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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI BARI
in sintesi, pagina 2
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Molfetta (cinta muraria, palazzi, porte, centro storico)
«È situato su una penisola dall'estensione di 50.000 mq. La pianta, a forma ellittica, è circondata dal mare e dalle mura. In quasi tutte le città marittime medievali la difesa era affidata all'andamento tortuoso delle vie. L'andamento delle strade parallele è curvilineo, con bruschi cambiamenti di sezione; dall'unica via meridiana via Piazza, si dipartono a spina di pesce innestandosi a due a due a baionetta, tutte poi conducevano dal largo Castello (oggi piazza Municipio) al largo Chiesa Vecchia, cioè al porto, e viceversa. La difesa era praticata al di sopra dei tetti, perciò erano frequenti i "cavalcavia" che univano le case, questo permetteva un passaggio continuo da un abitato all'altro. Quando Molfetta cominciò a trafficare sul mare, dove ora c'è piazza Municipio, fu costruita a metà del 1300 una torre cilindrica "Porta Castello". Il nucleo urbano ebbe due cinte fortificate e la muraglia fu rafforzata da bastioni, torri quadrate e torrione. Con la costruzione del Duomo vi fu un doppio motivo di difesa e fu allestito un terrapieno rinforzato da un bastione che per la forma fu detta "Galera". Accanto alla facciata di ponente del Duomo vi erano altre fortificazioni per l'approdo dei navigli. In piazza Municipio sorgeva la "Rondella", una torre rotonda della quale si scorgono le fondamenta dalla parte del mare. Fino al secolo scorso davanti alle mura vi era un fossato d'acqua (attuale corso D. Alighieri), poiché la città antica era costruita sulla scogliera ed aveva il ponte levatoio. L'ingresso principale era ed è tuttora quello dell'Arco della Terra, in corso D. Alighieri; dove anticamente sorgeva la "Torre dell'Orologio" alta 28 metri e demolita nel 1897. Anticamente l'ingresso si chiudeva a sera e si apriva alle prime luci dell'alba agli ordini di un guerriero armato; il popolo perciò era costretto a rientrare in tempo per evitare di restare fuori della città. L'ingresso introduce in via Piazza (la principale), da questa si diramano 14 vie perpendicolari. sette da ogni lato. ...».
http://www.molfettanet.com/storia/centrostorico.htm
«Tra le città di Molfetta e Bisceglie, solitaria su un promontorio sul mare, si eleva una torre di vedetta chiamata "Torre Calderina", taciturna testimone di quelle che furono per secoli le incursioni e le predazioni subite dalle città costiere da parte di pirati saraceni e turchi stanziati lungo le coste della Dalmazia fino all’Africa del Nord. Nei secc. XV e XVI, aumentarono notevolmente le incursioni dei pirati lungo le coste italiche, specialmente nel Vicereame di Napoli. Già nel 1532 il viceré Pedro de Toledo prescrisse ad alcune Università di costruire torri di guardia lungo le coste. Ma un piano ordinato per l costruzione di queste torri fu realizzato dal duca d’Alcala de Parafan del 1563. La loro costruzione fu finanziata con una tassa pagata da ogni nucleo familiare delle città costiere e di quelle situate fino a 12 miglia dal mare. La custodia di queste torri fu affidata a soldati spagnoli con il grado di caporale, coadiuvati da uomini a cavallo. Nel 1623 Torre Calderina entra nella toponomastica rurale col toponimo "in loco dietro la Torre Nova". Nel 1628 vi è un’ispezione del "sopracavallaro" sergente Francesco de Guerra, alle torri sostiere messe tra le saline di Barletta e Bari. Egli ordina all’Università di Molfetta di effettuare alcune riparazioni alla torre, in particolare alla cisterna d’acqua, per evitare che le sentinelle non si allontanassero dalla torre. Nel 1703 G.B. Pacichelli nella sua opera Il Regno di Napoli in prospettiva raffigurava la città e, sulla costa verso Bisceglie, torre Calderina. Tra i rilievi eseguiti nel 1820 dal tenente colonnello Francesco Ferrara, figura anche una pianta della torre Calderina. Da questa risulta che alla torre si accedeva per mezzo di una scala in muratura, distaccata dalla fabbrica, per mezzo di una scala mobile, invece si accedeva al terrazzo, o piano delle caditoie, su questo vi sono due locali, allora usati come corpo di guardia. La torre era priva di artiglieria e custodita da un brigadiere e tre soldati. Nel periodo della prima guerra mondiale intorno alla torre vengono costruite una trincea e una casamatta per la difesa costiera contro la flotta austriaca; nel periodo fra le due guerre mondiali la torre fu abbandonata dalla Guardia di Finanza».
«Questa torre fa parte di una serie di torri dislocate nel territorio la cui funzione antica non è certa. Essa, come le altre, può essere sorta come difesa di un casale distrutto in seguito all’abbandono da parte degli abitanti che preferirono inurbarsi. Oppure può essere sorta come casa-torre di campagna della nobiltà locale che, per lotte interne, preferì lasciare la città. La tipologia della torre induce a ritenere che la sua costruzione risalga ai secoli XIV-XV. Una prima traccia dell’esistenza della torre si rileva dall’Apprezzo del 1542. Il toponimo "Torre di Cappavecchia" viene usato intorno al 1672 in un atto notarile».
http://www.memoriaeconoscenza.it/percorsi-identitari/GRPR_INT_1/PI_INT_1/PI_A_INT_molfettaA3
«Cascione in dialetto ricorda le grandi cassapanche in cui gli avi ponevano il corredo delle spose o altre masserizie. Forse il nome si riferisce alla sua forma o a un tesoro rinvenuto in una cassa, o più probabilmente al casato dell'antico proprietario, tale Cascione di Bitonto. La torre è situata in contrada Cascione. Si giunge alla torre percorrendo la via di Bitonto e via del Mino. Da Molfetta dista circa 6 Km e si trova a 130 m sul livello del mare. L'epoca di costruzione della suddetta si aggira intorno al XI secolo. La torre è alta 10 m. circa e si divide in due piani. L'accesso ai piani superiori avviene mediante botole e scale retrattili. Ha pianta quadrangolare. La torre, caratteristica per un alto pino ombrellifero situatole accanto, è costituita da conci appena sbozzati alla maniera antica. Al secondo piano vi è un grande focolare la cui cappa piramidale è cinta da sedili in pietra. La torre col tempo è stata mozzata all'estremità (lo conferma la presenza di gattoni senza saettiera). L'antico ingresso ora murato, si trova a 3 metri dal suolo per motivi di difesa; l'attuale porta d'ingresso è stata ricavata sul lato di mezzogiorno. Con Torre Cicaloria e Torre Sgammirra costituiva l'avanguardia fortificata del Casale Mino e nel sec. XV pare sia stata coinvolta nelle lotte fra Angioini e Aragonesi per la successione del possesso della Puglia».
http://www.rilievo.poliba.it/studenti/aa00/depinto/Tcascione/Tcascione.HTM
Molfetta (torre Chiusa della Torre)
«Il suo nome deriva dal fatto che si trova in una chiusa naturale con rilievi circostanti. Con il termine chiusa si indica un luogo recintato per il pascolo. La torre fu anche denominata Turris Furcata poiché nel 848 in quel luogo furono issate delle forche da parte dei bizantini per amministrare la giustizia (furono impiccati centinaia di prigionieri della terra di Bari). Situata nella contrada della Chiusa Vetrana verso Bisceglie, dista da Molfetta 3 Km. Antico complesso rurale, presenta una delle Torri più antiche dell'agro molfettese: IX secolo. La fortificazione, alta circa 18 metri a due piani, oggi è in gran parte crollata; era costituita da due corpi di fabbrica posti ad angolo retto ed era cinta da un alto muro con portale ad arco bugnato sorretto da un'edicola in pietra scolpita che riproduceva la Madonna dei Martiri. è ancora visibile un tratto della caratteristica scala esterna sorretta da un arco e sormontata dalle saettiere, che raggiungeva il primo piano. Poiché le saettiere sono due e diverse tra loro, si pensa che la torre abbia avuto anticamente un altro ingresso; infatti si scorge in corrispondenza della saettiera più antica, semi sepolta dal terreno e dalle macerie, un accenno di porta ad arco che introduce in altri ambienti sotterranei rispetto al livello del terreno. La torre fu sede del Catapano; subì le incursioni Saracene fra il 980 e il 998. Un affresco al pianterreno, oggi quasi del tutto scomparso, raffigurante un frate che spezzava dei pani, faceva supporre che la torre dovette accogliere un cenobio di frati; l'ipotesi è avvalorata dal fatto che ancora oggi c'è un ampio giardino con alberi da frutta sul lato di ponente».
http://www.rilievo.poliba.it/studenti/aa00/depinto/Tchiusa/Tchiusa.HTM
«Si va alla torre Cicaloria da via Madonna della Rosa; la strada a destra del bivio, quella del Mino, porta alla torre. A sinistra, vi è la stradetta (o entica) di San Gregorio, ove c'era una chiesetta scomparsa da secoli. Proseguendo, a destra c'è la strada della Lama Martina e sopra, a sinistra quella "de Clesciedde", che si riallaccia a quella per Bitonto. Dopo pochi chilometri, dopo la località di "Cimalda" vi è un varco che porta a Torre Cicaloria, distante dalla città`6 km, nell'interno di un folto uliveto. È alta circa 20 metri, a forma quadrata, molto imponente nella sua mole; col tempo fu intonacata e tinteggiata di rosa, facendole perdere quel senso di austerità, che tanto le si addiceva. La costruzione è a tre piani con l'accesso a levante; in alto sono ancora visibili due robusti gattoni in pietra che dovevano reggere una saettiera, come nelle altre torri coeve. Per ogni lato si affacciano due finestre e la sommità è priva di cornicione. È chiaro che nel tempo le fu aggiunto un corpo avanzato al piano terra. La presenza dei gattoni in alto fa pensare che l'accesso doveva essere lo stesso da levante, ma perpendicolare alla saettiera. Dal tetto lo sguardo spazia fino al mare, a Bari, a Trani e Ruvo. Nell'insieme la costruzione si appalesa del XIV secolo sia per la mole che per la fattura e ancor più per la sua funzione di scorta e difesa. Sorge a circa 150 m. sul livello del mare, poco distante da torre Sgamirra e da quella di Cascione, che le è quasi di fronte. E la sua storia è simile a quella della predetta. Le azioni si svolgono nel secolo, in cui la lotta delle fazioni era fomentata dalla guerra fra Aragonesi e Angioini per la conquista del regno di Napoli. Gli Angioini preferirono raggiungere Bari per via terra, addentrandosi nel nostro territorio. le truppe di questi devastarono Torre Sgamirra, Torre Cicaloria e Cascione. La popolazione restò passiva ed ebbe la peggio. Eppure avrebbe potuto difendersi avendo dei caposaldi di difesa: Torre Mino è la più avanzata in alto, integrata da Cappavecchia, Falcone, Villotta a mezzogiorno; da Sgamirra, Cicaloria e Cascione a ponente; da torre Moscarda, ora distrutta, e da torre Arsa a levante. ...».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre5.htm
Molfetta (torre Claps o San Martino)
«Percorrendo la strada ss 16 verso Bisceglie, dopo il Santuario della Madonna dei Martiri, si imbocca la strada per Corato. Superato la svincolo della stessa SS bis, si gira a destra per la strada che costeggia la SS bis; dopo circa 1 km, un piccolo vialetto a sinistra porta alla torre. Un edificio più alto semicrollato nella parte superiore, un alto muro di cinta con giardino e la parte absidale di una chiesetta formano il complesso noto come San Martino. Una porticina immette in un vasto cortile: sulla sinistra i resti di una chiesetta dedicata a San Martino. La chiesetta, ad unica navata, ha sviluppo lungo l'asse Est Ovest. Il nome deriva dal casato dei Claps cui apparteneva la torre e dal nome della chiesetta adiacente (San Martino)».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre19.htm
«Percorrendo la via Molfetta-Ruvo, si gira a destra arrivati alla sottostazione dell'Enel ed al successivo quadrivio si gira a sinistra. Si prosegue fino ad incontrare lo slargo della piscina "Stammita" e si gira a destra; arrivati ad una edicola si prende la strada per Molfetta-Corato dopo 300 m a sinistra si giunge alla torre. I Bizantini che la costruirono la destinarono a sede del Capitanio, che dipendeva dal Catapano di Bari e aveva la giurisdizione su tutte le torri di Molfetta. Sorge a ridosso dell'autostrada Bari-Napoli e può ritenersi la prima torre-vedetta costruita nel nostro territorio; è tra le più importanti sia per la sua antichità che per la funzione che ebbe nel corso della storia. Il tipo di costruzione, con pietre rozze e appena sbozzate, ne attesta l'antichità. Maestosa e severa nell'insieme, è illuminata in ogni piano da piccole monofore rettangolari. A piano terra vi è un antico focolare e sul tetto, in corrispondenza della saettiera, un antico argano che doveva servire per tirare contemporaneamente tutte le scali retrattili in caso di assalto. Si pensa che in passato fosse circondata da un fossato ( ora ricoperto dal terreno ) che veniva riempito d'acqua in caso d'allarme. Si narra che questo nome derivasse dal fatto che intorno alla seconda metà del XVIII sec., la torre fosse stata acquistata dal capitano Vincenzo Brayda. Attualmente la torre è proprietà della Piccola Missione dei sordomuti dal 1960».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre23.htm
«La torre in oggetto, pur essendo già costruita nella prima metà del sec. XVI, non è riportata nelle fonti documentarie sotto forma di toponimo rurale, ma come un immobile anonimo di difficile collocazione nell’ambito del territorio rurale. La torre era situata in un fondo di proprietà di Rocco de la Sparatella in loco S. Lucia. Successivamente si è rintracciato un documento del 1609 dove si afferma che nel 1319 Angelo Chiurleone fondò un beneficio sotto il titolo di S. Pantaleone nella Cattedrale di Molfetta. Nella dote di questo beneficio oltre ad altri fondi vi era una corticella di terra con cinque alberi di ulivi a "Cerculi ossia S. Lucia" In una memoria presentata nel 1609 si fa riferimento a questa corticella, dove si dice che è accanto alla torre degli eredi d’Andrea de la Sparatella, i beni del Seminario, quelli di Galieno de Judicibus e quelli dell’abate Maramonte. Questa circostanza fu motivo di approfondimento: nella S. Visita di mons. Salerni, eseguita nel 1730, tra i beni del Seminaio si rintracciò un fondo a Circoli confinate con uno del beneficio fondato da Angelo Chiurleone. Si può affermare che l’attuale Torre del Gallo era, nel sec. XVI, la torre di Rocco de la Sparatella citata nel Catasto di Molfetta del 1561».
