è la prima volta che mi trovo di fronte ad un simile accostamento di parole e ne sono rimasta colpita, ma soprattutto incuriosita. Il titolo dell’opera fornisce delle suggestioni, delle tracce: è come se ci invitasse a seguire l’autrice nel suo cammino.
L’ossimoro costituisce un forte richiamo anche per il profano. Come può una solitudine essere abitata? Cosa si vuole nascondere dietro questa espressione? Qual è il suo senso recondito? C’è forse da parte dell’autrice l’intento di sfatare alcuni stereotipi che accompagnano nella loro ripetitività la vita dei
santi? è sì un libro per gli addetti ai lavori, ma anche per chi, come me, viene catturato dall’insolita eleganza del titolo, dal periodo storico che attraversa e soprattutto dalla protagonista!
Mi era capitato in passato di imbattermi, sui libri di storia, in questa
santa dal limpido nome, da sempre, collegata a Francesco. Ho anche visitato frettolosamente, qualche anno fa, ad Assisi, la Basilica a lei dedicata, ma sempre in subordine a quelle del Poverello. Può forse, questo involontario prevalere di Francesco, essere conseguenza di un atavico misoginismo dell’autorità ecclesiastica che ha diffidato della donna fin dalle sue origini, relegandola sempre in una posizione di subalternità?
Eppure la fama della santità di Chiara era già ampiamente diffusa ed accettata fin da quando Lei era ancora in vita! Sarà questo anche uno dei motivi che hanno spinto la medievista Chiara Frugoni, ad occuparsi di una santa così importante, ma che non ha ricevuto l’attenzione e l’interesse che pur la sua opera e la sua figura meritavano?
è, quello della Frugoni, uno studio serio attento rigoroso e nello stesso tempo delicato, che non indulge alle sdolcinate invenzioni della biografia storica. Qui sono le fonti che parlano, le fonti scritte ed iconografiche che dicono, anche non dicendo. Spesso appaiono contrastanti e contraddittorie tra loro (o perfino nell’ambito della medesima fonte) o addirittura omissive e reticenti. è come se una mano invisibile od un occulto progetto mantenesse per loro il timone e indicasse la rotta da seguire.
Sta dunque allo storico discernere e valutare ciò che è attendibile, senza nulla aggiungere, se non le ipotesi, sul perché dei silenzi o addirittura dell’esuberanza delle parole e delle immagini. Tra le fonti citate dall’autrice e le testimonianze c’è anche quella della stessa Santa che scrisse personalmente la sua
forma vitae (la regola) al femminile, oltre ad una serie di lettere (ad Agnese di Boemia), ed il suo
testamentum, sfidando così usi e costumi consolidati, e ponendosi spesso controcorrente, senza mai però oltrepassare la soglia dell’ortodossia.
Chiara d’Assisi diventa dunque, attraverso questo riverente omaggio di una donna verso un’altra donna, l’icona di una sorta di sacerdozio al femminile, quasi una vestale del
cristianesimo, quello delle origini, vissuto dalla parte degli umili. è proprio a questa funzione che mi fanno pensare le sue “prediche” più volte citate nel libro come fonti.
Tutto ciò mi appare più che mai innovativo, considerando il ruolo, da sempre subalterno, della donna nella Chiesa
cattolica. Chiara traduce al femminile gli ideali di Francesco con delle varianti che ben si adattano alla specificità muliebre e che appaiono perciò quasi dovute a tale
peculiarità. E tutto non sempre è funzionale ad un contesto, la Chiesa di Roma, di cui Lei vuole comunque far sempre parte.
Anche la dovizia dell’apparato iconografico presente nel libro, ci fa assistere ad un film ideale dell’incontro-scontro continuo tra la santa e la Curia papale. Motivazioni di politica opportunità, ovvero di opportunismo politico, oppure una atavica prevaricazione da parte dell’uomo nei confronti del suo contraltare, la donna, spingono diversi papi, a misurarsi con questa “signora della povertà” che si flette, ma non si piega alle loro direttive, scrivendosi da sola la sua “regola”
(forma vitae).
Inconcepibile per i pontefici sarebbe stato ammettere un monachesimo al femminile sempre immerso nella realtà quotidiana, come intendeva Chiara, e pronto a misurarsi continuamente con il mondo, come richiedeva la stretta applicazione della povertà francescana. Più comodo invece, per la Chiesa ufficiale era impedire od ostacolare che ciò avvenisse, filtrando il contatto con l’esterno ed imponendo la clausura, secondo i principi degli ordini benedettini ed agostiniani. Sarebbe stato più facile così tutelare l’incolumità spirituale e non solo, di queste “sacerdotesse”.
Non è un caso che la “regola” di Chiara sia stata approvata
in extremis, quando cioè la Santa era in punto di morte, e che sia rimasta circoscritta, «ad personas», come recita la Bolla pontificia. Si trattò per Lei pur sempre di una vittoria dovuta al prestigio ed alla fama acquisiti attraverso un esempio di vita che travalicò le “mura claustrali” e, nella “scia degli apostoli”, si erse limpido ad alimentare il messaggio del Vangelo. Di fronte a tanto neppure la Chiesa con i suoi strumenti coercitivi ed il suo maschilismo misogino potè fare di più …
Non è da dimenticare che la patria di Chiara, Assisi, durante la lotta Impero-Papato si schierò dalla parte di quest’ultimo e che lo stesso Francesco lasciò, con il suo messaggio di “marginalità ed itineranza”, un esempio che Chiara aveva accolto come sua “emula”. Ecco allora perché la sua sarà, nonostante tutto, una clausura “aperta”, fatta soprattutto di umiltà, povertà, e carità e la sua solitudine sarà perciò “abitata”.
Con Chiara la donna si trova ad essere investita di una missione redentrice alla pari dell’uomo. Di femminilità, non di femminismo
ante litteram, vorrei parlare a proposito di questa grande figura di
santa, che non finisce di sorprendermi man mano che mi addentro in questa illuminante, semplice, eppur colta lettura.
Le fonti iconografiche, ampiamente citate ed illustrate dall’autrice, testimoniano il contrasto tra quella povertà che Chiara volle fortemente assumere come ideale di vita (lo farà strappando al Papa questo
privilegium), e la clausura, che di per sé imponeva il possesso di beni da parte dei monasteri femminili. Il tutto è testimoniato talvolta dalle vesti monacali in rude panno che le monache e la santa indossano e dai loro piedi scalzi che stridono con la sontuosità delle basiliche che fanno da sfondo agli episodi di vita e soprattutto ai miracoli.
Di contro, altrove, vediamo Chiara vestita sontuosamente (sto pensando all’immagine della copertina). è evidente, così, come anche l’iconografia ufficiale sia spesso stata “pilotata” e abbia cercato comunque, non dico di conciliare l’inconciliabile, ma di ammetterne la coesistenza.
Tutto ciò, assieme ai retroscena che l’autrice ci rivela, legati alle committenze delle opere figurative (che celebrano la santa) ed ai loro restauri, non fanno che confermare, quello stridore che affascina e capta l’attenzione dei lettori vaganti, come me. Tutto questo raccontare, anche attraverso le immagini ed i colori, una parte di storia della Chiesa, attira soprattutto chi non è più disponibile a subire di tutto e di più dai nostri media.
Giulia
Notarangelo
|
|