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LE OPERE E I GIORNI | a cura di Stefania Mola | Otranto |
L’inverno volge al termine, e il lavoro nei
campi è ripreso: alla fine della giornata il contadino, seduto su uno
sgabello, è intento a pulirsi il piede sinistro con uno strumento idoneo. Come quello di ottobre, anche il contadino di questo mese è mancino: la spiegazione sta probabilmente nell'aver "copiato" il modello
rovesciato.
Accompagna la raffigurazione di marzo il segno zodiacale dei Pesci, governato da Giove e Nettuno, dodicesimo ed ultimo segno dello zodiaco (e, insieme allo Scorpione e al Cancro, segno di Acqua). L’anno dei cristiani inizia infatti alla fine di questo mese, con l’equinozio di primavera, sotto il segno dell’Ariete ed in coincidenza con l’Incarnazione (l’annuncio dell’arcangelo Gabriele alla Vergine), principio della storia cristiana della salvezza, inaugurazione della redenzione, nonché dell’età nuova, quella che sant’Agostino chiamava sub gratia (distinguendola dalla precedente, sub lege mosaica).
La rappresentazione tradizionale del segno
zodiacale vede due pesci accoppiati in senso inverso, uniti da una sorta di
cordone ombelicale disteso tra le due bocche; ad Otranto, slegati dalla
rigidità iconografica, i Pesci rimandano semplicemente al loro elemento
dominante (l’acqua), all’incoerenza di un tempo prima di tutto
meteorologico ed alla ricettività di una natura che sta per risvegliarsi dal
lungo sonno invernale, essendo simbolicamente associati alla nascita ed alla
restaurazione ciclica della vita e della fecondità.
La scena è accompagnata dall’indicazione del mese (Mar/tius).
Marzo è il mese della ripresa delle attività agricole, e la sua immagine più diffusa in campo artistico rimanda alla legatura o alla potatura delle viti. Nei cicli dei mesi dell’Europa settentrionale, soprattutto francesi, la primavera è salutata anticipatamente con l’inserimento dei primi fiori nelle raffigurazioni (Parigi, Notre-Dame), anche se la mutevolezza del clima non consente ancora di accantonare i pesanti abiti invernali ed il mantello dotato di cappuccio che coprono il contadino di Chartres (ciclo del portico settentrionale). Nei calendari medievali italiani la raffigurazione di questo mese si presenta spesso nelle forme allegoriche del suonatore di corno, il cosiddetto Marcius cornator, una figura dai capelli scarmigliati che soffia in due corni, simbolo dei venti e delle burrasche di inizio primavera. Il suo aspetto demoniaco ed ostile riflette la credenza medievale di Marzo come mese delle influenze maligne e lussuriose, caratteristiche poi trasferite anche ad altre raffigurazioni cui il mese si accompagna1. Ad esempio allo spinario di classica memoria, anch'essa raffigurazione tipicamente italiana (e più specificamente centro-settentrionale), che ritroviamo ad Otranto. Lo spinario, tuttavia, finisce per assumere anche il significato di una benefica contropartita rispetto all'umore maligno, se interpretato sullo stesso piano del contadino che pota la vite, raffigurazione spesso associata al Marcius cornator con questo intento.
Tuttavia, benché la posa sia inequivocabile, così come
l’associazione al mese, è possibile che ancora una volta il contesto
otrantino faccia riferimento ad un particolare realistico, più che
allegorico: in mancanza di una specifica attività, l’attenzione si
concentra su un atto quotidiano e necessario (come quello di pulirsi i piedi
affaticati), ovvero su quei piccoli problemi fisici che il Medioevo attribuiva
al mese («Martius humores gignit veriosque dolores»). Altre interpretazioni
appaiono abbastanza inverosimili, come quella che vede nella raffigurazione il
contadino intento ad affilare un coltello2, per
associazione tra l’etimologia di Marzo/Marte e la preparazione delle armi:
tra le tradizionali occupazioni militari del mese in alcune aree europee è da
annoverare anche l’addestramento di cavalieri e di milizie in vista di
eventuali operazioni di guerra), ovvero a tirare una corda legata al suo piede3.