http://www.memoriaeconoscenza.it/percorsi-identitari/GRPR_INT_1/PI_INT_1/PI_A_INT_molfettaA10
Molfetta (torre del Pettine-Azzollini)
«Percorrendo la strada provinciale per Ruvo, giunti alla sottostazione dell'ENEL, si gira a destra per la strada "Parieti Nuove" fino ad arrivare ad un quadrivio; da qui si gira a sinistra per la strada Fondo Favale. Dopo aver superato l'autostrada Bari-Canosa, proseguire per 2 km circa; da un vialetto a destra si raggiungono due chiesette, poi una casina. Percorrendo questo viottolo dietro la casina, a destra, si incontra una stradina che porta alla torre. La sua struttura ricorda quella di una casetta fortificata; il prospetto presenta un ampio ingresso ad arco ed una finestra sormontata da una trabeazione concava. Al piano superiore si accede per mezzo di una porticina posta a levante e da qui si raggiunge il tetto attraverso una scala pericolante. Sul lato destro di questo vano è situato un cucinino con due fornacette e una botola con scantinato che serviva come deposito di vino e vivande. Proseguendo oltre, si entra in un secondo vano diviso in due alcove e ad un terzo vano, illuminato da una finestra. Lungo il percorso prima della torre si trovano due chiesette a breve distanza tra loro, nella zona denominata "Vascarriedde". La prima del 1733, dedicata a San Salvatore, ha la facciata sormontata da un cornicione e da un campaniletto a vela e la volta a spiovente, a scandole che ricorda le cupole del Duomo. La seconda chiesetta simile alla prima, presenta sull'architrave lo stemma della famiglia Manda e l'epigrafe: "qui non si gode asilo, - 1807", per non illudere i perseguitati della giustizia che cercavano rifugio nelle chiese. Il nome deriva dalle "pedine"che i pirati, sbarcati alla cala San Giacomo lasciavano lungo il percorso dopo aver saccheggiato Ruvo e dal fatto che, dopo i Passari, passò agli Azzollini. Durante la peste del 600, il colera del 1886 e del 1910 e le due guerre Mondiali, molte famiglie si ripararono in questa e nelle casine adiacenti per sottrarsi alle epidemie ed alle offese belliche».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre24.htm
«Percorrendo la via di Bitonto dopo circa 7,5 km si intravede sulla sinistra la torre che si raggiunge attraverso un vialetto. L'edificio si mostra imponente per la mole nonostante sia semicrollato. Comprende un casale, una torre con campaniletto a vela, una chiesetta del 1607, un alto muro di cinta e, nelle vicinanze, tre costruzioni ad archi che ricordano palmenti e stalle. Il fabbricato è composto da innumerevoli stanze di cui una con focolare e una con pozzo. Il nome sembra derivare dal fatto che durante una tempesta, il 17.02.1678, sia stata distrutta da un fulmine. La torre fu fabbricata dalla nobile famiglia Sagarriga-Visconti come testimonia una scritta sul portale. Pare che qui si siano riparati gli austriaci durante la guerra contro la Spagna per la successione del regno di Napoli».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre10.htm
Molfetta (torre Eremo Pezzasapone)
«Percorrere la via di Bisceglie, imboccare, sulla sinistra, contrada Padula, quindi Isabella Maura e Chiusovetrana; nei pressi della SS 16 bis si intravedrà la torre. Si accede attraverso una porticina e, a piano terra vi è un antico focolare; una scala a tre rampe conduce al piano superiore (l'antico dormitorio) che ha 4 finestre con sedili a muro (una per lato) e una loggetta situata sulla parte posteriore. Il nome deriva dal fatto che fosse abitata da un frate che vi preparava il sapone con le olive, la cenere dei malli delle mandorle ed erbe profumate. Infatti i contadini chiamano quella zona "Pezzasapone"».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre18.htm
«Questa torre fa parte di una serie di torri dislocate nel territorio la cui funzione antica non è certa. Essa, come le altre, può essere sorta come difesa di un casale distrutto in seguito all’abbandono da parte degli abitanti che preferirono inurbarsi. Oppure può essere sorta come casa-torre di campagna della nobiltà locale che, per lotte interne, preferì lasciare la città. La denominazione di torre Falcone deriva dall’acquisizione dell’immobile da parte di Nicola Maria del Falconibus, avvenuta tra il 1561 e il 1572. Nell’Apprezzo di Molfetta del 1519-22 è annotata la presenza di un’antica cappella che fu ritrovata in un atto del 1798 e in una relazione. La torre era dimora preferita dell’arciprete Giuseppe Maria Giovene, sacerdote e dotto scienziato morto nel 1837. Il Giovene spesso veniva a villeggiare in questa torre ed in una sua opera così la descrive: "La mia casa di campagna è a due miglia dalla città nel bel mezzo di una grandissima selva di ulivi, alla quale eminentemente sovrasta; in essa allogiato mi trovo signore dell’intero cerchio dell’orizzonte senza frapporsi ostacolo che ne dimezzi la veduta, ed un grandissimo finestrone il quale superiore assai alle più alte cime degli alberi domina tutta la pianura covetta di ogni maniera di alberi, pianura che con dolce pendio scende verso il mare, il quale resta di prospetto come un qualche specchio forma la mia grande delizia". Nel 1798 il Giovene chiese al re il beneplacito per la "rinnovazione di una antica cappella dal tempo resa pressoché diruta o traslazione di essa in miglior sito e più comodo nella masseria, e casino di campagna ove dicesi Torre Falcone". Nel 1809 dallo "Stato delle Anime" della parrocchia di S. Gennaro risulta che Torre Falcone era abitata da una famiglia di cinque persone».
http://www.memoriaeconoscenza.it/percorsi-identitari/GRPR_INT_1/PI_INT_1/PI_A_INT_molfettaA9?
«Percorrendo via Giovinazzo dopo circa 3 km, si intravedono sul lato sinistro le rovine dell'antica torre. Poiché l'edificio attuale non presenta testimonianze della sua prima funzione di torre vedetta, si pensa che questa costruzione non è quella originale, ma solo una ricostruzione. Probabilmente la vera torre è quella costruzione del X sec. semicrollata a base circolare che è situata a pochi metri di distanza. Tra i ruderi è possibile riconoscere tre ingressi, una scala in pietra e quattro arcate interne. Usata durante la II Guerra Mondiale come deposito bellico, ha un nome sulla cui origine sono state avanzate più ipotesi. Le più accreditate sono due: la prima dal termine dialettale "gavetà" (guardarsi - fare attenzione); la seconda da un episodio risalente al XV sec. quando durante la guerra fra Angioini e Aragonesi un'imbarcazione si arenò sui bassi fondali nei pressi della torre; lì da allora fu sistemato una gavitello di segnalazione detto "gavitone"».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre2.htm
Molfetta (torre Madonna della Rosa)
«La chiesa-torre della “Madonna della Rosa” è un esempio di architettura rurale che risale al xvi sec. (la sua presenza è certamente documentata già dal 1549). Insieme ad altre torri, casali e masserie caratterizza il territorio molfettese e pugliese. La costruzione delle torri risponde al bisogno di sicurezza da parte della numerosa popolazione rurale che, in quel tempo, viveva stabilmente o temporaneamente in campagna, in terre appartenenti alla nobiltà locale o agli enti religiosi e che aveva la necessità di difendersi da attacchi di nemici e predoni. La torre-chiesa è una palazzina a due piani, dotata di pozzo e cisterna per la raccolta delle acque piovane. Il locale della chiesetta si trova a piano terra, è a pianta quadrata (7mt. x 7mt.) E con il locale soprastante fa parte della torre originaria del xvi sec., alla quale, in seguito, furono aggiunti gli altri locali. La porta della torre è sormontata perpendicolarmente da una caditoia, cioè da una finestra riparata da una cappa in muratura. Si tratta di un apparato difensivo che permetteva, a chi si era riparato nella torre, di difendersi dagli assalitori mediante il lancio di pietre. Sul timpano della porta vi è un'immagine della madonna col bambino con l'iscrizione “rosa mistica ora pro nobis”. Attraverso questa porta si accede all'interno della chiesetta che è un vano quadrato con la volta a crociera. Sulla parete di ponente, dietro l'altare, vi è un affresco che raffigura la madonna col bambino. Entrambi hanno una rosa nelle mani; ed è proprio questa immagine che dà il nome alla chiesa-torre. Nel 1932, questo dipinto subì un restauro che ne modificò l'aspetto originale. La torre, alta dodici metri, è sormontata da un campaniletto a vela. La chiesetta è di proprietà del capitolo cattedrale di Molfetta, è luogo di culto ed è utilizzata per le attività pastorali della parrocchia costituita in quel quartiere ed intitolata alla “madonna della rosa”».
http://www.fondoambiente.it/faiscuola/chiesa-torre-madonna-della-rosa-puglia.asp
«Il nome, secondo la tradizione, sembra derivare dal latino minor che vuol dire minacciare per il suo aspetto austero, o da una scultura di Mino da Fiesole (1431-1484) che un tempo era li. è fra le più importanti della zona per mole e ubicazione. è situata, infatti in contrada S. Leonardo in prossimità della provinciale Molfetta-Terlizzi a circa 150 m. sul livello del mare. è una delle torri più antiche di Molfetta, l'epoca di costruzione della suddetta si aggira intorno al XI. Torre Mino è definita anche casale perché fece parte di un vero e proprio complesso rurale. Nella forma attuale non ha l'aspetto di un casale, ma quello di una costruzione di grandi proporzioni, certamente passata, come molte altre torri dell'agro molfettese, attraverso una serie di rielaborazioni di epoche diverse, anche relativamente recenti. La struttura odierna presenta un corpo di fabbrica originale su base quadrata sviluppato in altezza su quattro piani in discreto stato, con tetto dominante su vasto panorama, a cui si accede attraverso una torretta in parte diroccata, abbinata a un'altra simile di osservazione. La saettiera sovrasta una porta oggi interna al fabbricato per l'aggiunta di alcune stanze (tre più la cappella). Separata dal resto vi è la scuderia integra e interessante di fattura originaria. Il tutto è racchiuso a quadrato nel muro di cinta di un giardino costruito successivamente all'epoca della cappella, che è la parte più recente di tutta la costruzione. Il complesso ha un aspetto imponente, come di castello, sormontato a ponente da un campanile a vela crollato nel 1985. La scala interna che porta ai piani superiori è nuova poiché realizzata in un secondo tempo. L'accesso originario doveva essere fatto con scale volanti».
http://www.rilievo.poliba.it/studenti/aa00/depinto/Tmino/Tmino.HTM
«La strada più breve per raggiungere la Molinara è quella per Giovinazzo, poco dopo il molino-pastificio "Granspiga", sulla destra trovasi la strada dello "Scrifro". Passato il passaggio a livello ferroviario, poco dopo voltare a sinistra, trovasi la stradetta che porta direttamente alla Molinara. Essa trovasi in un folto uliveto, misto ad alberi da frutta; la torre è cilindrica, alta circa 8 m. e si accede da levante a mezzo di una porticina ogivale, sormontata da due gattoni sporgenti in fuori, che fanno pensare sorreggessero un tempo una saettiera. Il nome dato alla torre spiega la sua forma cilindrica e indica la sua funzione: doveva servire per molire il grano, coltivato nel nostro territorio. Al piano terra doveva esserci la mole di pietra, azionata da un paziente mulo bendato,che girava intorno; al piano superiore c'era la tramoggia per mezzo della quale il grano finiva sotto la mola ed era ridotto in farina. La contrada è olivetata con molti orti circondanti, poiché essa è una delle migliori del nostro territorio per bontà di prodotti. La stradetta è sassosa e ai lati vi sono cespugli di more, di smilaci, di nepta, di camomilla e di altri fiori secondo le stagioni. Al primo sguardo la torre non suggerisce una visione storica di ardimenti e di lotte, bensì distensiva di una vita primitiva, fatta di lavoro e di operosità. Essa fu concepita al solo scopo di molire il grano, perciò a noi non resta che costruire mentalmente la vita serena di quei tempi, in cui agricoltura, pesca e artigianato erano le componenti principali della società molfettese. ...».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre3.htm
Molfetta (torre Navarino o Navarrino)
«Il nome Navarino, è di origine incerta poiché quella zona verso Terlizzi viene denominata Masseria di Annamaria, verso Bisceglie di Navario e a Molfetta di Navarino. è situata al confine dei territori di Bisceglie, Terlizzi e Molfetta (cui appartiene) ed è la più lontana dal centro urbano : 8,5 km ,in contrada Macchia di Gadaleta. Il complesso, edificato in più fasi dalla famiglia Gadaleta, comprende il casale con cappella, il palmeto e due torri gemelle con recinto e colombaia. Il fabbricato principale, alto 10 metri su due livelli, presenta a piano terra quattro vani, l'accesso ai sotterranei, un focolare e un pozzo. Una scala in pietra conduce al piano superiore, dotato di due grandi focolari, dal quale si accede alle terrazze ai lati della costruzione e al tetto, provvisto di garitte pensili, barbaramente deturpate. Sono addossati su un lato del casale una stalla e un deposito comunicante all'esterno con una grande cisterna e, sul lato opposto, la chiesetta di S. Francesco di Paola del 1763, ormai priva del campaniletto a vela. Di fronte al casale si trova il vecchio palmento a tre archi. Ancora più dietro un fabbricato in pietra con due torri a cupola con pinnacoli, a base quadrata, alte 10 metri e a tre piani, destinate alla vigilanza dell'agro circostante. Le due torri sono collegate da una singolare colombaia. Questo luogo è legato ad un triste episodio: nel 1749 l'abate Giulio, membro della famiglia Gadaleta, in una notte tempestosa ospitò tre pellegrini (che in realtà erano briganti) i quali lo assalirono e derubarono. L'abate, individuatoli, segnalò l'accaduto al re Carlo III che per giustizia e ammonimento stabilì che fossero impiccati sul posto. Una lapide infissa sul portale, in latino, ricorda l'episodio: IL 4 LUGLIO 1749 RE CARLO III DI BORBONE FECE IN LOCO ALBERINI, IMPICCARE TRE LADRONI: M. ARCERI, A. CARIATI, C. PITURRO, A TRE ALBERI DI ULIVO. Quell'agro, d'allora, fu chiamato Macchia delle Forche».
