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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI MATERA
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
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Accettura (ruderi di fortificazioni: Costa Raja, Gallipolis, Tempa Castello)
«Località Costa Raja. In questa località sono visibili oggi i ruderi di insediamenti medievali ed una probabile fortificazione di forma quadrata che attestano l’origine del primo nucleo abitativo di Accettura che un tempo doveva sorgere proprio in questa località. ... Gallipolis Ubicazione: sommità di Monte Malerba, Periodo storico: 1100. Il sito è ubicato in prossimità di località Palazzo, in cui sorge una struttura conventuale realizzata da S. Guglielmo da Vercelli. Probabilmente l’insediamento è coevo alla struttura monastica e nel tempo ne ha condiviso le sorti. Infatti del centro abitato di Gallipolis si fa menzione in alcuni documenti databili al 1200 dopodicchè questi non viene più nominato probabilmente per il suo abbandono. Oggi sulla sommità di monte malerba sono osservabili alcune strutture facenti parte della parte apicale del centro urbano ed in particolare di una costruzione fortilizia di cui si riconoscono bene le murature esterne, parte di una volta e la scalinata di accesso. tutto intorno per una superficie di circa 1 ettaro si rinvengono ruderi e muretti costruiti con materiali lapidei cementati con malta. sono ben riconoscibili anche alcune strutture ricavate direttamente nel substrato roccioso come vasche e canali. L’estensione dell’area interessata dalla presenza di ruderi è di circa 1 ettaro. Accessibilità: da località Palazzo diparte un sentiero che raggiunge Monte Malerba (circa 500 metri). ... Prima di entrare nella città altre forme insediative ne costituiscono il precedente. Si tratta di luoghi che sono villaggi e borghi dove la forma urbana sembra raccontare storie di inizi finiti subito in pochi elementi sparsi nel verde: ruderi di fortificazioni si incontrano a Tempa del Monte e a Serra Antica; avanzi di castelli e di edifici medioevali a Tempa Castello».
http://www.parcogallipolicognato.it/ita/web/item.asp?nav=1209 - nav=1211 - http://www.comune.accettura.mt.it/accettura/section.jsp?sec=100055
«Nel Medioevo, attraverso alterne vicende, il paese passò da un feudo all’altro: appartenne a Givano di Montescaglioso, a Giovanni Bricaldo, consigliere di Carlo I d’Angiò e ai Sanseverino. Nel 1492 passò ad Eligio della Marra, ai Carafa, ai Gusman ed infine ai Colonna di Stigliano. Della presenza di queste famiglie gentilizie restano tracce in alcuni vecchi palazzi del centro storico. Più oscura è la storia nei secoli successivi quando, per la rovinosa amministrazione dei feudatari, si poterono sviluppare solo attività di pura sopravvivenza: un’arretrata agricoltura e un misero artigianato. Ancora oggi l’economia si fonda soprattutto sull’agricoltura, praticata però con criteri e mezzi moderni, anche se non si è riusciti ancora a ridurre il fenomeno dell’emigrazione. Una speranza di salvezza potrebbe essere il turismo: valorizzare le risorse storiche, artistiche, culturali e paesaggistiche. Aliano possiede un paesaggio quasi lunare con moltissimi calanchi che, per estensione e varietà, sono tra i più maestosi d’Europa».
http://www.old.consiglio.basilicata.it/conoscerebasilicata/cultura/percorsi/pdf_comuni/aliano.pdf (a cura di Salvatore Sebaste)
Altojanni o ALTOGIANNI (resti della fortificazione)
«Nei pressi di Grottole, in provincia di Matera, si scorgono resti di insediamenti umani di epoche lontane, dove è possibile respirare odori che rievocano tempi passati. Lì un piccolo appezzamento di terra situato tra il Santuario di Sant'Antonio abate e Castel Crotula prende il nome di Altogianni. Per la precisione esso comprende un'area che va dalla valle del Bradano a nord, e dal torrente Bilioso a sud, giungendo fino alla cima di un colle ove si possono scorgere i resti di un'antica torre, delimitata da un recinto. In realtà, la "torre" in questione altro non è che un resto di fortificazione. Un tempo da questa torre che, maestosa sovrasta le due vallate, era possibile scongiurare attacchi a sorpresa ed assicurare un'agevole difesa del territorio. Poi, col passare degli anni, l'antico borgo venne in qualche modo distrutto. Se per mano umana o ad opera del tempo, a noi non è dato di saperlo. Eppure in un'epoca molto lontana, i rintocchi della campana dell'abbazia scandivano il ritmo della vita. Poi tutto è andato perso. A partire dal 1500, infatti, di Altogianni non si sa più niente. Lo storico Tommaso Andreucci, ricostruendo la storia del borgo, ha sostenuto che esso fu sotto il Principato longobardo di Salerno, dei Saraceni, degli Angioini, degli Aragonesi e di altri popoli ancora. Molti di questi apportarono scompiglio e afflizione. Fu anche sottoposto alla giurisdizione di vari feudatari come il Castaldo di Acerenza, dei Zurlo, degli Orsini, del Principe di Taranto e del Contado di Montepeloso (l'Irsina di oggi). Subì anche numerosissimi saccheggi. In seguito furono in molti ad imporre il loro potere, a cominciare da Guglielmo Braccio di Ferro, Ruggiero il normanno, poi Giovanni d'Angiò, fino al regno di Giovanna II. Secondo lo storico Pasquale Simone, invece, gli abitanti di Altogianni furono dapprima colpiti dalla peste negli anni 1655-56, poi del tutto atterriti da un devastante terremoto. I sopravvissuti, sempre secondo lo storico, si sarebbero in seguito trasferiti nella vicina Grottole. Ancora, opinione comune degli studiosi Andreucci e D'Angella, fu che ad Altogianni un tempo vivessero circa centocinquanta persone, dedite per lo più alla coltivazione della terra. Oggi non resta che silenzio e desolazione ...».
http://consiglio.basilicata.it/consiglioinforma/detail.jsp?otype=1120&id=259184&appro=1#.UYYwlspj_pA
a cura di Vito Bianchi
Le foto degli amici di Castelli medievali
Calciano (ruderi del castello)
«U' castidd o Rocca: posto a poca distanza dall'abitato di Calciano, è di origine sconosciuta. L'ipotesi che i ruderi vengono chiamati dai calcianesi u'castidd (il castello) prende spunto da due documenti bizantini, rispettivamente dell'anno 1002 e dell'anno 1023, che sostengono che i ruderi possano in realtà essere i resti dell'antico monastero greco-bizantino della Théotokos, intorno al quale era sorto un Corion, un borgo non fortificato (l'antica Calciano situata in località Paese di Pede). Insediamenti rupestri e fortificazioni. Nel percorrere il tratto di strada che collega la Statale Basentana al centro abitato, si notano i resti del vecchio paese (Paese di Pede) medioevale Caucium, comprendenti una fortificazione (Castello o Rocca), la Chiesa della Rocca (dedicata a S. Maria della Rocca) e la Cinta di Santa Caterina. La fortificazione di origine Osca è perforata da grotte un tempo abitate ed attualmente in via di recupero. Sul lato destro si trovano i ruderi della Chiesa della Rocca, di origine Normanna e con struttura abbaziale. Sul versante sinistro, sovrastante il burrone della Venicella, si trova la Cinta di Santa Caterina, con due piccole grotte scavate nel tufo e affrescate dall'icona di Santa Caterina, la figura di Lucifero e quella di S. Antonio Abate, tutte non facilmente decifrabili».
http://it.wikipedia.org/wiki/Calciano#Ruderi
«Il castello Baronale fu costruito nel 1593, sui resti di una precedente struttura di epoca tardo bizantina. Nonostante i rimaneggiamenti subiti, l’ultimo infatti risale al 1842, la struttura odierna ha conservato l’impianto originario. Sulla facciata si legge la seguente iscrizione ”Questo vecchio castello che una col titolo di baronia Filippo Formica il primo tenne nel MDXCIII i fratelli Filippo Angiolo e Giuseppe discendenti di lui soppressi i segni della feudale giurisdizione a miglior forma ridussero nel MDCCCXLIII”. Particolarmente interessante è la torre ovale, presente all’interno della corte del castello, torre che con la sua pianta ellittica è uno dei pochi esempi esistenti e visibili in Europa. Fu realizzata con tale tecnica costruttiva su progetto dell’architetto Pietro D’Agincourt. Particolarmente interessanti sono gli altorilievi che adornano i beccatelli dei due balconcini che si affacciano sulla piazza. Infatti tre dei sei volti di donna scolpiti in pietra locale presentano un’acconciatura molto singolare e pronunciata, gli altri tre mostrano un evidente gozzo».
http://www.sibasilicata.com/scheda_itinerario.php?id_prodotto_itinerario=6&
Colobraro (ruderi del castello baronale)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il Castello di Colobraro viene realizzato da un capitano di nome Colombano. Si narra che egli abbia edificato la fortezza solo dopo aver ottenuto la signoria del luogo. Il possesso di questa terra lo ottiene per atti di valore che compie durante una delle prime crociate. Secondo altre testimonianze, il capitano ottiene la signoria del luogo da un barone, il nobile Guaimario. La roccaforte, per un lunghissimo lasso di tempo, diviene la sede più ambita, per eccellenza, dei soggiorni di ricchi signori, nonché di diversi feudatari. Tra questi, se n’è possono rammentare alcuni quali i Chiaromonte, i Sanseverino, i Carafa, i Donnaperna e i Brancalasso. Questi signori, grandi feudatari, si avvicendano alla guida del feudo di Colobraro. Pare che il castello baronale possa conservare alcuni segreti che non tutti conoscono. La storia della fortezza sembra avvolta nel mistero. Si narra che nel fondo dei suoi pozzi vi abitano centinaia di serpenti. La presenza di questi serpenti è in parte legata alla radice dell’appellativo Colobraro;appellativo, per molti, addirittura innominabile per un’antica credenza superstiziosa. Del castello, dall’aspetto sfarzoso e principesco, oggi restano soltanto pochi ruderi. Accanto ai resti del castello, si trova la Chiesa parrocchiale di San Nicola risalente al XII secolo. Numerosi sono i tentativi di valorizzazione. Un progetto per il recupero di questo patrimonio storico e architettonico della zona, è oggi all’attenzione degli esperti».
http://www.basilicatawiki.it/index.php?title=Colobraro
Craco (castello e palazzi gentilizi del paese fantasma)
«La prima testimonianza del nome del paese risale al 1060, quando il territorio viene sottoposto all'autorità dell'arcivescovo Arnaldo di Tricarico e citato con il nome Graculum, ovvero “piccolo campo arato”. In epoca normanna il feudo di Craco viene assegnato a Erberto (1154-1168) e successivamente a Roberto di Pietrapertosa (1176-1179); in epoca sveva il paese, grazie alla propria posizione strategica, diviene un importante centro militare e viene affidato a Goffredo (1239). Nel 1276 Craco diventa sede di una Universitas, ovvero un Comune. La fortuna del paese si deve, come si accennava, alla sua posizione strategica tra le valli fluviali del Cavone e dell'Agri, in passato navigabili, vie privilegiate per chiunque volesse attraversare la Basilicata interna: infatti la torre di Craco costituiva, assieme ad altre fortificazioni della zona come la Petrolla di Montalbano, il castello normanno-svevo di Pisticci ed il castello di San Basilio, una rete di torri di avvistamento in grado di garantire il controllo assoluto dell'intera zona. Con la salita al trono di Carlo I d'Angiò (1268) Craco viene infeudata a Pietro de Beaumont. In seguito si avvicendano al potere le più potenti famiglie del Medioevo: i Monforte (fine del XIII sec.), i Del Balzo, gli Sforza (XV sec.), i Sanseverino (XVI sec.). Nel 1799 la popolazione aderisce agli ideali repubblicani sollevandosi contro il potere dei nobili feudatari ma la ribellione viene soffocata nel sangue dalle truppe del Cardinale Ruffo presso palazzo Carbone. Nel XV secolo, la città si espande intorno a quattro palazzi nobiliari: Palazzo Maronna, vicino al torrione che domina il paese, è caratterizzato da un bell'ingresso monumentale in mattoni e da un grande balcone terrazzato; Palazzo Grossi, vicino alla Chiesa Madre, ha un alto portale architravato, privo di cornici. I piani superiori sono coperti da volte a vela e decorati da motivi floreali racchiusi all'interno di medaglioni. Parte delle finestre e dei balconi conservano ringhiere in ferro battuto; Palazzo Carbone, edificio della fine del '400, ha un ingresso monumentale. Nel Settecento è stato rinnovato ed ampliato; Palazzo Simonetti. Sono inoltre ancora visibili i ruderi di un torrione, chiamato dagli abitanti di Craco “il castello”, della chiesa di di San Nicola, della chiesa e del convento di San Pietro nonché della sorgente del lago Salso. A causa di una frana di vaste proporzioni, nel 1963 Craco è stata completamente evacuata e la popolazione si è trasferita a valle, in località Craco Peschiera».
http://www.basilicatatour.com/craco.html
Ferrandina (castello di Ferrazzano, centro storico)
«Nel luogo dove sorge l’odierna Ferrandina, un tempo, insisteva il castello di Ferrazzano o Ferracciano, un centro che alla fine del XII sec. era posseduto da Riccardo de Camarda. Qui pare fosse successo un fatto che sconvolse totalmente questo abitato. Abbandonato e deserto, fu rifondato, sembra, nel 1470 e nominato Ferrandina in onore di Ferdinando d’Aragona, dopo che gli abitanti del vicino castello di Uggiano corsero a ripararsi dal violento terremoto».
