VITO
RICCI
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L'uomo
che si credeva re di
Francia: una storia
possibile
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Ha il sapore di un’avventura picaresca, sembra
una novella venuta fuori dal Decamerone
di Boccaccio, ma in realtà è una storia vera.
È la vicenda narrata da Tommaso di Carpegna
Falconeri nel suo ultimo lavoro, L’uomo che
si credeva Re di Francia, edito da Laterza.
Il libro è stato presentato al pubblico lo
scorso 8 marzo presso la Libreria Laterza dal
prof. Raffaele Licinio, ordinario di Storia
medievale presso l’Università degli Studi di
Bari. Erano presenti anche l’autore e
l’editore Alessandro Laterza.
La
storia narrata da Tommaso di Carpegna Falconieri,
ricercatore presso l’Università di Urbino
dove insegna Storia medievale e Metodologia
della ricerca storica, per quanto possa apparire
assurda e inverosimile, è una vicenda accaduta
realmente e di cui ci sono tracce e fonti
vagliate ed indagate dallo studioso. È una
vicenda che poteva nascere solo nell’Italia
del XIV secolo, raccontata con maestria e abilità,
che vede al centro il mercante senese Giannino
di Guccio che volle farsi Re di Francia. Nel
1354 viene convocato in Campidoglio da Cola di
Rienzo, costui gli rivela che in realtà è il
legittimo re di Francia, vittima di uno scambio
in culla avvenuto subito dopo la nascita. Si
tratterebbe di Giovanni, figlio postumo di Luigi
X l’Attaccabrighe, nato nel 1316. Giannino
inizia così a rivendicare il proprio regno
aggirandosi per le corti di Europa in cerca di
aiuto e sostegno, si procura documenti falsi,
coinvolge nel suo progetto signori e cardinali.
È una storia in cui verità e menzogna vanno di
pari passo.
Dopo
una breve presentazione dell’autore fatta da
Laterza, ha preso la parola Licinio che ha
esordito dicendo di ritenersi pienamente
soddisfatto, sia come lettore che come studioso,
dalla lettura del libro di Carpegna ed ha
sottolineato come la vicenda, che è una storia
autentica, venga raccontata come un romanzo. È
una storia complessa che tocca più scenari e
piani difficili da spiegare, vi sono le corti
europee, la guerra dei Cent’anni, la cattività
avignonese del papato. Si pone il problema delle
fonti per la ricostruzione della vicenda. «Perché
Giannino crede di essere il legittimo re di
Francia?», si chiede Licinio. A parte la
vicenda dello scambio di culla, autentico topos
assai diffuso nella storia, c’è un
personaggio rappresentativo di un’epoca come
Cola di Rienzo, il quale, con una tecnica
interessante, riesce a convincere il mercante
senese. Dopo lo “svelamento” a Giannino,
Cola di Rienzo viene assassinato e ciò
contribuisce ulteriormente a rafforzare l’autoconvincimento
del mercante senese. Non sapremo mai se Giannino
sia stato veramente il re di Francia, ma la
storia narrata è una storia accaduta realmente,
esposta da Carpegna con stile brillante,
dimostrando grande abilità narrativa.
L’autore
si è basato su una struttura che funziona ad
antinomie. C’è l’antinomia vero/falso (Carpegna,
da bravo storico che legge e studia le fonti
conclude con il dubbio), l’antinomia
elementare/complesso, la contrapposizione
racconto/analisi e quella aristocrazia
nobiliare/ borghesia. Carpegna va alla ricerca
dell’unicità del caso che ha attentamente
esaminato. Licinio ha citato alcuni esempi di
vicende simili che hanno riguardato alcuni
personaggi storici: Ulisse, re Artù, lo stesso
Cola di Rienzo (che si riteneva figlio di Enrico
VII del Lussemburgo), Ugo Capeto (che si diceva
fosse figlio di un macellaio), sino ad arrivare
al caso più emblematico di Gesù Cristo, figlio
di un falegname.
Carpegna
ha confermato che la dicotomia verità/finzione
è la chiave di lettura del libro, ma si tratta
di una dicotomia non drastica, che si declina in
infinite possibilità. Altra osservazione di
Licinio (ed altra antinomia) è quella di
Giannino illuso/illusionista, convinto di essere
il re di Francia, ma che fabbrica falsi
(pergamene, sigilli, privilegi) e lo ammette
egli stesso, tuttavia senza essere mai in
malafede. Si è tirata in ballo la pia fraus,
una sorta di falsificazione a fin di bene, nota
agli studiosi.
Carpegna
ha avallato la tesi dell’assenza di malafede
del suo personaggio adducendo alcune valide
argomentazioni. In primo luogo il problema
dell’identità e della percezione di sé che
nel Medioevo era assai diversa da quella di
oggi. Per l’uomo moderno è facile avere
coscienza della propria identità nel corso del
tempo, ci sono le fotografie, ad esempio.
Nell’epoca medievale l’identità di una
persona è stabilita dagli altri, c’è un
meccanismo di convincimento per il quale un uomo
è quello che gli altri, la società vogliono
che si creda. È una tematica assai affascinante
e Carpegna ha citato l’esempio boccaccesco di
Calandrino. Altra argomentazione viene fuori
dalla fonte principale di questa vicenda
inverosimile: l’autobiografia, almeno in
origine perché poi ha subito delle
interpolazioni, scritta in prigione a Napoli
nella quale Giannino di Guccio confessa ciò di
cui è convinto, volendo quasi fissare la
propria identità. Ma in alcuni passi è
volutamente reticente nel racconto, essendo
consapevole di potersi cacciare in grossi guai
con il suo scritto. Da ciò si capisce, tra le
righe, che è un falsario (ma in buona fede) che
al contempo registra e altera i fatti nel modo a
lui più conveniente. Qualcuno dal pubblico ha
chiesto se Giannino non fosse uno psicopatico,
una persona con problemi di salute mentale.
Probabilmente è da escluderlo, non essendoci
elementi che orientano in tal senso.
Alessandro
Laterza ha concluso affermando che la vicenda
riportata da Carpegna è una storia possibile e
si è complimentato con l’autore per
l’ottima tecnica di divulgazione: raccontando
la storia come un romanzo avvincente è riuscito
ad offrire il quadro di un’epoca coinvolgendo
il pubblico con una lettura agevole e non
riservata ai pochi specialisti di storia
medievale.
Vito
Ricci
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