http://www.rilievo.poliba.it/studenti/aa00/depinto/tnavarino/tnavarino.htm
«Percorrendo la via di Bisceglie, dopo circa 1,5 km dal centro abitato, in prossimità di "Cala San Giacomo", si intravedono i ruderi della torre sul lato destro. La torre è sviluppata su un piano, per un'altezza di circa 8 m. La facciata principale è sovrastata da un grande arco; altre arcate più piccole (murate) sono ai lati. In alto sulla destra c'è uno strano fregio di non chiara utilità. La torre è probabilmente ciò che resta dell' antico ospedale di San Filippo e San Giacomo fondato nel 1143 dai monaci Benedettini».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre16.htm
Molfetta (torre Sgamirra o Sgammirra)
«Si va alla torre per via Terlizzi e per la seconda traversa di Santa Lucia; si passa il cavalcavia dell'autostrada Bari-Napoli e proseguendo per Lama Cupa, poco dopo della quarta traversa ecco torre Sgammirra. Si fanno poco meno di 5 km di strada, passando dinanzi a villini tuffati nel verde. Dall'alto del cavalcavia si abbraccia il panorama della nostra campagna uniforme, ma distensiva. Lo sguardo spazia fino alle prime ondulazioni della Murgia e a Castel del Monte. Torre Sgammirra s'innalza in un folto uliveto, diritta, ma semidiruta ricordando tempi lontani. Sembra costruita nel XIV sec; la parte ancora in piedi, un terzo dll'antico manufatto, è sormontata da un vistoso cornicione, sorretto da gattoni. Un solo lato si presenta intero e privo di finestre; tre affacci, su di un lato semidistrutto, fanno pensare che abbia avuto tre piani sopraelevati e un grosso gattone, rimasto in bilico, lascia pensare che abbia avuto una saettiera. All'interno si notano due grosse mensole in pietra, che dovevano reggere la cappa di un focolare. La torre è maestosa nel suo insieme; raggiunge 20 m. di altezza, è quadrata e massiccia, a poca distanza da torre Cicaloria e da Cascione. Alcuni attribuiscono il suo crollo ad un fatto d'armi, altri ad una scossa tellurica, cosa più verosimile. Il nome dato alla torre, fa pensare a una famiglia estinta molfettese o terlizzese, poiché è vicina a detta città. Molte località campestri prendono nome da famiglie estinte come Cimalda, Spatula, Cascione, Coletta e Colletta secondo Francesco Samarelli, Isabella Maura, Goliola, Stammita. Il fatto d'armi, al quale alcuni alludono, sarebbe avvenuto durante la guerra fra Angioini e Ungheresi. Il 18 settembre 1345, strangolato ad Anversa Andrea d'Ungheria, marito di Giovanna I di Napoli, scoppiò la guerra, re Luigi venne nel Regno a vendicare suo fratello. I nobili si divisero in fazioni. Giovanna sposò il cugino Luigi di Taranto col quale fuggì in Provenza. I fratelli Pipino di Barletta, uomini senza scrupoli, misero a ferro e a fuoco Andria, Giovinazzo e Molfetta. La soldataglia assalì Molfetta, fedele agli Angioini con Trani, portando con sé gli oggetti sacri, le reliquie e gli ori del Duomo. Il terremoto, che si ritiene la causa vera del crollo, realmente avvenne la notte dell'11 maggio 1560, Sghemeddà in dialetto vuol dire cadere. Torre sghemeddate vuol dire caduta per il terremoto, donde Sgammirra. La torre precipitò solo sul lato destro e ciò fa ritenere accettabile la causa del terremoto; per azioni belliche non è possibile, poiché nel secolo XIV, non essendo stata scoperta la polvere pirica, non esistevano cannoni».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre14.htm
«Percorrendo la strada provinciale per Bitonto, giunti al largo della Madonna della Rosa, si prosegue a destra per contrada Mino e, dopo aver percorso quest'ultima per circa 5,5 km, nel tratto in cui si intravedono le rovine della torre Alfiere, si gira a destra per un viottolo che scende verso un avallamento fino alla torre Villafranca. Si pensa sia sorta dall'affrancamento del servi della gleba ed ha l'aspetto di una masseria fortificata tipo Navarino. La masseria fortificata è una palazzina a due piani a base quadrata e alta 8 m, con giardino, cappella e palmento; il tutto è posto al centro di una vasta area agricola. A piano terra vi sono due ingressi: il principale è sormontato da uno stemma; vi sono tre vani. Sul retro da un portone ci si immette in altri ambienti adibiti a depositi o stalle e, qui vi è un focolare. Da una scala esterna si accede al piano superiore, con 4 vani, ricco di affreschi. Esternamente vi è anche un giardino e una chiesetta (di Santa Maria dell'Isola) con campaniletto a vela: ha una sola navata con volte a botte, vi sono tracce di stucchi sulle pareti; infondo alla parete di ponente vi è l'altare quasi distrutto. Il nome si pensa che derivi da un'iscrizione posta sull'ingresso principale che riporta "Villa Fraca"».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre9.htm
«Villotta è sita in contrada Santa Lucia, a due sole miglia dalla provinciale per Terlizzi oltre la 16 bis. Il nome della torre, probabilmente, trae origine dal latino villula, nome con il quale è citato in antiche pergamene fin dal 1130. Non è escluso, però, che si tratti del termine vedotta trasformata in vernacolo in veddotte e successivamente italianizzato in villotta. La parte superstite più antica del casale è certamente la torre: XII secolo; mentre è difficile stabilire se le costruzioni annesse abbiano la medesima antichità. L'attuale complesso aggiunto alla torre è formato da due cameroni centrali intercomunicanti, con grandi volte a botte e ingresso principale a ponente, affiancati da ambienti più stretti dallo stesso schema costruttivo, quello sulla destra per tutta la lunghezza della costruzione, l'altro alla sinistra più angusto fino alla metà, interamente comunicanti con gli stanzoni maggiori. In ognuno di questi e nell'androne laterale destro grandi pozzi in pietra lavorata a forma semicircolare contro le pareti. Pozzi anche nei locali minori. A livello del suolo tracce di sottostanti piscine interrate; un'altra piscina sopraelevata è incorporata nell'ala di destra, con scala laterale di accesso al boccaporto. L'acqua veniva raccolta dall'ampia superficie di copertura di volta attraverso imbocchi perimetrali. La presenza di numerosi e grandi pozzi e cisterne interne ed esterne e il complesso nel suo insieme fanno pensare a una residenza stabile, a un villaggio popolato da parecchia gente. è probabile che almeno una parte dei pozzi interni e delle piscine fosse adibita a raccogliere l'olio. Affiancata a queste costruzioni sorge la Torre a due piani, alta 15 metri (l'unica vera torre di tutto l'agro) con stretta porta e finestra soprastante rivolte a ponente sormontate da archetti di forma ogivale. Sugli altri lati solo feritoie. Aperture interne alle volte per l'accesso ai piani superiori mediante scale retrattili. All'altezza del primo piano, sulla parete nord, ingresso collegato con arco alla costruzione adiacente, una specie di accesso di emergenza alla torre, aperta in un secondo tempo. Da un attento esame della torre sembra essere divisa in tre parti, con pietre di diverso tipo; quella centrale è caratterizzata dalla fitta presenza delle suddette feritoie. Notizie storiche fanno pensare che il complesso sia servito come soggiorno di truppe crociate in attesa di imbarco [si vuole che abbia sostato Boemondo in partenza per la prima crociata]. Durante il Sacco del 1529, accolse una parte della popolazione che fuggiva dalla città».
http://www.rilievo.poliba.it/studenti/aa00/depinto/Tvillotta/Tvillotta.HTM
«Percorrere via delle Coppe, quindi imboccare via Spinaruta e dopo circa 2 km si intravede la torre. Il complesso è costituito da un casale medievale con campaniletto a vela, una chiesetta in stile romanico e una torre situata a poca distanza e raggiungibile tramite una stradina adiacente. Un recinto murario circonda la torre separandola dalla strada. Nel casale si venera tuttora una madonna dal colorito bruno apportatrice di piogge e salubrità ai campi, la cui festa cade la prima domenica dopo Pasqua. infatti quel luogo è anche detto Madonna di Zappino. Il nome deriva dall'omonima contrada su cui si erge».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre22.htm
«Di grande rilevanza storica,
culturale ed economica dell'hinterland molfettese, sono state nel Medioevo e
all'incirca fino al XVIII secolo le torri disseminate nel territorio rurale
di Molfetta e raggruppate lungo tre immaginarie direttrici che sono
Molfetta-Bitonto, Molfetta-Terlizzi e Molfetta-Ruvo-Corato. Verso Bisceglie
e in prossimità del confine con il suo territorio, si erge a picco sul mare
(su uno spuntone di costa rocciosa oggi in erosione) l'unica torre di
avvistamento chiamata, sin dal 1569, Torre Calderina o Torre del Porto di
San Giacomo, torre costiera del XVI secolo, particolarmente importante in
quanto posizionata in un luogo strategico poiché da essa era possibile il
collegamento visivo con il Castel del Monte e quindi comunicare per tempo
anche agli abitati non rivieraschi più interni (verso Andria e oltre ancora,
sino all'altopiano murgiano) il sopraggiungere di eventuali incursioni dal
mare. Essa faceva parte del complesso sistema di torri di avvistamento del
Regno di Napoli. La sua posizione permetteva la difesa del porto di San
Giacomo, approdo medievale di Molfetta. Oggi, questa torre si trova al
centro dell'omonima area protetta, proposta come SIC (cioè Sito di
Importanza Comunitaria) dalla Unione europea. Sulla SS. 16 è collocata la
struttura conosciuta con il nome di Torre della Cera, realizzata nel 1770
per conto del nobile Pietro Gadaleta alias "della Cera" (nonno materno di
Pietro Colletti, poi Colletta). Altre strutture adibite a posti di
osservazione (avvistamento), inserite nel tessuto urbano, erano: una delle
due torri del Duomo (Vecchia Cattedrale) e il Torrione detto del mare che
passa, noto come Torrione Passari. Il Torrione Passari, in realtà, era un
elemento della cintura difensiva della città.
Le torri dell'agro rurale, utilizzate per villeggiatura o per supporto delle
attività agricole, erano caratterizzate da arredo di tipo difensivo (es.: la
presenza di caditoie). Delle oltre venticinque strutture ricordiamo Torre
Gavetone situata presso il confine con Giovinazzo, di essa resta solo il
toponimo che indica una delle più apprezzate spiagge libere superstiti lungo
la costa molfettese. Sulla stessa direttrice, ma in posizione arretrata
verso l'interno si trova Torre Rotonda della Molinara (1538) il cui nome
deriva da Antonio e Bartolomeo, padre e figlio de Molinario, che possedevano
un fondo rurale in contrada Venere (prossima al confine con Giovinazzo).
Sulla via per Bitonto incontriamo la torre dell'antica chiesa della Madonna
della Rosa. Lungo l'asse viario del Mino abbiamo: Torre Cicaloria, il cui
nome deriva dal nome e cognome di uno dei suoi proprietari Francesco (Cicco)
Loria di Ruvo; Torre Panunzio che coincide con la Torre di don Marcello
Passari (1556); Torre Cascione, nome derivato da quello di un proprietario
di un fondo rurale prossimo alla torre, tale Joan Francesco de Urbano alias
de mastro Leonardo Pappagallo soprannominato Cascione; Torre del Mino,
edificata verosimilmente nel periodo 1561-72; Villafranca (in territorio di
Terlizzi), risalente al 1631 e il cui nome indica il riscatto dalla tassa
catastale detta "bonatenenza". Per ultima l'ormai diroccata Torre
dell'Alfiere, nome derivato dal titolo militare di uno dei suoi proprietari
ovvero l'alfiere Francesco Paolo Tottola.
Leggermente più spostate a ovest verso la direttrice per Terlizzi della
strada Santa Lucia si incontrano: Torre del Gallo, nome derivato dal
soprannome della famiglia "de la Sparatella" che la fece edificare, forse,
connesso o alla nazione di provenienza (Francia) della famiglia o a un
semplice agnome; Torre Villotta, struttura già esistente agli inizi del
Quattrocento; Torre Falcone, nome derivato dalla famiglia de Falconibus,
originaria di Andria; Cappavecchia registrata sin dal 1526, epoca in cui
apparteneva alla famiglia de Vulpicellis; Torre Sgammirra, quest'ultima così
detta dal soprannome del suo primo proprietario, Antonio di Nicola de
Tamburro alias Scambirro (= asino). Di essa non rimane che il rudere
costituito da un'intera parete rimasta in piedi e sostenuta lateralmente dai
soli monconi angolari.
