestosa ed è distinguibile da qualsiasi punto della città. Questo complesso, situato su un colle nei pressi del centro abitato, è raggiungibile attraverso una piccola via a salire. Sorto nel secolo XII, il castello di Cortemilia rappresenta uno degli esempi più significativi di struttura fortificata che utilizza il modello originario di recinto con torre. Di eccezionale qualità costruttiva, veniva già menzionato come castrum (stuttura fortificata) in alcuni documenti del XII secolo, ma è nel corso del Duecento che si registrano le modifiche più rilevanti dal punto di vista difensivo, come il recinto perimetrale in muratura con un piano di ronda continuo su arcate. La datazione della torre risulta invece più problematica, in quanto per tecnica e articolazione sembra collocabile nel XII sec., ma ciò risulta incompatibile con il periodo di diffusione delle torri cilindriche nel cuneese (metà XIII sec.). Si propende pertanto ad attribuire alla torre l’adozione di un linguaggio architettonico arcaicizzante. Nel XIV sec. si registrano le ultime modifiche alla struttura; il complesso venne progressivamente abbandonato, fino a quanto subì gravi danni durante le guerre del XVI secolo».
http://www.langamedievale.it/monumenti-medievali-langhe/complesso-fortificato-di-cortemilia/
Costigliole Saluzzo (castello Costanzia-Reynaudi)
«Continuando l'ascesa, superati gli archi del Castlot [Castellotto], che lo collegano alle case del borgo, sulla destra si trova l'antica Via alla Torre, con il suo caratteristico acciottolato. Da questa strada si potrebbe raggiungere il "Castello Reynaudi" e i resti di un'antica torre che, secondo alcuni, poteva essere un ennesimo punto di guardia delle antiche mura, poco agevole raggiungerla, ma facilmente visibile da Via Piasco» - «Sulla collina del paese, un bel giorno centinaia di persone iniziano a lavorare con mattoni, legnami, ferro e pietre; è l’anno 1192, inizia la costruzione del primo castello. Opera che si deve a Guglielmo Costanzia, feudatario dei Marchesi di Saluzzo. Il castello era stato voluto per motivi ben precisi: controllare il passaggio verso la Valle Varaita, di conseguenza verso i valichi alpini. Il castello venne distrutto da Carlo I di Savoia nel 1487, nel corso della guerra contro i Marchesi di Saluzzo. Dai ruderi, nel 1617, Giovanni Michele Crotti di Savigliano, dopo aver acquistato i diritti sul luogo, iniziò la costruzione dell’attuale. In una pubblica asta venne poi comprato dall’ammiraglio, senatore Leone Rejnaudi, ministro della Marina. Da qui il nome: "Castello Costanzia - Reynaudi"».
http://www.comune.costigliolesaluzzo.cn.it/pdf/cartina_completa.pdf - http://www.guidacomuni.it/storia.asp?ID=4075
Costigliole Saluzzo (castello Reynaudi o Castello Rosso)
«Il Castello Rosso dà vita, con il Castelletto e il Castello Reynaudi all'affascinante borgo medioevale di Costigliole Saluzzo. Sorti tardi, a partire dalla fine del '400, sulle rovine di altri preesistenti, questi edifici sono stati in realtà edifici di abitazione senza alcuna funzione difensiva sorti a seguito del definitivo abbattimento delle mura del borgo (1487). Dei tre palazzi il più antico sembra essere il Castello Rosso. Le due torri meridionali con il loro fregio e un affresco dello stile del Maestro d'Elva che si trova all'interno del castello, suggeriscono una datazione tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento. è possibile affermare, prendendo a spunto il "Recinto del luogo" contenuto nel "Regesto delle Valbe" (1761) che il Castello Rosso costituiva la vera residenza, il palazzo dei signori, mentre gli altri due castelli potevano essere inquadrati come "baluardi" a presunta difesa del paese. Quando si fa cenno ai signori del paese è subito necessario puntualizzare che le sorti di Costigliole vennero rette da una "consorteria" di ben sette famiglie, i "domini" chiamati de Costigliolis. La consorteria era divisa in rami distinti ed operava anche al di fuori del luogo sul quale aveva la signoria. Riconoscevano come loro signore il marchese di Saluzzo, cui giuravano fedeltà "contro ogni uomo", ma i loro diritti su Costigliole dovevano essere molto vasti e radicati, se i marchesi qui non ebbero castellani. Inoltre la prima "Carta delle Libertà" dei Costiglioesi che ci sia pervenuta fu concessa non dal marchese, ma direttamente dai signori del luogo (1341). ... Nell'Ottocento, il Castello Rosso ha subito notevoli rimaneggiamenti. I Crotti Imperiali lo modificarono secondo il gusto neogotico così in voga in quel secolo, rimodellandolo per le nozze di un loro giovane esponente, Michele, con una nobile francese: ecco rispuntare le forme mediovaleggianti con torri, cortine e bertesche. Oggi il castello si presenta con un impianto ad "U" asimmetrica il cui corpo maggiore, turrito in corrispondenza delle due scale, si sviluppa lungo l'asse longitudinale Est-Ovest, ad esso si àncora un fabbricato minore, a "L" chiostrato a piano del parco e di parziale chiusura del primo sul fronte Sud. All'interno del Castello Rosso è presente un ciclo di affreschi raffiguranti la Madonna e Santi. ...».
http://www.comune.costigliolesaluzzo.cn.it/dettaglio_turismo.asp?id=i
Costigliole Saluzzo (Castellotto)
«Si ritiene che l'edificio sia stato, nella parte più antica, una fortificazione costruita dai Costanzia dopo la distruzione dell'antico castello, avvenuta nel 1487 ad opera delle truppe di Carlo I di Savoia. Danneggiato dai Francesi nel 1691, fu in seguito restaurato ed ampliato dai Crotti e fu destinato ad abitazione di un ramo della famiglia. L'antica appartenenza ai Costanzia è testimoniata dal loro stemma presente sul batacchio della porta d'ingresso al cortile. Da casa-forte, nei secoli XVII e XVIII, divenne un'elegante dimora dalle forme aggraziate, rispecchiante latrasformazione della vita dei nobili del tempo, ai quali cominciarono progressivamente a venir meno i compiti militari. Il castello è legato, con le altre case del borgo, da un originale e suggestivo gioco di archi, che fa pensare ad una delle porte appartenenti alle antiche mura di cinta. Oggi il Castellotto è di proprietà della famiglia Alby ed è teatro della manifestazione del "Presepe vivente" che vede una variopinta folla in costume animare la scenografia di muro e loggiato».
http://www.comune.costigliolesaluzzo.cn.it/pdf/cartina_completa.pdf
Costigliole Saluzzo (palazzo dei conti Giriodi di Monastero)
«L’edificio rispecchia i caratteri dell’architettura piemontese del XVIII secolo ed è edificato a partire dal 1740 su progetto dell’architetto Bernardo Antonio Vittone. Un maestoso portale d’ingresso segnala l’accesso a un grande atrio dove uno scalone monumentale porta alle sale del piano nobile decorate da bellissimi affreschi ottocenteschi opera di Luigi Vacca, scenografo e pittore alla corte di re Carlo Felice» - «Il salone d’onore è coperto da una volta articolata in nervature sottolineate da cornici sovrapposte a quella del secondo Settecento, come rivelano i saggi effettuasi nel corso del restauro. Per la decorazione del loro palazzo, i Giriodi di Monastero non si rivolsero ad un frescante locale ma a un pittore torinese: Luigi Vacca, che a soli 26 anni realizzò gli affreschi della dimora. La decorazione del salone d’onore del Vacca si sovrappone a quella del secondo Settecento, come rivelano i saggi effettuasi nel corso del restauro. Il pittore lasciò intatte le quadrature prospettiche e le architettute a trompe-l’oeil mentre il medaglione della volta appare rifatto, le decorazioni delle lunette e delle pareti appartengono al progetto del Vacca che qui offrì un saggio di quanto aveva appreso. ...».
