Introduzione - Le schede: 1. Adamo ed Eva - 2. Vita di Cristo - 3. Arazzo di Bayeux - 4. Santa Margherita - 5. San Nicola - 6. San Francesco (Bonaventura Berlinghieri) - 7. San Francesco (Giotto) |
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[Narcissus]…dumque sitim sedare cupit, sitis altera crevit, |
dunque bibit, visae correptus imagine formae |
spem sine corpore amat, corpus putat esse, quod umbra est |
(Ovidio, Metamorfosi, III, 415-417) |
[Narciso]…mentre cerca di sedare la sete, un’altra sete gli cresce: |
mentre beve, invaghitosi della forma che vede riflessa |
spera in un amore che non ha corpo, crede che sia un corpo quella che è un ombra |
1.
Le immagini nella percezione visiva
Il
poeta latino Ovidio narra nella sua opera più nota, le Metamorfosi,
la storia di Narciso, che per aver disdegnato l’amore di una ninfa, Eco, fu
per punizione spinto ad amare la propria immagine riflessa nelle acque di una
fonte a cui si dissetava.
Non è chiaro se Narciso morì nelle acque della fonte volontariamente,
preso da un grande dolore, oppure per disgrazia, ma in senso generale la sua
morte avviene perché il suo è un amore impossibile, in quanto l’oggetto
del suo desiderio non ha consistenza fisica.
è, appunto, una
immagine, simile o uguale a sé ma altro da sé; è un riflesso, e, come in
uno specchio, è virtuale e non reale.
Questo
esempio chiarisce molto bene cosa debba intendersi per immagine.
Il termine indica la forma
esteriore di oggetti corporei percepibili attraverso il senso della vista.
La
favola di Narciso significa che esiste una netta divisione tra immagini
e oggetti.
«L’immagine
può essere veicolata da oggetti, ma non si identifica con essi, anzi ha la
capacità di trasferirsi da un oggetto, o supporto, ad un altro o a molti
altri» (Belli D’Elia).
Le
immagini hanno accompagnato da sempre la vita dell’uomo.
Esse appartengono al linguaggio, alla psiche, all’attività umana
produttrice di forme e/o oggetti.
Depositarie di significati e valori le immagini costituiscono le prime
manifestazioni della capacità di comunicare attraverso segni iconici.
Un
famoso sociologo, Rudolf Arnheim, diceva che il pensiero richiede delle
immagini e che quindi le immagini contengono pensiero.
Se,
ad esempio, consideriamo la lingua, possiamo osservare che essa si traduce in
pensiero passando obbligatoriamente attraverso l’immagine, sia per quanto
riguarda il concetto richiamato alla mente (il
significato) sia per quanto concerne l’espressione della forma grafica
della scrittura stessa (il significante).
Pensare a una forma in termini verbali prima che pensare alla parola
che designa quella forma, si traduce nel pensare che quella parola è una
forma. Le
parole quadrato, cerchio o triangolo possono essere scritte disegnandone un
tracciato, ovvero possiamo dire che ogni parola contiene la sua figura.
Esiste, dunque, una sorta di vocazione della lingua, della parola, del
pensiero all’iconicità.
Tutto ciò appartiene al mondo della comunicazione, perciò una
immagine può essere definita anche come la «manifestazione
di un evento visivo il cui obbiettivo è quello di trasmettere un contenuto
informativo, un messaggio»
che determina un effetto sull’individuo.
In
tale definizione rientra il concetto di opera d’arte, ovvero di quei
prodotti «della
attività umana a cui l’uomo ha dato una forma.
Arte o tèchne è appunto, nel mondo antico o medievale, la capacità
di imprimere una determinata forma alla materia inerte».
Le
immagini fanno parte del linguaggio visivo che, come il linguaggio verbale, ha
delle regole e delle strutture, una grammatica e una sintassi.
A
livello percettivo le immagini sono l’aggregazione di elementi semplici come
le linee (orizzontali, verticali, curve ecc…), oppure di forme o figure o
spazi (rapporto di vicinanza, lontananza, vuoti e pieni, figura/sfondo
ecc…), oltre che di luci, ombre e colori.
Tali elementi all’interno di ogni processo visivo vengono
riconosciuti, organizzati, riempiti di un senso.
Se, ad esempio, in una scatola parallelepipeda o cubica riconosco una
casa, ho compiuto uno slittamento di senso nell’analogia formale.
Si potrebbe anche realizzare il percorso inverso, di ritrovare nelle
cose una forma originaria che ne costituisce la struttura depositata nel
nostro patrimonio visivo: gli stereotipi, i segni iconici.
Da
tutto ciò deriva che perché il processo comunicativo si realizzi è
necessaria la presenza di codici,
ovvero di relazioni tra significati e significanti, tra segni e oggetti.
Solo l’esistenza e la conoscenza di un codice comune scelto per
comunicare, garantisce la comprensione fra gli individui.
Soprattutto
per le epoche antiche e per il Medioevo la conoscenza di questi codici è
fondamentale per la comprensione delle immagini e/o delle opere stesse, ovvero
del messaggio di cui esse sono depositarie.
A seconda della familiarità che si ha con i codici di un’opera
d’arte si può risalire al contesto in cui l’opera è stata realizzata,
riconoscere chi l’ha voluta (il committente), a chi è destinata, la
personalità dell’autore, le conoscenze tecniche che ne sono alla base.