A ponente, lungo l'asse della strada comunale Coppe (antica strada per
Corato), troviamo i resti di Chiuso della Torre che dà il nome alla omonima
contrada, inglobati tra i capannoni industriali della zona ASI (Area
Sviluppo Industriale); il Casale ristrutturato nel 1719 dalla famiglia
Passari sul sito dove sorgeva l'antico Casale di San Primo (ottobre 1135);
Torre di Claps con annessa chiesa di San Martino (1083), donata nel 1731
alla famiglia Claps (originaria di Potenza). In prossimità della direttrice
della vicinale di Fondo Favale, si ergono: Torre del Capitano, nome derivato
dal titolo militare del proprietario (nel periodo 1781-84) ossia dal
capitano Vincenzo Brayda. Questa torre è collocata in prossimità del
tracciato autostradale della A14. Altre strutture di questo versante sono:
Torre di Pettine, nome derivato dal soprannome di Giuseppe Fontana alias
Pettine, figlio del maestro sartore Tommaso Fontana; la masseria fortificata
denominata Casale Navarrino o Torre di Navarino, nei pressi del confine
sud-occidentale dell'agro, alla confluenza con i territori dei comuni di
Terlizzi e Bisceglie. Questa torre, il cui primo nucleo risale alla metà del
XVI secolo e che fu ampliata nel 1598 da Cesare Gadaleta, prende il nome
della contrada in cui è collocata. Il toponimo Navarino, quasi certamente,
ricorda la regione Navarra della Spagna della quale, forse, doveva essere
oriundo don Ferrando Briones Yspanus, marito di Costanza Gadaleta,
proprietario di un fondo rurale ubicato in questa zona».
http://it.wikipedia.org/wiki/Molfetta#Le_Torri_di_avvistamento
«Il torrione sporge sul mare, a una svolta delle mura della Città Vecchia. Esso è contiguo all'avito palazzo Passari in via Sant'Orsola n. 7, rifatto dopo il sacco di Molfetta nel 1633. Attualmente vi si accede dal primo piano del palazzo Nisio al n. 13, che fu del nobile Galante-Gadaleta. Il torrione prospiciente a nord sul mare, si presenta maestoso e compatto, avente la forma cilindrica di un maschio. Le sue fondamenta sono gettate nell'acqua e sono martoriate senza pietà dai fortunali di tramontana. Guardandolo dal basso è di aspetto maestoso, e truce insieme; si eleva toccando 10 metri a forma di tronco di cono, fino ad incontrare a metà un cornicione o toro, che lo avvolge per tutta la circonferenza. Dal cornicione in poi si eleva diritto, man mano che sale fino alla parte superiore, dove c'è uno spiazzo ampio e confortevole. Nella seconda parte della costruzione sono notevoli ancora le tre cannoniere disposte nelle tre direzioni dell'orizzonte marino e alla sommità è priva di cornicione e di difesa merlata. Alla base le mura sono massicce fino a raggiungere cinque metri di spessore, man mano diminuendo fino al cordone, dal quale sale fino alla sommità, con blocchi della migliore pietra locale, legati da malta. L'interno, specie quello del primo piano, è attualmente tutto invaso dall'umidità marina; la parte superiore dal cordone in poi, è visitabile, ma quasi buia, mentre quella sovrastante, che fa da tetto, presenta una visione spettacolare. Di lassù infatti l'orizzonte spazia a largo raggio sul mare fino a 10 miglia marine; nelle giornate chiare l'occhio spazia fino a Trani e a Bari. Guardandolo dal mare ha un aspetto ancor più severo, perché si staglia scuro dalle vecchie case.
La scoperta della polvere da sparo verso la fine del XV secolo rivoluzionò il criterio difensivo nel campo delle fortificazioni, che, fino ad allora, con la costruzione massiccia si difendevano dalle catapulte, dagli arpioni, dagli arieti, dalle frecce e dalle scalate. Si vide pertanto la necessità di adeguare la difesa alla nuova scoperta per cui le vecchie torri preesistenti furono abbandonate, demolite, adattate alle nuove armi. La torre Passari esisteva da molto tempo prima delle ricostruzione delle mura cittadine dopo il 1529, come difesa sul mare dalle frequenti incursioni degli Uscocchi e dei Turchi che infestavano l'Adriatico. La primitiva torre Passari era a base pentagonale, congiunta al vetusto palazzo Passeri. essa era poco più alta dell'attuale Torrione; con la scoperta dalla polvere da sparo, venne completamente modificata. Da pentagonale fu trasformata in cilindrica, onde non offrire facile bersaglio alle palle di piombo delle spingarde, nascoste nelle murate degli sciabecchi saraceni; allargata alla base e resa molto più spessa, elevata fino a 10 metri, come tuttora si presenta. La torre era stata costruita nel 1515 dal nobile Herricolo Passari posteriormente al suo palazzo in via Sant'Orsola n. 7. Il Casato Passari, oriundo di Giovinazzo, iscritto ai Patrizi di quella città, si trasferì a Molfetta nel secolo XIII. Durante i cinque giorni del sacco, 18-22 luglio, i Passari furono in primo piano. Il torrione aprì il fuoco contro i galeoni veneziani, caricati di francesi e di nobili fuoriusciti, che eludendo la sorveglianza, sbarcarono di fronte all'ex palazzo della Guardia di Finanza. In tal modo l'intervento dell'artiglieria piazzata sul Torrione, da quel lato fu inefficace, perché fuori tiro. Invece furono colpiti dai pezzi tenuti nella torre dell'Alcella. Le truppe francesi, guidate dal nostro concittadino Diomede Lepore, attraverso una fogna sbucarono a Largo Chiesa Vecchia e vincendo la fiera resistenza, si resero padroni di Molfetta, mentre il comandante Di Capua delle truppe spagnole di Carlo V faceva buona guardia sulla muraglia. I Francesi si dettero a saccheggiare le vie adiacenti, mentre la popolazione tentava la difesa. Il capitano Carafa, duca di Melfi, che comandava le truppe francesi, fu ucciso da una donna all'angolo dello strettissimo vicolo di Sant'Antonio con un grosso sasso scagliato dall'alto di un tetto; la stessa fine fece il barone Macchia sotto l'arco di via Forno. Furono cinque giorni di somma calamità che videro rifulgere l'eroismo popolare. Ma ogni tentativo di resistenza fu vano. Molfetta fu completamente saccheggiata d'ogni bene. Esemplare resta l'eroico gesto di Rosa Picca la quale preferì il suicidio alla violenza di un milite francese. Su ottomila abitanti ne morirono ben tremila. La difesa organizzata dal Torrione fu superba ma inutile. Una tradizione popolare narra che durante le epidemie di peste e di colera i morti, non potendo trovare sepoltura nelle chiese, erano calati nel Torrione, da dove erano risucchiati dal mare».
http://www.comune.molfetta.ba.it/docs/torre1.htm
Molfetta (villa Pansini o Casale)
«Alcuni storici affermano che il nome deriva da Casale de Scigghie soprannome della famiglia Pansini che ne era proprietaria, infatti viene anche chiamata Villa Pansini o semplicemente Casale. Studi recenti hanno indicato come il termine Casale lo si ritrova citato già a partire dal 1175 (molto prima della famiglia suddetta); questo perché il manufatto sorge sul luogo dove anticamente si ergeva il casale di S. Primo. Si trova nella contrada Salmo, verso Bisceglie, e dista dalla città di Molfetta 3,5 km. Dell'antico casale di S. Primo non sono rimaste che le pietre delle fondamenta via via rimosse dall'aratro e ancora sparse per un vasto raggio, relitti di una distruzione avvenuta, verosimilmente, verso la fine del '600 e il principio del '700, quando con il materiale delle rovine del vecchio casale fu edificata la nuova costruzione detta Villa Pansini. Questa si presenta come un grande corpo di fabbrica a pianta rettangolare con piano superiore, chiusa sui tre lati da un giardino murato, con portale e tre mensole aggettanti sul vertice del muro di nord-est, che sostenevano una torretta o garitta di osservazione e difesa. La porta interna al giardino reca la data 1719. Nel giardino si può scorgere con qualche stupore ciò che resta di un'arcata-belvedere di stile neoclassico con sedili della stessa epoca. Dunque una villa settecentesca fatta sorgere sulle rovine di S. Primo. Di quest'ultimo, quindi, non sopravvive che il nome casale e il sito: una collinetta ancora circondata da una parete-muro, che gira tutt'intorno per due terzi del perimetro con un dislivello di due o tre metri di altezza sui fondi circostanti. Verso nord sul terreno due pile o abbeveratoi di pietra, una piccola e l'altra enorme circolare, di geometria quasi perfetta, sicuramente antichissime».
http://www.rilievo.poliba.it/studenti/aa00/depinto/Tcasale/Tcasale.HTM
Monopoli (abbazia fortificata di Santo Stefano)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il Castello di Santo Stefano è un'importante fortificazione costiera, posta all'esterno della città di Monopoli. Per tutto il medioevo, è stato componente essenziale del complesso e articolato sistema difensivo monopolitano. Fondato nel 1086 da Goffredo, conte di Conversano, sorse su di una penisoletta protendentesi tra due insenature che formano due piccoli porti naturali, ossia gli attuali lidi Santo Stefano e Ghiacciolo. Con la presenza di un pozzo da cui attingere acqua freatica, fu sede del monastero dei Benedettini, i quali diedero il nome alla rocca per la presenza delle reliquie del santo, poi traslate il 26 dicembre del 1365 da Monopoli a Putignano per difenderle dalle continue aggressioni turche e piratesche. Intorno alla fine del XIII secolo i Cavalieri di Malta, che già possedevano un domus intra moenia adibita ad ospedale, al fine di controllare i traffici verso la Terra Santa con più dovizia, decisero di trasferirsi nell'abbazia rifortificando il vecchio maniero difensivo costiero. Crearono un fossato tuttora visibile e resero utili all'attracco entrambe le calette alla destra e alla sinistra del monastero-fortezza. In pratica, nelle giornate di greco o di greco-levante, l'abbazia-fortezza diveniva tappa obbligata per i naviganti da Bari verso Brindisi. La presenza di due cale forniva, inoltre, la possibilità di riparare più navi contemporaneamente e di rifornirle di tutto l'occorrente per intraprendere il viaggio verso la Terra Santa. La zona circostante, nei secoli XVIII e XIX, venne inglobata nel Capitolo della Cattedrale di Monopoli. Con l'annessione volontaria, prima città in Puglia, l'abbazia con i terreni ed il castello passarono sotto l'amministrazione borbonica. Attualmente il castello è di proprietà della famiglia de Belli».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Santo_Stefano
Monopoli (castello di Carlo V)
a c. di Luigi Bressan
Le foto degli amici di Castelli medievali
«L’itinerario proposto prende avvio dal luogo più significativo della storia più remota della città, la Porta Vecchia, che attualmente si presenta come area pedonale, luogo di incontro dei giovani e meta di piacevoli passeggiate. Subito dopo è possibile costeggiare la cinta muraria, che offre un percorso verso le costruzioni storiche del paese. Proseguendo sul lungomare inizia un tragitto pedonale, subito incontriamo la chiesa di S. Salvatore caratterizzata da un ampio portone; sulla destra c’è il Torrione S. Maria, oggi conosciuto come "cannone" perché in passato era una postazione d’artiglieria utilizzata per difendersi dagli attacchi via mare. Attualmente presenta una scaletta per accedere ad un piccolo ballatoio dal quale è possibile ammirare il caratteristico porto monopolitano. Alla fine della strada si trova il Castello di Carlo che si erge sul promontorio detto Punta Penna. Ristrutturato qualche anno fa è oggi sede di convegni e meeting. È uno dei pochi edifici storici aperti al pubblico e attualmente contenitore culturale e museo di se stesso. Risulta ben conservata anche una grande porta ad arco in blocchi di pietra a forma di parallelepipedi e oltrepassandola è possibile ammirare il porto vecchio. Di gran rilievo è il Palazzo Martinelli, che si affaccia sul mare ed è stato edificato sulle mura di cinta. Caratteristiche sono le grandi finestre ed un loggiato con archi a tutto sesto in stile veneziano, che rimandano al periodo in cui i Veneziani conquistarono Monopoli verso la fine del 400. Proseguendo il nostro percorso, subito di fronte a noi possiamo notare un piccolo arco che presenta un icona raffigurante la Madonna. Svoltando a sinistra e percorrendo Via Porto giungiamo in Piazza Palmieri (preceduta dalle chiese di San Pietro e Paolo e di S. Teresa, attualmente chiusa al culto, ma sede di spettacoli teatrali), dov’è situato l’omonimo Palazzo Palmieri. Proseguendo, possiamo ammirare le vie interne del Centro Storico e giungere così alla chiesa di S. Leonardo sede del Museo della Confraternita di San Giuseppe. Costeggiando la chiesa e attraversando Vico S. Antonio Abate, si giunge in Piazza Garibaldi che ospita la Biblioteca, Palazzo Cacace caratteristico è infatti il suo grande balcone terrazzato mistilineo lungo tutto il prospetto sorretto da due profondi arcani e la Colonna Infame con l’orologio e lo stemma della città. … Costeggiando il Collegio dei gesuiti, si imbocca Via Garibaldi dove possiamo ammirare antichi palazzi monopolitani come Palazzo Guida-Calderaro (XVIII sec.) e Palazzo Accinni (XVI sec.) oggi adibiti ad attività commerciali e abitazioni. Al termine della via si può notare il Palazzo della Città sede dell’amministrazione comunale ed ex convento francescano. …».