http://www.piemonteitalia.eu/gestoredati/dettaglio - http://www.comune.costigliolesaluzzo.cn.it/pdf/cartina_completa.pdf
Costigliole Saluzzo (palazzo Sarriod de La Tour)
«Il Palazzo Sarriod de La Tour è posto in collegamento con la via principale attraverso una lunga galleria di ponente che termina con un ampio portone sormontato dallo stemma in pietra rappresentante la casa Saluzzo a cui il palazzo è in origine appartenuto. L'attuale impianto è il risultato di una lunga serie d'interventi che hanno non poco modificato quella che doveva essere una semplice casa a torre, ora inglobata nell'ampliamento successivo, e che era parte di un nucleo abitato posto "fuori le mura" del borgo. L'intervento settecentesco più significativo lo si deve al Conte Tommaso Alberto Saluzzo che nel 1734 acquistò la signoria sul paese di Costigliole. L'adeguamento dell'edificio a palazzo nobiliare richiese, inoltre, la creazione di uno scalone decorato con uno stemma che ricorda il corpo militare di cui Tommaso Alberto era comandante. Lo stemma in pietra scolpita situato sopra il portone ricorda l'unione delle due casate dei Saluzzo, avvenuta nel 1720, in seguito al matrimonio di Tommaso Alberto dei Saluzzo Paesana con la figlia del marchese Carlo Emanuele Saluzzo del ramo Miolans Spinola. Estintasi la famiglia, tutte le proprietà passarono all'unico erede il Conte Louis Antoine Gaetan Sarriod de La Tour de Bard. Sarà poi una sua discendente, la contessa Cristina, a lasciare alla sua morte la proprietà del palazzo e altri beni al comune di Costigliole da destinare ad opere benefiche. Dopo la seconda guerra mondiale e fino al 1995 palazzo La Tour sarà sede dell'Asilo comunale e quindi, terminati i restauri, della biblioteca civica del Comune di Costigliole e sede di attività culturali».
http://www.castelliaperti.it/pagine/ita/scheda.lasso?-id=95
Costigliole Saluzzo (porta Grafiona, borgo medievale)
«Un interessante e curioso itinerario, per meglio conoscere ed apprezzare l'insieme paesaggistico e storico di Costigliole, può avere inizio dal ponte sul torrente Varaita, la cui costruzione originaria risale alla fine del '700. Da questa posizione si gode di un ampio scorcio panoramico sul borgo: i castelli, la chiesa parrocchiale, la collina. Imboccando quindi Via Monviso, che costeggia il torrente, si raggiunge la località chiamata Mulino, dove ancora oggi è possibile vedere l'antica ruota che alimentava le macine del mulino utilizzando l'acqua di uno dei tanti canali interni che attraversano il paese, ora in massima parte coperti. Subito dopo il Mulino, immettendosi in Via Piave, si possono notare alcuni elementi caratteristici della zona: è ben visibile, sul fondo la chiesetta di San Rocco, una delle tante cappelle devozionali di cui Costigliole è ricca. Inoltre, sulla parete di una casa, è possibile ammirare quel che resta di un pregevole ex voto parzialmente deteriorato da insensati interventi sull'edificio. Affrontando la salita di Via Siccardi, dopo pochi metri, sulla destra,, un'altra via in salita consente di raggiungere Porta Grafiona. è l'unica superstite delle porte che permettevano l'accesso al borgo vero e proprio. è la testimonianza più consistente e suggestiva dell'antico sistema difensivo di Costigliole. Sicuramente Porta Graffiona risale a un periodo non posteriore al XIII' secolo ed è giunta fino a noi in buone condizioni. Tuttavia, oggi necessita di un intervento che ne assicuri perlomeno la stabilità, in quanto si tratta di salvare il monumento più antico di Costigliole. Anche numerose case che costeggiano questa strada celano nei loro muri resti della fortificazione abbattuta. Proseguendo lungo Via Porta Grafiona, la via più caratteristica del paese, che corre lungo il limite dell'antico borgo ripetendo il corso delle mura di fortificazione distrutte nel 1487, merita attenzione una piccola statua, in origine probabile lapide sepolcrale, che si trova sulla facciata di una casa. Poco più avanti, Via Porta Graffiona regala una suggestiva visione di Costigliole dall'alto».
http://www.comuniperlosport.it/scheda_comune.asp?id=1&COMUNE=Costigliole%20Saluzzo
«Più di altre molte costruzioni dello stesso genere, questa di Cravanzana ricorda, nelle strutture un castello, anche se preferibilmente può essere definita una residenza castellata. Sorge infatti sui ruderi, che ha incorporato, di un'antica fortificazione occupante un tempo il suo stesso luogo. Tuttavia la data dell'edificio dichiara la sua caratteristica di villa, di residenza signorile di campagna: fu infatti eretto nel Seicento, con forme che, se riprendono nei volumi quelle antiche, sono però strutturalmente e concettualmente moderne, residenziali. A meno di non voler considerare difese elementi quali la piccola garritta che difende uno spigolo, o la posizione dominante del complesso, che ancora conserva all'interno i suoi affreschi barocchi. L'antico castello dei Del Carretto fu fatto costruire nel XII secolo da Enrico Del Carretto che aveva ereditato il luogo. Ceduto ad Asti, nel 1190, parecchi anni dopo e precisamente nel 1337, troviamo proprietari gli Scarampi, che lo ebbero in possesso per lungo tempo. Riguardo alla costruzione si hanno notizie di gravissimi danni che subì nel 1438 ad opera delle truppe mercenarie di Francesco Sforza e, un secolo dopo, nel 1535, fu la volta delle milizie spagnole, che lo saccheggiarono. In seguito a questi episodi il conte Verrua, che aveva sposato Margherita Scarampi, provvide, nel 1630, ad una prima ricostruzione, a cui seguì un rifacimento integrale nel 1731 ad opera del marchese Giacomo Fontana, ministro di Carlo Emanuele III, che aveva avuto il feudo dal Re. Secondo una tradizione, nel 1812, avrebbe sostato nel castello Pio VII, mentre, prigioniero di Napoleone I, era tradotto a Fontainebleau, nel corso di un viaggio che si svolse quasi sempre di notte ed in una carrozza dalle tende abbassate per nascondere l'identità dell'illustre personaggio. L'ipotesi pare però poco probabile e potrebbe essere nata dal fatto che nel castello di Cravanzana erano state portate ed erano gelosamente conservate le lenzuola, che servirono a Pio VII a Millesimo, durante una sosta del viaggio che il Pontefice compì a Savona il 15 agosto del 1809. Attualmente il castello di Cravanzana, dopo essere stato di Giovanni Ferrero che lo restaurò per le colonie estive dei dipendenti dell'azienda dolciaria albese, e aver successivamente ospitato una scuola agraria, è di proprietà privata».
«La Torre Civica, alta 52 metri, si erge nel centro storico dominando la città. Ha una base quadrata di circa 6 metri per lato, con muri spessi due metri. Dalla cella campanaria si gode un meraviglioso panorama che dai tetti e dalle piazze della città si apre sui dolci rilievi delle Langhe per rincorrere le montagne fino alla vetta del Monte Rosa. Un’antica tradizione sostiene che fu eretta dopo il trattato di pace stipulato tra Cuneo e Mondovì il 15 giugno 1317, con il quale re Roberto d’Angiò, signore della Contea di Piemonte, ordinò ai monregalesi di innalzare a loro spese la Torre Civica dei cuneesi. Questa però non può che essere una leggenda, visto che, durante la dominazione degli Angiò, Cuneo non fu mai in guerra con Mondovì. Inoltre, uno dei più antichi documenti conservati nell’archivio storico comunale riferisce che il Consiglio Comunale veniva convocato già nel 1240 al suono della campana civica “more solito” (come al solito). Nel 1574 alla campana presente ne fu affiancata un'altra, più grande. Gli antichi Statuti di Cuneo che regolavano l'uso della campana comunale documentano anche l'esistenza di una camera carceraria, che probabilmente era a piano terra della Torre. Essa non aveva alcuna apertura verso l'esterno e vi si accedeva da una botola sul soffitto (l'ingresso a piano terra fu realizzato nel 1729, quando, con il trasferimento del carcere in via del Quartiere - l'attuale via Leutrum - venne aperta una breccia nella solidissima muratura di base). Nel 1627, a causa dei fuochi accesi sulla Torre alla vigilia di San Giovanni, un incendio devastò il Palazzo Comunale e si propagò all’interno della Torre stessa: le due campane precipitarono all’interno e si spezzarono. Furono successivamente rifuse da “Domenico Guliermont, maestro e fabricator di campane, venuto da Vercelli”. Nel 1730 il Palazzo Civico fu completamente ristrutturato su disegno del celebre architetto monregalese Francesco Gallo, che gli diede le dimensioni e le forme attuali.
