di Luisa Derosa
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Introduzione - Le aree culturali: pag. 1 - pag. 2 - Le schede: Bitonto; Isole Tremiti; Bari; Taranto; Otranto; Trani; Brindisi; Giovinazzo; Bibliografia essenziale |
Per il numero e la quantità dei pavimenti conservati Roma costituisce il centro più importante, anche in considerazione del fatto che l’uso di decorare i pavimenti delle chiese con mosaici prosegue ininterrottamente per tutto il XIII secolo, quando in altre scompare. La caratteristica della produzione musiva romana risiede nella decorazione quasi esclusivamente geometrica, con grandi dischi variamente allineati e intrecciati, pannelli rettangolari inseriti in cornici caratterizzate da minuti elementi policromi di forme e dimensioni geometriche diverse. Sono tutti eseguiti in marmi di vari colori, prevalentemente di reimpiego, con largo uso di dischi di porfido.
La
decorazione dei pavimenti risulta, inoltre, strettamente legata alla
decorazione di elementi dell’arredo liturgico quali amboni, candelabri,
transenne, cibori ecc.., realizzati con materiali e repertori figurativi
analoghi, da parte delle stesse botteghe specializzate in questo genere di
produzione.
L’origine
di questo stile va ricercato nella grande tradizione musiva di epoca
mediobizantina confluita nel territorio laziale per il tramite dell’abate
Desiderio, il quale fece giungere a Montecassino per l’esecuzione del
pavimento musivo della basilica, maestranze bizantine esperte nella
lavorazione del marmo, dal momento che, come riportano le fonti, di tale
tecnica in Italia si era completamente persa memoria. Tra gli episodi di
diretta committenza cassinese ricordiamo la chiesa di Santa Cecilia in
Trastevere e quella di
San
Clemente, legata alla figura di Leone Marsicano,
il cronista di Montecassino che, seguendo il programma spirituale di
Desiderio, pare abbia fornito non solo il progetto di massima ma anche le
maestranze che avevano lavorato nella stessa Montecassino, affinché
potessero stabilmente importare nella città papale generi artistici come il
mosaico.
Pavimenti
eseguiti con la tecnica del sectile
secondo la stessa impaginazione decorativa si ritrovano, ad esempio, in
Santa Maria Maggiore, nella chiesa dei Santi Nereo e Achille, in San
Crisogono, in Santa Maria in Cosmedin.
La
ricchezza della città papale era il marmo antico, che veniva recuperato e
rilavorato in botteghe specializzate. Queste botteghe di marmisti possono
essere considerate le uniche industrie degne di menzione nella Roma
medievale. Sin dall’VIII secolo il diritto di dare concessioni per lo
sfruttamento di costruzioni antiche spettava al papa. Nel XII e XIII secolo,
i diritti di estrazione appartenevano, probabilmente in regime di monopolio,
ad alcune famiglie nelle quali la lavorazione del marmo era ereditaria. Da
una di queste famiglie, attive nella seconda metà del XIII secolo, deriva
il nome “Cosmati”, erroneamente attribuito a tutti i marmorari romani.
Da
Montecassino derivano pure i pavimenti di area campana, come quelli della
cattedrale di Caserta Vecchia, di Sant’Agata dei Goti, di San Benedetto a
Capua e di Sant’Angelo in Formis. Quest’ultima, le cui vicende sono
strettamente legate a quelle di Montecassino, presenta un mosaico
pavimentale in sectile che
utilizza un precedente pavimento antico, riempiendone le lacune. Nella
stessa Campania, come a Roma, la decorazione a mosaico sarà ampiamente
impiegata fino al XIII secolo negli arredi liturgici.
In
relazione all’ambiente campano sono elaborati i pavimenti siciliani,
soprattutto quelli realizzati nel periodo normanno a Palermo (Martorana,
Cappella Palatina,
San
Cataldo, Cattedrale) e
Monreale. Questi esemplari si
distinguono per il largo impiego di dischi di porfido, direttamente
importati da Roma. In Sicilia non si trovano, però, le sequenze di cerchi
intrecciati tipiche della produzione romana. La decorazione è invece
caratterizzata da grandi fasce che si intrecciano a formare figurazioni
geometriche squadrate, con linee spezzate di gusto islamico, a volte
liberamente disposte sulla superficie, all’interno delle quali sono
inseriti i dischi di porfido: segno di un’originale elaborazione locale
dei modelli romani e campani.