MONOPOLI (masseria fortificata Caramanna)
«La masseria si raggiunge risalendo la collina verso Castellana Grotte e prendendo il viale d’accesso alla proprietà che serpeggia, lungo, fra ulivi secolari concludendosi al cospetto della facciata più scenografica di tutto il complesso architettonico, costituitosi fino alle forme attuali in più periodi storici. Così la masseria appare al visitatore, imponente sul colle, con la facciata divisa a metà da un’elegante scalinata a due rampe semicircolari che simmetricamente si concludono al primo piano dinanzi al portale d’accesso alla casa padronale. Tra le due rampe s’innalza una palma la cui chioma supera ormai la baroccheggiante balaustra del terrazzo, che fa da sfondo, ornata tutt’intorno da vasi litici. L’antica torre si eleva sul resto degli edifici. Trattasi del nucleo più antico, costruito nella prima metà del XVII secolo, che conserva intatti i tipici elementi delle masserie a torre, diffuse sulle pianure adriatiche e ioniche della Puglia. La torre difensiva a più livelli è provvista ancora di feritoie a tiro incrociato e caditoie tutt’intorno, mentre l’ex scala d’accesso, pontelevatoio, è stata inglobata dall’ampio terrazzo settecentesco. In asse con il vecchio ingresso, svettante è il tipico campanile a vela, che informava a distanza a chi sopraggiungeva in masseria dell’esistenza di una chiesa privata, al cui interno a ricordarlo vi è una lapide dedicata alla famiglia Affatati di Monopoli che, da fonti scritte, risulta essere la proprietaria già nel XVIII secolo, quando si eseguirono ampliamenti architettonici. Gli ambienti interni del piano terra , destinati a vari servizi, comunicano con il piano padronale tramite una scalinata ricavata nello spessore murario che termina sul panoramico terrazzo, per questo anche spazio esterno all’abitazione da cui è ben visibile l’aia, ancora tutta lastricata, i due giardini, l’esteso uliveto e una foggia; da qui, volgendo le spalle alle colline della Murgia, lo sguardo corre oltre i campanili delle chiese di Monopoli fino al mare adriatico. Nel XIX secolo alla masseria furono aggiunti anche altri corpi di fabbrica destinati a stalle e alla lavorazione di prodotti dell’azienda agricola».
http://www.itriabarocco.net/web/guest/home/articolo... - https://it.wikipedia.org/wiki/Monopoli_(Italia)#Masseria_Caramanna
MONOPOLI (masseria fortificata Spina Grande)
«In origine Masseria Spina Grande, si presentava a pianta quadrata, si sviluppava su tre piani il primo ingresso doveva essere rivolto verso Masseria Spina Piccola, si accedeva dal portico a doppia altezza con tre archi allungati collocato all’angolo Nord. Anche qui, come sempre nelle opere fortificate, vi sono le caditoie in direzione degli accessi. Alcuni di questi elementi di difesa risultano inglobati nella costruzione, il che sta ad indicare le modifiche che ha subito la torre originaria. Il primo nucleo era costituito da due ambienti per ogni piano, a pianta rettangolare e quadrata; nel pian terreno e nel primo, le piante sono sovrapponibili, mentre, al secondo piano, la sala rettangolare appare ruotata di 90° rispetto a quella sottostante; gli ambienti hanno le volte a botte e a padiglione. Questo dettaglio fa presupporre che vi sia stato un assetto ancora più antico dove l’ultimo piano (fine 1400-prima metà 1500) sul terrazzo del portico a Nord doveva esser esterno con funzioni di cucina coperta. Nella prima metà del 1600 sono state costruite le due stanze rivolte a Sud-Est le cui aperture erano difese da caditoie, le volte sono a padiglione. Sul lato destro della costruzione nel 1700 è stato aggiunto un altro corpo di fabbrica, munito di loggiato e balcone ad “elle” con con volte decorate con dipinti murali a tempera ottocenteschi. Il volume aggettante con il porticato e la monumentale scala a tenaglia (Sud/Ovest), addossandosi alla più antica costruzione, ha distrutto le caditoie ma ha creato l’elemento più prezioso e scenografico della facciata della masseria. Questa modifica sostanziale cambia l’aspetto della primitiva fortificazione conferendogli la caratteristica di “libertà di accesso” al visitatore. L’edificio assume l’aspetto di una Villa» - «Masseria caratterizzata dal forte contrasto fra colori rosso e bianco con cui è dipinta: oggi è di proprietà della nobile famiglia dei Meo Evoli. Sviluppata su tre piani, fu radicalmente trasformata nel 1762 quando venne sovrapposto un porticato alla struttura originale. Singolare la posizione del complesso, che pur essendo vicino al mare, presenta il prospetto rivolto ai monti. Molto diverse le stanze padronali e quelle del colono: le prime caratterizzate da volte a botte, grandi stanze e ricche decorazioni. Materiale di costruzione è il carparo, di colore rosaceo, con le decorazioni in pietra naturale. Oggi sono stati allestiti alcuni spazi di vetrina, dove sono in mostra oggetti ed utensili della civiltà contadina. La chiesetta risale al 1700 ed è dedicata alla Madonna, la cui statua spicca sul frontale con in mano la masseria in miniatura».
http://www.masseriaspina.it/chi-siamo/spina-grande - https://it.wikipedia.org/wiki/Monopoli_(Italia)#Masseria_Spina_Grande
MONOPOLI (masseria fortificata Spina Piccola)
«La Masseria Spina Piccola è disabitata e intatta ad eccezione del ponte levatoio in legno (sostituito con un ponticello in muratura e sedili all’altezza dei beccatelli) e del muro di cinta (per meglio difendere la stalla e l’antico agrumeto dotato di un particolare sistema d’irrigazione d’ispirazione araba). La torre, a base quadrata, costruita direttamente sul banco di roccia con blocchi di carparo, nonostante l’abbandono, si presenta con un aspetto severo e dignitoso; si sviluppa su due piani, ed è coronata, sul parapetto leggermente aggettante. Ogni apertura è difesa da una caditoia. L’arco d’ingresso, che si apre sul muro di cinta, è sormontato da una caditoia alla quale si accede con una doppia scala addossata alla recinzione dalla parte interna» - «Situata a ridosso del centro cittadino, è una semplice torre di fortificazione a due piani e a base quadrangolare, risalente alla fine del Quattrocento. Riprende lo schema delle semplici torri costiere, con una caditoia per ogni facciata. Nel Seicento venne costruito il muro di cinta, interrotto da un piccolo arco di ingresso, con una piccola caditoia. Presente anche un primitivo insediamento rupestre con i resti di una croce e l'affresco di una Vergine con i Santi, molto rovinato. Poco lontano sorge un tratto della Via Traiana».
http://www.masseriaspina.it/chi-siamo/spina-piccola - https://it.wikipedia.org/wiki/Monopoli_(Italia)#Masseria_Spina_Piccola
Monopoli (mura, torrione del Molino)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«L’abbattimento del castello, durante la rivolta popolare avvenuta sul finire del ‘400, contribuì ad accentuare la debolezza delle posizioni difensive di Monopoli. La svolta, però, si ebbe dopo la conquista della città da parte degli Spagnoli, nel febbraio del 1530. Infatti venne approntato, nell’Italia Meridionale, un piano strategico finalizzato alla costruzione di fortezze, promosso direttamente da Carlo V. Nel 1536 il viceré di Napoli, Pedro Alvarez de Toledo (1532-53) diede incarico all’ingegnere Giovanni Maria Buzzocarino di provvedere alle fortificazioni delle città di “Calabria, Terra d’Otranto et Bari et Capitanata”. Nell’ambito di questa politica, nell’ottobre del 1544, don Pedro concesse che la rata del “donativo” di 600.000 ducati, dovuta alla Corona di Spagna dall’Università di Monopoli, fosse stornata per il restauro delle fortificazioni cittadine, praticamente distrutte dal lato terra durante l’assedio del 1529. In un solo anno, pertanto, si procedette all’appalto e al completamento dei lavori di restauro e ristrutturazione dell’intera cinta muraria. Il nuovo sistema di fortificazioni apparve ben progettato e aggiornato sulla base della tecnologie dell’epoca, ma privo, ancora di un castello. Nel 1547 vi era solo un “baluardo”, costituito da una torre dell’antica cinta, resti di una torre di epoca romana e del monastero e della chiesa di s. Nicola in Pinna del X secolo. Agglomerato, questo, che costituirà il nucleo dell’attuale Castello. Verso la fine del ‘500, vennero apportate modifiche all’impianto murario, con l’apertura di una nuova porta (Porta Nuova), e la chiusura dell’antica Porta Concili. A partire dal 1660, infine, sempre per ciò che riguarda le strutture difensive, la cortina della Porta Vecchia venne completamente ristrutturata fino al torrione, eliminando l’ingombrante terrapieno. Oggi ben poco rimane delle mura di cinta di epoca spagnola, rintracciabili tra Cala Porta Vecchia e via Papacenere e san Vito, costeggiando le quali, e passando per Largo s. Salvatore, si arriva ai resti delle mura di santa Maria ed al Castello di Carlo V».
«Un vero e proprio museo dell'artiglieria all'aperto, è quanto può essere detto riguardo al percorso che attualmente è possibile fare partendo dal Castello Carlo V. I restauri degli ultimi anni hanno reso fruibile al pubblico il baluardo spagnolo noto come Castello Carlo V edificato nel 1552. Proseguendo lungo le mura fortificate cinquecentesche si incontra il bastione detto "Santa Maria" sul quale sono stati collocati cannoni provenienti dalla fortezza di Gaeta, distrutta dai piemontesi al tempo dell'unità d'Italia. Altri cannoni del genere sono stati collocati lungo tutte le mura rappresentando un vero e proprio museo dell'artiglieria all'aperto che culmina in via dei Mulini infatti il bastione è in foto è detto del Molino».
http://www.itriabarocco.net/web/guest/home/articolo... - http://spazioinwind.libero.it/ctgmonopoli/Centro%20storico/torrione_del_molino.htm
«Il palazzo si trova ad angolo fra Largo e Via Garibaldi. Di origine tardo-cinquecentesco (XVI-XVIII secolo), il grande edificio fu ristrutturato nel XVIII secolo, come dimostrano il prospetto e il bel portale, ad avancorpo, con lesene dorico- toscane in bugnato liscio, completo di cornice modanata, presenta lo stemma dell’omonima famiglia. Ancora più decorato risulta il portale posto su via Garibaldi, che in origine dava accesso all’androne carrabile del palazzo. Il frontone superiore è abbellito da bassorilievi di motivi floreali con foglie di acanto e da una doppia cornice modanata aggettante divisa al centro da un piccolo balcone con balaustra in ferro battuto. Il palazzo, il cui perimetro è coronato da una cornice, si sviluppa su tre livelli perfettamente conservati grazie ad un recente restauro. Semplici le finestre ai primi due livelli. Su Largo Garibaldi s’affaccia una loggia con due arcate a tutto sesto con capitelli dorico - toscani, chiavi di volta e cornice modanata. Sugli angoli prospicienti Via Garibaldi sono collocate due balconate su mensole decorate con motivi floreali: quella rivolta verso mare, più decorata, si presume fosse chiusa da una balaustra in pietra, di stile rinascimentale, sostituita in seguito da una semplice ringiera in ferro. Il bugnato, che in origine circondava tutto il piano terra, rimane presente sui portali, che hanno subito forti rimaneggiamenti e mutilazioni. Il terzo livello si caratterizza per l’apertura su tre lati di una serie di finestrelle quadrilobate. Scarse e frammentarie sono le notizie sulla famiglia Accinni, di cui le prime notazioni appaiono nel XVI secolo e la registrano come d’Accinno, de Accinno, Accinno ed infine Accinni. Di essa, il ramo più in vista strinse rapporti di parentela con i Massari, i Pizziferri da Massafra, i Pappalepore, i Rota, gli Indelli, i Palmitessa, i Borrelli, I Grassi, i Piangevino... Da menzionare, senza dubbio, il capostipite storico della casata, Pietro Paolo, alfiere di cavalleria vissuto nel XVII secolo».
http://www.comune.monopoli.ba.it/ViverelaCittagrave/Learee/ArteeCultura/Villeepalazzi/Palazzinobiliari/PalazzoAccinni...
«Palazzo del 18° secolo, esso fu elevato sulle antiche mura di cinta; del maestoso edificio, in Via Orazio Comes n° 26 dalle quali si conserva integro un lungo tratto, fu posseduto prima dai Bandino, poi dai Carbonelli e dai Lentini e infine dai Martinelli, che lo acquistarono a fine Settecento. I Martinelli erano giunti da Mola per motivi commerciali, e lo abitarono dai primi anni dell’Ottocento, dopo averne probabilmente ristrutturato la facciata. Il lungo prospetto presenta porte-finestre settecentesche, mentre il monumentale portale d’ingresso e i balconi a semicerchio del primo piano sono stati realizzati ed ampliati in stile neogotico intorno alla metà dell’Ottocento. L’edificio, su tre livelli, si affaccia sul porto e conserva ampie finestre settecentesche con timpani a pagoda ed archi a tutto sesto. Un notevole effetto scenografico produce il loggiato, eretto su tre arconi, che si affaccia sul porto con otto arcate ogivali, in stile neogotico, ed una balconata con balaustrini. All’interno, oltre l’ampio androne, è presente un cortile con una bella scalinata aperta in loggiato settecentesco a tre ordini. Vi si affacciano un’elegante finestra e una porta-finestra mistilinea. La famiglia Martinelli deriva (da documentazione certa) da quella omonima di Mola, città nella quale essa fu presente già verso la fine del 1500, come attestato dall’atto di nascita di Clemente, nato nel 1646, che riporta altresì il nome dell’avo del neonato: un altro Clemente. A Mola si impose un ramo della casata con Vito Giuseppe e Vito Giovanni. Di questi, Vito Giuseppe si staccò da Mola per “approdare”a Monopoli, in quanto attratto dalle maggiori possibilità di commercio offerte dalla città monopolitana. Sposato con la molese Caterina Buttaro, non ebbe figli ed erede della sua proprietà fu il nipote Clemente, che lo aveva seguito e che si sposò a Monopoli, con Rosa Pizzangroia. Da questi discesero tutti i Martinelli nostrani. La famiglia, a Monopoli, si imparentò (soprattutto per ingentissima fortuna), con nobili casati locali, tra cui gli Indelli, i Manfredi, i Ghezzi, I Farnararo e forestieri (Noja, Zaccaria, Correale...)».
http://www.comune.monopoli.ba.it/ViverelaCittagrave/Learee/ArteeCultura/Villeepalazzi/Palazzinobiliari/PalazzoMartinelli...