«La tradizione vuole che gli abitanti di Ferrandina fossero quelli dell’antica Uggiano, costretti ad abbandonare il paese d’origine, a causa delle numerose e frequenti frane. È lo stesso Federico a darcene notizia, in una lettera del 1498 diretta al cardinale di Napoli, quando scrive: “Rumando la maggior parte di una terra nostra nominata Uggiano in tempo in cui eravamo Principe… fecimo mettere quei cittadini in altro logo, dove è fondata una bella terra nominata Ferrandina; la quale essendo stata fondata per noi… etc.”. In realtà le carte e i documenti del XV secolo, indicano che i due paesi hanno continuato a coesistere per lungo tempo. Il feudo di Uggiano era divenuto parte dei possedimenti di Federico già nel 1487, in seguito alla confisca dei beni di Pirro del Balzo, reo di aver preso parte alla congiura antiaragonese. Federico, resosi conto delle condizioni miserevoli di vita dei nuovi feudi, concepì l’idea di fondare una nuova città e dedicarla alla memoria del padre. La dotò di solide mura (che ancora nell’Ottocento scoraggiarono le temibili bande di Carmine Crocco, oggi quasi interamente distrutte), provvide alla sistemazione e costruzione di fonti d’acqua potabile, dettò leggi per disciplinare il sorgere di nuove costruzioni. Una volta salito al trono, nel 1496, le conferì dignità vescovile, ma il nuovo vescovo non raggiunse mai la sua sede, o perché deceduto durante il viaggio o perché, dopo la morte del sovrano, nessuno ebbe interesse a reclamarne l’investitura. Ferdinando il Cattolico la cedette a Bernardo Castriota, profugo d’Albania, nel 1501. Il feudo rimase possesso dei Castriota fino al 1548, anno in cui ritornò agli aragonesi, che lo vendettero, nel 1556, a Don Garzia Toledo, col patto della ricompera. Nel 1573 il patto venne subastato e i Villafranca Toledo rimasero definitivamente padroni del feudo fino all’eversione della feudalità».
http://www.vacanzeinbasilicata.it/Basilicata/Matera/Comuni/Ferrandina/Da-Visitare/Ferrandina-Castello.asp - http://www.lucaniaturismo.it/ferrandina
Garaguso (castello o palazzo Revertera)
«A fianco alla Chiesa Madre dedicata a San Nicola si trova uno stupendo palazzo che dà l´impressione di un castello: è Palazzo Revertera, grande e massiccio, che si staglia sulla formazione dolomitica, con i suoi sotterranei scavati nella roccia. Costruito dal duca Revertera di Salandra a scopo venatorio, nei primi anni del ‘700, divenne il polo della ricostruzione del nuovo borgo di Garaguso, in quanto quest’ultimo era stato distrutto dal terremoto del 1694. In precedenza, nel 1060, Garaguso si era trovato nella giurisdizione del vescovo di Tricarico ed era appartenuto ai Sanseverino di Tricarico. Il centro abitato attuale, come detto, venne ricostruito dopo il sisma del 1694, intorno al casolare del conte Sanseverino, nei cui pressi i Revertera fecero costruire il loro palazzo. Il castello non fu più ricostruito, anzi, al suo posto Nicola Ippolito Revertera volle e fece realizzare un edificio quadrato e basso, oggi sede della scuola media. Il palazzo si realizza su di una pianta rettangolare e su due livelli principali: il piano terra doveva ospitare le stalle, mentre al primo piano vi era l’abitazione dei duchi, gli altri ambienti sono sotterranei. La facciata, molto semplice, si adorna di un portale sormontato dallo stemma ducale della famiglia. Degno di nota è il loggiato a tre arcate. Si tramanda che circa tre secoli fa nel palazzo avvenne un fatto orrendo: era nato il bambino del barone e la città, per l´occasione, organizzò una festa per salutare tutta la famiglia Revertera, ma quello stesso giorno il bambino sparì misteriosamente. Sia il barone che sua moglie si misero a cercare l´infante, ma nulla fu trovato. Una tradizione vuole che il bambino sia stato trovato da una famiglia di pastori che lo accudì e lo crebbe come uno dei tanti, ma un´altra tradizione dice che ancora oggi, nelle giornate ventose, si avvertono le voci dei genitori che chiamano il bambino».
http://castelliere.blogspot.it/2012/11/il-castello-di-martedi-27-novembre.html
Gorgoglione (castello non più esistente)
«Le prime testimonianze storiche risalgono ai primi anni dell’XI secolo, quando il paese faceva parte del contado di Tancredi d’Altavilla. Un documento datato 1070 fa riferimento al castello Gurgulio e al monastero dell’Abbate Niso o Santa Reparata, che successivamente fu donato dal conte Umfredo all’abbazia di Montescaglioso insieme a Santa Maria di Abbate Lupo, a Santa Maria di Acina e ai relativi patrimoni fondiari. Testimonianze di questa fase sono i resti della Fiumara di Gorgoglione noti come “Grotta dell’eremita”. Nel 1160 Gorgoglione era nelle mani di Patrizio, che aveva sposato la vedova di Alberto di Gorgoglione, un omonimo del quale, appartenente alla stessa famiglia e signore di Acquaviva in Puglia, aveva fatto costruire la chiesa del paese. Nel 1175 Roberto Brizio occupò le terre che Umfredo aveva donato all’abbazia, dando inizio a una disputa che venne risolta in tribunale e che restituì i beni all’abate Alferio. Per mancanza di un feudatario divenne demanio regio nel 1240, mentre alla fine del XIII secolo apparteneva a Guglielmo della Marra. Da Eligio della Marra passò ad Antonio Carafa e poi a Donna Anna. Morto l’ultimo erede della famiglia, Nicola Carafa de Guzman, il feudo fu venduto agli Spinelli. Nel 1806, data in cui la feudalità venne ufficialmente abolita, era del marchese Fuscaldo, protagonista di diversi litigi con l’autorità cittadina, l’ “università”, che avevano come oggetto la proprietà di alcune terre demaniali. Nel 1857 il paese subì ingenti danni in conseguenza a un evento sismico, e nel 1973 una frana travolse molti edifici, incluso una colonia in grado di ospitare fino a cento bambini, in località Piano della Signoria. Il terremoto del 1980, ultimo in ordine di tempo per gli ingenti danni arrecati, ha rappresentato l’inizio dell’abbandono del centro storico, oggi così dibattuto. è facile immaginare, dunque, che delle antiche costruzioni oggi rimane ben poco. Dell’antico castello, delle torri e della porta rimane la piazza che fu del castello».
http://www.lucaniaturismo.it/gorgoglione
Grassano (borgo, palazzi gentilizi)
«Fino al secolo XVI il nucleo abitativo di Grassano era costituito dal solo quartiere di Capo le Grotte. Il piccolo centro, racchiuso da mura, aveva come accesso una porta collocata nelle vicinanze della chiazzodda, la piazza più antica del paese. Fu vicino alla chiazzodda e alla Chiesa Madre che nacquero le prime abitazioni, le casedde, costituite da un solo locale di piccole dimensioni, la cui volta era fatta da un intreccio di canne (la cannizza) e ricevevano luce e aria da una finestra o direttamente dall’ingresso. Qui la famiglia svolgeva ogni attività, in una promiscuità di persone e animali. Durante la prima metà dell’800 si arrivò alla costruzione di un nuovo tipo di casa, il “ lamione”, con soffitto (la lamia) fatto di mattoni e con una stanza per gli animali. Successivamente si costruirono alcune stanze sul “lamione”: la casa “soprana”. Questa era pavimentata con mattonelle quadrate, mentre il lamione con mattoni rettangolari. Le “casedde” risultano ora quasi del tutto abbandonate o trasformate in cantine e depositi, mentre “i lamioni”, legati all’economia agricola dei “mulari”, i piccoli proprietari che possedevano i muli, sono stati riattati con la sopraelevazione e trasformati in negozi e in botteghe nella Via Meridionale. Sono da notare alcuni palazzi gentilizi: in Via Forno il Palazzo Ruggieri, sede del Governatore che amministrava per conto del Duca della Salandra la giustizia e le rendite da questi possedute nel territorio. Da segnalare inoltre il bel portale d'entrata sormontato dallo stemma gentilizio del Duca realizzato alla fine del '700 e il grande salone con le sue volte a vela oltre all’interessante scalinata d'ingresso. In Via Roma il Palazzo Schiavone e il Palazzo Ferri. Quest’ultimo si presenta con un ampio cortile, balaustre ed archetti in ferro battuto, ha una pianta quadrata e rappresenta il tipico palazzo padronale d’inizio ‘800. Merita una visita anche il Palazzo Materi la cui costruzione si fa risalire tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800, con portale e stemma scolpiti in pietra locale. Si accede da un grande atrio con ampie arcate. Il Palazzo si trova in via Umberto I, nel cuore del vecchio centro abitato del Paese ed in posizione dominante sull'agglomerato urbano. Originariamente di fronte ad esso non sorgeva la cortina attuale di edifici ad un piano, per cui esso costituiva, l'unica emergenza architettonica insieme alla chiesa madre. Del Palazzo Materi fa cenno anche Carlo Levi nelle prime pagine del Cristo si è fermato ad Eboli. Accanto si nota Palazzo Materi Leoni».
http://www.comune.grassano.mt.it/Dest.php?id=2&Sezione=Arte&Nome=Il%20borgo%20antico
Grassano (castello o palazzo Commendale)
«La prima notizia che troviamo sul "castello" di Grassano è riportata nella Bolla di Godano, Arcivescovo di Acerenza del 1060, pubblicata da Mons. Zavarrone, Vescovo di Tricarico, quantunque un tal documento venga sospettato di falso. In esso si parla del "Castellum, quod vacatur Grassanum" e così parimenti nel privilegio di Roberto, Conte di Montescaglioso e Governatore di Tricarico, datato 1070. Certo, basandoci su questi documenti non possiamo affermare con certezza che a Grassano vi fosse un castello, vista la lacunosità delle fonti su questo aspetto, inoltre bisogna tenere da conto che anticamente il termine "Castello" veniva usato anche per indicare quei "borghi circondati di mura che erano situati su un’altura". A fugare alcuni dubbi ci aiuta la più antica cartina della Basilicata datata 1590, dove il centro abitato di Grassano è raffigurato come un "castello" diruto. Mentre altre notizie ce le fornisce Francesco Crispi, che venne in visita elettorale a Grassano nel 1874, che scrive: " [Grassano] fu feudo dei cavalieri di Malta. Un Commendatore di quell’Ordine abitava nel comune in un turrito castello, abbattuto con la soppressione del feudalesimo. Sulle sue rovine fu edificata la chiesa parrocchiale". Dunque proprio nel palazzo Commendale potremmo identificare il "castello", infatti in un "Cabreo, Platea seu inventarium omnium bonorum Venerandae Commendae Grassani ..." datato 1763-1764 vediamo indicata la sede del commendatore come "Castello seu Palazzo Commendale" o con il termine latino di "castrum". A ulteriore conferma vi è il fatto che, fino ad una trentina di anni fa, era in uso chiamare lo spiazzo posto alle spalle della chiesa madre "dret u castid" ovvero "dietro il Castello". Ma una soluzione definitiva atta a fugare ogni dubbio ce l’ha data solo la consultazione di un altro Cabreo della Commenda di Grassano datato 1737-38 attualmente custodito presso la National Library di La Valletta (Malta), al quale si trovano allegate 41 tavole acquerellate in cui sono raffigurati i territori, le chiese e i palazzi appartenenti alla Commenda di Grassano ed anche il prospetto del "castello" di Grassano. Qui possiamo vedere in tutta la sua imponenza il "Castel Commendale" che troneggiava sulla cima del colle di Grassano e che inglobava anche la chiesa madre.
