Quante “corti dei Borgia” sono disseminate
nell’universo? Riflettendo e meditando dopo
aver concluso questa lettura, forse
inconsciamente o forse volutamente da me diluita
nel tempo (un paio di mesi), non posso non
considerare il fatto che ogni giorno ciascuno di
noi che opera ed agisce in microcosmi
esistenziali si trova, volente o nolente, prima
o poi, sotto mira: proprio come alla Corte dei
Borgia!
La
vita spesso mi sembra un tiro al bersaglio od
anche una corsa ad ostacoli, in un alternarsi
delle umane sorti per cui le vittime si
trasformano in carnefici e viceversa. L’abilità
consiste nel mantenersi in equilibrio come
funamboli e nel saper resistere ai venti
contrari, fidando nella benevolenza o nella
“non belligeranza” di chi ci è di fronte.
Così ci si può illudere che dietro i sorrisi e
le “assicurazioni”non si nasconda la volontà
di nuocere o di far del male.
Ecco perché mi appare paradigmatica la vicenda di Sancia
d’Aragona,
la Principessa
partenopea che, per un gioco del destino o
meglio delle alleanze nell’Italia regionale
del 1500, si ritrova nuora di un Papa:
Alessandro VI, impalmandone il “figlio”
Goffredo, e divenendo quindi cognata di Lucrezia
e Cesare Borgia.
Il libro degli amori,
potrei ridefinire questo romanzo di Jeanne
Kalogridis: il libro dell’amore fraterno, il libro
dell’amore filiale, il libro
dell’amore sensuale, il libro
dell’amore proibito, o meglio, illecito.
C’è tutto il repertorio, in questo affresco, in un
susseguirsi di scenari immensi e variegati, tra
palazzi, giardini, castelli, città, come
Napoli, solare e benedetta dall’azzurro del
mare, o Roma, festosa e ricca di verde, ma anche
ambigua e piena di ombre, con quel Tevere che
tra le sue acque limacciose custodisce fatti e
misfatti della classe dirigente dell’epoca.
La
Kalogridis
, studiosa americana dal
cognome che ricorda vagamente l’antica Grecia,
non fa che aggiungere un altro tassello alla mia
lettura “sistematica” del Diario
segreto prima e della Biografia
di Lucrezia (
la
Duchessa
)
poi, mettendo in bilico il piedistallo su cui
l’avevo collocata, non dando credito alle
malignità, e confidando nella sua buona fede e
nel suo
candore, spesso disarmanti.
In questo romanzo Lucrezia diviene comprimaria delle
vicende di Sancia d’Aragona, la
cognata-sorella.
Sancia la guerriera, Sancia l’incrollabile, Sancia
l’indomita.
« …Non sarei mai diventata come gli uomini ai quali somigliavo, ma
piuttosto come quelli che amavo», dirà la
giovane Principessa, poco prima di conoscere il
suo futuro da una strega.
La sua indole emerge sin da quando, bambina, lei, figlia
naturale di Alfonso II d’Aragona, ne infrange
i divieti, anzi ne sfida la severità, violando
i segreti degli appartamenti del nonno-re
Ferrante e subendo poi le conseguenze, cioè la
giusta punizione da parte dell’inflessibile
genitore. La peggiore, l’unica che l’avrebbe
fatta soffrire era quella di stare lontana
dall’adorato fratello Alfonso, quell’Alfonso
di Bisceglie che si troverà come lei ad incrociare il suo destino
con quello dei Borgia in una combinazione di
matrimoni che legano strettamente le due
famiglie: Borgia ed Aragona, entrambe di origine
spagnola.
Alla Corte dei Borgia
è un forziere con tanti cassetti, un “diario
stagionale”. Parte dall’autunno del 1488 e
si chiude con l’estate del 1503, quando muore
improvvisamente papa Alessandro, “Sua
Santità”, come lo chiamava, con non
velata ironia, la bella nuora. Quindici anni di
vita di madonna
Sancia che trascorre la sua adolescenza a
Napoli, nel Sud, con una breve parentesi a
Squillace - dopo il matrimonio con Goffredo,
divenuto, grazie a lei, Principe di quelle terre
- per
poi approdare alla Corte dei Borgia, nella Città
Santa.
Il romanzo si apre con la rappresentazione del miracolo di
San Gennaro «l
19 settembre dell’anno di grazia
1488»,
visto dagli occhi di Sancia ancora bambina e
prosegue con la rassegna delle sue marachelle,
tra cui la scoperta, un po’ raccapricciante,
della “camera
dei morti” del nonno Ferrante.
Queste tinte forti nel descrivere fatti ed ambienti
continueranno con il racconto della sua
visita, qualche anno dopo, ad una strega, in un
antro fuori città, per conoscere il futuro.
Fin dalle prime pagine ci sentiamo immersi in un contesto
ricco di fede, ma anche di superstizione, in una
piccola reggia meridionale, non eccessivamente
sontuosa.