«Il maestoso palazzo Palmieri che si trova nel centro storico di Monopoli, che fa “da cornice” a piazza Palmieri, fu voluto da Francesco Paolo, (che vi abitò con la numerosa famiglia, tra cui Michele, futuro Vescovo di Monopoli) negli ultimi decenni del Settecento, da una precedente abitazione. La famiglia Palmieri fu una delle più potenti e influenti famiglie in Monopoli e il prestigioso palazzo fu uno dei tanti immobili e palazzi che la famiglia deteneva in territorio monopolitano. Alla morte di Francesco Paolo, il Palazzo passa al figlio Teodoro e rimane proprietà dei Palmieri fin al 1921, quando muore in solitudine l’ultimo erede diretto, il Marchese Francesco Saverio, che con il suo testamento nomina erede universale la “Congregazione di Carità” e dispone che nel suo Palazzo siano ospitati un Asilo e una Scuola d’arti e mestieri. Per un lungo periodo, queste due Istituzioni hanno operato nel Palazzo che, da ultimo, ha ospitato l’Istituto Statale d’Arte dal 1965 al 1990. Attualmente, in esecuzione della volontà testamentaria, lo stabile appartiene all’I.P.R.A.B. (Istituzione Pubbliche di Assistenza e Beneficenza) per quanto riguarda la nuda proprietà, mentre la Curia Vescovile è titolare dell’usufrutto. Il maestoso edificio, che sovrasta con la propria mole la piazza, viene costruito alla stregua di una tipica casa palazzata d’impronta napoletana, in stile tardo barocco d’ispirazione leccese. Si presenta incorniciato in basso da una zoccolatura in bugnato e in alto da un cornicione in pietra calcarea sormontato dallo stemma familiare (un altro stemma simile è presente, in chiave, sull’arco detto “ delle Palme”, che collega il palazzo al giardino; su questo si può leggere il motto iustus ut palma flore bit). La vera e propria abitazione marchesale è quella del piano nobile. Esso è costituito da un susseguirsi di stanze, quasi tutte affrescate che attorniano l’atrio interno e da altri ambienti di servizio. La sala più importante è la galleria che dà anche sul loggiato esterno; essa deve mostrare collezioni d’arte e di reperti antichi. Attigua alla galleria vi è una cappella privata sospesa sul vicolo con arco ogivale. Il piano prevede anche uno studio e la libreria del padrone di casa. L’ultimo piano, infine, era destinato all’accoglienza di parenti e amici».
http://www.comune.monopoli.ba.it/ViverelaCittagrave/Learee/ArteeCultura/Villeepalazzi/Palazzinobiliari/PalazzoPalmieri...
Le foto degli amici di Castelli medievali
«...Carlo V, dopo il 1530, nell'ambito della sua politica di contrasto all'Impero ottomano, rafforzerà ulteriormente (col danaro della città) il sistema di fortificazioni urbano e costiero, costruendo il nuovo castello intorno alla grande porta romana e localizzando torri d'avvistamento lungo la costa in corrispondenza di calette dotate di attracco per una piccola imbarcazione. Anche il castello di S. Stefano sarà inserito in questo complesso sistema difensivo per far fronte agli attacchi provenienti dal mare. Il particolare interesse dei turchi per la città è dimostrato anche dall'accurato atlante del XVI secolo Kitab-i-Bahiryye di Piri Re'is, che riporta una bella vista di Monopoli e dei suoi approdi. Il sistema difensivo costiero monopolitano viene completato alla fine del XVI secolo, tra il 1569 e il 1573, con l'edificazione di cinque torri costiere di diretta competenza della città di Monopoli, tutte comunicanti visivamente tra di loro tramite il castello Carlo V e il castello di S. Stefano: Torre Incina, Torre D'Orte, Torre Cintola, Torre S. Giorgio, Torre Egnazia. Sull'attuale territorio comunale di Monopoli sono ancora conservate (oltre ai due castelli), a sud della città Torre Cintola e Torre S. Giorgio. Torre Cintola fu semidistrutta alla fine della seconda guerra mondiale dalle artiglierie inglesi che la utilizzavano come bersaglio per le esercitazioni e Torre S. Giorgio è ridotta ad un cumolo di macerie. Niente resta di Torre D'Orte, che sorgeva a nord di Monopoli, prima di Torre Incina e che già nel 1820 stava per crollare come notato nel rilievo-studio effettuato in quell'anno da Luca Giannico. Lo schema costruttivo di queste torri era, per tutte quelle citate che insistevano sul territorio di Monopoli, identico; ossia tipico del viceregno a pianta quadrata a tre livelli oltre le coperture. ...».
Noci (casale Casavoli, masseria fortificata Barsento)
«Nulla si sa intorno all'origine e poco intorno alla distruzione dell'antico casale di Casaboli, sito a meno di due miglia da Noci, a nord-est dell'attuale strada per Gioia del Colle. ... Casaboli si sviluppò, senza alcun dubbio, nell'alto Medioevo in un territorio di frontiera, posto tra le due città di Mottola e Conversano, sedi di potenti vescovadi e di feudatari prepotenti e litigiosi, spesso in contrasto per motivi di egemonia spirituale, ma anche per interessi economici ed espansionistici. Casaboli, nei secoli X e XI, quando le città dell'Italia meridionale e quindi anche Mottola e Conversano furono scosse da profonda crisi amministrativa, economica e sociale, dovette prosperare insieme con l'altro casale della zona, Barsento, tanto da diventare centro commerciale, come è testimoniato dall'ampiezza della piazza, dai numerosi pozzi e soprattutto dall'assetto viario, centro religioso di rilievo con diverse chiese è la basilica del Padre Eterno, centro civile di una certa importanza, il cui simbolo fu il castello. Agli inizi del XI secolo i rapporti tra Mottola, dilaniata da discordie civili, e Casaboli, cresciuta ormai per numero di abitanti, per floridezza economica, per attività religiose e commerciali, dovettero diventare di anno in anno sempre più tesi. In questo periodo, caratterizzato da disgregazione sociale, dal declino delle città, diversi casali sotto la giurisdizione di Mottola tentarono di rendersi indipendenti, sotto molti aspetti, dalla città egemone. Ma proprio l'aspirazione ad una certa autonomia, lotte tra feudatari, contrasti sulla legittimità d'elezione di vescovi, determinarono la distruzione di Casaboli e di Barsento. In un atto notarile di Campanella di Putignano si legge: la giurisdizione spirituale della chiesa di Putignano era soggetta assieme con le chiese di Casaboli e Barsento al vescovo di Mottola, quando nell'anno 1040, essendo insorti gravi litigi tra le chiese della diocesi e la cattedrale di Mottola per l'elezione del nuovo vescovo e non consentendo Casaboli e Barsento all'elezione dell'arcidiacono Ciliberto de Fumis, fratello del duca Rainero, elessero queste il primicerio Susaninito de Stasio. Il papa Gregorio VI consacrò vescovo l'arcidiacono de Fumis, ma decretò, su richiesta delle tre comunità, che le chiese di Casaboli, di Barsento e di Putignano non fossero più soggette al vescovo di Mottola, ma a quello di Conversano. Sdegnato per questo oltremodo, Rainero fece desolare e distruggere, salvo le chiese, fin dalle fondamenta Casaboli e Barsento, risparmiando Putignano, poiché era un casa di poca importanza. ... Per diversi secoli ancora, comunque, con il nome di Casaboli non solo s'indicò il territorio dell'antico casale, ma anche la gente che crebbe intorno al castello di Noci. Ciò è, da una parte, una conferma della notorietà e importanza di Casaboli, dall'altra delle difficoltà dello sviluppo della popolazione nocese. Di notevole valore storico è il documento del 1481 con il quale il re Ferrante investì Andrea Matteo Acquaviva, conte di Conversano, di diversi feudi. In esso c'è l'espressione cum locis inhabitatis Casabolae (con i luoghi disabitati di Casaboli). Il casale, dunque, è nel XV secolo ormai un deserto, un cumulo di macerie. ... Dove fu Casaboli, oggi è campo. Due trulli, ivi esistenti, recentemente spogliati delle caratteristiche chiancarelle, insieme con la fornace, sono dolorosa testimonianza dell'azione distruttrice dell'uomo. Per fortuna due antiche masserie, Casaboli di Sbiroli e Casabali di Notarnicola, sono ancora espressione di vita e di laboriosità. ...».
http://www.homofelix.it/socciv/Umanesimo/Insediamenti.htm (a cura di Nicola Bauer e Ciccio Giacovelli)
«Caratterizzato dalle singolari costruzioni in muratura bianco calce con i tipici tetti a pignon di locale pietra calcare (le chiancarelle), il cuore dell'antica Noci si articola tra le linde e tortuose viuzze e le caratteristiche gnostre (da chiostro, dal latino claustrum, luogo chiuso), piccole corti comuni dove un tempo si consolidava la legge del vicinato: vi giocavano i bambini, le donne si disponevano a sbucciare le fave, rammendare, filare, si condividevano gioie e dolori. Che vi si acceda dalla centralissima via Porta Putignano, o dai numerosi accessi dell'anello dell'estramurale, lo spettacolo non cambia: fantasiosi comignoli in pietra, giochi di scale, panche di pietra, boccagli di pozzi, magici abbaini, deliziose loggette con verdi pergolati regalano all'occhio del visitatore atmosfere e profumi arcaici, mentre qua e là, quasi in un involontario gioco del nascondino, si scoprono le tipiche edicole votive, dedicate soprattutto al patrono San Rocco e alle madonne di casa nostra. Non mancano le antiche ed eleganti residenze signorili sapientemente ristrutturate, che si distinguono dai magnifici portali di accesso sormontati dallo stemma di famiglia e dagli artistici balconi in ferro battuto».
http://www.comune.noci.ba.it/citta.php?obj=page&idmnu=10&id=30 (a cura della Biblioteca Comunale)
«Sebbene l'originaria fisionomia del castello di Noja sia andata perduta con il frazionamento della proprietà e le pesanti manomissioni succedutesi, di esso sono visibili soprattutto il portale principale, su piazza Umberto, sovrastato dallo stemma araldico ducale quadripartito che riporta le insegne delle famiglie Castriota-Skanderberg, Carafa, Pappacoda e Mendoza, e quello di accesso al fossato. Entrando nell'atrio a sinistra sorge l'edificio del corpo di guardia e a destra l'abitazione del castellano, che conserva alcuni affreschi e l'imboccatura dei cunicoli che consentivano l'abbandono dell'edificio in caso di pericolo. Il portone di fronte dà accesso a un atrio e allo scalone che conduce agli originari appartamenti ducali. Da qui si può raggiungere i resti di un bastione difensivo e un residuo dei giardini pensili. Alle spalle di questo edificio si trova l'antica torre normanna di Noja, ormai mozzata. Attorno al perimetro originario del castello sono visibili ampi tratti dell'imponente fossato di epoca normanna, sul quale si affacciano balconate dalle colonne scandite dallo stemma della famiglia Caracciolo».
http://it.wikipedia.org/wiki/Noicattaro#Castello
Palese Macchie (masseria fortificata Triggiani)
«Sorge a ridosso della Lama Balice e del quartiere San Paolo, nei pressi del vecchio ponte abbandonato che collegava le Quattro Strade al territorio di Bari. Risale al XVII secolo e presenta elementi di fortificazioni ed ambienti ipogei. Attualmente è in grave stato di abbandono».
http://www.diloscenter.it/web/sulfilodellastoria/palese_torri_02.htm
Palese Macchie (torre di Brencola o Brengola)
a c. di Vito Ricci
Palese Macchie (torre Campanale)
a c. di Vito Ricci
Palese Macchie (torre Chiancone)
«Nei pressi della Lama Balice, in un podere attualmente non raggiungibile, esistono i resti di Torre Chiancone, da cui deriva la denominazione della località che ospita il ponte dell'Ottocento che attraversa la Lama, collegamento storico di Palese con Modugno».
http://www.diloscenter.it/web/sulfilodellastoria/palese_torri_03.htm
Palese Macchie (torre di Inferno)
a c. di Vito Ricci
Palese Macchie (torre di Portico Papapiccolo)
«Di origine settecentesca, presenta una volta a crociera con arcate e probabilmente è stata o doveva essere la base di una torre di avvistamento. è stato utilizzato come palmento per la pigiatura dell'uva» - «Nei pressi di Palazzo Capitaneo è ancora visibile una costruzione ad archi denominata Portico di Papapiccolo, utilizzata nel secolo XVII come luogo di ristoro per viandanti e pastori».
http://www.diloscenter.it/web/sulfilodellastoria/palese_torri_03.htm - http://cittametropolitanabari.blogspot.it...
Palese Macchie (torre di San Giovanni delle Camere e Palazzo Capitaneo)
a c. di Vito Ricci
Palese Macchie (torre Ricchizzi)
a c. di Vito Ricci
Palese Macchie (torre Siracusa)
a c. di Vito Ricci
a c. di Vito Ricci
«...La via consolare di epoca romana "Minucia" (dal nome del console Minucio Rufo) collegava Benevento con Brindisi, come la via Traiana, passando però internamente anziché sulla costa, in alternativa alla via Appia. Partiva da Bitonto e attraversava l'entroterra peuceta passando per Modugno, Ceglie del Campo Capurso, Rutigliano, Noicattaro e Conversano (Midunium, Caelia, Capursi, Rutigliano, Noa e Norba) per poi riunirsi alla via costiera nei pressi di Egnazia. Un tratto, ancora visibile, passante per la Contrada Caffariello, segnava il confine fra Palese e Modugno, tracciato nel 1928 con il Regio Decreto che sottraeva il territorio di Palese a Modugno, accorpandolo a Bari. Attualmente la Strada di epoca romana è identificabile con le vie vicinali Misciano, S. Andrea e Capo Scardicchio, che a loro volta ricoprono il vecchio tracciato della Strada che collegava Bitonto a Bari».
http://www.diloscenter.it/web/sulfilodellastoria/palese_07.htm
Palo del Colle (palazzo Filomarino)
a c. di Luigi Bressan
Palombaio (masseria fortificata Donna Nora)
a c. di Pasquale Fallacara
Palombaio (masseria fortificata o casino Cioffrese)
a c. di Pasquale Fallacara
Poggiorsini-Minervino-Spinazzola (ruderi del castello del Garagnone)
a cura di Tonio Brusa
Le foto degli amici di Castelli medievali
Polignano (centro storico, palazzi)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Suggestive stradine, piccole case e corti imbiancate dalla calce, incantevoli terrazze a strapiombo sugli scogli, fanno del centro storico di Polignano a Mare una meta turistica di primordine. Varcato l'Arco Marchesale, l'antica porta della città, ci si immette nella Piazzetta Fulvia Miani Perotti, nobildonna, scrittrice, discendente dei signori di Polignano, proprietari del Palazzo del Feudatario, posto sulla destra. Di fronte ad esso, il Palazzo del Governatore. A sinistra, in via Mulini, il Palazzo Pino Pascali, luogo di incontri culturali ed artistici, e la barocca Chiesa del Purgatorio, costruita sul sito della Cappella di San Martino, luogo di sepoltura di coloro che, per vari motivi, non potevano essere accolti all'interno delle chiese. Piazza Vittorio Emanuele II, l'antica Piazza dell'Orologio, è dominata dalla Chiesa Matrice, in austero stile romanico pugliese, dedicata nel 1295 a Santa Maria Assunta, fu a lungo cattedrale. La Chiesa Matrice vanta un massiccio campanile a forma quadrangolare, la cui superficie è costituita da una cappella che ospita il pregevolissimo presepe artistico di Stefano da Putignano. L'altra grande piazza del borgo antico è San Benedetto ricavata dalla demolizione del monastero benedettino nel 1932. Percorrendo i vicoli si giunge alle logge, balconate a strapiombo sul mare: da Santa Candida, in fondo a via Mulini, fino al bastione Santo Stefano, alle spalle dell'antica Chiesetta omonima».