Un
discorso a parte merita la Calabria. In questa regione si ritrovano accanto
ad esempi di pavimenti squisitamente bizantini, come quello della cappella
degli Ottimati a Reggio Calabria pavimenti romanici figurati come quello di
Sant’Adriano a San Demetrio Corone. Quest’ultimo, realizzato in sectile
e tessellato e caratterizzato da una vivace policromia, con un largo impiego
di pietre locali e marmi di spoglio, esibisce un repertorio decorativo
estremamente originale. Tra grandi riquadri marmorei e formelle a disegno
geometrico compaiono quattro lastre figurate con animali i cui corpi sono
realizzati con un motivo ‘a scacchiera’, alternando tessere quadrate o
triangolari colorate e tessere bianche, su un fondo chiaro. Si tratta di
un
leone e di una serpe affrontati nell’atto di contendersi una preda, e di
una serpe dal corpo disposto a
spirale, inseriti entrambi su due lastre
circolari, e di una
pantera e di un’altra serpe dal corpo annodato
terminante con due code, su lastre di forma rettangolare.
La
raffinatezza del decoro si ricollega al distrutto pavimento della basilica
desideriana di
Montecassino, dove tra i vari frammenti dell’originale
decorazione figura una pantera eseguita nello stesso modo di quella
calabrese. In ambedue i casi convincenti confronti possono essere fatti con
pavimenti di età mediobizantina, come ad esempio quello della chiesa del
monastero greco di Sagomata, dove in un riquadro compare un serpente dal
corpo a ‘scacchiera’ con il corpo annodato come quello di San Demetrio.
Gli esempi italiani potrebbero dunque derivare da comuni modelli di area
greca.
Ancora diverso si presenta il pavimento della chiesa di Santa Maria del Patir a Rossano Calabro, realizzato sotto l’abate Blasio a metà XII secolo. Realizzato interamente in tessellato, si estende lungo il corpo longitudinale della chiesa e accoglie entro quattro grandi medaglioni un liocorno, un centauro, un felino mostruoso ed un grifone in posizione araldica. Motivi ad intreccio e decori vegetali caratterizzano il fondo della composizione. Di questo pavimento, che in origine ricopriva l’intera superficie della chiesa, altri frammenti si conservano nella navata laterale sinistra e all’ingresso dell’edificio, dove sono ancora visibili un cervo ed un centauro. Lo schema di questo mosaico si rifà a quello del pavimento di Taranto, e può quindi essere inserito all’interno di una circolazione culturale caratteristica dell’area ionica.
Abbazia di Santa Maria, Tremiti: particolare del mosaico della navata centrale
«Estrema
propagine della penisola e punto di convergenza di tutti gli itinerari
antichi, la Puglia ha rivestito da sempre il ruolo di cerniera tra il
continente e le regioni del Mediterraneo orientale».
La
regione sin dall’epoca tardoantica ha conosciuto una grande produzione
musiva, di cui le più cospicue testimonianze si trovano a
Siponto,
Lucera,
Canosa, Venosa,
Trani e Casaranello. A queste si sono aggiunte,
nell’ultimo decennio, in seguito agli scavi archeologici condotti in
alcune
cattedrali
romaniche, le pavimentazioni musive di
Barletta,
Bitonto,
Ruvo,
Otranto. Si tratta di pavimenti eseguiti in opus
tessellatum con tessere di calcare, terracotta e ciottoli di fiume. Le
decorazioni sono essenzialmente di tipo geometrico con l’inserzione di
elementi vegetali. Più ricorrenti sono i motivi a pelte, resi con diverse
varianti, le composizioni a cerchi accostati, a ottagoni o quadrati, includenti fiori, nodi di Salomone, stelle, meandri e svastiche.
Limitati gli inserti figurati, come il pavone, simbolo di immortalità,
nella basilica di San Leucio a Canosa.
Si
tratta di un tipo di decorazione che si ritrova nelle due sponde
dell’Adriatico, nell’Africa settentrionale, in Grecia e nell’area
illirica e mediorientale. Legami sono stati anche individuati con le regioni
dell’alto adriatico, dalle città di Aquileia, Grado, Parenzo fino a
Ravenna.
La
loro esecuzione copre un arco cronologico che va dal IV al VI secolo e si
lega alla formazione delle prime diocesi, quando un grande fermento
costruttivo investì l’intera regione.
Interessante
il caso del pavimento musivo rinvenuto nel succorpo della cattedrale di
Bari. Variamente datato dal VI all’VIII secolo, esso è legato alla
enigmatica figura di un vescovo Andrea, come documenta l’iscrizione che lo
accompagna. Presenta motivi geometrici variamente combinati e sul bordo
esterno, oltre ad una raffinata decorazione floreale, animali acquatici e
pesci. Gli schemi compositivi del decoro geometrico apparentano questo
mosaico ad esemplari di ambito adriatico e mediterraneo. In particolare
identici motivi decorativi si ritrovano in un mosaico pavimentale della città
greca di Patrasso.
