di Luisa Derosa
Introduzione - Le aree culturali - Le schede: Bitonto; Isole Tremiti; Bari; Taranto; Otranto; Trani; Brindisi; Giovinazzo; Bibliografia essenziale |
Giovinazzo: Cattedrale, lati sud-ovest e sud-est
L’edificio
La
cattedrale di Santa Maria Assunta sorge all’estremità settentrionale della
città antica, in prossimità del mare. La costruzione dell’attuale
edificio, sorto al posto di una precedente chiesa che compare nei documenti
con il titolo di Santa Maria de
Episcopio, sarebbe stata iniziata, secondo l’Ughelli, nel 1150 con
l’edificazione della cripta e completata nel 1180.
Solo
un secolo più tardi, nel 1283 sarebbe avvenuta la consacrazione dell’intero
edificio.
Scarse e contraddittorie sono comunque le notizie relative a questa chiesa, oggetto, già da tempi antichi, di una lunghissima serie di interventi di restauro, dovuti essenzialmente a ragioni di tipo statico, che culminarono nella completa demolizione del corpo longitudinale delle navate nel XVIII secolo e conseguente ricostruzione in chiave barocca sotto il vescovo Paolo de Mercuzo. Dell’originale impianto romanico, descritto ancora agli inizi del 1700 «di bella e ragguardevole architettura con molti ornamenti all’antica, il cui tetto maggiore viene sostenuto da colonne di marmo e dell’istesso modello di quella di Bari e Trani», rimane oggi solo il complesso cripta-presbiterio, comprese le strutture perimetrali esterne del transetto. Sappiamo, grazie alle testimonianze documentarie, che l’edificio, oltre alla struttura a tre navi divise da colonne marmoree alternate a pilastri, aveva falsi matronei ed era coperta con un tetto a capriate. Considerando, così come ancora oggi è visibile, il motivo delle absidi incluse e dei due campanili sul prospetto orientale, si può affermare che la chiesa romanica non si distaccava di molto dal modello imperante della
basilica nicolaiana. Le maggiori tracce della facies medievale dell’edificio si conservano all’esterno. Originali sono i portali laterali, i finestroni e le bifore del prospetto absidale, mentre rifacimenti ottocenteschi in stile sono il rosone e la grande bifora del prospetto meridionale.A
componenti di matrice islamica, mediate attraverso la Sicilia, si rifanno la
serie di archi incrociati che ritmano il lato meridionale e quello orientale
del capocroce, motivo assai raro in Puglia, ma presente anche nel duomo di
Molfetta.
I restauri intrapresi nel 1983 hanno riportato alla luce, nel braccio destro del transetto e nell’area presbiteriale, insieme ad una grande quantità di frammenti scultorei di plutei e transenne, i resti dell’originaria pavimentazione musiva, ad una profondità di circa mezzo metro al di sotto dell’attuale pavimento.
IL
MOSAICO
Ubicazione:
braccio destro del transetto, coro
Datazione: fine XII secolo.
Materia e tecnica: ciotoli marini di colore marrone scuro e chiaro, di forma irregolare; opus tesselatum realizzato con tessere di pietra calcarea nere, rosso scuro, grigio, verde, giallo e bianche.
Descrizione: nel braccio destro del transetto è visibile la parte superiore di una figura
umana che pare sostenere un lungo bastone. Superiormente si intravede,
separata da una cornice a doppia linea, una figura zoomorfa, forse un leone.
L’intera porzione musiva è larga circa 75 cm e lunga 135.
La
superficie dell’area presbiteriale doveva essere articolata in registri
diversamente strutturati.