http://www.barisera.it/polignano.shtml
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La torre in località Cala Incina costituisce uno tra gli esempi più interessanti di torri costiere di un organico e razionale sistema difensivo e territoriale fatto realizzare dal viceré Pedro di Toledo dopo il 1529, in seguito ai numerosi attacchi pirateschi che interessarono questo territorio. Queste torri, tuttora visibili lungo gran parte della costa pugliese, conservano in buona parte integra la struttura delle costruzioni. C. Gambacorta, alla fine del XVI secolo, compì una visita in Terra di Bari e Terra d’Otranto e Calabria che diede luogo a documenti di grande interesse sulle torri costiere, in seguito alla quale si evince che le torri in Terra di Bari dovevano essere sedici. Le torri del territorio di Polignano a Mare erano: Torre Ripagnola, Torre S. Vito, Torre Incina. Tra queste sono sopravvissute all’ingiuria del tempo solo Torre san Vito e Torre Incina. Torre Incina si presenta a pianta quadrata, con basamento troncopiramidale, e si sviluppa su due livelli. Ogni facciata è coronata da quattro robusti beccatelli e tre caditoie in controscarpa. La torre è servita da una cisterna esterna ubicata sul lato Nord–Est. Una seconda cisterna, di più modeste dimensioni è ricavata nello spessore del muro. La torre, regolarmente accatastata nel 1881, è stata oggetto nel 1966 di un intervento di restauro che ha garantito la buona conservazione e il recupero degli elementi strutturali».
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La torre in località San Vito, oltre a far parte dell'ampia rete difensiva istituita da Pedro di Toledo, costituiva con la masseria fortificata detta Vecchio Ovile un vero e proprio sistema difensivo esterno per l'Abbazia di San Vito. Torre San Vito fu presumibilmente completata, o almeno resa agibile, entro il 1569. La torre si presenta a pianta quadrata, su due livelli, con base a scarpa e tre caditoie per lato. Il carattere difensivo espresso nella soluzione architettonica è accentuato dal coronamento a parapetto pieno, munito di grossi beccatelli. Sulla destra dell'ingresso, all'esterno, è murata una lapide in pietra».
http://www.territoriopolignanoamare.it/pdf.php?sessionid=43
Putignano (centro storico, palazzi)
«Caratterizzato da una forma ellittica, il borgo antico è costeggiato da un ampio estramurale realizzato nel 1876, abbattendo le possenti mura ed il fossato di epoca medioevale. Elementi importanti del complesso sono i tre ingressi principali, ovvero “Porta Grande”, “Porta Barsento” e “Porta Nuova”, la “Chiancata” (arteria principale) ed il centro del borgo dove su “Piazza Plebiscito” si affacciano il Palazzo del Principe Romanazzi Carducci, detto anche “Palazzo del Balì”, il Sedile e la chiesa madre di S. Pietro Apostolo fatta erigere agli albori del medioevo e ricostruita nel 1400. ...».
http://www.pugliaevents.it/it/le-location/centro-storico-10
Rutigliano (masseria fortificata Panicelli)
«Masseria Panicelli, localizzata sulla strada per Turi a circa 7 km da Rutigliano, rappresenta il probabile archetipo delle numerosissime masserie - torri presenti nell'area costiera, a valle della scarpata murgiana, dei territori di Monopoli, Fasano e Ostuni. Masseria Panicelli rappresenta una tipica struttura agricola in cui prevale la mole dell'edificio a torre, derivato direttamente dalla tipologia dei castelli e adattato alle specifiche esigenze agricole. Le sue caratteristiche peculiari sono quelle delle altre decine di masserie - torri presenti in questa parte della Puglia: piano terra, primo piano e terrazzo attrezzati per la difesa; scala ad unica rampa per l'accesso al primo piano (terminante originariamente con un ponte levatoio retraibile); aperture protette da caditoie posizionate esattamente in asse; completa indipendenza tra le superfici a piano terra e quelle al primo piano; notevole altezza della costruzione, al fine di un migliore controllo del territorio circostante; presenza dei quattro bastioni angolari. La tecnica costruttiva della masseria è quella tipica del periodo compreso tra il XV e il XVII secolo: gli angolari della fabbrica sono realizzati con conci di pietra accuratamente selezionati, squadrati e sovrapposti con estrema cura; il paramento murario è in pietra calcarea sbozzata e la rifinitura è realizzata con uno strato di intonaco di notevole spessore. Intorno alla torre si articolano gli addendi della masseria (la cappella, le stalle, gli ovili, i locali di deposito), stratificatisi nel corso dei secoli in base alle specifiche esigenze produttive e funzionali e racchiusi all'interno di un alto muro di cinta. Oggi la struttura, divisa in due distinte proprietà, risulta in uno stato di parziale abbandono».
http://www.terredelmediterraneo.org/itinerari/triggiano.htm
Rutigliano (torre bizantino-normanna, resti del castello)
«Il castello normanno fu fatto demolire nel 1618 dal priore del Capitolo della Basilica di San Nicola di Bari, in quel tempo utile feudatario di metà territorio rutiglianese. Sopravvivono soltanto due delle originarie quattro maestose torri normanne quadrangolari, di cui una quasi intatta. Rimane ancora integro il portale di accesso alla corte che invece risulta molto manomessa. La Torre Normanna è formata da più piani sovrapposti fino al terrazzo sovrastante ed è di proprietà privata della famiglia Antonelli, per eredità ricevuta dalle estinte famiglie Torres e Ribera».
http://it.wikipedia.org/wiki/Rutigliano#Torre_normanna
Ruvo di Puglia (cinta muraria, porte, torre dell'Orologio)
«L'immagine medievale di Ruvo è quella di un borgo antico racchiuso in mura possenti intervallate da torri circolari e quadrangolari. Quattro porte principali la collegavano al territorio circostante: Porta Noè, Porta del Buccettolo, Porta del Castello, Porta Nuova. La più importante, anche perché vicina alla sede dell'Università, era Porta Noè che immetteva sulla strada per Bitonto e Bari. Appena all'interno della porta, a conferma dell'importanza dell'area urbana, si trovavano a destra il Palazzo del Decurionato o Casa Comunale (sede dell'amministrazione e dei Giudici) e a sinistra le carceri. Per quanto concerne la porta del Buccettolo, il termine deriva dal latino Bucetum = "pascolo per buoi", a sua volta derivato dal termine latino Bos = "bue". Con il termine Buccettolo si indicavano perciò le aree interne alla cerchia di difesa adibite a spazio verde e pascolo, di grande utilità per gli abitanti in caso di assedio o epidemia, in quanto consentivano loro un certo limite di autonomia, nel momento in cui non vi era la possibilità di uscire dalla città. Grazie all'analisi toponomastica, si può affermare che le attuali Via N. Boccuzzi (ex via Vuccolo), Via Schiavi, Via Madonna, Via San Carlo (ex Via della Strignatora) costituivano il buccettolo della Ruvo medievale. Inoltre la presenza di pochi elementi medievali, tutti successivi al XII secolo, situati nella aree del buccettolo, fa presupporre che le mura della città furono realizzate in modo da contenere anche il futuro ampliamento della città. Di conseguenza fra l'antico nucleo e il circuito di difesa fu interposta una larga fascia di verde edificata solo successivamente.
Le mura, costruite accuratamente con il fossato dalla parte esterna, si dipanavano da porta Noé verso i due torrioni angolari (entrambi ricostruiti nel XVI sec. sotto il dominio aragonese) ancora esistenti (uno sito in via Fornello e l'altro in via Rosario); lungo il muro di destra erano stati ricavati molti locali adibiti a beccherie. Seguendo poi direttrici opposte, in gran parte coincidenti con i lati interni degli attuali corsi, le mura si saldavano a nord-ovest presso il castello. Oltre al Castello, alla Torre del Pilota e alle mura, altro cardine del sistema difensivo era costituito dalla torre annessa alla Cattedrale, costruita prima della chiesa, e cioè nell'XI secolo (mentre la Cattedrale fu realizzata tra XII e XIII secolo). Tale torre, adibita in seguito a campanile grazie alla sua posizione, consentiva il controllo della pianura sottostante fino al mare Durante l'aggressione di Consalvo De Cordoba nel 1503, le mura furono gravemente danneggiate nel tratto sud-est e poi riedificate.
In epoca moderna, il sistema di accesso alle vie del borgo antico fu integrato da una serie di porte minori dette "portelle", praticate nelle mura, forse per consentire agli abitanti di raggiungere più rapidamente i luoghi di lavoro senza fare lunghi giri all'interno della città fino alle porte principali. Tali portelle, alcune delle quali ancora esistenti e riconoscibili, si trovavano presso l'Arco Fornelli, presso Fondomarasco (Arco Ferrari), in via Mulini, presso il Buccettolo e presso il torrione di via Rosario. Tra il 1516 e il 1799 la manutenzione delle mura non fu curata, tanto che nel 1799 queste si trovavano in stato di abbandono e si provvide a ripararle anche in vista dei moti rivoluzionari. Agli inizi dell'800 tutte le aree libere all'interno delle mura erano scomparse e la città antica era ormai satura di costruzioni. L'espansione all'esterno era necessaria alla crescita e allo sviluppo della città. I nuovi insediamenti cominciarono a sorgere presso Porta Noè, al largo del Buccettolo e fuori Porta del Castello. L'esigenza di raccordare la città antica ai nuovi sobborghi comportava la distruzione delle antiche muraglie che ancora la cingevano quasi completamente. L'abbattimento era necessario anche per motivi igenico-sanitari: le mura e i fossati erano malsani in quanto vi ristagnavano le acque e venivano usati come discariche, impedendo così la circolazione dell'aria. Il diffondersi di frequenti epidemie coleriche rendeva ancor più urgente la decisione di rimuovere le mura e le porte, ritenute le cause principali dell'insalubrità. L'abbattimento della cinta muraria fu pressoché totale; attualmente è ancora visibile solo il tratto sud-orientale con i torrioni aragonesi di Via Rosario e via Fornello e la torre quadrangolare di via Parini».
Ruvo di Puglia (resti del castello Melodia)
a c. di Luigi Bressan
Ruvo di Puglia (torre del Pilota)
«La torre è inglobata nel circuito delle mura, tramite le quali si collegava alla cortina fortificata del castello. Non si conosce l’ideatore di questa torre, né l’anno di costruzione. La torre, situata sul lato ovest dell'attuale Piazza Regina Margherita, distava dal castello m. 25,00 ed era a pianta circolare. Presentava centro sull'asse che collegava lo spigolo sinistro della Chiesa del Redentore allo spigolo della veranda del Larghetto Tedone (attuale municipio). Inoltre era munita di un bastione poligonale (denominato "rivellino"), posto alla sua base ed elevato sino al secondo piano della Torre, in quanto meglio rispondente alla difesa dalle armi da fuoco. Composta da 4 piani fuori terra ed uno interrato, si elevava per m. 33,00 con diametro esterno di m. 13,20. La struttura circolare era a sezione trasversale costante, in muratura e doppio paramento, composta da elementi di pietra naturale, uniti organicamente per sovrapposizione tramite malta, in modo da ottenere una struttura omogenea e solida. Tali pietre disposte orizzontalmente, appoggiate sulla loro faccia piana e più larga, in modo tale che i giunti degli elementi di ogni ricorso fossero sfalsati rispetto a quelli del ricorso sottostante, così che un elemento di pietra fosse sempre a cavallo dei due sottostanti. Al secondo piano vi era murata una lapide raffigurante due scudi: uno diviso in quattro parti, con due quarti in rilievo e l’altro con un leone rampante lavorato in modo imperfetto. La muratura nella parte basamentale aveva uno spessore di m. 3,00 e nella parte terminale di m. 2,60. In epoca successiva alla sua costruzione fu cinta da un bastione poligonale di difesa (rivellino). Con la dominazione spagnola la torre fu adibita a carcere fino alla stipula di un concordato con l’università, con il quale il feudatario rinunciava alla giurisdizione dei crimini e quindi a mettere a disposizione i propri locali. Con l’abolizione della feudalità, i Carafa, che utilizzavano la torre come prigione nei sotterranei vendettero il Castello e la torre ai sigg. Montaruli, in seguito ereditati dalla principessa di Moliterno che a sua volta vendette i suoi beni al comune nel 1878. La torre fu ristrutturata, fu prosciugato anche il fossato d’acqua, i propri locali furono ben illuminati ed adibiti ad ufficio telegrafo. La Torre crollò il 18 febbraio del 1881».
http://www.ruvolive.it/City/495/VistaSez.aspx
Ruvo di Puglia (torre di Villa Fenicia, torre Quercia)
«Torre di Villa Fenicia. La Torre di Villa Fenicia è un edificio della masseria fortificata appartenuta alla famiglia Fenicia (sita sulla strada provinciale Ruvo-Bisceglie, fu edificata come una masseria fortificata nel XVII secolo e trasformata in villa signorile sul finire del XIX secolo. Attualmente è adibita a sala ricevimenti). Torre Quercia. Percorrendo le strade di campagna della cittadina di Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, non è raro imbattersi nelle Torri di avvistamento qui presenti per difendere il passaggio dei crociati che partivano dai porti pugliesi alla volta della Terra Santa. Anche Torre Quercia fa parte dei masti normanni tra i meglio conservati dell’Italia meridionale. Si erge tra gli ulivi, in zona periferica, e fa parte di quel capillare apparato difensivo e di avvistamento lungo la Via Traiana. Oggi le torri costituiscono complessi monumentali di grande interesse per lo studio dell’architettura fortificata di epoca normanna».
http://it.wikipedia.org/wiki/Ruvo_di_Puglia - http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=94411
Sammichele di Bari (castello Caracciolo)
a c. di Luigi Bressan
Le foto degli amici di Castelli medievali
Sannicandro di Bari (castello)
a c. di Luigi Bressan
Le foto degli amici di Castelli medievali
Santeramo in Colle (Palazzo Marchesale)
«Il Palazzo Marchesale fu edificato nel 1576 dal marchese Ottavio Caracciolo, così come testimonia la scrittura scolpita sulla facciata. Il Castello, addossato alle vecchie mura, era munito di fossato di protezione e complessivamente conserva l’originaria struttura caratterizzata dal tipico bugnato cinquecentesco. La facciata che domina largo Piazzola si distingue per il grande portale a bugne alterne-piatte e a punte di diamante. Sul retro dell’edificio, si apre lo splendido cortile “Cavallerizza”, così anticamente denominato dalla famiglia Caracciolo in quanto adibito al passaggio e ristoro dei cavalli. I due leoni rampanti con bande trasversali sono lo stemma dei Marchesi Caracciolo che entrarono in possesso del palazzo in via ereditaria. Il palazzo conservò il suo aspetto di imponente abitazione marchesale fino al 1826, quando furono aperte le cinque botteghe che tutt'ora si trovano al pian terreno dell'edificio».