Il "Cabreo della Commenda Gerosolomitana di Grassano del 1763-64" ci fornisce anche una descrizione di questa struttura, infatti vi leggiamo: "Il Castello, ossia Palazzo Commendale, di più stanze, è situato dentro detta Terra, alla cima del monte, attaccato, dalla parte di settentrione, con detta Chiesa Madre tiene l'ingresso al lato della gradinata di detta Chiesa verso levante per (mezzo di) un portone di pietra ben lavorato, [...] sopra detto portone; al di fuori vi è l'arma gentilizia del fu Ecc./mo Sig. Commendatore Quarto scolpita sopra una pietra bianca e forte, che viene sostenuta da due ferri grossi, uno che sta nel muro e l'altro in detta pietra, sotto la quale vi è un lapide con la seguente iscrizione: FRA' D. GIOVANNI QUARTO, DEI DUCHI DI BELGIOIOSO, PREFETTO DI UNO DEI TRIREMI DELLA SANTA RELIGIONE GEROSOLIMITANA, BARONE, QUALE COMMENDATORE DI GRASSANO, DI CUI HA RESTAURATO IL CASTELLO E LO HA AMPLIATO CON QUESTA GRANDEZZA NELL'ANNO DEL SIGNORE 1705. Vi è un buon cortile parte coperto a lamia, ossia supportico, e parte scoperto; quello coperto è attaccato al portone e sopra (di esso) vi si può fabbricare per farvi altre camere; a mano sinistra, sotto detto cortile coperto vi è un passaggio il quale (ti) conduce a tre stanze a lamia: la prima serve per uso di carcere, la seconda per i guardiani (e) la terza per la pagliera. Sotto di essa evvi vi è una casetta che ha l'uscita fuori del palazzo, verso mezzogiorno; al presente sta affittata a Grazia di Cuzzo per carlini nove; di rimpetto alla detta pagliera vi è una stalla grande per dieci cavalli e, più sotto di essa, vi è una grotta grande che può servire per magazzino o per casa di abitazione; anche la porta è fuori dal palazzo verso mezzogiorno (ed) è stata fittata a Margherita Lo Russo per carlini sedici. Di rimpetto al cammino vi è una portella che serra (chiude) la casa dell'orologio di essa Terra, che è attaccato alla detta Chiesa; nel muro del cortile scoperto vi è una porta la quale sporge nella Chiesa suddetta e serve per comodo dei Sigg.ri Commendatori e loro servitù per quando vogliono andare in chiesa; la porta è di castagno, in faccia alla quale vi è intagliata l'arma della Religione Gerosolomitana colla maniglia che è dentro detto e cortile che (serra) chiude detta porta. Più sopra di essa, alla quinta (all'angolo) del muro vi è una cisterna d'acqua piovana (che) si raduna e dallo stillicidio di detta Chiesa e da quello di detto Palazzo; vicino a detta cisterna vi è una porta sopra la quale vi è scolpita l'arma di detta religione, per il medesimo piano si entra in una saletta, nella quale vi è una fossa (di) per tener vettovaglie della capacità di tomoli cinquecento; attaccata a detta sala per una porta si passa a due altre camere che servono per magazzini ed hanno le altre porte, che hanno l'uscita nel giardino di detta Commenda. In detti magazzini vi sono undici granai, ossia cassoni di legno, (da) per conservare grano, della capacità (di) tomoli duemila circa ... Oggi del Castello rimangono in piedi solo una piccola parte delle imponenti fortificazioni, parte del piano terra del castello, la torre d'angolo (pur se mozzata) e le imponenti stalle e prigioni».
http://www.associazionefinisterre.it/cittamelitensi/grassano/cittamelitense_castello.htm (a cura di Innocenzo Pontillo)
Grassano (torretta d'avvistamento)
«è quanto resta di una torre d'avvistamento e segnalazione, probabilmente d'origine medioevale. Avrebbe bisogno di un urgente restauro».
http://www.basilicata.cc/chiese/grassano/Tscritto/ampo_01_00.htm
redazionale
Irsina (palazzi gentilizi, resti del castello di Montepeloso)
«I palazzi gentilizi più imponenti, palazzo D'Amato Cantorio e palazzo Janora, sorsero su via Roma, la via che collegava le piazze più significative del borgo, piazza San Francesco e piazza Castello. Su via Sant'Angelo è situato il palazzo Arsia. Da ricordare, sicuramente, il palazzo vescovile e il palazzo Rizzi. ... Palazzo Nugent. Il palazzo Nugent è stato edificato sul precedente castello medioevale risalente al XIV-XV sec. ed ingloba la porta Maggiore, o di Sant'Eufemia, principale punto di accesso alla città. Nel XVIII sec. i feudatari di Montepeloso, i Riario Sforza, trasformarono la fortezza in residenza della famiglia. La struttura, difesa all'esterno da un'alta cortina muraria, si sviluppa intorno ad una corte quadrangolare alla quale si accede dal portale finemente lavorato. Il pozzo è decentrato rispetto alla sua posizione usuale al centro del cortile. Sulla corte si affacciano le tre ali del palazzo che si sviluppa su due livelli: al primo ci sono locali con volte a botte destinati a magazzini, al secondo gli appartamenti del feudatario. Palazzo D'Amato Cantorio. L'epoca di costruzione del palazzo D'Amato Cantorio è riferita al XV sec. Il prospetto architettonico è arricchito da un paramento in bugnato. Sul portale di accesso in pietra modanata è presente lo stemma della famiglia D'amato, originaria di Amantea, che riporta nella parte superiore tre stelle, in quella centrale una fascia e nella parte sottostante un cuore. Nel vestibolo d'ingresso, su cui si affacciano locali adibiti in passato a stalle e cantine, si trova una cisterna e una scala esterna in pietra decorata, posta sulla destra dell'atrio che conduce al piano superiore, dove si dipanano diversi ambienti con elementi d'arredo d'epoca in discreto stato di conservazione. Palazzo Arsia. In via Sant'Angelo, una strada parallela a via Roma e tuttora processionale si trova il cinquecentesco palazzo appartenuto alla famiglia Arsia proveniente da Lucera, nel foggiano. Sull'architrave all'ingresso reca un motto araldico "IN CERERIS STUDIO ARSIA NOS PROLES", cioè: "nell'amore e nell'agricoltura è fondata la nostra famiglia degli Arsia". Un accesso a destra nell'androne porta ai locali adibiti a stalla e cantine nelle quali sono conservate botti di rovere che venivano assemblate al suo interno. Salendo la prima rampa su un portale a sinistra c'è un'altra iscrizione recante lo stemma vescovile e la dicitura "NOS ALMAE CETERIS PREDO; MEMOR IPSA LABORUM; HAEC TRIBUTI DIVITIS GERMINA BLANDA MEIS", tradotta: "non da approvazioni, ma dalla nostra fatica questi chicchi che la divina Cerere ci ha donati, gradevoli al contatto delle nostre mani". L'ultima iscrizione posta sull'architrave del portone centrale recita così "HINC DISCE VIATOR; EST QUOD DO CERTUM; QUOD TENEO AMBIGUUM", "Impara, o visitatore, che quello che diamo agli altri è ben usato, mentre ciò che conserviamo per noi è meno sicuro". Palazzo Janora. Il palazzo fu la residenza dello storico irsinese Michele Janora, l'autore di Memorie storiche, critiche e diplomatiche della città di Montepeloso, in cui analizzò la storia montepelosina dalla sua nascita al cambio di toponimo da Montepeloso ad Irsina del 1895. Anche il palazzo Janora, come il palazzo Cantorio, si affaccia su via Roma e, come il primo, ha un prospetto in bugnato. Palazzo Rizzi. Passeggiando per le vie del centro storico, si possono ammirare altre costruzioni come palazzo Rizzi, anch'esso rivestito a bugnato, in via Antica Tribuna che attestano la ricchezza e la dinamicità della società montepelosina nel tempo».
http://www.comune.irsina.mt.it/citta/arte.php?id=17
Marconia (castello di San Basilio)
redazionale
Marina di Nova Siri (Torre Bollita)
redazionale
«L’itinerario percorre la parte antica della città seguendo le tracce delle antiche mura e le porte di accesso al nucleo della Civita. La visita prende avvio da P.zza Vittorio Veneto, dove è possibile vedere attraverso gli ipogei quello che era il Fondaco di mezzo, antico mercato cittadino fino alla fine del 1800 e dove si trova una delle torri aragonesi, rimasta incompiuta, e inglobata nella fondazione del Convento dell’Annunziata, messa in luce durante i lavori di sistemazione della piazza, negli anni 90. Inoltre, vi era una delle prime porte di accesso alla città risalente al XIV secolo, Porta Maggiore o della Bruna, presso il convento dei domenicani e della relativa chiesa. Si prosegue seguendo l’antica via delle Beccherie, dove vi era la Porta Pepice o del Sambuco, che, dotata di ponte levatoio, costituiva il luogo per il pagamento del dazio e che si trovava sull’antico fossato che incideva l’area antistante il convento di S. Francesco d’Assisi. Si giunge così a scorgere quello che resta delle antiche mura medievali del Castelvecchio normanno, oggi inglobate in successive abitazioni e dove si trovavano la Porta di Suso e quella di Juso, lungo la saliti che portava al duomo. Attraversando la Piazza del Sedile, si scende per Via Pennino, che segue per un tratto il tracciato della murazione pre-aragonese, dove si potrà ammirare una delle due torri cilindriche già attestate in epoca medievale, Torre Capone. Si attraversa Via B. Buozzi, per salire sul Monte Errone e visitare le chiese rupestri di Madonna dell’Idris e S. Giovanni in Monterrone e ammirare i mirabili affreschi in esse conservati. Scendendo dallo sperone dell’Idris si risale lungo la scalinata di Via Muro, la via che prende il nome proprio dall’antica cinta muraria di cui sarà possibile individuarne tracce tra la roccia calcarenitica. Si giungerà, così, in Piazza Duomo, sulla Civita, primo nucleo della città e antica sede del Castello Normanno, dove sarà possibile ammirare l’imponenza della Cattedrale duecentesca dedicata a Maria SS. Della Bruna. La visita continua scendendo da Gradoni Duomo per raggiungere la seconda torre cilindrica superstite, la Torre Metellana, nei pressi della quale si trovava un’altra porta che favoriva l’ ingresso al Sasso Barisano. Attraverso una ripida e stretta scalinata si scende ancora più in basso in Via Fiorentini, per risalire in Via S. Biagio, dove si trovava l’omonima Porta S. Biagio. La visita si conclude con una delle più suggestive chiese di Matera, la Chiesa di S.Giovanni Battista, già Santa Maria la Nova, che sorge dove proprio in epoca medievale si trovavano i “foggiali”, fosse per la conservazione di grano e legumi».
http://www.madeinmatera.it/piantina-sassi-di-matera-e-visite-guidate
a cura di Vito Bianchi
Le foto degli amici di Castelli medievali
MATERA (masseria fortificata Monacelle)
«La masseria, ubicata nei pressi del villaggio rurale La Martella, è costituita da una serie di corpi congiunti, diversi per epoca, e forse rappresenta, nel novero dei complessi rurali fortificati, l'espressione più valida, più riuscita se si vuole, per il gran numero e per la qualità degli apprestamenti difensivi che si riscontrano; questi ultimi, integrativi di una struttura rurale già esistente, sono di realizzazione ottocentesca - una valenza estesa a tutte le masserie fortificate - a difesa e garanzia dal brigantaggio e dall'abigeato (il brigantaggio "spicciolo"), così realizzando nella masseria fortificata un forte baluardo di presidio territoriale, esteso anche ai raccolti ed ai ricavati zootecnici. Non se ne conosce con certezza l'anno dl costruzione, ma sappiamo che era già attestata nel 1670 da una data incisa sulla cortina di collegamento di una torretta casamattata con l'edificio residenziale, che occupa il centro di tutto il complesso. La masseria, che si articola su due livelli (piano-terra per i servizi di azienda, primo piano per l'alloggio padronale), si sviluppa su di un impianto irregolare, che è il sicuro risultato di una realizzazione avvenuta in più tempi e di certe modifiche funzionali. Il rilievo della masseria, che tipologicamente si qualifica quale vera e propria struttura abitativa secondo l'orientamento d'epoca (7/800), è tutto nella sua esemplarità di complesso rurale, fortificata tra i più cospicui ed interessanti dei Materano. II sistema difensivo offre pertanto alla vista una massiccia cortina muraria con camminamento di ronda e torri ai vertici, circolare l'una e quadrata l'altra, munito di feritoie, estese pure alla cortina ed all'appartamento residenziale, per il controllo di tutti gli angoli del complesso; la difesa ed il controllo sono attesi da una precisione ed una meticolosità davvero certosine, che nulla lasciano al caso; e ne sono la riprova le varie torrette casamattate dislocate in più parti, soprattutto nei punti strategici, come ad esempio quella addossata all'edificio centrale, che consente l'osservazione delle due corti, la particolarità stupefacente di questo agglomerato, dotato tra l'altro di cappello interna, una presenza che assevera la destinazione residenziale dell'intero complesso».
