Storia
medievale dai castelli ai monstra - Le opere e i giorni
LE OPERE E I GIORNI | a cura di Stefania Mola | Otranto |
È
tempo di vendemmia. Il contadino, che impugna con la mano destra un strumento
munito di lama, pigia con il piede sinistro in un apposito recipiente i
grappoli già tagliati da una vite non arborata.
Accompagna
la raffigurazione di Agosto il segno zodiacale del Leone,
governato dal Sole, quinto segno dello zodiaco (e, insieme al Sagittario e
all’Ariete, segno di Fuoco) che occupa il cuore dell’estate.
Lo
rappresenta tradizionalmente il re degli animali in tutta la sua potenza,
nobiltà e maestà.
All’interno
dello zodiaco, il Leone è il segno che coincide con il simbolismo della
potenza e della sovranità, della natura solare e dell’oro, della luce e
dell’energia. Con la fase del Leone si assiste all’apertura della natura
sotto al forza dei raggi solari, alla magnificenza del mezzogiorno estivo
caldo e secco (la canicola).
La
scena è accompagnata dall’indicazione del mese (Ag).
Il nome Augustus sostituisce nell’anno 8 a. C. l’antico Sextilis del calendario arcaico (composto da dieci mesi), e ricorda
Cesare Augusto che, tra le altre cose, nel mese di Sestile assunse per la
prima volta il consolato. Dieci anni prima, nel 18, lo stesso Augusto aveva
istituito le feriae Augusti (da cui
nasce il termine Ferragosto), che tuttavia oggi è il giorno che coincide con
la festa cattolica dell’Assunta (il 15) e non si riferisce più, come in
origine, alle Calende di Sestile (cioè la festa del primo giorno del mese).
Con
il mese di Agosto (e di Settembre) il ciclo otrantino rivolge l’attenzione
alla viticoltura, attività di capitale importanza nell’agricoltura del Sud.
In altri cicli dei mesi è consuetudine che questo mese illustri l’attività
preparatoria del bottegaio impegnato nella costruzione delle botti.
Stelle
d’agosto: la canicola, i fuochi di San Lorenzo
Il
periodo sotto il segno del Leone viene spesso indicato con la parola canicola, che crea un’atmosfera di sospensione ed immobilità in
coincidenza con le ore più calde della giornata e la cui corrispondente voce
latina – diminutivo di cane –
significava letteralmente “cagnolino”. Il rapporto tra un cagnolino ed il
periodo più caldo dell’anno, apparentemente bizzarro, si spiega osservando
il cielo, laddove la stella che sorge e tramonta con il sole tra il 24 luglio
e il 26 agosto è Sirio, l’astro più luminoso della costellazione del Cane
Maggiore, che gli Egizi associavano alla benefica inondazione del Nilo
portatrice di abbondanza e ricchezza.
Più
che in altri mesi dell’anno, sciami di aeroliti vaganti nello spazio si
incendiano a contatto con l’atmosfera terrestre e “piovono” nella notte
consumandosi rapidamente e senza lasciare traccia. Le stelle cadenti di
agosto, concentrate nelle notti intorno al 10 (festa di san Lorenzo), vengono
chiamate Perseidi perché (pare) provenienti dalla costellazione di Perseo.
Una “pioggia” che la stagione propizia rende più fascinosa
(asseconderebbe i desideri di chi ci creda), ma che non differisce di molto da
quella delle Leonidi (le stelle della costellazione del Leone, che
“cadono” in novembre) o da quella delle Andromeidi (alla fine dello stesso
mese).
La
tradizione popolare chiama le stelle cadenti di agosto anche “fuochi di san
Lorenzo” (figurandole come scintille del fuoco ardente sotto la graticola
del martirio del Santo, e successivamente volate in cielo), o “lacrime di
san Lorenzo”, figurazione anch’essa legata al dolore del supplizio:
lacrime vaganti nel cielo che scelgono la “magica” notte del 10 agosto per
ridiscendere sulla terra.