Santo Spirito-Bari (castello o torre di Argiro)
a c. di Vito Ricci
Terlizzi (centro storico, palazzi)
«La città di Terlizzi si è sviluppata nel tempo in maniera progressiva e concentrica intorno alla Civitas. Dal territorio un tempo coperto di lecci deriva il suo nome più antico, Trilicium e successivamente Terlicium. Agli inizi del secolo VIII, durante la dominazione longobarda in Puglia, Terlizzi visse la sua massima espansione, caratterizzandosi come centro tipicamente militare e agricolo. La notizia più antica sulla città è contenuta nella Donazione di Wacco (VIII sec.), feudatario longobardo, con la quale si cede il casale in Trelicio al Monastero di Monteccasino. Il secolo XI vide Terlizzi sotto il dominio normanno, alle dipendenze del Conte Amico (1073). In questo periodo il feudo da locus divenne castrum e rapidamente acquisì la dignità di civitas (1133). L’unica testimonianza normanna ancora visibile è la Torre Maggiore del Castello. Nei secoli successivi la città subì varie dominazioni: Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli. Nel 1779, dopo aver riscattato la condizione feudale, divenne città demaniale. Nei secoli XIX e XX, la città ha avuto un considerevole sviluppo demografico, urbanistico ed economico, quest’ultimo particolarmente legato all’attività floricola. Terlizzi è nota come “la Città dei fiori, della ceramica e dell’olio d’oliva”. Interessanti da un punto di vista storico e artistico sono: il borgo medievale; la Torre del Castello Normanno; il Portale del XIII sec. di Anseramo da Trani, protagonista del romanico pugliese. ... Degne di nota sono le palazziate sette-ottocentesche: Palazzo di Città con annesso Teatro Millico; Palazzo de Gemmis; Palazzo Scalera; Palazzo San Giorgio; Palazzi de Paù; Palazzo Marinelli, Palazzo de Napoli, sede dell’omonima Pinacoteca. Nel territorio si segnalano anche i santuari mariani di Sovereto e Cesano, ricchi di storia e di fede».
http://www.viaggioadriatico.it/ViaggiADR/rete_interadriatica/pagina-di-descrizione-citta/terlizzi/
Terlizzi (torre normanna o dell'Orologio)
«Già nel 1107 in un atto notarile, la data topica di castellum o castrum e addirittura, qualche decennio più tardi (1133), di civitas, risale la costruzione del castello e della cinta muraria della città iniziata dal conte Amico di origine normanna. Intorno alla stessa epoca risulta essere stata costruita la collegiata in onore di S. Michele Arcangelo abbattuta nel 1782, e poco distante dalla via Appia-Traiana la chiesa di Cesano di stile preromanico voluta da un altro capo normanno Umfredo affermando così la presenza monastica benedettina nel nostro territorio. Nel castello ebbe dimora dal 1632 e fino al 1639 un cugino dei principi Grimaldi e fu per quella circostanza che il castello, restaurato ritrovò il suo splendore dove lo stesso arciprete prelato, con il titolo di vice marchese, esercitò il governatorato per conto del cugino, principe titolare, Grimaldi. In tempi recenti la torre, residuato del castello, è stata restituita alla città con un restauro mirato tendente a renderla fruibile. Prima degli attuali lavori, era grandemente pericoloso e fortemente gravoso l’accesso ai diversi livelli. Preesistevano scale alte e strette in legno con le quali si accedeva al piano dell’orologio per gli interventi di manutenzione che anticamente aveva un funzionamento meccanico, come un pendolo, la cui carica era data da un sistema di pesi e che ad intervalli uguali di tempo aveva bisogno di ricarica; ma attualmente un meccanismo elettrico ha sostituito quello antico».
http://www.memoriaeconoscenza.it/percorsi-identitari/GRPR_INT_1/PI_INT_1/PI_A_INT_terlizziA6?
Toritto (castello e centro storico)
«Il Castello si erge nella piazza del centro storico. L'epoca della fondazione non è certa e sulle varie fasi di costruzione si possono avanzare solo ipotesi. Mancano infatti, anche per la scarsa accessibilità al complesso, studi specifici. All'unica porta d'ingresso del Castello (su via Carmine) si accede attraverso un ponte in pietra che scavalca il fossato e presenta ai lati due medioevali sculture leonine in granito, aventi tra le zampe delle panelle. Le sculture attestano l'appartenenza di uno dei feudatari all'antico Casato dei Frangipane. La Torre rotonda (inglobata in una costruzione recente) e la Torre Normanna, dichiarata Monumento Nazionale nel 1938, risalgono al X e XI secolo, mentre altre costruzioni, site in via Carmine e in Piazza Castello ed edificate sul fossato del fortilizio, compresa la Torre Merlata, sono di epoca più recente (XV e XVI secolo). Poiché è probabile che l'origine di Toritto risalga all'epoca peuceta, non si esclude che la Torre Normanna sia stata costruita su resti classici. Sino al XIV secolo il castello era un fortilizio con funzione difensiva, più tardi, come si evince da un documento del 1631, ospitò stalle, cortili, cisterne, appartamenti, mulini, granai e frantoi. A parte la Torre Normanna, sembra che oggi il Castello di Toritto sia di proprietà di vari privati. Il complesso versa nel più totale degrado» (2003).
http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getbene&id=107
Torre a Mare (quartiere di Bari, Torre Pelosa)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Intorno al 1500, allo scopo di difendere la costa dalle incursioni dei pirati e dei predoni che infestavano il mare Adriatico, fu edificata una torre di avvistamento, tuttora esistente al centro della piazza principale. Da allora la località prese il nome di "Torre Apellosa" o "Torre Lapillosa", trasformato successivamente in "Torre Pelosa", e divenne un piccolo borgo di pescatori che vivevano per lo più in trulli e grotte naturali e riparavano le proprie imbarcazioni nel porticciolo alla foce di lama Giotta».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_a_Mare_%28Quartiere_di_Bari%29
Turi (masseria fortificata Caracciolo)
«Una costruzione rurale tipica della Puglia è la masseria, residenza estiva dei ceti elevati ma al tempo stesso azienda agro-pastorale. Molte sono fortificate, specie se sui litorali. La masseria Caracciolo nel territorio di Turi presenta tutte le caratteristiche di masseria fortificata, come alcuni particolari architettonici inequivocabili confermano. Nel medioevo c'era un castello, poi nei secoli successivi è diventata una masseria pur mantenendo una funzione difensiva. Di quel passato si riconoscono subito le garitte, le torrette d'avvistamento sui quattro angoli dell'edificio, con cupolette semisferiche. All'interno lo spessore dei muri è già un'altra traccia del castello, ma soprattutto i passaggi di ronda che corrono sui quattro muri e le feritoie strombate; percorrendoli si incontrano ambienti più ampi con pavimento in pietra dove qua e là ci sono tavole in legno: forse celavano trabocchetti. Ad attirare sono, inoltre, gli elementi architettonici settecenteschi che contraddistinguono subito le residenze estive elitarie. Si conservano anche gli ambienti destinati ai servizi della masseria, come le nicchie-mangiatoie sul perimetro di una corte interna. L'attuale facciata è a due piani, con due ampi fornici al piano terra e al centro due finestre ellittiche coricate. Al primo piano una porta-finestra centrale è sormontata da un archivolto, simmetriche altre due finestre laterali. Di fianco una costruzione con il terrazzo coronato da un'elegante balaustra. All'interno uno scalone settecentesco termina con tre grandi arcate di cui una affaccia sulla corte. Costruite nel settecento anche un'ampia stanza da letto con due alcove e una cucina con un tipico focolare coperta da una cappa piramidale».
http://www.itriabarocco.net/web/guest/home/articolo...
Turi (masseria fortificata Musacco-Gonnelli)
«La Masseria Musacco-Gonnelli, oggi purtroppo in abbandono, nonostante il vincolo posto dalla Soprintendenza, presenta tutte le caratteristiche di un fortilizio. Forse sorto nel '500 ma ampiamente trasformato nel '700 in residenza rurale; il corpo principale, in parte crollato, si presenta ancora imponente, in fondo all'ampio piazzale, delimitato da un'alta recinzione, al quale si accede tramite un arco settecentesco. Nei pressi, i resti di una zona boschiva occupano il letto alluvionale di una lama; interessante, ai limiti della macchia, è la neviera, un raro e quindi prezioso reperto di archeologia industriale ancora in buono stato di conservazione».
http://www.comune.turi.ba.it:8082/Default.aspx?Id=312 (a cura di Giovanni Lerede)
Turi (palazzo marchesale Venusio)
«Ha origini che risalgono al Medioevo, più precisamente al periodo del normanno Tommaso da Frassineto (XI-XII sec.), primo dominus di Turi, e presenta alcuni elementi architettonici risalenti ai tempi di Goffredo, nipote di Roberto il Guiscardo. È stato sicuramente un castello medievale per la sua posizione al margine dell'abitato, e per il grande fornice d'accesso alla piazza interna ed è situato a più di 270 m. sul livello del mare. Il castello si ampliò con gli Svevi e gli Angioini, ma probabilmente solo con l'insediamento, nel 1547, del nuovo feudatario Francesco Moles (originario di Gerona, Spagna), l'edificio dovette assumere le fattezze di una fortezza-palazzo, con nuove torri e nuovi corpi di fabbrica. Nel 1741, il passaggio del feudo dai Moles a Ottavio Venusio di Matera ... comportò una profonda trasformazione dell’edificio che venne in parte demolito per assumere l'aspetto di fastosa dimora barocca che ancora oggi possiamo ammirare, con il monumentale ingresso nella bella piazza cap. Colapietro, le balconate, i finestroni e le artistiche ringhiere. Il Palazzo Marchesale è costituito da un piano terra, con tracce di epoca normanna (XI secolo), un primo piano con caratteristiche dell’antico castello baronale dei Moles (XVI secolo) e un secondo piano che riflette la trasformazione del castello cinquecentesco nell’attuale palazzo di aspetto barocco, ad opera dei marchesi Venusio. In questo periodo al piano terra ci dovevano essere le carceri, la legnaia, le stalle, le cantine, il magazzino, la neviera, un giardino murato ed un cortile con una scala per accedere al piano superiore dove si trovavano invece un magazzino con quattro cisterne per conservare vettovaglie, gli appartamenti, la dispensa ed una libreria. L’edificio ha due corpi laterali, appena accennati, e un'altra zona basamentale in blocchi di pietra. Il prospetto su Largo Marchesale, rivestito a bugnato nella parte inferiore, è caratterizzato, sul corpo centrale, da un lungo balcone su mensoloni con porte-finestre timpanate. Spicca il maestoso portale di gusto napoletano presenta lateralmente delle lesene ruotate in fuori e presentava, fino a qualche anno addietro, sulla trabeazione uno stemma lapideo araldico dei Marchesi Venusio in fregio. Il piano nobile presenta ampie finestre aperte su balconi di stile barocco corredati da ringhiere bombate in ferro battuto. Al cortile interno, di notevole decoro, si accede da un grande androne. Negli ultimi anni del '900 la dimora feudale, fatta oggetto di ampi lavori di restauro, è stata destinata a struttura turistico-alberghiera. ...».
http://castelliere.blogspot.it/2014/02/il-castello-di-sabato-15-febbraio.html
«L’edificio, secondo alcuni studiosi, venne costruito incorporando una primitiva torre normanna intorno al IX secolo. Altre fonti suppongono che la sua fondazione sia avvenuta ad opera di Federico II di Svevia nel secolo XII. Successivamente l’edificio fu mantenuto efficiente come fortificazione, sia durante il periodo angioino che aragonese, per poi trasformarsi nel periodo del viceregno spagnolo, con un ampliamento nel secolo XVII, in una residenza baronale tutt’oggi efficiente grazie all’intervento degli attuali proprietari, i baroni Martucci-Falagario. L’edificio fu notevolmente ampliato dai Furietti, che vi costruirono anche la cappella e il bel loggione, in sobrio barocco, sostenuto da quattro colonne ed in seguito dai Martucci, proprietari dal 1806, che vi costruirono gli ampi saloni. Da una descrizione del 1734 sappiamo che al pian terreno si trovavano i magazzini, la sellaria, la cucina, la neviera, una stalla capace di quattordici cavalli, i lavatoi, le carceri (ai piedi della Torre) e, sotto i magazzini, una cantina capace di quaranta botti (oggi adibita a Sala conferenze, dove vengono tenuti importanti manifestazioni artistico-culturali); al primo piano la cappella, con un quadro della Madonna del Rosario di buona fattura, e un gran numero di sale e stanze, alcune delle quali con la volta a lamia affrescata (notevoli Le quattro parti del mondo e La storia del figliuol prodigo)».
http://www.memoriaeconoscenza.it/percorsi-identitari/GRPR_INT_1/PI_INT_1/PI_A_INT_valenzanoA1?
©2012-2016 ss.