Nel
corso dell’alto Medievo la produzione di questo genere di pavimenti si
interrompe per fare posto ad una decorazione più povera, con tessere di una certa dimensione prevalentemente di tipo calcareo
o, più limitatamente, di marmi di recupero, accostati come nel
sectile. Le singole lastrine sono tagliate in forma di rombi,
triangoli, quadrati o petali allungati disposti secondo trame geometriche di
vario tipo. Tra i vari esemplari ricordiamo, oltre a piccoli frammenti
rinvenuti a Canosa, i pavimenti di Canne, Trani, e Bitonto. Particolare
importanza, per estensione e varietà di motivi, riveste il pavimento della
chiesa di Santa Caterina a Bitonto, risalente ai primi decenni dell’XI
secolo. Tale tipo di pavimentazione doveva essere molto diffuso in Terra di
Bari se esemplari simili sono stati rinvenuti a Bari, nel complesso di Santa
Scolastica e nella cattedrale di Ruvo.
Interessante
il caso di Bitonto, dove in una fase precedente l’XI secolo il più antico
pavimento paleocristiano è restaurato nei punti di maggiore usura con
tessere di dimensioni diverse, disposte in filari verticali, orizzontali e
diagonali o con tessere di forma esagonale disposte intorno ad un elemento
quadrangolare, secondo uno schema che si ritrova anche nei mosaici
altomedievali rinvenuti nella cattedrale di Trani. Al di la di una
motivazione improntata ad una scelta di gusto, l’inserimento di queste
tessere potrebbe indicare che in questa fase si era completamente persa, da
parte delle maestranze, la capacità di intervenire con la tecnica del
tassellato, sia pure limitatamente a un intervento di restauro.
La
città pugliese che conserva il maggior numero di pavimenti in tessere
calcaree è Bari. Tra i vari esempi ricordiamo il pavimento del monastero di
San Benedetto, fondato nel 978, realizzato accostando piccole tessere
quadrate in filari orizzontali e diagonali incorniciate da una bordura o
lastrine esagonali disposte intorno ad un elemento romboidale. Coevo a
questo pavimento è quello della prima versione della chiesa di Santa Maria
del Buonconsiglio ubicata nel cuore della città vecchia. Qui, in relazione
alla costruzione di una primitiva chiesa a tre navate divise da pilastri,
sono emersi i resti di un preziosissimo pavimento in sectile,
unico nella regione, realizzato con piccoli elementi in marmo e in cotto,
accostati tra loro, con lastrine quadrangolari o triangolari negli spazi di
risulta. I confronti avanzati vanno dall’area egea (basilica di Kourion a
Cipro) a quella campana di età longobarda (Chiesa dei SS. Rufo e Carponio a
Capua). Ad una più tarda fase di occupazione,
risalente probabilmente all’XI secolo, va ascritto un secondo
pavimento costituito da elementi quadrangolari di vari colori disposti a
formare quattordici riquadri, con tessere variamente disposte a formare
motivi a scacchiera, motivi romboidali, a squame, fiori, oltre che elementi
di raggiere che ospitano al centro piccole ruote.
L’ultimo
pavimento di età medievale presente a Bari è quello rinvenuto nel
complesso conventuale di Santa Scolastica, nella punta settentrionale della penisola su cui sorge la città
medievale. Questo pavimento è relativo ad una chiesa altomedievale,
identificata con quella dei SS. Giovanni e Paolo citata in un documento dei
primi decenni dell’XI secolo. Presenta la consueta decorazione a piccole
tessere di varie dimensioni, disposte in filari orizzontali e diagonali,
all’interno di grandi riquadri quadrangolari delimitati da cornici. Lungo
l’asse centrale dell’edificio, in corrispondenza del presbiterio e della
parte occidentale della navata, due pannelli ospitano un motivo centrale a
disco.
La
produzione di questi pavimenti cessa all’inizio dell’XI secolo. Non è
assolutamente chiaro come appena a metà del secolo raffinatissimi esemplari
di mosaici figurati segnino l’inizio di una lunga stagione di fioritura di
quest’arte che proseguirà ininterrottamente per tutto il XII secolo.