La comprensione delle immagini e del loro funzionamento, l’impatto
emotivo che esse hanno, le diverse funzioni che esercitano consente di
chiarire il grado di sviluppo sociale degli individui, le credenze religiose,
i sentimenti, l’interpretazione del mondo circostante.
Bisogna
aggiungere, inoltre, che le immagini concepite come opere d’arte possono
anche favorire una fruizione di tipo estetico, attraverso la composizione
delle forme, l’uso della luce e del colore.
Da queste osservazioni deriva il concetto che ogni opera d’arte non
può essere solo guardata ma va anche e soprattutto letta.
L’idea di leggere le immagini risale di fatto a molti secoli fa.
Una perfetta coincidenza o simbiosi tra parole e immagini è
rappresentata dai geroglifici egiziani.
Essi sono costituiti da figure ma rappresentano anche dei suoni, simili
al nostro alfabeto, da cui la definizione di scrittura pittografica.
All’interno
della tradizione cristiana l’idea di un’arte “da leggere” è stata
espressa dai Padri della Chiesa e soprattutto da papa Gregorio Magno.
Leggere
le immagini significa innanzitutto interpretarle.
In un famoso saggio pubblicato nel 1939 lo storico dell’arte Erwin
Panofsky distinse tra livelli di lettura delle opere d’arte.
Il primo di essi riguarda il ‘significato naturale’ che consiste
nell’identificare gli oggetti (alberi, animali, persone e così via) e gli
avvenimenti (pranzi, battaglie, processioni ecc…). Il secondo livello è
l’analisi iconografica che è relativa al ‘significato convenzionale’,
come ad esempio riconoscere una cena come l’Ultima Cena, o una battaglia
come la battaglia di Waterloo.
Il terzo ed ultimo livello è quello dell’interpretazione iconologica,
relativo ai principî di fondo che rivelano “l’atteggiamento di fondo di
una nazione, un periodo, una classe, una concezione religiosa o filosofica”.
Gli ultimi due livelli di lettura presuppongono spesso l’ausilio di
una documentazione diversa dalle opere stesse (altre immagini, testi letterari
di tipo religioso o profano, trattati ecc…).
Va da sé che tali approcci non costituiscono gli unici ‘metodi di
lettura’ delle immagini ma aiutano la comprensione delle vaste possibilità
espressive e storiche connesse alle rappresentazioni.
2.
Il Medioevo e l’immagine
Il
termine imago ha nel Medioevo una
gamma di significati estremamente ricca.
è
lo stesso lessico a darci una precisa idea del significato dell’immagine
nella cultura del Medioevo.
Nel latino medievale, infatti, per indicare l’imago sono anche usati i termini similitudo e species.
Se poi analizziamo il significato del termine vediamo che il lemma
immagine è usato per indicare «le figure del linguaggio e della retorica, le
figure scolpite o modellate nella materia, le raffigurazioni pittoriche, le
apparenze immateriali (i riflessi sull’acqua, sugli specchi) e le immagini
mentali: le visioni, i sogni, i fantasmi»
(Burgio
2001).
In
senso teologico il termine rimanda ad uno dei fondamenti dell’antropologia
cristiana, in quanto Dio, com’è riportato nella Genesi (1,26) creò
l’uomo a sua immagine (ad imaginem)
e somiglianza (ad similitudinem).
Di conseguenza il concetto di immagine è associato alla definizione
stessa dell’essere uomo, come a quella della natura del Figlio, imago
perfetta del Padre divino.
Attraverso una sola parola il Medioevo ci restituisce il senso della propria cultura e del proprio immaginario collettivo.
Nel
Medioevo si tende a considerare la realtà esteriore come una metafora
effimera del mondo invisibile e trascendente.
Ciò che si vede con gli occhi del corpo ha il valore di un riflesso,
di un’allusione a un’altra realtà nascosta sotto la superficie
dell’apparenza fisica: in breve non è che un segno o un simbolo.
Se tutto il visibile ha valore solo in rapporto a qualcos’altro,
allora ogni rappresentazione figurativa deve diventare simbolica, un
linguaggio di segni più o meno astratti.
Ma in quanto scrittura di immagini il linguaggio figurativo entra in
intimo rapporto con la scrittura dei testi sacri.
In tutta l’arte medievale esiste un’ intima convivenza fra parola e
immagine, fra testo e spazio pittorico.
Per saperne di più
P.
Burke, Testimoni oculari.
Il significato storico delle immagini, Roma 2002.
E. Burgio (a cura di), Racconti di immagini. Trentotto capitoli sui poteri della rappresentazione nel Medioevo occidentale, Torino 2001.
P.
Belli D’Elia, Per una
educazione al vedere, in Media
Significati Metodi nella Formazione, a cura di V.
A. Baldassarre
[Quaderni della cattedra di Pedagogia Sperimentale, Università di Bari, 1],
Modugno 1993, pp.
161-175.
©2005 Pina Belli D'Elia. Introduzione al corso monografico (Narrare per immagini nel Medioevo, a.a. 2003-2004) di Storia dell’Arte medievale del Corso di Studi in Scienze della Formazione primaria, Facoltà di Scienze dell'Educazione e della Formazione dell'Università di Bari.