di Luisa Derosa
Introduzione - Le aree culturali - Le schede: Bitonto; Isole Tremiti; Bari; Taranto; Otranto; Trani; Brindisi; Giovinazzo; Bibliografia essenziale |
B
ari: Basilica di San Nicola
L’edificio
Nel marzo del 1087 un gruppo di marinai baresi accompagnati da alcuni sacerdoti riesce a trafugare dal santuario di Mira le reliquie di San Nicola, con il pretesto di metterle al sicuro dagli infedeli. Nel maggio successivo vi fu il trionfale ingresso delle navi nel porto pugliese, a suggello di quella leggenda secondo la quale lo stesso Nicola, di passaggio a Bari per recarsi a Roma, avrebbe personalmente scelto la città come luogo di sepoltura. Fu così che la città, importante nodo viario e punto d’imbarco per i pellegrini diretti da Roma a Gerusalemme, divenne essa stessa importante meta di pellegrinaggio.
Venne
iniziata, in brevissimo tempo, la costruzione del santuario in cui deporre le
ossa del santo, momentaneamente affidate a Elia, abate del monastero di San
Benedetto. Luogo scelto per l’edificazione della chiesa fu la Curte
Domnica, complesso di edifici religiosi e amministrativi sede del
governatorato bizantino. Nel 1089 Urbano II giunse a Bari per consacrare la
cripta e deporvi solennemente le reliquie. In quella stessa occasione Elia,
promotore e attore principale dell’impresa, venne consacrato nuovo
arcivescovo di Bari. Che i lavori dovevano essere andati avanti celermente lo
dimostra il fatto che neanche dieci anni dopo nella stessa cripta ebbe luogo
un grande concilio ecumenico, alla presenza di centottanta vescovi, tra i
quali Anselmo di Canterbury. Nel 1105 la fabbrica risulta congrua
iam aedificazione perfecta.
Alla
morte di Elia i lavori erano proseguiti sotto la direzione del suo successore
Eustasio, anch’egli benedettino, già abate del monastero di Ognissanti di
Cuti. La costruzione doveva essere giunta ad una fase tanto avanzata che egli
poté dedicarsi alla realizzazione degli arredi interni, come attesta
l’iscrizione sui gradini dell’altare maggiore.
La
chiesa, voluta dall’abate Elia, si presentava con un modello assolutamente
originale: si trattava della prima chiesa pugliese con matronei, torri
postiche e absidi incluse. Una vera e propria innovazione che di lì a poco
costituirà il riferimento obbligato per la maggior parte degli edifici sacri
pugliesi. Nella struttura a tre navate con colonnato interrotto dalla presenza
di pilastri, transetto libero, cripta ad oratorio triabsidata, fiancate
serrate da arconi ciechi che annullano l’aggetto del transetto, confluiscono
vari elementi, dalle novità strutturali sperimentate nel nord Italia, alle
istanze della cultura campano-cassinese e della più genuina tradizione locale
di matrice classica e bizantina.
La
parte più antica dell’edificio è la cripta, realizzata nell’arco dei due
soli anni intercorsi tra l’arrivo delle reliquie e la loro solenne
deposizione nell’altare. Questo ambiente interrato si presenta molto diverso
da quello, quasi coevo, della cripta di Otranto, a cui pure dovette ispirarsi.
In
entrambe le cripte lo spazio è suddiviso in campate quadrate con l’impiego
di colonne su capitelli, ma mentre nel caso salentino all’abside centrale
corrisponde lo spazio di tre campate e a quelle minori di una campata per
ciascuna, a San Nicola nelle absidi laterali si rinunciò alla perfetta
corrispondenza delle maglie del reticolo per ridurre lo spazio e fare posto
alle basi delle torri. Così nelle absidi minori un filare di colonne a due
terzi circa della curvatura interrompe l’ordinata scansione spaziale. A
Bari, inoltre, la profondità dell’abside centrale è calcolata in stretta
relazione con il quadrato delle torri, in modo che la parete continua che le
collega possa essere perfettamente tangente alla curvatura absidale.
Questi
elementi dimostrano come il progetto fosse stato impostato sin dall’inizio
in modo coerente e unitario, comprendendo anche le arcate cieche che decorano
la parete postica e il transetto.