Quando la grande arte musiva fa la sua ricomparsa in Puglia mostra già un
eccellente grado di specializzazione delle maestranze ed una elevata capacità
espressiva. I più antichi esemplari sono quelli di Bitonto, dove un
suntuoso mosaico pavimentale, raffigurante un monumentale grifone, è stato
rinvenuto nel corso dei recenti scavi sotto la cattedrale romanica, e
quello, assai noto, dell’abbazia
benedettina di Santa Maria nelle isole Tremiti. Questi mosaici, in linea con quanto avveniva in altre aree della
penisola, sono eseguiti con la tecnica dell’opus
sectile e del tesselato. Se evidenti sono le analogie tra i due
esemplari, innegabili sono anche le differenze tecniche e formali,
indicative,probabilmente, non solo di una diversa ideazione ed esecuzione,
ma anche di uno scarto temporale. I confronti avanzati dalla critica
inseriscono i due mosaici all’interno di una circolazione culturale comune
a tutta l’area adriatica, da Cervignano del Friuli a San Niccolò al Lido
e al Sant’Ilario di Venezia, da Pomposa fino ai più tardi esemplari di S.
Maria Maggiore a Torcello, di S. Zaccaria a Venezia e di S. Stefano di
Carrara.
Splendido
esempio di pavimento bizantino è quello che ricopre il presbiterio della
cripta di
San
Nicola
e parte della base della torre di sud-est e che in
origine doveva essere esteso a tutta la superficie dell’aula. Forse
appartenute a qualche edificio dell’astù bizantino, costituisce un caso
unico in Puglia. Esso documenta, ad una data precoce, la presenza in Puglia
di maestranza bizantine esperte nell’arte musiva e costituisce un
precedente importante rispetto al fenomeno “cosmatesco” che di li a
breve investirà le regioni romano-campane.
Diverso
il caso, nella stessa chiesa di San Nicola, nell’area del presbiterio
dell’edificio superiore, del pavimento in sectile e tassellato, con
l’inserzione di un piccolo elemento figurato, che mostra, ancora una
volta, forti legami con l’area dell’Alto Adriatico.
In
tutti i casi citati indubbi sono i legami con la coeva produzione scultorea
ed anche con i mosaici che decorano le pareti esterne della chiesa di San
Benedetto a Conversano, traduzione locale di un tipo di decorazione diffusa
nell’XI secolo in aree di influenza bizantina che potrebbe aver avuto in
Puglia una diffusione maggiore di quanto oggi si possa immaginare
considerando che una decorazione a mosaico di piccole tessere decora anche,
all’esterno, il profilo delle monofore della cripta di San Nicola.
Tra
i mosaici di maturo XII secolo il più antico è quello della cattedrale di
Taranto, eseguito intorno al 1160, come riporta una tarda testimonianza. Se
negli schemi decorativi e compositivi questo pavimento mostra indubbi legami
con la restante produzione pugliese di età romanica, in particolare con
Otranto, per stile e iconografia trova convincenti confronti con il mosaico
calabrese di Santa Maria del Patir. I rapporti tra queste due opere
suggeriscono un tipo di circolazione culturale caratteristica dell’area
ionica che si giustifica in questo caso, sul piano storico, con la presenza,
ancora in età normanna, di una forte componente di matrice orientale dovuta
alla presenza di numerosi monasteri greci.
Interessante,
nel caso di Taranto, la presenza del tema dell’ascensione al cielo di
Alessandro Magno, frequente nella decorazione musiva pugliese (altri esempi
si hanno ad Otranto e a Trani) ma poco diffusa nel resto dell’Occidente
cristiano.
Nello
stesso decennio viene realizzato in Puglia il mosaico pavimentale del duomo
di Otranto che è, tra i tanti pavimenti medievali italiani, l’unico ad
esserci pervenuto in uno stato di completa leggibilità. La varietà di
fonti figurative e letterarie, la molteplicità di orientamenti culturali,
l’ambiziosità dell’impresa mostrano come la Puglia viva in questo
momento una situazione di grande creatività e vitalità. Fortemente
percettiva rispetto alle realtà culturali di altre aree e regioni essa
mostra, in tutto il suo spessore, la capacità di coniugare elementi della
più remota tradizione indigena, giunti a maturazione nel corso dell’XI
secolo, con gli stimoli della nuova realtà sociale ed economica che
caratterizza la città medievale, principale protagonista della civiltà
artistica del XII secolo. Si tratta di fenomeni che a pieno titolo
inseriscono la Puglia all’interno della grande stagione del romanico
europeo.
La
realizzazione del mosaico pavimentale di Otranto dovette generare una grande
impressione presso i contemporanei. Lo dimostra il fatto che i successivi
mosaici di Trani e Brindisi, ne dipendono interamente. Nel caso di Trani è
stato ipotizzato l’intervento dello stesso Pantaleone.
Un caso a parte è costituito dal pavimento della cattedrale di Giovinazzo, sia per l’inserimento di brani figurativi realizzati con ciotoli di fiume, che non trova confronti nella regione, sia per i rapporti con esempi dell’Italia settentrionale, in primo luogo con l’Emilia.