http://lucania1.altervista.org/chiese/testo.php?id=26&com=Matera&est=matera.php
MATERA (masseria fortificata San Francesco)
«Le prime notizie sulla zona in cui fu edificata la masseria risalgono al XVII secolo, quando i frati francescani acquistarono, nella contrada di Chiancalata del reverendo don Giuseppe Dragone, un “parco” con pozzi, grotte, stalle, palombari e alberi di olive. Nel parco vi era una grancia, che i padri francescani utilizzavano per la ricreazione. Il convento fu in continua ascesa sino agli inizi del XIX secolo, ma nell’anno 1806 con le leggi napoleoniche fu soppresso, per cui i beni passarono al Comune e al demanio dello Stato. Nel 1881 il parco, che comprendeva un oliveto, un frantoio e alcune camere, fu assegnato al sig. Andrea Giudicepietro, che successivamente lo acquistò. La masseria fu ereditata da Maria Nicoletta Vizziello, figlia della defunta Maria Raffaella Giudicepietro, e quindi dagli attuali proprietari Gattini. La masseria di San Francesco si trova sulla strada che collega Matera a Montescaglioso. La costruzione rurale, costituita da un corpo centrale e un’antica torre quadrata, da cui si dipartono due bracci, uno verso sud, l’altro verso ovest, assume una posizione preminente.è recintata da un alto muro che, oltre ad avere una funzione difensiva, delimita grandi spazi destinati alla custodia degli animali, al pascolo degli agnelli e alla coltivazione degli ortaggi. Il complesso presenta due ingressi, quello attuale, a sud, e sulla recinzione un altro più antico murato, sul cui arco a tutto sesto è inserito lo stemma francescano, mentre a monte si intravedono i resti di un campaniletto a vela.
La costruzione è costituita da più nuclei di diversa datazione, tra cui emerge quello centrale, un’antica torre quadrata, sorta come torre di avvistamento e di osservazione di tutta l’ampia valle del Bradano. Essa è costruita in conci di tufo e poggia su roccia; non è possibile riscontrare l’ingresso originario per le avvenute trasformazioni. Una cornice marcapiano divide la torre in due parti, di cui la superiore mostra quattro caditoie per la difesa; si presenta a tre ordini, con un primo livello in corrispondenza dell’atrio, un secondo all’altezza dell’attuale cappella e un terzo formato da due vani con camini, adibito a camera da letto. Sul lato ovest si trova il primo corpo aggiunto risalente al Cinquecento, ampliato e modificato nel tardo Settecento con ingresso dal cortile; in questa struttura si colloca la cucina. Nella parte meridionale troviamo il corpo aggiunto nel XVIII secolo. Nella corte ci sono delle grotte che vennero utilizzate inizialmente, una per cappella, una per forno, una per frantoio, una per cantina e la più grande con camino per ricovero dei salariati. A poca distanza vi è una “pecchiaria” che mostra i segni di numerosi stalli tagliati nella roccia per la distribuzione delle arnie. Una statua in pietra di san Francesco, collocata su un piedistallo si trova all’ingresso della grancia. Il complesso rurale ha svolto sempre attività produttive come l’olivicoltura, l’allevamento di ovini, bovini ed equini e fino al 1806 furono proprio i francescani a gestirla direttamente».
http://www.fondazionesassi.org
MATERA (masseria fortificata Selva Malvezzi o Casino del Duca)
«La Masseria Selva Malvezzi, collocata sulla spalla rocciosa di una lama, è indicata sulle vecchie carte catastali come "Casino del Duca". La masseria è posta al centro di un fitto bosco di querce fragne e mostra tre costruzioni di epoche diverse; è cinta inoltre da un muro che racchiude un orto e un giardino. Una recinzione perimetrale esclude un solo edificio: l’alloggio del massaro, costituito da un unico ambiente con camino e finestra, che permette il controllo del piazzale di accesso. Da un’analisi storico-architettonica si sono riscontrati diversi interventi, succedutisi nel tempo. La struttura originaria, del XV secolo, costituita da sole grotte, successivamente ampliata con stalle, alloggio dei salariati e caseificio, si è arricchita nel XVIII secolo di un corpo centrale di fabbrica. Nel 1734 si è costruito un secondo edificio accorpato alla costruzione primitiva e simile a questa nello stile e nel coronamento merlato. La masseria in seguito a questo ampliamento si trasforma da semplice struttura rurale in un complesso agricolo residenziale; nel 1827 viene eretto un edificio che presenta le facciate con lunghe scanalature e mascheroni. Con quest’ultima costruzione, in cui l’elemento residenziale diviene predominante su quello rurale, la masseria viene accatastata con la denominazione di “casino del Duca”. Nel 1854 si ebbe un ultimo intervento, con la costruzione di un terzo edificio collegato a quello del 1734 per l’alloggio dei dipendenti e i servizi di azienda. I comignoli e i mascheroni angolari, realizzati artigianalmente, rispecchiano la migliore lavorazione locale del tufo. La parte residenziale è costituita da tredici ambienti, tra cui una stanza da letto con volta a vela ed il vano letto detto della “duchessa” con volta a botte e riccamente decorata. Interessante è la presenza della cappella di famiglia cui si può accedere solo dall’interno della struttura abitativa. Il rilievo architettonico del complesso è considerevole perché esprime, soprattutto negli edifici accorpati, una sintesi degli elementi migliori dell’arte costruttiva appulo-lucana».
http://www.fondazionesassi.org
«Il Palazzo del Sedile prospetta sulla Piazza omonima, una delle più belle di Matera. Realizzato nel 1540 dall’arcivescovo Saraceno come sede delle adunanze municipali dell’università cittadina, fu ristrutturato e modificato nel 1779. L’edificio ha una forma insolita: un grande arco di ingresso, attorniato da nicchie con statue di terracotta che rappresentano l’allegoria delle quattro virtù cardinali che dovrebbero caratterizzare ogni buon governo: giustizia, forza, prudenza e temperanza. Le due torri campanarie che fiancheggiano la facciata sono in stile rococò e contengono, a sinistra una bella meridiana, e a destra un orologio. In alto, campeggiano le statue dei patroni di Matera, Sant’Eustachio e Maria Santissima della Bruna, che sembrano vegliare sulla città. Il Palazzo fu sede dell’amministrazione comunale fino al 1944; oggi ospita il Conservatorio Nazionale di Musica, intitolato al compositore materano Egidio Romualdo Duni. Nei sotterranei dell’edificio è stato ricavato un modernissimo auditorium, che accoglie prestigiose rassegne musicali e concerti di alto livello».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/matera/palazzo-del-sedile-matera
«Palazzo Lanfranchi prospetta su Piazza Pascoli ed è la massima espressione dell’architettura del Seicento a Matera. Fu eretto tra il 1668 e il 1672 dal frate cappuccino Francesco da Copertino, come seminario diocesano, per volere dell’Arcivescovo di Matera Vincenzo Lanfranchi. Con la costruzione, si adempiva uno dei dettami del Concilio di Trento, che prevedeva in ogni diocesi la presenza di un luogo per la formazione del clero. Eretto su un preesistente convento dei Carmelitani, il cui ordine fu soppresso nel 1652, l’edificio fu sede del seminario cittadino fino al 1864. Passato al Demanio dal governo piemontese, l’edificio divenne sede del Liceo Classico e del Convitto Nazionale. Qui – tra il 1882 e il 1884 – insegnò il poeta Giovanni Pascoli. Oggi, il Palazzo ospita il Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata, la Fondazione Carlo Levi e la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici della Basilicata. La facciata, in pietra locale, si sviluppa su due ordini e fonde armonicamente, in un unico prospetto, l’ingresso del seminario e la preesistente chiesa del Carmine. La parte superiore è scandita da nove arcate delle quali una sola è libera. Il frontale è arricchito da cinque statue collocate in nicchie: San Nicola, la Madonna, San Filippo Neri, San Giacinto e San Carlo Borromeo. La scalinata dà accesso a un lungo corridoio che conduce a un bellissimo chiostro seicentesco, arricchito da una meridiana della seconda metà del Seicento e dai busti dei benefattori che hanno contribuito alla costruzione del grandioso edificio».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/matera/palazzo-lanfranchi
Matera (torre Capone, torre Metellana)
«Percorrendo via Fiorentini, in alto a destra, è visibile la “Torre Metellana”: faceva parte della cinta muraria difensiva che proteggeva la “Civita”, la parte della città che si trova sul pianoro e, vista la sua posizione e le sue caratteristiche, da sempre il bastione difensivo e il cuore politico e religioso della città. È infatti una sorta di fortezza e di acropoli, affacciato sul burrone della Gravina e in tale posizione bastava una cinta di mura per renderla praticamente inespugnabile. Una antica cronaca di Eustachio Verricelli, ci informa che le torri lungo le mura dovevano essere sei, e fatte edificare nell’11 sec., a proprie spese, da un certo Metello, valoroso capitano, che riportò vittorie sui Saraceni e prese stabile dimora nella città. Da qui il nome Torre Metellana. L’altra torre superstite di questa antica fortificazione è la torre Capone, visibile però dal Sasso Caveoso, mentre la “Porta di Suso”, l’arco dal quale si accede alla Cattedrale, è l’unico altro elemento visibile di questo antico sistema difensivo. La leggenda invece, attribuisce la costruzione della torre addirittura al Console romano Quinto Cecilio Metello Numicidio, che sarebbe a Matera morto lasciando il suo nome alla città: Methola».
http://www.sassiweb.it/matera-podcast/sasso-barisano/torre-metellana
«Circondata dall'aspro e suggestivo paesaggio murgico, al confine tra la Puglia e la Basilicata, è ubicata "Torre Spagnola" una delle masserie più rappresentative del territorio appulo-lucano. Deve la sua denominazione alla possente torre merlata, eretta nel periodo in cui il territorio era controllato dalla Corona di Spagna, nella persona del viceré Gusman, come attestato dall'iscrizione posta sulla mensola di un grosso camino, all'interno della stessa torre che per altro costituisce l'elemento originario dell'intero complesso. "Torre Spagnola" ebbe un valore strategico per il controllo delle vie di comunicazione del Materano con il territorio pugliese. La torre fu costruita presumibilmente tra il 1560 ed il 1600 per volontà del Capitano Giuseppe Trullos, nipote del vescovo di Castellamare Giovanni Trullos, trasferitosi nel 1560 a Matera. Lo stesso Giuseppe nel 1603 acquistò il diritto di riscuotere le gabelle e fece della torre un posto di esattoria. I Trullos si imparentarono con la famiglia Ulmo di Matera il cui ultimo discendente si indebitò e si giocò tutto il patrimonio. In punto di morte pensando di pagare il fio di questa sua vita dissoluta per conquistarsi il Paradiso donò questa proprietà ai Domenicani. "Torre Spagnola" con i Domenicani, che l'hanno tenuta fino alla fine del 1700, si trasformò in un tenimento produttivo agricolo, con la costruzione di nuove strutture adeguate al nuovo indirizzo cerealicolo-zootecnico. Ai Domenicani, espropriati per le leggi Napoleoniche del 1806, successero nel primo decennio dell'800 i Marchesi Ferrante di Ruffano. Nel 1840 fu acquistata dal Duca Malvezzi. Proprio i Malvezzi creano la vera e propria masseria di servizio, adibita all'attività cerealicola ed all'addestramento dei cavalli, che venivano venduti all'esercito borbonico, oltre che dei cavalleggeri (soldati a cavallo). Le incursioni dei briganti costrinsero i proprietari a fortificare la Masseria, che continuerà a svolgere, fino ai primi anni del nostro secolo, un ruolo di difesa delle campagne e della produzione agricola. Nel 1938 la Masseria fu venduta a Michele Paradiso di Matera e successivamente nel 1968 alla famiglia Dimauro di Santeramo in Colle che la possiede tutto'ora».