A fianco della Torre, affacciato sulla platea (l'attuale via Roma), vi era il Palazzo Comunale. Nel 1775 la sede del Municipio fu trasferita di fronte, in via Roma 28 (la dimora attuale), occupando i locali dell’ex Collegio Scolastico dei Padri Gesuiti. Il vecchio Palazzo civico divenne così csede delle scuole “basse” comunali, equivalenti alle odierne scuole elementari. Nel 1799 l'esercito francese, che da tre anni aveva occupato Cuneo, decise di cancellare dalla Torre lo stemma della città e le iscrizioni che inneggiavano alla tradizionale fedeltà dei cuneesi ai Savoia. Lo stemma di Cuneo e l'allegoria della città circondata dal torrente Gesso e dal fiume Stura furono nuovamente affrescati nel 1824 e rieseguiti nel 1858 dal pittore Gaetano Borgocaratti. Agli inizi del ‘900 il locale di ingresso alla Torre Civica a piano terra fu adibito a peso pubblico: in seguito divenne un negozio di fiori. Nel 1945 il campanone suonò per festeggiare la Liberazione di Cuneo dai nazi-fascisti per merito dei Partigiani e per accompagnare il funerale dei Partigiani caduti. Il 4 novembre 1968, per il 50° anniversario della fine della I° Guerra Mondiale, il campanone fu dedicato alla memoria dei Caduti di tutte le guerre e fu collocata una lapide sulla facciata dell’ex Palazzo Civico. L’aspetto attuale della Torre è il risultato dei lavori di restauro promossi dalla Civica Amministrazione per celebrare l’ottavo centenario della fondazione della città di Cuneo (1198-1998), che hanno riportato alla luce il suo splendore».
Cuneo (villa Oldofredi Tadini)
«La villa Oldofredi Tadini risale al Tre-Quattrocento. Sorse come insediamento agricolo attorno ad una torre di difesa della città, tuttora esistente. In seguito, divenne casa di villeggiatura dei conti Mocchia di San Michele e fu ampliata ed arricchita a più riprese: nel 1764 fu realizzata la cappella che conserva, tra le reliquie, il saio del beato Angelico Carletti e alcuni ricordi della Sindone di Torino. Nell’Ottocento la villa divenne residenza della nobile famiglia Oldofredi Tadini, che ancor oggi la possiede. La villa è circondata da un bellissimo parco, in cui vivono varie specie di piante, molte esotiche. Le sue sale stupende hanno mantenuto le decorazioni e gli arredi originali del Sette-Ottocento e svolgono, sostanzialmente, la funzione di un piccolo museo. In esse furono scritte pagine importanti della storia del nostro Risorgimento, anche perché – in quel periodo – la villa ebbe molti visitatori illustri; fra questi vi fu anche Camillo Benso conte di Cavour» - «Inserita in un complesso di cascine a corte chiusa costruite in epoche successive, la villa si affaccia su un parco ricco di curiosità botaniche. L'edificio sorge tra il XIV ed il XV secolo come torre di osservazione a difesa di Cuneo. Il "Colombaro San Michele", a fine Cinquecento proprietà dei conti Mocchia di San Michele, diviene poi insediamento agricolo e casa di villeggiatura. Numerosi nel corso dei secoli gli ampliamenti e arricchimenti, tra cui la realizzazione della cappella nel 1764. Nella prima metà del XIX secolo il conte Luigi Mocchia - che nel 1830 sposa la contessa Maria Oldofredi Tadini, appartenente a un'antica famiglia lombarda - restaura la villa e la trasforma in residenza permanente, conferendole l'aspetto odierno. Rivestono particolare interesse gli interventi realizzati in quest'epoca negli ambienti al piano terreno, fra i quali la decorazione alla pompeiana della volta di uno dei salotti e il soffitto cassettonato a rosoni monocromi di una delle stanze attigue».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/cuneo/villa-oldofredi-tadini - http://www.piemonteitalia.eu/gestoredati...
«Sulla statale 22 da Cuneo verso la Val Maira, circa 2 km prima di entrare in città, una deviazione a destra porta alla frazione di Pratavecchia e di qui a Monastero dove sorge la torre di vedetta sulla destra orografica del Maira, presso un importante antico guado. È una possente costruzione cilindrica, in pietre di fiume e rivestimento di malta, a vari piani ed alcune feritoie orientate verso Caraglio, Montemale e Busca. Si passava da un piano all’altro attraverso botole aperte nei pavimenti e scale in legno. La porta di accesso è a circa 7 metri dal suolo.» - «Ben conservata, questa torre di avvistamento a sezione rotonda risale al XI secolo. Questo tipo di torre poteva in alcuni casi raggiungere i trenta metri di altezza. Erano in genere suddivise in piani comunicanti fra loro attraverso botole e scale. La porta di accesso era raggiungibile solo con scala a pioli. Il piano seminterrato veniva adibito a prigione, mentre il piano terreno a magazzino; il primo piano era destinato alla cucina e all’alloggio del capoposto; altri piani servivano da dormitorio e l’ultimo piano alla vedetta. La Torrazza, collegata ad altre simili poste nel territorio del Marchesato di Saluzzo, riceveva e trasmetteva messaggi attraverso segnali luminosi che raggiungevano gli avamposti».
http://archeocarta.org/dronero-cn-edifici-medievali - http://turismo.comune.dronero.cn.it/ElementoMappa/torrazza-sec-xi
«Al centro del paese sorge il Castello: fortezza risalente al XIII secolo, è stato interamente ricostruito dopo l’incendio del 1412, fino a giungere all’odierna struttura voluta nell’800 dal conte Carlo Guasco dal Castelletto. Degno di nota il parco, adornato da begonie, pini secolari, lauro giapponese. Il castello è composto da sette torri in una delle quali è collocato l’appartamento del principe che deve questo nome al principe di Lucca che vi soggiornò nel 1844. Nel castello soggiornarono inoltre illustri personaggi quali: Silvio Pellico, Massimo d’Azeglio, Camillo Benso conte di Cavour. Attualmente il Castello ospita un ristorante ed in parte è adibito ad abitazione privata. è stata oggetto di recente restauro la torre che si affaccia su Piazzetta S. Giovanni con l’adiacente parco che include tavoli e panche ed una fontana» - «Verso la montagna sorge ancora, anche se rimaneggiato, l’antico Castello ricostruito sui resti del precedente, sorto il 1412 da Guglielmo di Cacherano che aveva ricevuto il luogo in feudo da Ludovico d’Acaja. Attualmente la struttura è stata frazionata ed adibita a residenze private; una parte dell'edificio è stata trasformata in ristorante (a c.di Wilma Margaria)».
http://www.campeggiovallepo.it/public/castelloenvie.asp - http://www.bedandbreakfastmonviso.com/val%20po/vedere.envie.html
Fossano (castello degli Acaya)
a c. di Glenda Bollone e Federica Sesia
«Dopo la Porta Rose, proseguendo per breve tratto lungo via Cavour, si arriva nell'ampia piazza Carrara, dedicata a Giorgio Carrara, giovane partigiano di 19 anni trucidato dai nazisti il 27 febbraio 1944 e decorato nel 1959 con la "Croce di guerra alla memoria". Subito si nota una bella facciata medioevale in pietra e cotto con grandi finestre goticheggianti (ex casa Odda), mentre a sinistra si sviluppa un complesso edificio risalente alla fine del '600, su progetto dell'architetto Borio, ora sede del Palazzo Comunale, sormontato da un'alta e possente torre quadrata con campanone ed orologio. Sul lato sinistro di questa costruzione, esisteva un'antica confraternita femminile di Santa Elisabetta, inglobata verso il 1970 circa nel Palazzo Comunale per far posto al Salone degli Affreschi col Museo Geospeleologico (piano terra) ed alla Pinacoteca Civica (primo piano). La lunga facciata del palazzo è caratterizzata da un ampio portico sotto cui si osservano il Monumento ai Caduti delle due Guerre Mondiali in marmo nero locale, il Bollettino di Guerra del generale A. Diaz del 4 novembre 1918 e la lapide che ricorda i caduti garessini durante le guerre del Risorgimento. Al centro dell'edificio, quattro possenti colonne di marmo bianco di Nava sorreggono un lungo balcone con ringhiera in ferro battuto recante lo stemma del Comune di Garessio, insignito del titolo di "Città" per Reale Decreto nel 1870. Il 26 luglio 1856 la principessa Clotilde, figlia del re Vittorio Emanuele II e sposa nel 1859 di Gerolamo Bonaperte cugino di Napoleone III, si affacciò a questo balcone per salutare i Garessini accorsi ad applaudire i Reali Principi e le Reali Principesse che ogni anno venivano a trascorrere un periodo di villeggiatura nel vicino Castello di Casotto, residenza di caccia dei Savoia, già antica certosa del secolo XI».