Mitologia
della costellazione del Leone
Identificata
con il Sole a partire dall’antica civiltà mesopotamica, la costee="4" color="#FFFFFF">Più
che in altri mesi dell’anno, sciami di aeroliti vaganti nello spazio si
incendiano a contatto con l’atmosfera terrestre e “piovono” nella notte
consumandosi rapidamente e senza lasciare traccia. Le stelle cadenti di
agosto, concentrate nelle notti intorno al 10 (festa di san Lorenzo), vengono
chiamate Perseidi perché (pare) provenienti dalla costellazione di Perseo.
Una “pioggia” che la stagione propizia rende più fascinosa
(asseconderebbe i desideri di chi ci creda), ma che non differisce di molto da
quella delle Leonidi (le stelle della costellazione del Leone, che
“cadono” in novembre) o da quella delle Andromeidi (alla fine dello stesso
mese).
La
tradizione popolare chiama le stelle cadenti di agosto anche “fuochi di san
Lorenzo” (figurandole come scintille del fuoco ardente sotto la graticola
del martirio del Santo, e successivamente volate in cielo), o “lacrime di
san Lorenzo”, figurazione anch’essa legata al dolore del supplizio:
lacrime vaganti nel cielo che scelgono la “magica” notte del 10 agosto per
ridiscendere sulla terra.
Mitologia
della costellazione del Leone
Identificata con il Sole a partire dall’antica civiltà mesopotamica, la costellazione del Leone coincideva per gli Egizi con la levata eliaca di Sirio e con la piena estiva del Nilo nel periodo più caldo dell’anno, nonché con Horo, il sole divino che nutriva il cosmo (e ciò spiega il perché di teste leonine scolpite sui ponti dei loro canali).
Il
mito greco più famoso è quello che si ricollega alla prima fatica di Eracle,
che uccise l’enorme leone di Nemea. L’animale era figlio della dea della
Luna, Semele, la quale, partoritolo, lo gettò inorridita sulla Terra, dove
egli prese dimora in un antro vicino a Nemea, in Argolide.
Quando
gli abitanti della cittadina dimenticarono di offrire il rituale sacrificio a
Semele, la dea, per vendicarsi, liberò il leone, il quale, invulnerabile,
prese a devastare in lungo e in largo la regione. Eracle, però, riuscì a
bloccare la belva nella sua grotta, a stordirla ed infine a strangolarla.
Toltagli la pelle la portò al re Euristeo che, spaventato, ordinò all’eroe
di tenere fuori dalle mura della città i suoi trofei. Da allora la
rappresentazione di Eracle con indosso la pelle leonina è diventata un
classico dell’iconografia.
Un’altra
versione del mito (che affonda le proprie origini in una leggenda babilonese)
ricollega la costellazione del Leone alla storia di Piramo e Tisbe, due
innamorati contrastati dai rispettivi genitori. I giovani erano soliti
incontrarsi di nascosto in luoghi fuori mano, uno dei quali era la Tomba di
Ninos, dove cresceva una pianta di gelso, dai frutti candidi, che si
specchiava in una fonte. Tisbe giunse per prima, ma avvicinatasi una leonessa
dalle fauci sporche di sangue, si diede alla fuga, perdendo il suo velo. La
belva si avventò sul velo, lacerandolo e sporcandolo di sangue.
Piramo,
giunto nel luogo dell’appuntamento e rinvenuto l’indumento, credette
immediatamente che la sua adorata fosse stata sbranata da una belva;
disperato, per l’insopportabile dolore, si trafisse con la sua spada,
macchiando di sangue le bacche del gelso. Più tardi, quando Tisbe tornò alla
Tomba di Ninos, sgomenta alla vista del cadavere dell’amato, si trafisse
anch’essa con la medesima arma.
La
leggenda vuole che, da allora, in memoria dei due giovani sfortunati, i frutti
del gelso siano di colore rosso vivo.
©2002-2003 Stefania Mola