http://www.torrespagnola.it/storia_ita.htm
Miglionico (castello del Malconsiglio)
redazionale
Le foto degli amici di Castelli medievali
Miglionico (castello di Santa Sofia)
«Con la Bolla "Merita Vestrae Religionis", papa Eugenio IV nel 1439 concede l'assenso pontificio per l'erezione del convento di S. Francesco entro le mura del paese. Il Principe Antonio di Sanseverino e gli abitanti del luogo Chiostro Convento di S. Francesco d'Assisi sostengono le spese della costruzione. Dopo la parentesi di alcuni anni in cui è retto dai Conventuali con il titolo di S. Salvatore, il convento passa, con breve dello stesso Pontefice (1444), al governo dei Frati Osservanti con il titolo di S. Francesco. ... La preesistenza di strutture appartenenti all'antico castello di S. Sofia sul luogo dove sorge il complesso conventuale di S. Francesco, impedisce di realizzare l'impianto quadrangolare, consueto nei conventi francescani della Provincia di Matera: i corpi di fabbrica si dispongono in modo variamente articolato intorno al chiostro che, perimetrato dalla successione di arcate a sesto ribassato, conserva il pozzo centrale con vera circolare. I Padri Riformati provvedono nel sec. XVII ad ampliare il complesso con la costruzione di nuove celle e a restaurare i dormitori (A. Altavilla). Il municipio di Miglionico, alcuni anni fa, era ospitato nel vecchio convento francescano, al cui fianco si trova la chiesa di S.Francesco, chiusa al culto, dopo il terremoto del 5 maggio 1990. Durante i lavori di restauro, iniziati nel 1999, è stata ritrovata la salma di Padre Eufemio da Miglionico la quale è stata successivamente inumata nella Chiesa Madre di Santa Maria Maggiore (1999). ... Sulla stradina che porta dietro l’ex convento si trova la Porta Suillina. Di ritorno dall’oriente, dove aveva debellato Mitridate, re del Ponto, Silla passò da Miglionico, percorrendo la via Appia, mentre tornava a Roma per difendere i suoi interessi. Sull’altura del Pian dell’Oste svernò Pirro, re dell’Epiro, durante la guerra tra Roma e Taranto (282 a.C.). In quella località furono ritrovati una batteria da cucina e zanne di elefanti che attualmente si trovano nel museo "Domenico Ridola" di Matera. Tutto il complesso dell’ex convento era un castello normanno: il Castello di Santa Sofia. Nel 1456 fu assegnato ai frati francescani ed era l’unico convento che si trovava all’interno delle mura del paese».
http://web.tiscali.it/miglionico/conven.htm
Miglionico (castello Pirro del Balzo)
«Nei pressi di "F'ntanedd" vi è un vecchio portale appartenente, nel passato, alla famiglia Grande e poi a quella degli Onorati. Un componente di questi ultimi divenne vescovo e fece apporre su di esso il suo stemma, un tempo ben conservato, oggi asportato da mani ignote. Avendo alle spalle il vecchio portale, salendo, a destra, c’è un arco facente parte di un altro castello di Miglionico, abitato da Pirro del Balzo, il traditore della Congiura dei Baroni (1485), signore di Altamura, originario di Andria e promotore del tradimento. Sotto l’arco vi sono le stalle e i locali dove venivano sistemate le carrozze; si notano ancora le camere abitate dal vescovo Onorati, distinte dalle altre per la presenza di un archetto. Proseguendo verso il Torchiano, si notano le pareti esterne delle case con la base più larga del tetto, costruite in questo modo per renderle più stabili e antisismiche. Questo sistema di costruzione normanno è detto a "mucchio di fieno". Percorrendo la stradina che passa nei pressi della casa dei Petito, prima di giungere in Largo Torchiano, sulla sinistra, vi è la Strada dei traditori. Quando un signore aveva combinato qualcosa di grave contro gli abitanti, il popolo lo aspettava lì e lo aggrediva. Attraverso questa strada potevano passare, per la Porta del Signore (nei pressi della vecchia casa del comune del 1796), solo i signori a cavallo per andare, seguendo la valle del Bradano, a Matera o in Puglia».
http://web.tiscali.it/miglionico/torchia.htm
Miglionico (torre di Fino e altre torri)
«Torre di Fino è chiamata così, perché qui aveva termine il paese. Era una torre di guardia dalla quale si vedevano le torri del castello medioevale e quelle del castello di Santa Sofia. Nello spazio adiacente la torre, dopo la seconda guerra mondiale, furono abbattute le vecchie mura di cinta per far posto ad un prefabbricato adibito a scuola elementare. L’alluvione del 19 settembre 1976 provocò una frana che interessò l’area della torre e svelò l’esistenza di una necropoli con arredi vascolari, oggetti di bronzo, ornamenti militari, muliebri e infantili del VI secolo a.C. che si trovano, attualmente, nel Museo "Ridola" di Matera. Nella campagna sottostante, nella Valle dei Templi, si trova la Cappella della Trinità (ricca di affreschi) in cui, nel periodo pagano, era adorato Eracle (Ercole). Ciò testimonia che il popolo lucano ha sempre amato la sua forza e non ha mai preferito essere sottomesso mai a nessuno (i fatti, però, sono sempre andate diversamente!). Continuando il cammino per andare al castello, attraverso stradine medioevali, si arriva nei pressi dei bagni pubblici, dove ci sono i resti delle mura del paese. La prima che si vede era una torre melaniana, la seconda, in mezzo, in parte caduta, una romana e, dietro, una medioevale».
http://www.miglionicoweb.it/torchia.htm
Montalbano Jonico (resti della fortificazione di Petrolla)
a cura di Pierfrancesco Nestola
Montalbano Jonico (torre di Papaciommo)
a cura di Pierfrancesco Nestola
Montescaglioso (castello normanno)
«Eretto dai Macabeo sul finire del XI secolo a controllo di Porta Maggiore, è organizzato intorno ad un cortile al quale si accede da un portale affiancato da una delle due torri superstite. La torre centrale, a pianta quadrangolare, è resa irriconoscibile da una serie di moderni riadattamenti. Al castello è annessa la chiesa di S. Caterina, oggi adibita a bar. Il castello è passato nelle mani delle famiglie che hanno avuto il governo della città: Roberto, nipote del Guiscardo, i Macabeo, Goffredo di Lecce, Enrico di Navarra, fratello della regina Margherita, Ugo de Maccla, i Sanseverino, Bertoldo di Hoemburg, Manfredi al quale era stato donato da Federico II, Pietro di Beaumont, Giovanni di Monfort, i Del Balzo, gli Orsini ed i Grillo-Cattaneo. Nel XVII secolo ad opera della famiglia Grillo che acquista il feudo, il castello è trasformato in palazzo: l’edificio è restaurato e vengono affrescate le volte del piano superiore. Nel 1857 è demolito il braccio dell’edificio che collega Porta Maggiore ed è ricostruita la facciata in stile neomedievale, con merli e garitte. Tra il 1960 e il 1964 è demolita l’ala meridionale, con una delle torri d’ingresso».
http://www.montescaglioso.net/node/450
«Le porte e le torri: la cinta normanna rimarrà invariata fino alla metà del XIX secolo, quando avrà inizio la demolizione delle mura. Le porte erano sei. La più importante porta Maggiore fu demolita nel 1868. Attaccata al castello, era unita ad una grande torre nei secoli XIV-XV, ancora esistente e visibile solo da via Pitagora. Verso est, un altro varco era porta Schiavoni affiancata da una torre merlata. Travolta da una frana nel 1693, crollò definitivamente nel 1882. C'era poi porta Carrera, molto piccola ed aperta dai monaci nelle fortificazioni dell'Abbazia. A Nord Porta S.Angelo (l'unica ancora esistente) che si apriva sulla piazza antistante l'Abbazia. Ad ovest Porta Pescara, dal nome della contrada sottostante. L'ultimo varco era la Portella, presso il convento di Sant'Agostino, demolita intorno al 1880».
http://www.wikimatera.it/home/index.php?page=141
Nova Siri (castello di Diego Sandoval di Castro)
redazionale
Oliveto Lucano (borgo, resti del castello feudale)
«è probabile che nel punto più alto dell'attuale Oliveto Lucano, dove oggi è situata la Cattedrale, ci fosse una torre di avvistamento che divenne polo di attrazione quando la città di Croccia-Cognato, assoggettata dai Romani, perse d'importanza. In questo periodo potrebbe essere stato un casale più o meno fortificato, capace di mantenere una struttura di potere o comunque di aggregazione di una vasta area di territorio. Ma lo sviluppo e la configurazione dell’attuale nucleo antico di Oliveto Lucano è sicuramente di origine medioevale, così pure i segni di utilizzazione del territorio ancora fortemente evidenti. Alla stabilizzazione politica e territoriale dell'Impero Romano seguì una dura storia di dominazioni, di spartizioni e di sistematici saccheggi che forze "esterne" alla regione (Bizantini, Longobardi, Arabi, Saraceni, etc.) imposero a questi luoghi. ... Lo sviluppo del borgo di Oliveto Lucano nel medioevo, probabilmente, si articolò, come si è detto, intorno ad una preesistenza di antiche origini ad economia prevalentemente agricola e pastorale. Forse con qualche forma di specializzazione e commercializzazione di, olio, olive, da cui ne deriverebbe il nome, del resto conserva ancora l'antico organismo economico e lo denuncia attraverso la sua struttura urbana. Il paese sorge su uno stretto e lungo roccione delimitato da profonde gole erose da due torrenti (Pisciolo e un suo affluente) che confluiscono ad est. L'agglomerato medioevale occupa il pianoro più alto e più largo del roccione e presenta la caratteristica. pianta a "fuso di acropoli". Resta solo la zona ad ovest accessibile che funge da vero e proprio cordone ombelicale con il piede della montagna di Croccia-Cognato. è un percorso di crinale che conduce al punto più alto del promontorio, in cui doveva essere localizzata una torre, un nucleo fortificato o, ancora, un santuario. ... Mentre lo schema di impianto è rimasto inalterato per secoli, non si può dire lo stesso del centro abitato: probabilmente distrutto più volte da incursioni saracene e da calamità naturali (es. il terremoto del 1694 che arrecò notevoli danni - citato dal Giustiniani), nel corso dei secoli e per essere rifunzionalizzato dalle esigenze della popolazione e dei vari signori locali. Da una lettura dell'attuale struttura morfologica dell'abitato e dalle pochissime notizie a noi pervenute si può definire quale doveva essere la struttura del centro abitato. Gli elementi predominanti l'abitato erano il castello, riconoscibile fino a pochi anni fa (oggi sono visibili solo le mura di epoca probabilmente quattrocentesca) e la chiesa (probabilmente di origine medioevale). I restanti elementi erano moduli abitativi accostati adattati al1e diverse circostanze orografiche. L'unico blocco edilizio di una certa rilevanza e compattezza doveva essere a nord, lungo l'attuale via regina Elena, tanto da formare una muraglia di difesa verso le zone orograficamente più pianeggianti e accessibili al borgo. Muraglie in cui erano situate delle porte o strettoie d'accesso facilmente difendibili. ...».
http://www.comune.olivetolucano.mt.it/Storia.php
Pisticci (borgo, resti del castello normanno)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«L’abitato, che si modella elegantemente su tre originarie alture e assume la forma di una “S”, si articola in ben 16 rioni, ancora fortemente individuati dalla popolazione. Partendo dalla collina di Serra Cipolla si contano con direzione Nord-Sud i rioni: Rione Terravecchia: è la zona più alta, sede dell’abitato medievale, la sola che si salvò dalla frana del 1688, quando la parte sud-occidentale del paese si staccò per piombare nel burrone sottostante. Era la sede del castello e dell’antica Madonna della Stella, prima parrocchia. La “porta”, ancora esistente, immetteva dal Castello nella “piazza” su cui si affacciava la Chiesa Madre: qui la città aveva il centro di ogni attività, con botteghe di artigiani e negozi, case signorili (Rogges, Franchi, Santissimo) e pubblici uffici. Castello: di origine normanna, di esso restano la torre quadrata e i locali della scuderia. Sotto la torre era una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Il portale di ingresso dava in un atrio coperto e un’altra grande porta si apriva in un secondo atrio scoperto. Da qui, scendendo verso le cantine, vi era un pendio adibito a giardino, frutteto e a piccola vigna. Le prime notizie sul castello sono dell’XI secolo, quando viene ceduto da Roberto, conte normanno di Montescaglioso, ad Arnaldo, Vescovo di Tricarico; passerà poi ai Sanseverino, agli Spinelli, ai Cardenas e ai Rogges. L’attuale proprietario è la famiglia Plati».
http://www.basilicata.cc/chiese/pisticci/Tscritto/pisticci.htm
«Durante il periodo borbonico, Pisticci non insorse né aderì ai moti rivoluzionari e fu spesso saccheggiata da pirati turchi, malgrado la presenza di torri fortezze sul territorio (San Basilio, Torre Accio)».