http://www.comune.garessio.cn.it/ComSchedaTem.asp?Id=25392
«Porta Jhape. ...Proseguendo [lungo via Cavour] tra piccole e graziose costruzioni, si arriva alla caratteristica Porta Jhape, ancora unita sulla sinistra alle mura medievali fiancheggianti il vicino rio S. Mauro. Da notare le pietre scavate che ospitavano i cardini (uno ancora in loco) delle porte che chiudevano il borgo. Il nome Jhape dovrebbe derivare dalle “ciappe”, dette anche “lose”, con cui erano coperte le case del borgo medievale. Oltre Porta Jhape, prosegue a destra l’antica strada di collegamento tra il Piemonte e la Liguria, specialmente per il commercio del sale. Porta Liazoliorum. Lasciata la chiesa di Maria Vergine Assunta ed il battistero di S. Giovanni, si continua a costeggiare il rio S. Mauro percorrendo la via intitolata a Gian Maria Fasiani (1887-1956), insigne chirurgo di fama internazionale e fondatore della neurochirurgia moderna. Questa strada, già nel medioevo, si chiamava "delle ghiaie" perché costruita utilizzando materiali ghiaiosi alluvionali. L'ampia zona a destra, ai piedi della collina, un tempo adibita ad orti e vigne ed ora trasformata in terreno edificabile, era denominata in dialetto "e' orie", cioè le aie, perché qui esistevano spiazzi in terra battuta utilizzati per la trebbiatura dei cereali. A sinistra invece si incontra un caratteristico ponticello in ferro, detto "degli Alpini", costruito appunto dai soldati di questo corpo militare durante la I Guerra Mondiale; esso immette subito nella Porta Liazoliorum o dei Viassolo con resti ai lati delle antiche mura. Così si chiamava la famiglia ivi abitante che aveva "appaltato" la custodia della porta con diritto a riscuotere il pedaggio per il traffico che vi si svolgeva. ... Porta Rose. Percorrendo verso sud via Cavour, già "Via Maestra", fiancheggiata dalle prime case del Borgo Maggiore, si arriva alla Porta Rose, posta alla confluenza del rio S. Giacomo (a destra) e del rio S. Mauro (a sinistra). Qui iniziava la parte più antica del borgo medioevale (ricetto) risalente al 1100 circa, dominato da un possente castello e circondato da mura, porte e postierle di cui restano preziose tracce. La Porta Rose ne costituisce l'accesso principale ed era difesa da un ponte levatoio posto tra due torri. Quella di destra esiste ancora come localizzazione ed è ora inglobata in un edificio privato, anticamente caserma delle guardie. Quella di sinistra invece è stata abbattuta nel 1841 (come dice una lapide ivi apposta) per far luogo alla strada provinciale verso Albenga. ...».
http://www.comune.garessio.cn.it/ComGuidaTuristica.asp - http://www.garessio.net/territorio_borgate.html
Garessio (ruderi del castello, torre degli Impiccati, torre Clocharium)
«Percorsa tutta la via Cavour, si giunge nella piazzetta "del Mercato" dove si può bere ad una fontana con vascone in pietra grigia, posta davanti a Casa Randone. Si imbocca quindi a sinistra via al Castello in forte pendenza. Subito dopo le ultime case, a sinistra un bel sentiero con alcuni tornanti conduce all'antica porta d'accesso delle mura del Castello. Verso sud si può osservare la vicina "Torre dell'Impiccato", legata alle mura del Castello, alta costruzione quadrata che serviva per le esecuzioni capitali. Superato l'arco in pietra, si arriva in breve ad un bel pianoro erboso circondato da resti di antiche mura. A nord si possono ammirare, con ampio panorama, tutta la pianura, le montagne e le quattro borgate di Garessio, mentre andando verso sud si osservano, in mezzo alla vegetazione, i resti dei baluardi e tracce delle varie opere difensive sino a raggiungere il punto più alto del contrafforte della Cornarea (nome probabilmente derivante dall'arbusto del corniolo) dove si trovano altri resti di costruzioni con feritoie e belle pietre squadrate. Il Castello, che dovrebbe risalire al XII secolo, fu residenza dei marchesi di Ceva-Garessio a cui succedette il casato degli Spinola. Nella prima metà del 1600, al tempo di Vittorio Amedeo I, tale ampio complesso difensivo venne abbattuto e successivamente distrutto perché i Garessini avevano opposto resistenza ai Savoia che si stavano spingendo verso il sud Piemonte, alla conquista delle terre e del mare Ligure» - «La Torre dell'impiccato era parte di un castello risalente al XII secolo, di cui restano ancora alcuni ruderi, e residenza prima dei marchesi di Ceva-Garessio per passare poi agli Spinola. È un’alta costruzione quadrata, eretta su di un promontorio prospiciente la provinciale per Albenga e deve il suo nome al fatto che al suo interno vi erano delle carceri e venivano eseguite le sentenze capitali» - «...al di là di un ponticello sul rio S. Giacomo, compare la semplice facciata della seicentesca Cappella di S. Giacomo posta al di fuori delle mura medievali. Superato il ponticello e voltate le spalle all’edificio, dal piccolo spiazzo erboso si possono ammirare le case anticamente racchiuse nel ricetto del Borgo, difeso appunto dal rio S. Giacomo, mentre a sinistra, vicino alla SP 582, si eleva la Torre Clocharium, medievale torre d'allarme, attualmente di proprietà privata, bisognosa di urgenti restauri (soprattutto per la copertura). Sollevando gli occhi, in alto a destra compare la collina della Cornarea su cui, verso il XII secolo, venne costruito il Castello dominante il Borgo con i suoi possenti bastioni difensivi e con la Torre dell'Impiccato».
http://www.comune.garessio.cn.it... - http://www.visitterredeisavoia.it... - http://www.garessio.net/t_borgo_mercato.html
Genola (castello Tapparelli D'Azeglio)
«La regina Giovanna I d'Angiò, con atto del 27 settembre 1346, accordò a Gioffredo Tapparelli l'autorizzazione a erigere un fortalitium de lapidibus matonis et calcina, cioè una modesta casa-forte, che costituì il nucleo originario del castello. Esso, nel corso dei secoli, sottostò a diversi lavori di ampliamento e di ristrutturazione per adeguarlo alle esigenze del tempo. Il primo intervento, eseguito nel XVI secolo, comportò l'erezione dell'edificio rinascimentale sito sul lato nord-est. Successivamente, nel 1676, l'architetto Giovenale Boetto realizzò, prospicienti il cortile, tre gallerie sovrapposte, formate da archi a pieno centro, che poggiano su pilastri in muratura a base quadrata; al terzo piano gli archi raddoppiano di numero e dimezzano l'altezza. A questo periodo risalgono anche la costruzione della torretta e la copertura dell'antico maniero con un tetto in tegole. Altro intervento di rilievo venne eseguito, fra il 1785 e il 1795, dall'architetto Michelangelo Vaj, e comportò il riattamento generale della struttura dell'edificio. Verso la fine del XIX secolo il castello passò a far parte del patrimonio dell'Opera pia Tapparelli di Saluzzo, la quale, nel 1923, lo concesse in locazione all'asilo infantile, per poi alienarlo, nel 1976, alla Cassa di Risparmio di Savigliano».