Già promessa ad un nobile napoletano, Onorato Caetani,
Sancia, ad appena quattordici anni, si ritrova
nella corte dei Borgia grazie ad un matrimonio
combinato per “rinsaldare
i legami” tra lo Stato Pontificio e
Napoli. Dapprima “sconvolta”,
riuscirà a farsene una ragione, ad accettare le
decisioni della sua famiglia ed ad affilare le
sue armi di seduzione e di ostinato coraggio.
Come già era avvenuto per il “museo degli orrori” di
nonno Ferrante, nulla viene omesso nella
narrazione della sua storia con Onorato; così
sarà anche per la sua prima notte di nozze con
l’undicenne Goffredo Borgia, neo Principe di
Squillace, a cui assistettero - era questa la
regola per le Case regnanti - sia suo padre,
Alfonso II, che un inviato del Papa, il
cardinale Borgia “di Monreale”.
Tutto viene raccontato con naturalezza e senza cedimenti.
Tutto diventa palese nel bene e nel male, nel
lecito e nell’illecito.
Nel Diario segreto,
come anche nella Biografia
di Lucrezia (Borgia), traspariva un certo
riserbo - da parte della voce narrante - che
trattava con
studiata cautela i momenti più delicati. Era
come se la penna si auto-filtrasse,
nettandosi da ogni sozzura.
C’era anche, specie nel Diario
segreto, un continuo discredito delle voci
che circolavano su Lucrezia e sui suoi
rapporti con il
padre e con il fratello Cesare.
Nel “diario stagionale” di Sancia invece, il vaso di
Pandora appare del tutto scoperto. Ciò che la
maldicenza affermava, viene esibito, ostentato,
come se si volesse dar credito a tutte le voci
che circolavano. Sancia non fa sconti e non giustifica nessuno, tanto meno
se stessa; lo vedremo persino quando narrerà la
sua tormentata storia con Cesare.
Si manifesta sempre nella sua fierezza, ma anche nelle sue
debolezze, nei suoi peccati, come nella sua
vitalità che la porta a non arrendersi mai;
finisce così per rendere un
po’opaca ed ambigua la figura di Lucrezia.
Di lei metterà in evidenza il doppiogioco e la
“prevedibile imprevedibilità”, soprattutto
quando ci narrerà il tragico epilogo
dell’esistenza del marito: il suo amato
fratello Alfonso.
Una multiforme, indefinibile Lucrezia, questa; ci fa
pensare ad Uno, nessuno e centomila, di pirandelliana memoria.
Lo stesso atteggiamento Sancia terrà nei confronti del
suocero Alessandro VI, “Sua
Santità”; di lui farà emergere, oltre
che l’amore, più o meno discutibile, per la
sua numerosa prole, la spregiudicatezza, il
venir meno alla parola data, nonché la
dissolutezza.
E non diversamente Sancia si comporterà con Cesare,
dapprima ammirato ed amato, poi temuto ed odiato
(dopo la morte di Alfonso).
Goffredo, suo marito, sarà forse l’unico, pur nella sua
indole debole e gentile, a restare immune dai
misfatti della sua famiglia.
E poi c’è la canterella, veleno dal nome soave, quasi un personaggio occulto e
silenzioso, che apre questo libro e come un fil rouge
attraversa
la storia dei Borgia: una storia di “arrivi e
dipartite”, di “ascese e discese”, una
storia che spesso divora i suoi artefici.
“Chi di male
ferisce, di male perisce”, pare
sussurrarci questo libro e soprattutto il
destino del papa Alessandro VI che da
“avvelenatore” diventa vittima del suo
stesso sistema.
Insolito davvero, il mio percorso di lettura: da un diario
segreto ad una biografia,
fino ad un romanzo
che vede sempre coinvolti i Borgia.
Il mio è forse un non voler abbandonare la storia di una
famiglia, prima soltanto guardata con diffidenza
e poi forse anche un po’ “ammirata” per la
sua spregiudicatezza, per quel suo funambolismo
esistenziale cui accennavo all’inizio della
mie riflessioni…
Non posso non ammirare la fierezza della giovane Sancia che
sopravvive a tante tempeste, non ultima la
“dorata prigionia“ a Castel Sant’Angelo, né
smetto di stupirmi di fronte alla facilità con
cui l’orizzonte
politico dell’epoca ricorreva alle azioni più
scellerate.
Un po’ meno, forse, dovrei meravigliarmi del
doppiogiochismo e del camaleontismo, di quel “qui lo dico e qui lo nego…” che purtroppo caratterizza anche i
nostri piccoli orizzonti quotidiani.
è un male
trasversale, comune a tutte le epoche, e connota
più o meno tutti i personaggi di questa
appassionante vicenda.
è il gioco perpetuo della vita: lo “schiva
e fuggi” o “lo schiva e cambia cartello”?
Giulia
Notarangelo
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