http://www.basilicata.cc/chiese/pisticci/Tscritto/pisticci.htm
«La Torre Bruni: è situata a poca distanza dalla Chiesa Madre. è di forma rotonda ed è distrutta a metà. è di origine normanna o forse Metapontina ubicata all'ingresso del centro abitato che all'epoca si identificava dove oggi vi è il rione Terravecchia, ed era destinata a posto di blocco. La sua posizione dominante, permetteva di controllare gli sbarchi dei pirati e dei corsari turchi. Fu utilizzata anche dalle guardie nazionali pisticcesi nel corso del Brigantaggio. Nelle sue vicinanze, il brigante Pagnotta assassinò crudelmente alcuni cittadini pisticcesi».
http://www.avmstudio.it/lucusnet/pisticci.html
«...Molte contrade inoltre si chiamano con il nome dei Santi, per via delle cappelle a loro dedicate, alcune perdute, altre intatte, costruite dalla devozione contadina o da quella baronale. Vi sono San Leonardo, San Gaetano, San Pietro, San Vito, Sant'Angelo, la Madonna delle Grazie, la Madonna del Pantano, la Madonna del Carmine. Altre contrade prendono il loro nome dalle attività umane, come il Fosso del brigante o il Fosso del lavandaio, ed altre dalle masserie e dalle case rurali, il Casino di Durante, la Castelluccia, la torre di Minnaja, il Casino di Franchi, l'oliveto del Conte, San Basilio».
http://it.wikipedia.org/wiki/Pisticci#Le_contrade
Policoro (castello Berlingieri)
a cura di Pierfrancesco Nestola
Le foto degli amici di Castelli medievali
Policoro (torre Mozza, già torre de Angri)
a cura di Vincenzo Zito
Pomarico (palazzo marchesale o Donnaperna)
«Vicino alla chiesa di Sant’Antonio si trova il Palazzo Donnaperna, di proprietà comunale, noto come il Palazzo Marchesale, edificato tra la fine del Seicento e il Settecento. La sua possente struttura si articola intorno ad un ampio cortile interno e nel Salone Rosa, dalle volte dipinte a tempere nell’Ottocento. Oggi ospita concerti e spettacoli durante la stagione culturale estiva. Alcuni locali custodiscono il Museo della civiltà contadina».
http://www.comune.pomarico.mt.it/borgo.htm
«La sua storia è collegata all'esistenza nel territorio di due antichissimi centri, Pomarico vecchio e Castro Cicurio. Pomarico Vecchio era un centro lucano fortificato, probabilmente anteriore al V secolo a. C., quando queste terre erano ancora occupate dagli Enotri. Si trovava in vetta alla cima più alta della collina della contrada San Giacomo a 415 m sul livello del mare, distante una dozzina di chilometri dall'attuale città. Nel IV secolo a.C. l'abitato di Pomarico Vecchio subì l'influenza della crescente ellenizzazione della Lucania orientale, che apportò una trasformazione urbana sul modello delle polis greche. Infatti, nei dintorni sono state trovate tombe dell’età greca: in particolare a Lama di Palio sono affiorati degli ostraka (cocci di vaso usati come materiale scrittorio). Il sito di Castro Cicurio (che significa “fortilizio in cima al colle”) deve riportarsi invece all’epoca romana: molto probabilmente è l’effetto della romanizzazione di un precedente insediamento greco, Cichurus. L’attuale Pomarico sorse nell’850 d.C. ad opera degli abitanti di Pomarico Vecchio, dopo che il loro abitato fu distrutto per ben tre volte dai Saraceni. Fin dall’inizio della dominazione normanna (1043) Pomarico fu legato alle vicende della Contea di Montescaglioso subendo anche le prepotenze dei reggitori della Contea e di quelli dell’Abbazia dei Benedettini di San Michele Arcangelo. Tale contesa ebbe termine nel 1714 e all’Abbazia toccò quella parte di territorio dove si trovava Castro Cicurion diventando così una colonia agricola dei benedettini. I feudatari che possedettero Pomarico furono numerosi: Guglielmo Braccio Di Ferro, Roberto il Guiscardo, i Macabeo e i De Balzo; nel Cinquecento appartenne ai signori d'Avalos, poi agli Orsini, ai Naselli e ai Miroballo. Nella seconda metà del Settecento il feudo fu dei Donnaperna, che costruirono il grandioso palazzo marchesale. Nel 1799 partecipò ai moti per la Repubblica Partenopea e nella seconda metà dell’800 prese parte attiva agli ideali unitari. Consistente fu anche il fenomeno del brigantaggio: capobanda era Giambattista Gallo, alias Mulattiere dei Monaci, catturato e condannato a morte alla fine del 1864. ... Nella parte alta del paese, nel Rione Castello, sono visibili i ruderi dell’antico fortilizio e della Chiesa Vecchia, fatta costruire da Francesco II del Balzo intorno al 1450. Si accede fino alla sommità percorrendo ripide e caratteristiche stradine, scalinate ben pavimentate e vicoletti interessanti e puliti che mostrano modeste antiche abitazioni con tetti a tegole. Alcune case sono disabitate, altre ben ristrutturate. Si distinguono alcuni palazzotti gentilizi con portale e ringhiere in ferro battuto, come: Agneta, Siviglia, Pacilio, Fiorentino. Si notano, di tanto in tanto, piazzette in cui ancora oggi si socializza».
http://www.comune.pomarico.mt.it/cenni_storici.htm - http://www.comune.pomarico.mt.it/borgo.htm
a cura di Pierfrancesco Nestola
Rotondella (resti del castello o palazzo baronale, palazzi gentilizi)
«Una delle caratteristiche che distingue il comune di Rotondella sono i suoi palazzi di grande valore artistico e storico. Il più antico di questi è il Palazzo Rondinelli, realizzato verso la fine del cinquecento ma il suo attuale cortile è della seconda metà del Settecento, e di tale epoca sono per lo più gli altri palazzi,ad eccezione del palazzo Ielpo, che è dei primi anni del Novecento. Se,infatti, la fine del Seicento e l’inizio del Settecento è per Rotondella l’epoca delle Cappelle, fondate fuori dalla Chiesa Madre per opera dei sacerdoti, delle quali vi sono testimonianze sicure del tempo, la seconda metà del Settecento è appunto l’epoca dei palazzi,che alcune famiglie agiate si costruiscono come segno della loro preminenza sociale ed economica del paese. Bisogna dire che il primo palazzo costruito in Rotondella è quello baronale, che era propriamente un “castrum”, ossia un palazzo fortificato: qualcuno pretenziosamente lo chiamava castello. Esso sorge, insieme con il paese, nel 1518 per opera dei Principi di Salerno; Roberto San Severino e il figlio Ferrante: ne rimane oggi solo la torre che il Comune ha di recente acquistata e restaurata. Prima della seconda metà del Settecento, non vi era nel paese che un solo palazzo, quello ora detto di Orofino, che era stato costruito dalla Famiglia Rondinelli, quella del medico Francesco, dell’arciprete Nicola e del sindaco Prospero, al principio del secolo. Per il resto non vi erano se non case per lo più senza intonaca e di uno o due vani, con poche case dette palazziate, delle quali troviamo una descrizione in un atto notarile del 1730. Si tratta della casa che si era costruita, nei primi decenni del Seicento, il notar Guido d’Alessio e che costruì, poi, il primo nucleo dei palazzi Albisinni. Essa così veniva descritta: “Una casa palaziata consistente in sei membri,quattro suprami con una soggetta e due suttani con una cisterna e un supporto avanti, sita in contrada dove si dice la piazza dell’Olmo, confina dalla parte di sopra i beni degli eredi del quondam Giò Domenico La Guardia e dall’altra parte i beni del magnifico Gennaro Comparato e dalla parte di sotto da un lato i beni di Salvatore Russo e dall’altra parte i beni di Giulia Palmiero, via pubblica avanti, con anni carlini 17 di peso alla veneranile cappella di S. Giovanni nella Chiesa Madre”. Come si vede era una semplice casa larga non più di dodici metri e tutta situata nella via Giglio: cioè non confinava neppure con la piazza principale, che era quella dove sorge ora il Palazzo Albisinni e che era detto dell’Olmo perché vi era un olmo sotto il quale i cittadini solevano tenere i loro parlamenti per l’elezione annuale del sindaco e degli altri ufficiali dell’università (oggi Comune) o per trattare gli affari pubblici più importanti».
http://www.rotundamaris.net/index.php?option=com_content&view=article&id=45&Itemid=34
Rotondella (torre del Carcere o torre Saracena)
«La torre del carcere è ciò che rimane della torre di avvistamento, fatta costruire nel 1518 dal principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. Intorno a questo forte fu costruito il palazzo baronale dove vivevano gli ufficiali del principe e intorno al quale si raccolsero i primi abitanti attratti dalla possibilità di ottenere un pezzo di terreno da coltivare. Del palazzo costruito dal Sanseverino rimane, nella sua integrità la torre del carcere, poiché il resto della costruzione è stato abbattuto e ricostruito nei primi anni del 900. I primi abitanti furono tre ufficiali che riscuotevano le fide e diffide dei pascoli delle difese di Rotunda e Trisaia. Dal principe di Salerno passò alla famiglia Agnese del Cardinale e poi al duca di Ielsi della famiglia Carrafa. È stata sede del carcere fino a pochi anni fa, all’inizio del 1800 fu trasferito al convento.Nel 1900 è stato carcere mandamentale, dove i detenuti scontavano le pene minori o gli ultimi mesi di detenzione.Il carcere era diviso in due parti, una destinata alle donne e un’altra per gli uomini e poi una parte per il custode. Ci sono stati detenuti appartenenti alla mafia locale, alla mafia siciliana e molti altri. L’ultimo detenuto, di Stigliano, vi è stato nel 1997. Recentemente restaurata, è ora adibita a biblioteca comunale ed archivio storico,ed è possibile ammirare dalla cima della torre uno splendido panorama,con visione a 180° della costa ionica».
http://www.comune.rotondella.mt.it/passeggiando.html
Salandra (ruderi del castello)
«Il primo documento ufficiale (la bolla papale indirizzata al vescovo Pietro di Tricarico) che ne attesta la presenza risale soltanto al 1060. Nel secolo successivo si ha notizia di una donazione: il feudo salandrese passò dalla contessa Emma Maccabeo al monastero di San Michele Arcangelo di Montescaglioso. In epoca normanna Salandra fu trasformata in baronia: ne reggeva l'imperio il barone Guglielmo De Caro, vassallo del conte di Montescaglioso. Successivamente gli Svevi ne ottennero il controllo con Gilberto di Salandra. La signoria passò poi, sotto la dominazione angioina, a Filippo della Lagonessa, ad Adimaro di Luco e a Ruggiero di San¬gineto, per giungere infine nel 1381 a Venceslao Sanseverino. Successivi signori di Salandra furono Tiberio Caracciolo, Margheritone Loffredo e il duca Francesco Revertera, che ne acquistò i possedimenti nel 1554. Questo duca si fece promotore nel 1573 della costruzione, su un preesistente sito religioso, del convento dei Padri Osservanti Francescani, un attivissimo e prezioso centro di produzione e diffusione di cultura. Dall'ambiente del convento, passato intanto ai Riformati nel 1598, scaturisce, infatti, il genio di Padre Serafino, l'uomo più illustre della storia della città: è autore di un dramma sacro precursore dell' opera di Milton. Salandra passò sotto la protezione di san Rocco nel 1656 in occasione di una pestilenza: fino ad allora il patrono dei salandresi era stato san Castolo. Circa due secoli dopo, allo scoppiare di una nuova epidemia, san Rocco fu designato unico patrono della città. ... Del Castello, costruito probabilmente nel XII secolo, restano ruderi (poche mura e due arcate)».
http://old.basilicatanet.it/paesi/paese.asp?idPaese=97&idSezione=1 - Sezione=2
San Giorgio Lucano (palazzi nobiliari)
«Il paese sorse nel 1534 ad opera di immigrati albanesi che, sfuggiti all'occupazione musulmana della loro patria, colonizzarono questo territorio che originariamente chiamarono Minullo o Minnuglio, probabilmente perché molto piccolo; nella numerazione del 1595 difatti era tassato per soli 2 fuochi. In epoca feudale divenne feudo dello Stato di Noia (l'attuale Noepoli); a partire dagli inizi del seicento il principe di Noia Pignatelli favorì la colonizzazione agricola del territorio, scacciando gli albanesi dal casale di San Giorgio e permettendo ai coloni dei paesi vicini di coltivarne i terreni. Il documento ufficiale che attesta l'origine del borgo venne redatto nel 1607 tra i feudatari ed una rappresentanza di coloni. A partire dal 1810 San Giorgio divenne comune autonomo e nel 1863 fu aggiunta la specificazione Lucano per distinguerlo dai numerosi altri comuni italiani aventi lo stesso nome. Monumenti e luoghi di interesse: ... Diversi palazzi nobiliari tra cui palazzo Zito del XVII secolo, palazzo Ripa e palazzo Silvestri del XVIII secolo e palazzo La Canna o fattoria di Rosaneto, già appartenuta alla Certosa di Chiaromonte».