http://www.comune.genola.cn.it/archivio/pagine/Edifici_d_epoca.asp (a cura di Lorenzo Cera)
Gorzegno (ruderi del castello Del Carretto)
«Il sito di Gorzegno viene menzionato per la prima volta in un diploma del 999 come titulus dipendente dalla pieve di Cortemilia. Nel corso del XIII secolo, sotto i del Carretto, l’abitato assunse progressivamente maggior importanza, anche grazie al potenziamento del sistema viario e commerciale dell’alta Langa, con Alba interessata ad acquisire il controllo di questi territori per assicurarsi una fitta rete di traffici verso la Liguria. Questo fattore favorì la crescita di diverse località situate all’interno della valle Bormida tra cui Gorzegno, che oltre al potenziamento del castello registrò un complessivo riordino residenziale. Le notizie sul castello scarseggiano a partire dal XIV-XV secolo in avanti: i del Carretto, il cui obiettivo era riorganizzare i propri territori in modo autonomo, si andarono sempre più scontrando con le mire espansionistiche dei marchesi del Monferrato, dei marchesi di Saluzzo e dei Visconti. Il castello di Gorzegno venne costruito durante il XII secolo: recenti ricerche hanno evidenziato la prima fase costruttiva del complesso, corrispondente al nucleo originario del castrum, ovvero un recinto di forma quadrangolare di picco le dimensioni dotato di torre-porta e che ospitava al suo interno una torre con funzione residenziale. Successivamente il complesso si modificò, per far fronte alla necessità di fruire di un più elevato numero di spazi abitativi. Questo ampliamento è collocabile presumibilmente nel corso del Quattrocento: in questa fase venne eretta la torre “maestra”, ancora oggi visibile, che assunse le caratteristiche della più antica torre-porta. L’ultimo ampliamento è databile nei decenni conclusivi del XVI secolo: il castello si trasformò in una grande dimora con quattro torri angolari di forma quadrilatera (probabilmente sul modello del castello di Saliceto). Di questa fase rimangono alcune tracce, come ad esempio parte di un loggiato caratterizzato dalla presenza di tre ordini, con colonnine doriche ancora visibili. è evidente in ogni caso che si trattò di una ricostruzione correlata al completo mutamento della destinazione d’uso del complesso, ormai esclusivamente residenziale. Sfortunatamente il castello riversa oggi in uno stato di conservazione pessimo, con le strutture rimanenti ormai prossime al definitivo crollo. Interessanti risultano, tuttavia, alcune raffigurazioni di Enrico Gonin, che mostrano come il maniero fosse ancora in ottime condizioni e abitato intorno alla metà dell’Ottocento».
http://www.langamedievale.it/media/Castello-di-Gorzegno.pdf
«Posto sul confine tra il Roero e il Monferrato, Govone domina dalla sommità della collina l'ampia valle del Tanaro. Simbolo e vanto del paese è il castello, che dallo scorso anno l'Unesco ha dichiarato bene dell'umanità. La grandiosa costruzione fu voluta dai conti Solaro, Signori di Govone, ispirandosi in parte ai disegni degli architetti Guarino Guarini per facciata sul lato sud e Benedetto Alfieri, discepolo di Filippo Juvarra, per quella a nord. La facciata rivolta a sud è ricca di decorazioni marmoree provenienti da Venaria, inserite verso la metà del Settecento per volere del Solaro, che tennero il feudo fino al 1792 quando, alla morte dell'ultimo conte senza eredi diretti, per estinzione della linea maschile il castello e terreni ad esso annessi passarono alla Corona sabauda. Tre anni dopo Vittorio Amedeo III di Savoia re di Sardegna ne fece donazione ai figli Carlo Felice duca del Genevese e Giuseppe Maria Benedetto Placido conte di Moriana. Durante la dominazione francese i Savoia si rifugiarono in Sardegna e il castello, abbandonato e spogliato di ogni arredo, fu sottratto alla rovina dai Conti Alfieri di San Martino che lo acquistarono con lo scopo di restituirlo ai Savoia e più tardi lo cedettero per una cifra simbolica, a Carlo Felice rimasto unico proprietario (il fratello era morto a Sassari).
L'attuale palazzo barocco di Govone, delimitato da un giardino e un vasto parco all'inglese è quello voluto dai Solaro, restaurato negli anni venti dell'Ottocento per volere dei Savoia e diventato la residenza estiva preferita dal re di Sardegna di Carlo Felice e della moglie Maria Cristina di Borbone. L'intervento di restauro sotto la direzione degli architetti Giuseppe Cardone e Michele Borda e si concluse nel 1825, si concentrò sulla sistemazione del parco e degli interni, già caratterizzati da importanti carte da parati cinesi. Di notevole interesse gli affreschi del salone centrale, dipinti in chiaroscuro dai pittori Luigi Vacca e Fabrizio Sevesi che ripropone il mito di Niobe e le decorazioni pittoriche degli appartamenti reali, sempre a soggetto mitologico, opera di Carlo Pagani e Andrea Piazza. Nel 1831 con la morte di Carlo Felice, avvenuta senza discendenti, i diritti di successione passarono a Carlo Alberto del ramo collaterale di Savoia-Carignano mentre i beni di Govone, alla morte della vedova Maria Cristina nel 1849, a Ferdinando duca di Genova, che fece costruire la torretta belvedere sul tetto. Nel 1870 il castello e i terreni furono venduti a privati e nel 1897 l'Amministrazione Comunale di Govone acquistò il castello mettendo all'asta parte dell'arredo in esso contenuto. Di notevole pregio artistico è la Chiesa dello Spirito Santo (1767) che con l'arrivo dei Savoia a Govone, divenne cappella reale e fu collegata al Castello con una galleria. La volta fu decorata da Giuseppe Morgari con la collaborazione del Pagani e del Piazza. Percorrendo la stretta viuzza intorno alle mura del castello si può vedere la casa in cui abitò Jan Jacques Russeau durante la sua permanenza a Govone. IL CASTELLO OGGI. Il Castello Reale di Govone compare oggi tra le residenze sabaude piemontesi che l'Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l' educazione, la scienza e la cultura) ha inserito nella lista del patrimonio artistico mondiale (World Heritage) con deliberazione del dicembre 1997».
http://www.castellilangheroero.it/pagine/ita/castello.lasso?id=4E987AA20f62020539jOY211BAF3
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Le origini del castello risalgono alla metà dell’XI secolo, quando fu edificato il primo corpo della torre centrale ad opera della contessa Adelaide Manfredi, che andò sposa in terze nozze a Oddone di Savoia. Verso la metà del XII secolo il feudo di Grinzane, situato attorno alla torre, fu dato in vassallaggio dalla città di Alba ad una famiglia detta De Grinzaneis. Verso la metà del XV secolo il castello era di proprietà dei Marchesi di Monferrato. Le attuali forme architettoniche risalgono alla metà del XVI secolo, quando Pietrino Belli, signore del castello, andò a nozze con Giulia Damiani di Asti: a quel periodo risalgono le decorazioni del “salone delle maschere”, perfettamente conservate. All’inizio del 1800 il castello di Grinzane, con 200 ettari di terra, fu acquistato dalla famiglia dei Benso marchesi di Cavour, grandi proprietari terrieri. Nel settembre del 1832, il conte Camillo Benso giunse a Grinzane con in tasca la nomina di sindaco ottenuta per intercessione del padre Michele, che l’anno successivo sarebbe diventato sindaco di Torino. Camillo aveva 22 anni e alle spalle una carriera militare mai veramente intrapresa e terminata l’anno precedente. Camillo, di animo liberale, non aveva mai nascosto le sue antipatie verso la divisa militare indossata suo malgrado per compiacere la volontà paterna. Venne quindi a Grinzane a fare il sindaco (e lo fece fino al 1848) e ad amministrare i suoi fondi agricoli. Occupazioni che portò avanti con onore, come del resto quella di statista: deputato del regno di Savoia dal 1848 e grande tessitore del costituendo regno d’Italia. Alla morte di Camillo, avvenuta nel 1861, il castello di Grinzane e le proprietà terriere andarono alla nipote Giuseppina Benso, sposa di Carlo Alfieri di Sostegno. Fu la loro figlia, Adele, a donare il castello e i fondi agricoli al Comune di Alba nel 1932. Nel frattempo, il Comune di Grinzane, che nel 1916 aveva aggiunto la denominazione “Cavour” in onore del suo più illustre sindaco, era stato inglobato in quello di Alba (1931). Attualmente, essendo tornato Grinzane comune autonomo nel 1948, la proprietà del castello è di entrambi, Alba e Grinzane, in modo indiviso. La gestione del castello è curata dalla fondazione Adele Alfieri di Sostegno, eretta in Ente morale nel 1957 e amministrata da un consiglio paritetico eletto dai due consigli comunali.