Il
coro, in origine delimitato da transenne, è decorato da due fasce laterali
parallele all’asse principale dell’edificio, larghe 110 cm, e pavimentato
con tessere di pietra calcarea di varie dimensioni, disposte secondo orditi
geometrici. Al centro del coro sono emerse due figure di guerrieri (di cui
uno parzialmente visibile) con lancia e scudo di forma circolare, raffigurati
uno di fianco all’altro (larg. cm 95, lung. cm 180) sotto un arco inserito
in una muratura a bugnato. Tali figure sono separate da una cornice a motivi
romboidali
Altri frammenti sono stati rinvenuti sotto il muro di contenimento dell’altare maggiore, e raffigurano, entro tre rotae, le sagome appena percettibili di un guerriero con la spada e lo scudo e di un animale con sembianze ferine. Del terzo tondo si vede solo la cornice.
Iconografia: Le poche immagini restituiteci del mosaico non consentono di avanzare ipotesi circa il programma iconografico. Le uniche osservazioni possibili sono relative alle figure dei due guerrieri nell’area antistante l’altare. Si tratta di due saraceni, come mostrano il colore scuro dei corpi e gli scudi di forma circolare. Difficile immaginare una decorazione continua entro archeggiature, come pure è stato ipotizzato, dal momento che l’arco sotto cui è inserita la prima figura è parzialmente nascosto dal corpo del guerriero e non ne inquadra interamente la figura, partendo dall’altezza del ginocchio, mentre la gamba sinistra del guerriero si staglia sullo sfondo a bugnato.
è più probabile che si tratti di una porta urbica da cui sta per uscire il guerriero, con lo scudo ancora parzialmente obliterato dal tratto di muratura. Impossibile comprenderne appieno il significato, è però possibile che la scena facesse parte di un registro narrativo continuo.Osservazioni: Il mosaico fu danneggiato durante gli interventi promossi nel 1571 dal
vescovo Brizianos ed in seguito ai lavori del vescovo Chiurla del 1720, quando
è documentato che vennero eretti grandi ponteggi per la ristrutturazione
delle volte dei bracci e della cupola centrale.
Non
si hanno elementi cronologici che consentano di collocare con precisione la
realizzazione del mosaico. La data del 1180 relativa al completamento della
chiesa superiore è solo indicativa. Profondamente diverso dagli altri esempi
pugliesi conosciuti, sia per i materiali impiegati, un unicum nella regione,
sia per l’impaginazione complessiva, l’opera, caratterizzata da uno stile
semplice ed essenziale, trova confronti principalmente con esempi di ambito
padano, dai mosaici che decorano il presbiterio di San Michele Maggiore e di
Santa Maria del Popolo a Pavia, quelli
a San Benedetto di Polirone e San Colombano a Bobbio (Carrino). Comune a
questi pavimenti è la decorazione a registri musivi scanditi da arcate e
riquadrature.
Tra
i confronti, un frammento musivo proveniente dalla chiesa di S. Maria Maggiore
a Vercelli, risalente al XII secolo, che presenta due guerrieri combattenti,
identificati con Orlando ed uno dei mori protagonisti della Chanson
de Roland. Un altro termine di confronto è stato individuato con i resti
del pavimento musivo della chiesa di San Prospero a Reggio Emilia che
raffigura un personaggio di profilo che impugna l’asta di una lancia, con
sembianze simili all’esemplare di Giovinazzo.
La decorazione delle fasce laterali del coro mostra affinità compositive con alcuni pavimenti pugliesi di XI secolo, come quelli presenti nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Bitonto, di S. Scolastica e S. Maria del Buon Consiglio a Bari e della
Cattedrale di Ruvo, rivestiti da piastrelle di calcare disposte secondo semplici schemi geometrici.
BIBLIOGRAFIA
SPECIFICA
E.
DE CILLIS, La cattedrale di Giovinazzo.
Restauri e rinvenimenti, in Cultura
e società in Puglia in età sveva e angioina, a cura di F. Moretti, Atti
del Convegno di Studi (Bitonto 1987), Bitonto 1989, pp. 327-364.
R.
CARRINO, Il pavimento musivo
presbiteriale della cattedrale di Giovinazzo. Analisi preliminare, in Atti
del iii Colloquio aiscom
(Bordighera, 1995), Bordighera 1996, pp. 705-722.