Alla
realizzazione della cripta seguì, molto plausibilmente, l’innalzamento
delle pareti laterali, con i profondi arconi che fungevano da contrafforti
alle navate ed ai matronei, l’inserimento dei colonnati e dei possenti
pilastri che li interrompono e la costruzione della facciata, almeno nella
parte inferiore che prevedeva, a questa data, un porticato antistante,
impostato ma mai realizzato. Nella costruzione entrarono in gioco anche alcuni
edifici preesistenti, che facevano parte del complesso catepanale, come la
torre a sinistra della facciata, aperta alla base da un arco, probabilmente
collegata a vecchie fabbriche in seguito abbattute, attraverso la quale si
accedeva al camminamento ricavato sopra le arcate cieche, collegate a loro
volta ai matronei.
Nel
periodo in cui alla guida della chiesa fu Eustasio (1106-1123), colui che decorando
regit, si mise mano alla realizzazione dei portali di facciata, o almeno
all’incorniciatura delle porte, vennero scolpiti gli elementi destinati a
decorare il finestrone absidale e fu messo in opera il pavimento a mosaico del
presbiterio, sostenuto da gradini decorati con la tecnica a incrostazione.
Questa
fase fu interrotta da una serie di eventi calamitosi che si abbatterono sulla
regione, culminati nel 1156 nella distruzione della città da parte di
Guglielmo il Malo.
Il
cantiere riaprì probabilmente alla fine degli anni ’30. Lo smalto
raffigurante Ruggero II incoronato da san Nicola, un tempo al centro del trave
frontale del ciborio, suggella il patto fatto dalla chiesa barese con il
sovrano normanno, di cui si riconosceva la legittimità al trono. Grazie a
questa lungimirante presa di posizione politica, che permise alla basilica di
passare pressoché indenne attraverso i tragici eventi del 1156, i lavori
poterono riprendere a partire dai piani alti dell’edificio.
In
questa fase vennero realizzate le gallerie esafore sulle fiancate
dell’edificio, i ballatoi su mensole che permisero il collegamento tra i
matronei ed il passaggio tra questi e le torri absidali, attraverso le
gallerie esterne e le testate del transetto. Anima di questa fase fu un
maestro di origine pugliese, ritornato in patria dopo esperienze maturate
probabilmente nel nord Italia, tra l’Emilia e la Padania conosciuto col nome
di Maestro della cattedra di Elia per lo splendido trono da lui realizzato,
identificato come seggio dell’arcivescovo Elia, che costituisce uno dei più
alti raggiungimenti dell’arte pugliese medievale.
Nel
1197, alla presenza di Corrado di Hildesheim, inviato dell’imperatore svevo Enrico
VI, accompagnato da una straordinario stuolo di vescovi, prelati e principi,
avvenne la solenne consacrazione, ricordata da una lapide inserita nella
facciata.
Conclusasi
così la prima fase, le vicende successive sono quelle comuni al destino di
tante fabbriche religiose della regione. A partire dalla fine del XIII secolo
furono chiuse all’esterno ed aperte all’interno le arcate cieche dei
fianchi laterali, per accogliere cappelle gentilizie, ripristinate nel loro
aspetto originario nel corso dei restauri dello scorso secolo. In seguito al
terremoto del 1456 vennero, poi, costruiti tre grossi arconi trasversali di
rinforzo. Un ulteriore intervento, che modificò l’aspetto della conca
absidale, fu l’inserimento del monumento funebre a Bona Sforza, regina di
Polonia e duchessa di Bari, commissionato dalla figlia Anna Jagellona.
In
seguito l’edificio assunse l’aspetto di una chiesa barocca, della quale
rimane oggi solo il suntuoso soffitto in legno dorato e intagliato con le tele
di Carlo Rosa.
IL MOSAICO (
Tav. III)A: Ubicazione: cripta, presbiterio e base della torre scalare di sud-est.
Datazione:
fine
XI secolo
Materia e tecnica: marmi di vari colori, tra cui spicca l’aquitanico nero venato di bianco in opus sectile.
Descrizione:
Nella torre di sud-est un grande pannello di forma quadrata presenta un motivo
centrale a cinque cerchi annodati compresi in una cornice quadrata e
ulteriormente legati da un nastro continuo, realizzato con tessere bianche di
dimensioni maggiori, che forma anse semicircolari esorbitanti dai lati del
quadrato. La decorazione del presbiterio è caratterizzata da un disegno
continuo che intreccia quadrati, cerchi includenti fiori e croci, incrostati
con una grande varietà di motivi e ricchezza di marmi policromi. Il tappeto
musivo è interrotto dal banco che circonda l’abside che presenta, nella
zoccolatura, un motivo a torciglioni realizzato con tessere di notevoli
dimensioni sopra una fascia a maglie quadrate che includono losanghe
anch’esse quadrate.