Un’architettura fortificata tra le vigne. Il castello di Grinzane Cavour è situato, in posizione dominante, sulla sommità di una collina, alle porte di Alba. Lo si può ammirare a distanza, oggi immerso tra i vigneti che ricoprono, con un gradevole contrasto di colori, i crinali della collina su cui si erge. Ma l’aspetto che sempre di più colpisce è l’armonia della sua architettura: linee semplici ma decorose e signorili che, unite ad un’eleganza discreta e non fastosa, rendono il castello facilmente riconoscibile nel reticolo semplice dei campi e dei ripidi pendii vitati. L’aspetto attuale è il risultato di fasi costruttive diverse che hanno trasformato l’iniziale volumetria in un edificio più complesso, adattato nel tempo alle esigenze dei proprietari che numerosi si sono susseguiti. Esigenze sempre rivolte alla necessità della vita quotidiana ed in funzione della tenuta agricola che aveva, nel Castello, il punto di raccolta e di stoccaggio dei prodotti agricoli padronali. Oggi si presenta, ormai dimentico delle modeste dimensioni delle origini, nella doppia natura di mastio e palazzo signorile, seguendo una pianta pressoché rettangolare e comunque quadrilatera. Si presenta distinto in due blocchi principali che si estendono ai lati opposti della gran torre interna in origine più bassa e poi innalzata così da sovrastare l’intero complesso. I diversi corpi che costituiscono l’edificio, tutti in mattoni a vista, sono stati realizzati in epoche diverse, e il cortile interno è rialzato rispetto al piano della campagna circostante. L’elemento più antico è la torre centrale, dei primi anni dell’XI secolo, sovrastante sia la costruzione dell’attigua casaforte, sia la posteriore manica ad "U" che la avvolge. La torre supera in altezza tutte le parti del Castello, elemento dominante pur interamente racchiuso tra i corpi di fabbrica; esempio particolarmente pregevole di architettura castellana è la parte nord, cioè l’originale casaforte; dopo i restauri è tornata al primitivo aspetto, possente ed ariosa nella sobrietà costruttiva. Eleganti finestre e decorazioni ad archetti partiscono le facciate, rendendo meno severa la massiccia volumetria e richiamano, nella forma e nelle proporzioni, il non lontano castello di Serralunga, e le decorazioni, segnando orizzontalmente il piano, si sviluppano sui quattro lati. L’intero complesso è ora ricoperto con tetti e coppi; originariamente, l’antico corpo almeno, terminava probabilmente con la merlatura. La parte successiva del Castello, addossata alla casaforte, fu costruita probabilmente tra il secolo XIV ed il XV; struttura nata e dettata dalla necessità di raccordare i due elementi forti originari, senza concedere ulteriori ampliamenti di perimetro, inserendo, sul fronte sud, due caratteristiche torrette angolari cilindriche, a sbalzo, che partono dal secondo piano e giungono sino oltre la copertura. Il Castello è maturato e si è ampliato nella struttura anche con parti settecentesche, altre di fine Ottocento e primo Novecento, per adattare il maniero al modello contadino di cascina aperta, parti poi demolite negli anni Cinquanta del Novecento per recuperare la forma originaria».
http://www.comune.grinzanecavour.cn.it/Home/Guidaalpaese/tabid/21680/Default.aspx?IDDettaglio=8782 - ...8785
«Il Castello è il simbolo del Borgo di Guarene; questo imponente edificio permette di riconoscere Guarene da molti punti del territorio circostante, per la sua posizione sulla sommità della collina, ben protetto da un alto terrapieno. È da tempo immemore che sulla collina di Guarene esiste un Castello. Originariamente si trattava di un edificio con funzioni militari, di protezione e di controllo del territorio. Con il passare dei secoli e con i cambiamenti geo-politici, il Castello ha perso la sua funzione strategica ed è diventato una residenza signorile. Questo cambiamento è dovuto, oltre alla decisione dei Roero di trasformarlo in loro residenza, una volta abbandonato il Castello di Vezza, all’intraprendenza e all’interesse per l’architettura del conte Carlo Giacinto Roero. Il conte era amico del grande architetto della corte sabauda Filippo Juvarra, tanto che per molto tempo si è pensato che il progetto del Castello fosse opera dello Juvarra stesso, invece che del conte Roero. I lavori iniziano nel 1726, con l’abbattimento quasi completo del vecchio edificio e la costruzione del nuovo. Intorno al 1775 il Castello può dirsi concluso, sia per le parti strutturali sia per l’apparato decorativo, affidato a importanti artisti dell’epoca. Già dal 1737 sono iniziati i lavori per la realizzazione del giardino all’italiana, collocato su due livelli a sud del Castello, affidati al giardiniere del Castello di Govone. Estinti i Roero nel 1899 con il conte Alessandro, il Castello perviene in eredità ai conti Provana di Collegno, che ne mantengono tuttora la proprietà. Il Castello, costruito in mattoni a vista, ha una struttura movimentata da avancorpi e arretramenti, con elementi architettonici decorativi che ne armonizzano le forme. La facciata principale è coronata da un falso terzo piano, che ne slancia ulteriormente il profilo. La pianta del Castello è a C, con la facciata principale rettilinea e una piccola corte rivolta verso i giardini. Sui lati, la struttura è affiancata da due balconate di raccordo tra il piano nobile e il giardino superiore, dalle quali si gode un ottimo panorama sul paesaggio circostante. Al di sotto di queste balconate, due lunghe gallerie voltate adibite a magazzino, rappresentano gli ambienti di servizio utili per la gestione dei giardini. Posti su due livelli, i giardini sono caratterizzati da siepi dalle varie forme, alberi secolari, vasi di agrumi e aiuole con diversi tipi di fiori. Dalla parte opposta rispetto al cancello d’ingresso al Castello, è presente una cappella dedicata a Santa Teresa, costruita su progetto dell’architetto Filippo Castelli di San Damiano, che aveva assunto la direzione dei lavori nella costruzione del Castello alla morte del conte Carlo Giacinto, nel 1749».
http://www.guarene.it/architinera/itinerario-architinera/#8
Guarene (palazzo di Re Rebaudengo)
«Il Palazzo Re Rebaudengo, sito nella piazza principale di Guarene, è un antico edificio settecentesco che conserva al suo interno camere con volte finemente decorate. Il cortile interno e la terrazza si aprono alla visuale della vallata del Tanaro e delle colline delle Langhe, mentre le numerose stanze interne, alcune delle quali conservano ancora volte finemente decorate, sono caratterizzate da un alternarsi continuo di livelli» - «Completamente ristrutturato e adattato a spazio espositivo, questo antico palazzo settecentesco è dal 1997 sede della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, punto di riferimento europeo per la ricerca e la sperimentazione nel panorama artistico contemporaneo. La struttura originale caratterizzata da linee semplici e orizzontali si è rivelata particolarmente adatta a trasformarsi in uno spazio espositivo ampio e luminoso facilmente accessibile al pubblico. Accanto ai locali destinati alle mostre, una sala video di 150 mq ospita le installazioni e i progetti speciali. Una parte del palazzo ha mantenuto invece l’aspetto originale creando un affascinante contrasto tra antico e moderno».
http://www.grandain.com/2013/10/01/palazzo-re-rebaudengo - http://www.piemonteitalia.eu/gestoredati...
Lagnasco (castello Tapparelli)
a c. di Federica Sesia
Lesegno (castello dei marchesi Del Carretto)
«Il centro è costituito da due nuclei importanti, situati uno di fronte all’altro sui rilievi della valle in cui scorre il torrente Mongia. Villa è la borgata ove hanno sede il Comune, le scuole, la parrocchiale ed il settecentesco castello, Prata è l’altra frazione, anch’essa di origini molto antiche. Nel X sec. risulta che il villaggio di Lesegno appartenesse alla contea di Andrate, posseduta dai marchesi di Susa. Nel 1013 il marchese di Susa, Olderico Manfredi, vendette il castello di Lesegno con le sue pertinenze, un ampio tenimento e due cappelle (dedicate l’una a S. Maria e l’altra a S. Nazario) al prete Alfredo o Sigifredo. Passato al vescovo di Asti fu da questi ceduto ai marchesi di Ceva che vi ebbero giurisdizione fino al sec. XVII. Dopo alterne vicende venne eretto a Marchesato nel 1790 ed assegnato a Cesare Gaspare, marchese di Ceva e di Lesegno. Durante l’occupazione spagnola (1649) subì gravi danni, così come pure nel 1796 per il saccheggio delle truppe napoleoniche. Anticamente i castelli di Lesegno erano tre: uno sorgeva a Mongrosso, ma fu distrutto nel 1500 per ordine dei Savoia; un secondo, eretto forse dai Saraceni e di cui restano pochi ruderi (una torre ed alcuni muri perimetrali), era conosciuto come il Castellazzo e si trovava in località San Gervasio. Il terzo castello, il più importante, sorgeva in regione Villa. L’antica fortezza era cinta da muraglioni, torri e fossati e fu possesso di parecchi feudatari. Della prima costruzione restano ancora una torre mozza, avanzi di mura ed i sotterranei. Sui suoi ruderi è stato edificato l’attuale palazzo nella prima metà del sec. XVIII. Il castello fu sede del quartier generale di Napoleone Bonaparte durante la prima campagna d’Italia nel 1796. L’imponente costruzione barocca conserva un archivio storico di notevole interesse».