http://www.comune.sangiorgiolucano.mt.it/index.php?option=content&task=view&id=330
San Mauro Forte (borgo medievale)
«L’origine di San Mauro Forte risale all’XI secolo, quando sulla rupe in tufo su cui sorge l’abitato si insediarono una abbazia benedettina soggetta alla giurisdizione del vescovo di Tricarico ed un barone vassallo del conte di Montescaglioso. Tale barone oltre a costruirvi il proprio palazzo intorno all’anno 1100 fortificò tutto l’abitato, erigendo sul lato orientale della rupe una torre a tre piani oggi situata al centro della piazza principale del paese e per secoli simbolicamente riprodotta in dipinti e stemmi familiari. Dal secolo XII il feudo di S. Mauro passa per eredità, dote matrimoniale, perdita al gioco, ecc... da un feudatario all’altro finché, dopo un confuso periodo durato fino alla metà del XVIII secolo, durante il quale fu reclamato da più creditori regi, fu riscattato da quattro acquirenti, già amministratori dei feudatari che si erano avvicendati nella proprietà del feudo. Essi, investiti del titolo di baroni, si stabilirono in paese, costruendo le proprie residenze all’interno della cinta muraria. La fortificazione medioevale per molti secoli ha contenuto al proprio interno l’espansione edilizia, con il progressivo riempimento di quelle aree libere in origine adibite a coltivazioni; solo nel XIX secolo le edificazioni debordarono dall’antico nucleo, dapprima addossandosi alle mura cittadine, poi con veri e propri rioni al di fuori di esse. Le fortificazioni furono mantenute efficienti fino al secolo scorso, tanto che durante il Brigantaggio, nobili di paesi vicini vennero a rifugiarsi in S. Mauro in seguito alle incursioni delle bande capitanate da Crocco».
http://www.borghiautenticiditalia.it/assobai/ita/i-borghi/basilicata/san-mauro-forte-mt.html
San Mauro Forte (torre cilindrica superstite del castello normanno)
«In provincia di Matera, sul crinale di un colle che domina un ampio orizzonte di terre coltivate, boschi e grigi calanchi si trova il centro abitato di San Mauro Forte. La sua fondazione risale all’alto medioevo ed è dovuta, probabilmente, ai benedettini. Il nucleo originario dell’insediamento è di tipo a casale, ha un perimetro ellittico e include un tessuto di piccole case. In età normanna, agli inizi del XII secolo, questo primo aggregato, diventato parte della contea di Montescaglioso, fu ampliato e munito di un castello, le cui tracce residuali ancora si riconoscono al di sotto della chiesa parrocchiale. Il fortilizio aveva, probabilmente, la forma di un parallelepipedo con una corte centrale, simile a quello di Gioia del Colle in Puglia. La vera crescita del paese si registrò, tuttavia, nel periodo angioino, allorché l’abitato si espanse in modo eccezionale con un tessuto edilizio pianificato secondo moduli costanti, seguendo un ordinamento per piccoli isolati rettangolari e quadrati. In questa fase, forse tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, al castello fu accostata una torre cilindrica coronata da mensole, beccatelli e merli. La nuova struttura restava collegata a quella antecedente attraverso un pontile o un ponte levatoio e costituiva il centro delle difese fisse secondo una logica difensiva più evoluta applicata in varie località tra cui S. Agata dei Goti in Campania (sistema che presenta evidenti analogie) e Corigliano Calabro. Gli eventi bellici che travagliarono il Mezzogiorno tra il 1435 ed il 1486, con la lotta per la successione al trono del Regno di Napoli e la guerra civile culminata nella congiura dei baroni, indussero a migliorare le fortificazioni sia dei centri costieri, sia dei centri interni, in particolare di quelli collocati in posizione geografica strategica. In tale arco temporale fu realizzata una contro-torre a scarpa, modellata a festoni, che tuttora circonda alla base la torre cilindrica.
Dalle caratteristiche architettoniche si può desumere che ricalchi la tipologia introdotta dall’architetto Guglielmo Sagrera a Napoli in Castel Nuovo nel 1456. Rientra in un più generale processo di adeguamento tecnico delle fortificazioni avvenuto in varie zone del Mezzogiorno nella cosiddetta età di transizione. Trova analogie tecniche con i rimodellamenti del castello di Ortucchio, realizzato nel 1488 da Antonio Piccolomini, che presenta un simile processo di riconversione di strutture medievali, includendo all’interno di un recinto una torre preesistente, del fortilizio di Calascio in Abruzzo e della torre di Adrano in Sicilia che costituiscono esempi di trasformazione di una semplice fortificazione preesistente in un presidio militare vero e proprio. Rispetto a questi riferimenti la torre di San Mauro dimostra di possedere, tuttavia, un più singolare connubio di elementi medievali e moderni, oltre ad una straordinaria dotazione di mezzi di difesa, poiché doveva contare su almeno undici bocche da fuoco di lunga gittata. Si tratta di un’eccezionale concentrazione di armamenti che ne fanno una delle più complete postazioni del Mezzogiorno. Si consideri, infatti, che Vienna nel 1570, al momento dell’attacco ottomano, aveva solo settanta cannoni a difesa delle mura, che nella fase di riorganizzazione delle difese costiere del vice-regno alcune delle piazzeforti sul mar Jonio, nel corso delle ispezioni, risultarono avere pochi pezzi, in media circa sette, di cui alcuni inservibili e che, nella seconda metà del XVI secolo, nelle fortificazioni costiere tirreniche di maggiore rilevanza, volute dalla Spagna, se ne trovavano una decina circa ma con disomogeneità di calibri. ...».
http://www.hevelius.it/webzine/leggi.php?codice=191
Santa Maria del Vetrano (torre normanna)
«Il feudo del Vetrano o di Passavante, è stato il possesso più importante dell’abbazia di S. Angelo. La masseria fortificata formata da due piani, al centro di una proprietà di circa 2000 ettari, è organizzata intorno ad un grande cortile. Un primo lato è chiuso da un muro di recinzione. Il secondo è delimitato dalla chiesa, in parte crollata nel 1998. Gli altri due lati del complesso sono delimitati dagli edifici della masseria tra cui una torre quadrangolare eretta a difesa dell’ingresso. Su una muratura del cortile fino al 1983, anno del trafugamento, era conservato un concio lapideo scolpito con figure di angeli, databile al secolo XIII ed attribuito al lapicida Sarolo da Muro Lucano. L’elemento scultoreo, riutilizzato in un contesto di fine secolo XVI, probabilmente proveniva da un portale monumentale appartenete all’abbazia di Montescaglioso. Il casale fortificato occupa il sito di un insediamento rurale greco, fu eretto dai Macabeo, feudatari normanni di Montescaglioso, sul finire del secolo XI e concesso in vassallaggio ad un “miles“ della corte comitale attestato nelle fonti col nome di Passavante. Alla morte di costui, Emma Macabeo, moglie di Rodolfo, concesse il casale all’abbazia di Montescaglioso. Un ampliamento della chiesa è attestata per gli ultimi decenni del secolo XII mentre un radicale restauro è documentato per la seconda metà del secolo XVI. In questa fase i monaci ampliano la chiesa allungandola ed aggiungendovi una cappella laterale sontuosamente affrescata con immagini della Madonna e di Santi. L’ingresso della chiesa, anticamente collocato all’interno del cortile, sarà spostato sulla facciata esterna ed ornato con un sontuoso portale realizzato con carparo probabilmente prelevato dalle fabbriche greche di Metaponto, e scolpito con le insegne dell’abbazia: la bilancia e la spada di S. Michele, il pastorale e la mitra dell’abate».
http://www.montescaglioso.net/node/1536
Scanzano Jonico (torre della Scanzana)
a cura di Pierfrancesco Nestola
Stigliano (resti del castello e della cinta muraria)
«La cinta muraria. La parte vecchia del paese era anticamente circoscritta con mura in pietra. L'accesso era garantito da quattro porte di cui attualmente una ancora esistente [Porta del Mozzo]. Oltre alla porta, ancora distinguibile, fino a qualche anno fa, uno spicchio di torrione testimoniava l'esistenza di un'antica cinta muraria. Il castello. Nell'indifferenza delle vecchie amministrazioni comunali e della popolazione civile, è andato distrutto anche il vecchio Castello di Stigliano. Costruito in epoca feudale, fu in seguito adibito a carcere. è andato altresì distrutto un imponente orologio posto in cima alla torre del medesimo Castello».
www.comune.stigliano.mt.it/visitare.htm
Torre di Mare O Metaponto (castello di Torre Maggiore)
«Torre di Mare nasce nell’XI secolo e viene edificata ai margini occidentali dell'antica città greca di Metaponto, le cui rovine servirono per recupero materiali utili alla costruzione del nuovo abitato. Nel 1119 il castrum Sanctae Trinitatis fu scelto dalla contessa Emma Maccabeo di Montescaglioso come residenza di famiglia e per volontà di Umfredo fu eretta una “torre fortificata” con chiare funzioni difensive lungo la linea di costa sia per l’area circostante sia per la stessa Montescaglioso ubicata a poca distanza nell’entroterra. Infatti grande rilievo rivestiva l’adiacente bacino retrodunale di Santa Pelagina munito di un approdo. Successivamente il castrum viene concesso al monastero benedettino di San Michele Arcangelo di Montescaglioso. L’insediamento fortificato viene citato nelle fonti come “Civitas”, “Castrum” e “Castellum” Sanctae Trinitatis. Il toponimo diventa ufficialmente TURRIS MARIS solo a partire dal XII secolo, quando compare così nominata in un documento bilingue in greco e latino e in un atto federiciano. Le fasi di vita dell’insediamento si datano a partire dall’XI sec. d. C. e registrano un momento di particolare fioritura tra XIII e XIV secolo. Dell’antico complesso sono noti, oltre che la torre e tratti di mura, anche una serie di costruzioni rivolte alla custodia di attrezzi e dimore dei contadini nonché strutture rivolte all’ospitalità dei viandanti che sceglievano Torre di Mare come punto di sosta lungo uno dei percorsi viari terrestri più importanti del tempo: il Tratturo Regio che univa la costa calabra a quella pugliese. Un decreto regio obbligava per il passaggio delle mandrie attraverso i propri confini al pagamento di un dazio per ogni capo di bestiame. Al secolo XIV risale il primo abbandono di Torre di Mare all’interno di un quadro insediativo molto desolante che registra la presenza di numerosi “villaggi abbandonati” per cause molteplici e diverse.
All’abbandono tardomedievale segue una notevole ristrutturazione tra XV e XVI secolo, in linea con quanto accadeva nel resto del Regno di Napoli per il riassetto delle strutture difensive litoranee contro l’avanzata dei Turchi. Nel 1459, con altri casali della zona, divenne feudo dei Del Balzo, principe di Taranto. Nel 1497, re Federico vendette la terra di Torre di Mare al giovane Scriva Oratore, delli serenissimi Re di Spagna, per ducati 6.000. I contrasti fra l'impero d'Oriente e l'Occidente spesso ebbero i loro scontri nel Metapontino, per cui molto ne risentì anche Torre di Mare, “contaminata”, dalle diverse civiltà che si sono succedute nel corso dei secoli. Ma essendo distrutte le opere irrigue ed essendo i campi ormai incolti, si formarono acquitrini e paludi ove regnò la terribile zanzara portatrice di malaria e di morte. Oltre alla malaria endemica, era intervenuta la peste del 1656 per cancellare ogni presenza umana. La popolazione locale subì un alternarsi dell'incremento demografico. Un nuovo spopolamento si registra a partire dal XVII secolo quando compare nelle cronache dei viaggiatori come ridotto a rudere e disabitato. Il complesso è caratterizzato attualmente da strutture post-medievali articolate in più corpi di fabbrica e da una chiesa dedicata a S. Leone Magno. Dell’antica Civitas rimane ciò che è stato risparmiato dall’utilizzo dei suoi resti per uso di costruzione di edifici a Bernalda e varie masserie. Ciò avveniva quando l’antica città era ormai semisommersa dagli acquitrini e dal terreno alluvionale del fiume Basento. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1869, con la creazione della ferrovia Jonica che univa le regioni del Sud riemerse l'antico nome di Metaponto che diventa cosi uno snodo importantissimo tra le regioni Puglia, Basilicata e Calabria. La scoperta del D.D.T., distrusse definitivamente l’anofele, e con le opere di bonifica, l’irrigazione, ha inizio negli anni ’50 la rinascita della fertilissima pianura e di Metaponto…».