Osservazioni:
Non rimane più traccia, nella cripta, delle varie trasformazioni che a
partire già dal XIV secolo avevano trasformato l’impianto originario. Nel
corso degli anni ’50 del Novecento i continui allagamenti cui era soggetta
resero improcrastinabile il restauro. Come già era avvenuto nella chiesa
superiore la metodologia di intervento venne finalizzata all’eliminazione di
quanto non era coevo alla fabbrica medievale. Venne così distrutto il
complesso altare barocco di fattura napoletana sovrapposto alla tomba del
santo. L’intero edificio assunse l’aspetto nudo e austero che oggi
conosciamo, frutto di un’ideologica creazione dei restauratori in nome di
una concezione della fabbrica medievale del tutto arbitraria.
In
tale occasione la cripta venne isolata e fu definitivamente risolto il grave
problema degli allagamenti.
A
completamento di questo intervento venne risistemata l’area circostante la
tomba del santo che fu recintata da transenne in pietra, sulla base degli
elementi ritrovati nel corso dello sbancamento del piano di calpestio e che
finì col riproporre l’aspetto che la cripta aveva alla fine del XVI secolo.
La
pavimentazione, riportata alla quota originale, mise in luce la decorazione a
mosaico del presbiterio, del sedile dei canonici e del quadrato sotto la
torre.
Questi
mosaici costituiscono l’unico caso in Puglia di ripresa fedele di modelli
bizantini. La loro presenza nella regione ad una data assai precoce riveste un
ruolo di grande importanza all’interno del dibattito, tutt’ora aperto, sul
problema delle origini di questo tipo di decoro aniconico, oscillante tra la
Grecia mediobizantina e Roma. Sebbene in epoca carolingia ci fosse stata a
Roma una ripresa dell’uso del sectile,
ispirato alle decorazioni musive delle basiliche costantiniane, è opinione
diffusa che nel Medioevo l’uso di decorare pavimenti con marmi pregiati e
porfido, sia derivato da Montecassino, dove l’abate Desiderio aveva fatto
eseguire, ad opera di maestranze bizantine, un suntuoso tappeto musivo in sectile
noto oggi solo attraverso disegni.
I
frammenti rimasti della pavimentazione realizzata da Desiderio nella chiesa di
Santa Cecilia in Trastevere, di cui l’abate e cardinale romano era titolare,
presentano molti punti in comune con il pavimento di Montecassino, al punto da
poter ipotizzare un intervento diretto degli artisti marmorari che attesero al
suntuoso pavimento della basilica benedettina a Roma. Essendo questo pavimento
uno dei primi ad essere realizzato nel periodo della renovatio
romana i critici hanno pensato che sarebbero state proprio queste maestranze a
diffondere nuovamente nella città papale tale tecnica, che in seguito avrà
nei cosmati i più insigni rappresentanti.
Il
pavimento di Montecassino, rientra in un genere di produzione di origine
mediobizantina, caratterizzata dalla presenza di disegni ad annodature di
fasce marmoree curvilinee o spezzate sviluppati attorno a dischi marmorei o,
più raramente a quadrati o rettangoli, documentato nell’XI secolo in Grecia
a Nicea, Hosios Lukas, Chios e presente in Italia meridionale a Reggio
Calabria (Cappella degli Ottimati).
In
tale contesto si comprende come la presenza, nella cripta nicolaiana, di tale
tipo di decorazione possa costituire motivo di riflessione sul ruolo che anche
l’Italia meridionale adriatica, ed in particolare la città di Bari, da
lunga data profondamente permeate di cultura bizantina, possa avere svolto
nella stessa determinazione del fenomeno cosmatesco (Belli D’Elia).
Ricordiamo,
inoltre, che fasce realizzate a mosaico decoravano anche, come testimoniano i
pochi resti ancora in loco, la ghiera esterna delle monofore absidali.
Convincenti
confronti sono stati istituiti, per la complessa annodatura, tra il pannello
della torre di sud-est ed esempi di area medio-bizantina come il pavimento,
distrutto, della Koìmesis a Nicea.
Diversa
è, invece, la decorazione dello zoccolo del banco che circonda l’abside e
che sembra sovrapporsi al pavimento. Tale motivo si ritrova su una delle fasce
che decorano la facciata esterna della chiesa di San Benedetto a Conversano.