http://www.vallinrete.org/index.php?option=com_content&view=article&id=59&Itemid=152
Levaldigi (resti del castello)
«Il più antico documento conosciuto che riguarda la nostra zona è un atto di vendita del febbraio 959 in cui Ugo di Levaldigi cede i suoi beni in Levaldigi e altre località. Lo stesso documento ci segnala anche la presenza dell'attività agricola in quanto Ugo cita tra i suoi beni: orti, airali, campi, vigne, prati e pascoli. Queste forme del paesaggio agrario, che per secoli hanno caratterizzato la nostra zona, erano all'epoca sicuramente marginali e strettamente localizzate nelle vicinanze dei villaggi; cosa che ci conferma lo stesso documento precisando che il campo di Levaldigi è situato vicino alle fortificazioni. In effetti, con ogni probabilità, fin verso l’undicesimo secolo l'agricoltura conservò nella nostra regione caratteristiche prettamente silvo-pastorali. ... Un centro di vita curtense fu sicuramente Levaldigi che progressivamente si trasformò in villaggio tramite la fortificazione, attestata dal documento del 959, la formazione del ricetto, agglomerato tipico del medio evo molto raccolto e chiuso per essere meglio difendibile, e la costruzione della chiesa. Un processo analogo di sviluppo subì anche il borgo di Savigliano che, attorno al castello e alla pieve, vide ben presto sorgere anche l'abbazia di San Pietro. ... A Levaldigi, in una via secondaria sono ancora visibili i segni dell’antico ricetto medioevale: le case accostate e l’arco della porta chechiudeva la strada».
http://stopalconsumoditerritoriosaviglianese.files.wordpress.com/2010/03/storia_del_paesaggio.pdf
Madonna del Pilone (resti del forte del Motturone)
«Giovedì 17 febbraio 2011, dopo oltre 700 anni di storia, la torre del Motturone, in frazione Madonna del Pilone, ha cessato di esistere. Secondo il racconto di alcuni residenti (il sito del monumento ospita anche alcune abitazioni rurali), verso le 21 si è udito un rombo cupo. La torre stava crollando. Il fortilizio è collassato al suolo, sbriciolandosi letteralmente. Per fortuna non ci sono stati danni a persone o animali presenti sul posto. La torre, d’altra parte, era stata messa in sicurezza e l’area circostante era recintata proprio per non incorrere in rischi dovuti all’instabilità dell’immobile (ordinanza di inagibilità del 10 aprile 2008 revocata il 1 aprile 2009 e nuovamente decretata il 30 aprile dello stesso anno). La torre del Motturone faceva parte di un sistema difensivo eretto dai Savoia del ramo Acaja; secondo lo storico Pietro Prato risaliva al 1275, secondo altre fonti agli inizi del ‘400. In ogni caso, per comprenderne il valore ed il significato, si pensi che era già in piedi quando Cristoforo Colombo scoprì l’America… La struttura fu occupata alla fine del ‘400 dal Claudio di Seyssel, generale del duca Carlo I nell’ambito della guerra con il signore di Racconigi, alleato di Saluzzo. Il forte del Motturone è menzionato a proposito di un evento del 1537, durante il conflitto fra il re di Francia Francesco I e l’imperatore Carlo V, sul regno del quale “non tramontava mai il sole”. Insomma il Motturone, oltre che un simbolo di Cavallermaggiore era un luogo di ricordi e memorie storiche. Un luogo che oggi è un cumulo di macerie. La sconfitta è sempre orfana e, infatti, nessuna delle parti in causa si riconosce responsabilità: Comune, Provincia, Regione, Soprintendenza, privati. Non ci sono colpe, ma la certezza è una sola: la torre è crollata dopo anni di appelli caduti nel vuoto. Già nel 1967 don Galletto scriveva nella sua Storia di Cavallermaggiore che la torre si innalzava “pericolante”. Negli ultimi 10 anni se ne è parlato molto. Nel 2002 vennero posizionate sulla struttura delle cerchiature metalliche per tentare di sostenerla. Ma non bastava, si rischiava ancora il crollo ...».
http://www.ilsaviglianese.com/2011/02/23/addio-motturone-crollata-storica-torre
Magliano Alfieri (castello degli Alfieri di Magliano)
«Nel medioevo fu un borgo nuovo del Comune di Asti con funzione militare di difesa. Nel XII secolo fu un possesso feudale del vescovo di Asti. Sin dal 1198 i domini avevano acquistato il cittadinatico astese; l'ecclesiastico nel 1236 ottenne da Corrado Magliano una dichiarazione di sudditanza alla Chiesa di Asti, concedendo l'anno dopo l'investitura ai de Maliano. Alla metà del secolo il feudo con il castello venne acquistato dai fratelli Alfieri, una delle più importanti famiglie astigiane che in poco tempo riuscirono ad ottenere il completo controllo del territorio. Successivamente il feudo venne frazionato tra i vari componenti del casato stesso e nei primi anni del Quattrocento il potere della famiglia attraversò un periodo di crisi. Infatti, il vescovo Alberto Gutuario privò gli Alfieri di alcuni territori del feudo per assegnarli al controllo diretto dei propri parenti. Nel frattempo il marchese del Monferrato si impossessò, nel 1415, del castello e del borgo di Magliano, restituendolo solamente dopo l'intervento di Filippo Maria Visconti. Alla fine del Quattrocento una piccola parte del feudo venne attribuita ai Damiano e le altre vennero acquistate dai Roero, dai Malabayla e dai Parato di Castellinaldo, ma nonostante ciò gli Alfieri continuarono a mantenere la supremazia sul territorio. Nel Seicento il dominio sulla zona di Magliano appartenne ai Savoia; il conte Catalano Alfieri era generale della fanteria sabauda e nel corso del secolo si fece costruire, sul luogo della fortezza medievale, una sontuosa residenza in stile barocco, le cui parti di maggior pregio erano il portone, lo scalone d'onore, il salone delle feste e la cappella. L'edificio fu ultimato dal figlio, il conte Carlo Emanuele. Con l'estinzione di quel ramo della famiglia, nel 1797, il castello passò in eredità agli Alfieri di Sostegno, signori di San Martino. Alcuni raccontano che Vittorio Alfieri, l'indomito e orgoglioso creatore della tragedia italiana, proprio in quel castello, osservando un dipinto che raffigura Cleopatra nell'atto di farsi mordere dall'aspide, avesse avuto l'ispirazione che lo portò alla composizione del Saul, ma la tradizione è inesatta, poiché l'Alfieri nella sua biografia racconta di essere vissuto nel castello del patrigno, il cavaliere Giacinto Alfieri di Magliano solo fino all'età di nove anni. Oggi il castello di Magliano è proprietà del Comune al quale l'ha donato la parrocchia di Sant'Andrea con l'autorizzazione della curia di Alba. Infatti, l'ultima discendente del casato, la marchesa Margherita Visconti Venosta Pallavicino-Mossi lo lasciò in eredità alla Chiesa del paese nel 1952. Nelle antiche sale è attualmente ospitato un Museo della cultura del gesso. Negli ultimi anni è stato restaurato il pregiato portone in noce, decorato con formelle intagliate secondo il gusto barocco che caratterizza l'intera costruzione».
