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LE OPERE E I GIORNI | a cura di Stefania Mola | Otranto |
È tempo di trebbiatura. Il
contadino solleva con forza al di sopra del capo il suo correggiato prima di
abbatterlo vigorosamente sul grano. Accanto a lui sono presenti una pala ed un
forcone, che verranno usati successivamente per riunire in mucchi separati la
pula ed il frumento.
Accompagna la raffigurazione
di Luglio il segno zodiacale del Cancro,
governato dalla Luna, quarto segno dello zodiaco (e, insieme allo Scorpione e
ai Pesci, segno di Acqua) posto immediatamente dopo il solstizio d’estate.
Lo rappresenta
tradizionalmente un grosso granchio (o gambero, dal latino cancer),
animale acquatico che vive all’interno della sua corazza protettiva e
simbolicamente rimanda al valore intimo e interiore dell’abbozzo di ogni
vita nascente che per propria natura è protetta da conchiglie, uteri, scorze
e involucri. Coincide con il simbolismo dell’acqua originaria, acqua madre
calma e mormorante simile al latte materno e alla linfa vegetale, e con
l’archetipo materno individuato da Jung. La sua associazione con il segno
solstiziale è tradizionalmente giustificata con la sua andatura laterale, che
ricorda quel che accade al sole che, a partire appunto dal solstizio, comincia
a scendere nel cielo obliquamente verso sud.
Con la fase del Cancro i
giorni cominciano ad accorciarsi. Il cambiamento di senso del movimento solare
– che passa da ascendente a discendente – è schematicamente espresso dal
suo geroglifico convenzionale somigliante a due spirali accostate ed opposte.
Benché a causa della precessione degli equinozi, il sole solstiziale sorga
nella costellazione dei Gemelli ormai dal 60 a. C., neanche l’astronomia
moderna ha voluto correggere il nome di Tropico del Cancro – e, per
associazione, Tropico del Capricorno – in quella che sarebbe l’indicazione
corretta (Tropico dei Gemelli e Tropico del Sagittario) per i due paralleli
che segnano sulla sfera celeste le declinazioni estreme che il Sole raggiunge
rispetto all’equatore durante il suo moto annuo, e che indicano tutti quei
luoghi su di essi situati che hanno il Sole allo zenit per un solo giorno
all’anno.
La scena è accompagnata dall’indicazione del mese
(Iu/lius).
Tale nome, che sostituisce l’antico Quintilis
del calendario arcaico (composto da dieci mesi), ricorda Giulio Cesare che,
come riferisce Macrobio, «nacque in questo mese, nel quarto giorno prima
delle Idi di Quintile».
Con il mese di Luglio il
ciclo otrantino illustra la battitura del grano, attività tradizionale del
periodo rimasta immutata nel tempo quanto a modalità ed aspetti tecnici. Le
fonti ci informano che essa, oltre che attraverso l’uso del correggiato,
avveniva anche nell’aia grazie ad una grossa pietra fatta ruotare sulle
spighe da una forza motrice animale.
In questo tempo, che gli
indiani d’America chiamano “la luna dell’oca che non vola”, “la luna
delle pesche” o “la luna del salmone dell’entroterra”, sbucano a
decine le lunari lumache, simboli della vita allo stato aurorale. È un
periodo di farfalle eleganti, come le antiope, le “occhio di pavone” o le
regali vanesse. Fioriscono i girasoli, solari e ridenti, che assecondano
disciplinatamente la posizione del sole volgendosi a mezzogiorno.
Mitologia
della costellazione del Cancro
La costellazione del Cancro, nell’antichità, indicava la posizione del Sole al solstizio estivo che, in Mesopotamia, si identificava con la porta di accesso dei defunti verso l’incarnazione.
Nell’antico
Egitto era invece identificata con Khepri (rappresentazione divina dello
scarabeo o maggiolino dello sterco), il dio dell’alba, della fertilità e
quindi della vita e della rinascita; un’altra versione del mito egizio
riconduceva la costellazione al dio sciacallo Anubi, che assisteva lo scriba
divino Thot, “pesando” il cuore dei defunti con una bilancia avente come
contrappeso la “piuma della verità” della dea Maat.
Per
gli arabi, invece, il Cancro era la bocca o il muso del Leone, la vicina
costellazione.
Nella
tradizione mitologica classica, il Cancro era il mostruoso granchio uscito
dalla palude di Lerna che Era aveva mandato a difesa dell’Idra, la creatura
policefala da lei stessa allevata, affrontata da Eracle (eroe solare) nella
sue seconda fatica. Quest’ultimo, pur essendo stato morso al tallone dal
granchio, riuscì ad annientarlo; Era lo fece ascendere al cielo,
trasformandolo in costellazione (tuttavia minore, dato che si tratta di quella
meno luminosa dello Zodiaco).
All’interno
del crostaceo celeste vi sono due stelle separate da una nebulosa denominata
Presepe, conosciute sin dall’antichità, ovvero Asellus
Borealis (“asino settentrionale”) e Asellus
Australis (“asino meridionale”), direttamente collegate al leggendario
scontro tra gli dèi olimpici e i Titani. La Titanomachia fu vinta dai
Celesti, che, però, subito dopo dovettero affrontare i Giganti figli di Gea (Gigantomachia),
i quali volevano vendicarsi di Zeus, colpevole di aver relegato nel Tartaro
gli sconfitti Titani. La vittoria fu ancora una volta degli dèi
dell’Olimpo, i quali furono aiutati in maniera decisiva da Dioniso ed Efesto
sopraggiunti a cavallo di asini, i quali spaventarono i Giganti, che mai
avevano udito il raglio di tali animali e pensarono che provenisse da qualche
mostruosa creatura. Dioniso, per ringraziare i due asinelli, li collocò in
cielo, a fianco dell’ammasso stellare chiamato phatne
(mangiatoia).
©2002-2003 Stefania Mola