Nei
dintorni di Roma si trova il comune di Vitorchiano, di probabile origine
etrusca come sembrerebbero attestare i numerosi reperti archeologici trovati
nelle campagne circostanti. Durante le prime campagne di infiltrazione
militare nei territori dell’Etruria centrale condotte dal console romano
Fabio Rulliano (fine del IV secolo a.C.), Vitorchiano, che allora sorgeva al
limite settentrionale della Selva Cimina, fu strappata agli Etruschi dai
Romani, che vi insediarono un castrum. È a questo periodo che una leggenda medievale fa risalire
l’eroismo del pastorello Marzio, la più antica testimonianza di quel legame
profondo tra il piccolo centro di Vitorchiano e l’Urbe che è stata una
costante indiscussa della storia vitorchianese.
Secondo
la leggenda i Vitorchianesi, essendo venuti a conoscenza che gli Etruschi e i
loro alleati Umbri e Galli stavano approntando un esercito imponente per
aggredire di sorpresa Roma, inviarono un loro messo in città per avvertire i
senatori dell’imminente pericolo. Marzio, per dare all’esercito romano il
tempo di reagire, percorse la distanza tra Vitorchiano e Roma correndo, ma nel
tratto di attraversamento della Selva Cimina, una spina velenosa si conficcò
nel suo piede. Il pastore, giunto a Roma, ebbe appena il tempo di avvertire i
senatori dell’imminente pericolo che, per la stanchezza e la ferita
procurata dalla spina, cadde esanime. I Romani, approntato un esercito
adeguato, respinsero con successo l’aggressione degli Etruschi e la città
eterna fu salva.
Il
fatto è certamente leggendario, ma il suo nobile fondo di verità venne
trasposto e celebrato nell’arte: alla memoria dell’eroismo di Marzio fu
dedicata una statua bronzea, il celebre
Spinario visibile ancor oggi a
Roma nel Palazzo dei Conservatori in Campidoglio.
Questa costellazione, molto estesa ma piuttosto debole, ha attualmente il “punto vernale” corrispondente all’equinozio di primavera, e rappresenta due pesci uniti per la coda: uno nuota verso il Polo Nord celeste, l’altro appena sotto l’Equatore, quasi in parallelo.
Per
gli Egiziani i Pesci erano collegati al mare in cui si gettava il Nilo, mentre
nella parte a nord vedevano una cerva inseguita da due cani.
L’astronomo
greco Eratostene sosteneva che in origine la costellazione rappresentava un
unico pesce, la dea siriana Derke, metà pesce e metà donna.
In
una versione del mito greco, i Pesci sono i delfini che scortarono Anfrite,
una delle Nereidi, presso Nettuno al quale sarebbe andata in sposa.
In
un’altra versione si narra di un uovo che cadde nel fiume Eufrate e che fu
condotto sulla riva da un gruppo di pesci. Dall’uovo nacque Afrodite, che fu
poi allevata da alcune colombe; la dea, grata ai pesci, avrebbe collocato la
loro immagine nel firmamento.
Più
interessante è il mito latino, che riguarda Venere e il figlio Cupido: la
dea, continuamente vittima degli attacchi del mostro Tifone, si gettò in mare
con il figlio, entrambi mutandosi in pesci, uniti per la coda con una corda
(come appunto li vediamo nella costellazione) per non separarsi.
1 L. Pressouyre, "Marcius cornator". Note sur un groupe de répresentations médiévales du mois de mars, in «Mélanges d'archéologie et d'histoire de l'École Française de Rome», LXXVII (1965), 2, pp. 395-473, spec. p. 396 n. 1.
2 H. W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittealters in Unteritalien, I, Dresden 1860, p. 262, per associazione tra l'etimologia di Marzo/Marte e la preparazione delle armi: tra le tradizionali occupazioni militari del mese in alcune aree europee è da annoverare anche l'addestramento di cavalieri e di milizie in vista di eventuali operazioni di guerra.
3 C.A. Garufi, Il pavimento a mosaico della cattedrale di Otranto, «Studi Medievali», 2 (1906-1907), pp. 505-514 [510].
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