http://www.comune.maglianoalfieri.cn.it/ComSchedaTem.asp?Id=17712
Mango (castello dei Marchesi di Busca)
«Venne edificato dopo che nel 1275 l'esercito astigiano rase al suolo i castelli di Frave, Vaglio, Vene e il villaggio di Lanlonzo, per ritorsione nei confronti di Alba che la domenica delle Palme 24 marzo 1274 lo aveva umiliato battendolo in campo aperto a Cossano Belbo. Di quell'antico episodio resta memoria nello stemma comunale che indica tre torri a emblema del passato. Il nome di Frave compare in parecchi documenti medievali con la forma Fravega, Fauriis, Fabreis, Fabricas, Fraeis ed era una località importante perché sotto le mura e le torri del maniero passava la via "Magistra Langarum", che da Alba, toccando Trezzo, Frave, Rocchetta Belbo, per Castino, Cortemilia, Scaletta e Cairo conduceva alla riviera. E forse era l'antica strada romana che da Finale saliva fino alla curia di Orco e di Mallare, quindi a Scaletta e di qui proseguiva per Spigno o per Cortemilia fino a Frave e Alba. Un raccordo che ha lasciato traccia nella gastronomia locale: dai vigneti della Langa partivano uve e vini, dalla Riviera arrivavano il pesce, il sale e l'olio. Anche per questo l'Enoteca Regionale del moscato di Mango, con sede nel castello, attraverso lo sviluppo del progetto territoriale basato sul mito del "cavaliere d'aleramo", ha un gemellaggio con la Liguria di Ponente, in particolare con i prodotti dell'entroterra e di Dolceacqua, patria dei vigneti collinari, finalizzato al collegamento e alla promozione di tre prodotti tipici: il moscato, la nocciola e l'ulivo. L'attuale castello di Mango sorge dalle fondamenta di un fortilizio costruito con funzioni eminentemente strategiche sul finire del secolo XIII, con tutte le connotazioni tipiche del periodo: camminamenti segreti che sbucavano in aperta campagna, prigioni, luoghi di tortura, pozzi dove far sparire avversari irriducibili e pericolosi. Il palazzo è oggi il fiore all'occhiello di Mango, dopo essere stato per secoli residenza estiva dei marchesi di Busca che lo vollero sontuosamente arredato e con il primato di un giardino celebrato per le piante ornamentali e le colture floreali. Al suo interno oggi è ospitata al piano terra l'Enoteca Regionale del Moscato d'Asti, degli spumanti del Piemonte e dei Dolcetti di Mango. ...».
http://www.castellilangheroero.it/pagine/ita/castello.lasso?id=4E987AA20f6201FFC6oMQ20F9B5B
a c. di Glenda Bollone e Federica Sesia
Marene (castello neogotico o villa dei conti Grosso di Grana)
«Eretto tra il 1850 e il 1854 per volontà del conte Carlo Amedeo Grosso di Trana, chiude la prospettiva della Via Maestra. Nel 1904 divenne proprietà di Vittorio Solaro di Monasterolo, che lo cedette poi a privati. Fu progettato dell’arch. Luigi Formento, noto soprattutto come autore della chiesa di San Secondo e del Tempio Valdese di Torino. Di impianto eclettico con elementi neogotici, il castello è un'interessante testimonianza del un modo di vivere e della cultura tipica del “Piemonte carloalbertino”, con la riscoperta di un medioevo suggestivo e romantico, anziché “scientifico” e “filologico”. Nel castello convivono, infatti, elementi di derivazione gotica, con altri di ispirazione inglese o legati alla tradizione locale» - «Il castello venne eretto fra il 1850 ed il 1854 dal conte Carlo Amedeo Grosso su progetto dell'architetto Luigi Formento, il celebre autore del tempio valdese e della chiesa di San Secondo di Torino. Esso nel 1904 pervenne al conte Vittorio Solaro di Monasterolo che nel 1920 lo alienò a Giuseppe Davico, proprietario di un'importante catena di alberghi di lusso in Italia ed in Francia. Ai nostri giorni appartiene ad alcune famiglie del luogo. Lo stile neogotico dell'edificio presenta caratteri architettonici ibridi, in quanto miscela elementi medioevali e gotici. Riteniamo che il complesso debba essere valorizzato in quanto costituisce una precisa testimonianza del modo di vivere e della cultura dell'Ottocento. Un tempo era circondato da un grande parco che includeva, a nord, un vasto bosco e, sulla facciata, uno splendido giardino all'italiana ed un ampio viale d'accesso. Il castello si trova in ottima posizione, a ridosso del centro storico e dei principali monumenti cittadini».
http://www.visitterredeisavoia.it/it/guida/?IDR=743 - http://www.comune.marene.cn.it/cultura-e-turismo...
«La torre è la più vecchia costruzione di Marene pervenuta ben conservata ai nostri giorni. Non è stato possibile datarla con certezza, anche se da uno scritto dell'Ottocento risulta che su un mattone infisso al primo piano era incisa la data del 1006. La torre, forse, faceva parte del castello e per secoli fu utilizzata dalla città di Savigliano come posto di avvistamento per segnalare l'avvicinarsi dei nemici. In epoca più recente venne adibita a funzioni di torre civica, munita di campane e di orologio. Realizzata in mattoni, deve il suo fascino alle origini antiche, che ne fanno il simbolo della comunità e della storia marenese».
http://www.turismocn.com/ur/SALUZZESE/MARENE/ATTRATTIVE/comuneAreaView.html?filter=CASTELLI
«Percorrendo la strada della Cavallotta emerge la tenuta del Maresco la cui origine pare doversi collocare nel XIV secolo, data in cui è documentato Gioffredo I signore del Maresco. Gioffredo capostipite della famiglia Tapparelli D'Azeglio è protagonista della storia saviglianese. Il castello venne ricostruito nel XVI secolo da Ercole Negri di Sanfront incaricato da Giovanni Anselmo Tapparelli. Il Maresco ha pianta quadrata chiusa su tutti i lati, presenta così un cortile interno. L'ultimo piano dell'edificio è aperto a loggia e rimanda alle ville di delizie. Caratteristici gli affreschi sulle facciate esterne che su quelle interne dove sono rappresentati musici maschili e femminili alternati, affacciati ad una loggia a trompe l'oeil. Le figure attribuite alla mano degli Arbaudi, sono importanti per la storia del costume e degli strumenti musicali. Nel corso del Settecento e dell'Ottocento il palazzo subì varie modifiche; furono costruite una serra ed una cappella. Recentemente l'acquisto da parte di privati e gli immediati restauri hanno dato al Maresco una speranza di ritorno all'antico splendore».
http://www.entemanifestazioni.com/vieni.aspx?id=31
Margarita (castello dei conti Solaro)
«Si tratta in realtà di una villa signorile seicentesca, iniziata nel 1619 da Oddino Sandri Trotti e proseguita da Antonio Solaro di Govone che ne incaricò il Toselli, architetto del Principe Maurizio di Savoia. Il castello è costituito da un corpo centrale a solo piano nobile, affiancato da due alti fabbricati a pianta quadrata. Le sale riccamente decorate e affrescate, presentano scene mitologiche, paesaggi agresti e motivi floreali. Il vasto parco all'italiana è stato trasformato a inizio '800».
http://www.turismocn.com/ur/CUNEESE/MARGARITA/ATTRATTIVE...
«Da sempre simbolo di Margarita, nonostante i rimaneggiamenti successivi, mostra ancora chiaramente l'impronta medioevale e tracce, molto labili ormai, di affreschi quattrocenteschi (santi e stemmi araldici) che compaiono ai lati del fornice d'ingresso. L'originale merlatura è stata sostituita da una serliana, utilizzata come cella campanaria».
http://www.turismocn.com/ur/CUNEESE/MARGARITA/ATTRATTIVE...
«Marsaglia è sovrastata da un castello che ha le caratteristiche di una dimora cinquecentesca, con una struttura di base tardo medioevale. è l'aspetto che gli diedero, nel 1560, i Pensa di Mondovì. Anche Marsaglia fu coinvolta dalle vicende belliche della zona, tra cui non mancarono i Saraceni. Il paese fu feudo di un figlio di Bonifacio del Vasto, Ugone di Clavesana, e da questa famiglia il castello fu, nel 1299, venduto ai Saluzzo, ai quali ritornerà nel 1346, dopo una breve dominazione del marchese di Monferrato. Subì parecchi danni durante un assedio da parte delle truppe di Francesco Sforza. Fece poi parte della dote di Margherita, figlia dei Marchese di Saluzzo, che andò sposa al conte Sanseverino d'Aragona, nei 1490. Venduto, fu acquistato dai Vistarini e, in seguito, dalla famiglia dei Pensa di Mondovì, che provvidero a conferirgli l'aspetto attuale. Oggigiorno è di proprietà privata».
http://www.comune.marsaglia.cn.it/Guidaalpaese/tabid/6616/Default.aspx?IDPagina=1809&IDCat=283
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