Se la cronologia della cripta nicolaiana, tra il 1087 ed il 1089, si adatta
perfettamente alla decorazione del sedile, la decorazione del pavimento e
quella, ad essa collegata, della torre dovrebbero essere anteriori, o al massimo contemporanee, riferibili però ad una maestranza
appartenente
ad una tradizione diversa da quella locale. Potrebbe anche trattarsi di un
residuo della decorazione di qualcuno degli edifici che costituivano la corte
catepanale o di qualche precedente edificio bizantino da cui sarebbe stato
trasportato nella cripta nicolaiana. Difficile è giungere a soluzioni del
tutto definitive, soprattutto a causa degli stravolgimenti operati sul
monumento, che comportarono anche lo smontaggio e il rimontaggio della
pavimentazione musiva frutto, in alcune zone, di un’arbitraria risitemazione.
A:
Ubicazione:
presbiterio superiore
Datazione:
primi due decenni del XII secolo
Materia
e tecnica: tessere
di colore rosso, verde, giallo, nero, bianco di dimensioni variabili tra 1,5 e
3 cm disposte ad opus tesselatum
Descrizione:
Nel presbiterio della chiesa superiore l’area musiva è racchiusa, sul lato
curvo, da una fascia che presenta la reiterazione della scritta Allàh in
caratteri pseudo-cufici. Dal lato della navata una larga fascia contiene
cinque rotae allineate e tangenti. I cerchi, doppiamente concentrici, sono
decorati con motivi geometrici variamente disposti, orlati da listelli
marmorei di colore bianco. Al centro dell’abside un grande cerchio
costituito a sua volta da due cerchi, di cui quello interno occupato dalla
Cattedra di Elia, con motivi di forma romboidale e triangolare. Tangente alla rota
centrale è una piccola formella circolare priva di listello con la figura di
un piccolo grifo stilizzato.
Osservazioni:
Come
nel caso dei mosaici della cripta le notevoli trasformazioni avvenute nel
corso del XVII secolo rendono problematica la lettura di quest’opera. A
questi interventi devono imputarsi alcune anomalie osservabili nella
sovrapposizione delle basi delle colonne del ciborio ai dischi marmorei che
racchiudono il presbiterio e il taglio del mosaico per la sopraelevazione dei
gradini dell’altare. Erroneamente considerato in relazione all’antica
corte catepanale, di cui rappresenterebbe uno dei numerosi frammenti
reimpiegati nella basilica romanica, il mosaico fa parte delle opere
realizzate durante il governo dell’abate Eustasio, successore di Elia, che
avrebbe completato negli arredi l’area presbiteriale, così come testimonia
l’iscrizione incisa sui gradini dell’altare.
Esso
si ricollega a numerosi pavimenti del XII secolo di area alto adriatica.
Specifici confronti si ritrovano a Venezia (nartece di San Marco), Torcello e
Murano (Belli D’Elia). Comune è anche il ricorso alla tecnica mista dell’opus
tesselatum e del sectile, con
cui è realizzata anche la piccola figura del grifo, la cui attuale
collocazione è del tutto arbitraria, come rivelano alcune vecchie fotografie
dei restauri degli anni ’50.
BIBLIOGRAFIA
SPECIFICA
P.
BELLI D’ELIA, La Basilica di San
Nicola a Bari. Un monumento nel tempo, Galatina 1985.
EAD.,
Architettura e Arti figurative dai
Bizantini agli Svevi: Dai Bizantini ai Normanni, in Storia
di Bari. Dalla conquista normanna al ducato sforzesco, a cura di F. Tateo,
Bari 1990, pp. 277-311.
S.
Nicola di Bari e la sua basilica. Culto, arte, tradizione,
Milano 1989.
G.
CIOFFARI, Storia di Bari. Figure e
vicende dell’epoca medievale, Centro Studi Nicolaiani , Bari 1998.
K. KAPPEL, S. Nicola in Bari und seine architektonische Nachfolge. Ein Bautypus des 11.-17. Jahrhunderts in Unteritalien und Dalmatien, “Rômische Studien der Bibliotheca Hertziana”, Band 13, Worms am Rhein 1996.
P.
BELLI D’ELIA, I pavimenti musivi
medievali pugliesi nel quadro della cultura artistica adriatica, in Storia
dell’arte marciana: i mosaici, a cura di R. Polacco, Venezia 1997, pp.
30-45.
Vedi anche, nel sito: Bari: Basilica di San Nicola (di Stefania Mola)