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il Palazzo ducale di Tricarico occupa un posto di rilievo tra i beni architettonici dell'abitato. La severa mole dell'edificio è situata in pieno centro storico: si affaccia su piazza Garibaldi ed ha il suo ingresso principale in via Vittorio Veneto. L'accesso avviene attraverso due bei portali in pietra recanti gli stemmi dei Pignatelli e dei Revertera. Attraverso il doppio portale si giunge ad una corte aperta, dalla quale si dominano le valli del Bradano e del Basento. In questo atrio, oltre al panorama della valle, si possono osservare un loggiato aggettante con arconi e delle torrette di avvistamento, oggi conservate in parte, che un tempo si allineavano con le mura di cinta della città, chiudendo il sottostante spazio pubblico della piazza. Sotto la dominazione normanna Tricarico conobbe una fase di espansione urbana che si sviluppò verso la zona oggi occupata dal convento di Santa Chiara. Così, col passare del tempo, lo spazio intramuraneo tra i rioni e il castello venne progressivamente colmato da chiese (la chiesa Madre e quella di San Francesco) e da residenze tra le quali si distingueva per maestosità il Palazzo Ducale. Il palazzo fu la sede signorile dei Sanseverino, conti di Tricarico (la famiglia detenne la contea dall'epoca normanna al 1605) e principi di Bisignano. Da questa sede, centro della loro Corte principesca, vennero emanati nei secoli XIV-XVI importanti privilegi comitali in favore dell'università tricaricese. Restano, a testimonianza della presenza dei Sanseverino, numerosi stemmi lapidei disseminati lungo le pareti dell'edificio. L'impianto originario del palazzo risale ai secoli XV-XVI, tuttavia furono numerosi i lavori di ampliamento effettuati nel Seicento per opera del duca Francesco Pignatelli di Bisaccia e dei Revertera della Salandra che lì abitarono stabilmente. Le informazioni sulle varie fasi costruttive e decorative dell'edificio ci sono giunte grazie ai lavori di restauro ma anche da fonti archivistiche dell'epoca.
Oltre ad apporre i propri stemmi sul portone d?ingresso e su quello interno, i duchi Pignatelli e Revertera ristrutturarono il palazzo sostituendo le grandi capriate del tetto con dei controsoffitti in legno dipinti. Di questi ne è sopravvissuto uno di gran pregio artistico che raffigura una scena della Gerusalemme Liberata, rifinita da un fregio floreale. Altre pitture murarie, realizzate sempre nel Seicento, rappresentano invece scene di caccia e motivi floreali; il salone degli stemmi, il più imponente dei vani, è ornato nella sua parte superiore da una interessante serie di simboli nobiliari. Un'immagine del palazzo relativa a quell'epoca ci viene offerta da una stampa realizzata da G. Braun e F. Hogemberg nel 1618 a Colonia. L'edificio, denominato "Palazzo del Principe", è chiaramente distinguibile in questa illustrazione che raffigura "Tricaricum Basilicatae civitas" e che costituisce la tavola 17 nel liber VI dell’opera “Theatrum Urbium praecipuarum mundi". Altre modifiche seguirono a quelle seicentesche: nell'Ottocento il Palazzo venne sopraelevato, mentre alcune feritoie e caditoie furono aggiunte all'epoca del brigantaggio. Agli inizi del Novecento il Palazzo venne acquistato assieme a vaste tenute una volta feudali da Silvio Turati, un industriale piemontese. Questi fece dell'edificio la sede dell?amministrazione della sua azienda agricola. Divenuto proprietà della provincia di Matera il Palazzo venne utilizzato negli anni Ottanta come edificio scolastico. Attualmente un'ala del Palazzo ospita la sede della Soprintendenza Archeologica. L'imponente edificio costituisce l?unico esempio fino ad oggi conosciuto di Palazzo Comitale in Basilicata. Nonostante le modifiche che si sono succedute nei secoli, esso rappresenta un ottimo esempio della tipologia delle residenze di Tricarico. Notevoli sono poi gli elementi architettonici che, nella loro somiglianza, rimandano al più famoso Palazzo Ducale di Urbino. Gli interventi di restauro che lo hanno riportato al suo antico splendore consentono di coglierne a pieno l'importanza artistica, storica e monumentale».
http://www.lucanianet.it/?p=683 (a cura di Nicola Prete)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Porta Fontana. Singolare porta d'accesso alla città, con un arco a sesto acuto ed uno a tutto sesto, è databile intorno al Duecento. Ubicata sulla via che conduceva alle fontane pubbliche, conserva ancora i cardini in pietra del portone. Porta Monte (o "delle Burzarìe"). Ubicata nei pressi dell'antica dogana della città, è contigua al complesso monumentale del convento di S. Chiara (già castello normanno). Particolare interessante è la sua decorazione con pezzi e spuntoni di ferro, collocati regolarmente sia sulla facciata esterna che per tutta la profondità della porta. Porta Saracena. Databile intorno al sec. X è costituita da un arco a tutto sesto, affiancato, nei secoli successivi, da un'altra apertura più piccola, sempre con arco a tutto sesto. Essa dava accesso al fortilizio arabo ivi ubicato che comprendeva, quali strutture di difesa, le mura perimetrali di fortificazione e la torre. Tale fortificazione ha continuato a fungere da difesa di questa parte della città anche con l'avvento dei bizantini e poi dei normanni. Porta della Ràbata. La porta, databile al X sec., consente l'accesso all'omonimo quartiere ed è protetta da una piccola torre. L'arco, a sesto ribassato, presenta, sulla facciata esterna, una doppia fila di pietre. Porta delle Beccarie. Ubicata in piazza Garibaldi che un tempo era chiusa verso l'esterno dal muro di fortificazione, è facilmente riconoscibile nella stampa seicentesca di Tricarico. La porta è caratterizzata da due archi a sesto acuto che la datano tra il Duecento ed il Trecento e conserva due piccole mensole sull'arco esterno ove venivano collocate le lucerne per segnalare la porta durante le ore notturne. È una porta più piccola delle altre che non consentiva il transito con i carri ma che dava diretto accesso al cuore della città. Porta Vecchia. Seguendo l'ubicazione indicata sulla stampa di Tricarico del 1605, essa è individuabile nell'attuale arco di re Ladislao. Il sito ha sicuramente subìto modifiche che lo hanno portato alle attuali forme, tra la seconda metà del Cinquecento e la seconda metà del Seicento. Nelle strutture, infatti, si possono "leggere" vari interventi: l'apertura di finestre sulle mura di fortificazione in concomitanza con la realizzazione, lungo il perimetro, di immobili di proprietà ecclesiastica (sulla volta del sopportico è collocato uno stemma del vVescovo Antonio Caprioli, datato 1557), l'abbassamento del livello del pavimento del sopportico che, in corrispondenza dell'arco, raggiunge i 60 cm. circa. Quest'ultimo intervento, successivo di almeno un secolo rispetto al precedente, ha interessato anche l'attuale via Vittorio Veneto la quale costeggia la cattedrale ed il palazzo ducale e conduce all'attuale piazza Garibaldi. L'abbassamento del piano stradale, in prossimità dell'ingresso del palazzo ducale, raggiunge i 90 cm. circa. Tali interventi sono stati possibili perché tutte le costruzioni poggiano sulla roccia, per cui si è potuto scendere, senza rischio di crolli, anche al di sotto del livello delle fondazioni degli edifici. Proprio il lavoro eseguito sul portale del palazzo ducale, per adeguarlo al nuovo livello stradale e che ha interessato esclusivamente la parte basale del portale stesso, colloca l'intervento in questione in un'epoca successiva al 1650».
http://it.wikipedia.org/wiki/Monumenti_di_Tricarico#Le_porte_della_citt.C3.A0
Tricarico (torre e castello normanni)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«È il complesso monumentale di Tricarico cui sono connessi, fin dal Medioevo, i monumenti più salienti della sua storia politico-religiosa. Sorto probabilmente nei secoli IX-X come rocca fortificata, dotata di una robusta ed emblematica torre di 27 metri , nel punto più elevato della cittadina, subì rafforzamenti in epoca normanno-sveva (secc. XI-XIII), a difesa del kastron di Tricarico. Se la torre continuò a svolgere la sua funzione militare fino al ‘600, il castello divenne, invece, nel 1333, sede di un prestigioso monastero di suore di clausura, fondato da Sveva, contessa di Tricarico e vedova di Tommaso Sanseverino. Dapprima sotto il titolo dei SS. Pietro e Paolo, poi di S. Chiara, questa comunità monastica, le cui suore provenivano dalle nobili famiglie di Tricarico e di altri centri regionali, ebbe sempre cospicue rendite dal suo ricco patrimonio immobiliare ed agrario e fu titolare del feudo di Gallipoli di Montagna. Soppresso il monastero nel 1860, la complessa struttura architettonica divenne, nel 1930, sede del Convento delle Discepole di Gesù Eucaristico che svolgono, a tutt’oggi, un’azione educativa attraverso le scuole che gestiscono. La torre normanna di Tricarico venne dichiarata monumento nazionale nel 1931. Nell’ambito del patrimonio architettonico della città costituisce, insieme con la cattedrale ed il palazzo ducale, uno degli elementi più importanti. Alta 27 metri, con pareti che superano, in diversi punti, i 5 metri di spessore, orlata di beccatelli, caditoie ed archetti di coronamento, si sviluppa su 4 livelli e svetta sulla parte sommitale di un costone roccioso sul quale è edificato il quartiere Monte. La torre costituiva il c.d. “maschio” del castello del quale faceva parte. Il solo castello venne donato alle Clarisse (suore di clausura) nel 1333 per farvi un convento, mentre la torre continuò ad avere una funzione militare fino al ’600, in quanto inserita nel sistema difensivo della città fortificata. Il castello, posto all’estremo margine sud della città, venne ceduto alle Clarisse a seguito del trasferimento dei feudatari in un nuovo castello (oggi palazzo ducale) collocato al centro dell’abitato. In epoca angioina venne costruita alla sua base una “scarpa” per rafforzarne le capacità di difesa. Fino al 1605 (epoca cui risale la celeberrima stampa di Tricarico inserita nella raccolta totius urbium praecipuarum mundi) vi era ancora buona parte della merlatura, in seguito eliminata. Dalla sua sommità si domina un territorio molto vasto che si spinge, verso nord-ovest, fino al Vulture e, verso nord-est, fino alla Puglia».
http://mediatecatricarico.wordpress.com/2009/11/05/torre-e-castello-normanno
Tricarico (torre Saracena, quartieri arabi)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Quartieri arabi. Nei quartieri della Ràbata e della Saracena è chiaramente leggibile il tessuto urbano di origine araba, caratterizzato da una via principale, l'araba shari, dalla quale si dipartono vie più piccole con andamento tortuoso (darb) e vicoli ciechi (zouqac). L'andamento viario non è frutto della casualità ma di precisi schemi urbani, definiti "grafemi-tipo", finalizzati a rendere insidioso l'abitato per i nemici che fossero riusciti a superare le mura di fortificazione. Saracena. Il quartiere si sviluppa attorno al fortilizio arabo del quale si conserva la porta, la torre, e parte delle mura di fortificazione. La saracena occupa la parte estrema a nord dell'abitato, fino al margine di un pianoro che si apre sul profondo vallone del torrente Milo. Ràbata. È il quartiere residenziale arabo al quale si accede attraverso una porta protetta da una piccola torre contigua. Il toponimo potrebbe scaturire dal termine arabo ribat nel significato covo degli arabi. Orti arabi terrazzati. Risalenti al sec. IX-X ed ancora in uso, testimoniano un modo sapiente delle popolazioni arabe di sfruttare i terreni, altrimenti brulli ed improduttivi. Esse, infatti, sfruttarono le loro conoscenze e capacità di insediarsi in luoghi inadatti alle coltivazioni creando numerosi giardini-frutteti terrazzati, utilizzando un ingegnoso sistema di raccolta delle acque meteoriche e sorgive. Da un'attenta lettura degli orti di Tricarico si evincono due tipi di coltivazione, uno prossimo alle mura dell'abitato, costituito per lo più da frutteti (gli orti di crinale) e l'altro posto ai piedi del crinale (gli orti di valle) adibito principalmente alla coltivazione degli ortaggi».
http://it.wikipedia.org/wiki/Monumenti_di_Tricarico#Quartieri_arabi
Tursi (resti del castello e Rabatana)
redazionale
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Valsinni (castello di Isabella Morra)
redazionale
Le foto degli amici di Castelli medievali
©2013 ss.